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Le società (in)civili

A cura di Gianfranco Pasquino
ParadoXa – Anno XI – Numero 2 aprile/giugno 2017

INDICE

“Quando le società sono incivili elaborano codici di comportamento che ciascuna associazione interiorizza e applica e che chiamerò “corporativismo amorale”. Tutto quello che serve all’associazione può essere fatto; nulla di quello che non serve merita di essere fatto; gli effetti sul resto della società non sono mai una priorità. Le società incivili non sono interessate né al merito né alla solidarietà. I muri che innalzano servono a isolarle dalle sfide, dalla competizione, dalle interferenze, anche legittime, sotto forma di regolamentazione ad opera dello Stato. Nella misura in cui hanno la meglio, anche soltanto nella difesa dei confini, quelle associazioni indeboliscono lo Stato a fronte di tutte le altre associazioni (che riterranno di potere anche loro violare le leggi) e, naturalmente, anche del senso civico dei cittadini, della loro propensione a agire secondo le norme e le regole esistenti.”

Pubblichiamo alcuni paragrafi dell’articolo di Gianfranco Pasquino
Corporativismo amorale. Più muri che ponti
che introduce il fascicolo da lui curato
Le società (in)civili
ParadoXa – Anno XI – Numero 2 aprile/giugno 2017

§ Certo, la mafia è un caso limite, ma rende maggiormente e definitivamente avvertiti alla possibilità che nient’affatto tutte le associazioni contribuiscano senza macchia alla creazione di capitale sociale positivo che costruisca su virtù civiche e le orienti verso un miglior funzionamento della società e del sistema politico (se questa distinzione è ancora possibile e utile). Al proposito, tutta la letteratura imponente sui gruppi d’interesse/di pressione, sulle lobby (compito largamente soddisfatto nel fascicolo di “Paradoxa” , curato da Marco Valbruzzi, intitolato Maledetto lobbying. La società aperta e le sue lobby Ottobre/Dicembre 2016) in parte ci aiuta, in parte ci spinge ad approfondimenti. Non è facile formulare con tutte le sfumature necessarie l’interrogativo cruciale concernente quali associazioni producono capitale sociale e quali no, procedere ad una valutazione del loro operato e pervenire ad una sorta di graduatoria su una scala che, in chiave molto polemica, definisco di “inciviltà”. Poiché, però, sappiamo che non tutte le società “civili” sono qualificabili robuste e vibranti, è imperativo che si vada alla ricerca proprio di quelle associazioni il cui contributo all’incivilimento della società appare discutibile, se non nullo.

§ L’associazionismo italiano non è mai stato solido né particolarmente autonomo. Per una lunga fase dell’Italia repubblicana, da un lato, molte associazioni facevano stretto riferimento alla Chiesa e ampio affidamento su una diffusa cultura cattolico-democratica che trovava sbocco anche nella Democrazia Cristiana. Dall’altro,il Partito Comunista aveva infiltrato, ereditato, plasmato un’ampia rete di collateralismo politico-culturale. Ovviamente, il collasso, per usare la terminologia di Putnam, dei due partiti ha avuto conseguenze fortemente negative su entrambi quei mondi associativi, che si sono non soltanto indeboliti,ma ripiegati su stessi fino talvolta alla scomparsa. Però, non sono loro il problema. Dobbiamo cercare altrove.

§ Esistono associazioni professionali che hanno come scopo principale e prevalente la tutela degli interessi dei loro aderenti e che quegli interesse perseguono eventualmente anche a scapito di interessi superiori e che così facendo indeboliscono la società? La risposta “probabilmente, sì” invita ad avviare un’indagine che dovrebbe muoversi a largo raggio in tutte le direzioni. Quanto più gli appartenenti ad una stessa associazione condividono le medesime qualifiche per le attività che svolgono e possono essere messi sullo stesso piano tanto più è probabile che tuteleranno con la massima determinazione i loro interessi e le loro prerogative, eventualmente i loro privilegi, da qualsiasi interferenza esterna. È anche probabile che gli eventuali dissidenti siano rapidamente neutralizzati, escludendoli dall’associazione. Sosterrei che con qualche differenza è possibile collocare in questo ambito alcune associazioni, in ordine di importanza: l’Associazione Nazionale dei Magistrati, l’Ordine dei Giornalisti e i sindacati della scuola, meglio, forse, più precisamente, l’Unione Sindacale dei Professori Universitari di Ruolo. Vi aggiungerei spesse volte anche alcune associazioni industriali e non poche società sportive, assolutamente da non dimenticare per la loro estensione e per il loro impatto anche sull’immaginario collettivo.

§ Quello che interessa, al di là di singole vicende che saranno esaminate negli articoli di questo fascicolo, sono gli elementi comuni che quelle associazioni manifestano nelle loro modalità di protezione degli aderenti e di tutela dei loro interessi. Anzitutto, siamo di fronte a associazioni che godono abitualmente di un monopolio della rappresentanza e che, pertanto, non ricevono nessuno stimolo al cambiamento e al dinamismo da una inesistente competizione. Sono associazioni robuste, ma sicuramente non vibranti proprio perché non vengono sfidate da altre associazioni operative nello stesso ambito. In generale, la loro azione non è propositiva, ma difensiva. Mira nella quasi totalità dei casi a mantenere lo status quo. La battaglia dei magistrati contro qualsiasi modalità di responsabilità civile è stata, da molti punti di vista, e continua ad essere esemplare. Non mi avventuro ad analizzare gli innegabili intenti punitivi di parte della classe politica nei confronti della magistratura che, comunque, non giustificano il chiudersi a riccio dell’associazione dei magistrati. Sottolineo, però, rimandando al fascicolo di “Paradoxa” curato da Justin O. Frosini (Una giustizia sbilanciata, Aprile/Giugno 2015), che la grandissima maggioranza dei magistrati è consapevole e si dichiara molto insoddisfatta dal funzionamento della giustizia, in particolare, quella civile, in Italia.

§ Laddove la società civile è “robusta e vibrante” può costituire, allo stesso tempo, uno stimolo e un freno e contrappeso all’attività dei governi. Il buongoverno abita lì, non altrove. Dunque, chi voglia conseguire esiti positivi nel governo di un paese deve avere il massimo interesse a fare sì che la società si esprima attraverso sue articolazioni non corporative, non che quelle espressioni siano messe da parte, osteggiate, trascurate. La disintermediazione (ho approfondito l’importante fenomeno nell’articolo I corpi sociali nel disegno istituzionale inserto al n. 1 della rivista “viaBorgogna3”) priva il governo di informazioni, quand’anche particolaristiche, importanti e utili e non è affatto scontato che faciliti le decisioni né, tantomeno, che ne migliori la qualità. Escludere tutte le associazioni dai processi decisionali è una misura estrema. Sicuramente, non risolve il problema dell’esistenza e della influenza politica, sociale, culturale delle società “incivili”. Non è questo articolo il luogo dove cercare e prospettare soluzioni. Per il momento, è sufficiente gettare luce su un fenomeno grave che ripetutamente produce effetti negativi sul sistema politico nel suo complesso e che contribuisce a peggiorare la qualità della democrazia. Tutto questo è facilmente riscontrabile, giorno dopo giorno, in Italia.