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E la chiamano Liberazione #Libertà #LaLinguaBatte​ @Radio3tweet #LibertàInutile​ @UtetLibri

Cristina Faloci intervista Gianfranco Pasquino che ha scritto per UTET libri “Libertà inutile. Profilo ideologico dell’Italia repubblicana”.

RAI RADIO 3 La lingua batte puntata del 25 aprile 2021
E la chiamano Liberazione

Il #25aprile che non passa #FestadellaLiberazione

25 aprile. Punto d’arrivo e punto di inizio di una nuova vicenda. Non dimenticare non basta. Bisogna pensare e sapere ripensare. Senza fastidiosi appelli retorici e spesso ipocriti. Senza deprecabili richiami al superamento del passato. Senza impraticabili e contraddittorie richieste di impossibili memorie condivise.

Resistenza. Nata da subito contro il fascismo. Dipanatasi con alti e bassi in tutta l’Italia. Presente nelle grandi città e nei piccoli villaggi. Repressa, ma incomprimibile. Con le uccisioni periodiche dei suoi leader: Piero Gobetti, Giovanni Amendola, Giacomo Matteotti, Carlo e Nello Rosselli, Antonio Gramsci. Con i molti assassinati a livello locale, non dimenticati, il cui sangue testimoniava la volontà di opporsi, l’esistenza anche di un’altra Italia. Da quei martiri celebri e dalle loro idee scaturirono le idee e ideologie di un’Italia futura, migliore: la libertà del liberalismo; una società rappacificata del cattolicesimo democratico; la giustizia sociale dell’azionismo; la trasformazione anche rivoluzionaria del socialismo e del comunismo. A distanza di quasi ottant’anni rimangono esemplari e commoventi i documenti e le testimonianze contenuti nelle Lettere dei condannati a morte della Resistenza in Italia e in Europa. Monumento e memento di come preservare liberi la mente e il cuore anche nei giorni più bui.

Liberazione. Divenuta lotta armata, la Resistenza ebbe due obiettivi: da un lato, liberare l’Italia dall’oppressore fascista rinserratosi nella Repubblichetta di Salò; dall’altro, cacciare l’invasore nazista in preda agli ultimi spasmi della sua ferocia. Quella lotta armata, per quanto militarmente non decisiva, fu anche un modo importante di riconquistare la dignità dell’essere italiani e, attraverso il sacrificio delle vite, di sensibilizzare alla solidarietà numerosi settori sociali. Tuttavia, più o meno riconoscente per il ritorno alla libertà, nel paese continuò a esistere una vasta area grigia di non-impegno, di prevalenza del privato, di ripiegamenti sugli interessi personali e familiari.

Costituzione. Il quadro di riferimento della democrazia repubblicana è comprensibile attingendo, da un lato, agli obiettivi già delineati nelle Carte costituzionali formulate in zone liberate dalla Resistenza. Dall’altro, trova le sue indicazioni più elevate nelle culture politiche liberale, cattolico-democratica, azionista, socialista e comunista che si confrontarono e si espressero in Assemblea Costituente. Fu Piero Calamandrei, grande giurista del Partito d’Azione, a dare un giudizio in parte severo in parte positivo della Costituzione: “una rivoluzione promessa in cambio di una rivoluzione mancata”. La promessa è nel corso del tempo molto impallidita. Tuttavia, può essere opportunamente rivivificata dai molti che ritengano che il loro impegno civile e politico consiste proprio nel mantenimento di una promessa fatta anche a coloro che con il consapevole sacrificio della loro vita contribuirono, in Italia e in Europa, a (ri)conquistare la libertà.

Festa della Liberazione e della Libertà #25aprile2020 #BellaCiao

Da ANPI Vicenza

 

#BellaCiao Liberazione e Resistenza – Vicenza 2020 Il Professor Gianfranco Pasquino, che già in altre occasioni abbiamo avuto l’onore di ospitare, ci invia questo pezzo in cui, con la solita devastante e impareggiabile lucidità intellettuale e il solito nitore morale, ci consegna alcune riflessioni sul 25 aprile:

Credo che il modo migliore per ricordare la Resistenza consista nel leggere le ultime parole di coloro che si erano opposti ai regimi liberticidi, che non furono solo il nazismo e il fascismo, ma anche tutti i paesi collaborazionisti in Europa, dalla Francia di Vichy alla Norvegia di Quisling all’Ungheria.

Costretti a stare nelle vostre case per uno scopo nobile, quello di combattere il coronavirus e bloccare la diffusione del contagio, consapevoli che dovete assolutamente limitare la vostra libertà (di circolazione) per non causare danni agli altri, già godete di tutto il tempo necessario per leggere, per meditare, per imparare davvero che cosa volevano e che cosa perseguirono i partecipanti alla Resistenza. In tutta l’Europa, che Hitler andò ad un passo dal conquistare, i resistenti si posero come compito essenziale quello di riconquistare la libertà. Anzitutto e soprattutto la libertà, personale e politica, come valore e strumento indispensabile per costruire poi società e sistemi politici diversi e migliori di quelli che si erano fatti travolgere dal nazifascismo, alcuni servilmente collaborando.

Questa è la lezione che emerge con straordinaria nettezza, non inquinata da interpretazioni faziose, dalle Lettere dei condannati a morte della Resistenza in Italia e in Europa. Sono due volumi pubblicati da Einaudi che testimoniano quanto gli uomini e le donne della Resistenza fossero consapevoli dell’eredità che desideravano lasciare. Praticamente tutte quelle lettere esprimono, in maniera diversa, a seconda della sensibilità dei singoli, quanto fossero stati significativi i rapporti familiari, amicali, sociali, politici per intraprendere attività di opposizione nella consapevolezza di rischiare la vita, nella disponibilità a perderla: dare la propria vita per salvare altri, per dare ad altri la possibilità di una vita vissuta in libertà. Non c’è in quelle lettere nessun mal posto nazionalismo, nessun sentimento di superiorità della propria appartenenza nazionale. Però, appare chiarissimo l’amor di patria, di una patria che, riconquistata la libertà, saprà garantirla a tutti i suoi cittadini.

Che siano le lettere degli italiani o dei polacchi, dei francesi o degli ungheresi (che, alla luce della grave erosione della democrazia ad opera di Orbán, dei suoi sostenitori e dei suoi elettori, cito esplicitamente), tutte esprimono sentimenti simili e speranze condivise. Nella lotta armata, prima, nel dolore, poi e, infine, nella morte imminente, in molte di quelle lettere c’è anche la consapevolezza che non solo la pace, ma anche la stessa libertà dovranno essere conquistate e preservate in un quadro più ampio di quello delle singole patrie. Che quelle patrie manterranno un ruolo soltanto se sapranno dare vita ad un’entità sovranazionale chiamata Europa, capace di bandire le guerre, fare fronte alle emergenze, produrre prosperità e redistribuirla con criteri condivisi. È una strada lunga, tortuosa, in salita. Molti di quei condannati a morte sentirebbero di non essere caduti invano guardando le Costituzioni democratiche di alcuni paesi europei e della stessa Unione Europea. Molti ci direbbero senza retorica che dobbiamo andare avanti, che questo è il messaggio più profondo della loro eredità politica e morale.

Il valore della Resistenza ma l’Italia è (ancora) un’altra #Liberazione #25aprile #Resistenza

Anche quest’anno le celebrazioni del 25 aprile, data ufficiale della liberazione del paese dal nazifascismo, sono state precedute da un’intensa attività di rievocazione, analisi, discussione storica e politica del significato di quell’avvenimento. Oramai quasi più nessuno, tranne uno sparuto declinante gruppo di uomini politici, che si giustificano con improbabili impegni alternativi di lavoro, cerca di sfruttare opportunisticamente il giorno della celebrazione per raggiungere quei pochi elettori rimasti a detestare la Resistenza. Nelle scuole il 25 aprile ha trovato una solida collocazione fra gli insegnamenti. Si parte dalla descrizione della natura del regime fascista, poi ne sono discusse le sue leggi, a cominciare dalle leggi razziali contro gli ebrei, infine, a conclusione, è stata criticata la stipulazione di un’alleanza con due regimi totalitari che portò a una devastante entrata in guerra per perseguire obiettivi da grande potenza (non suffragata da effettive risorse e capacità militari). È stata anche studiata e valutata l’attività dell’opposizione con scritti e atti, anche esemplari, al regime da parte di molti cittadini, ma pur certamente una minoranza, sempre seguita dalla repressione e, infine, sfociata nella Resistenza armata. Le reti televisive hanno spesso trasmesso film di vario genere dedicati anche alla rappresentazione della vita quotidiana nei regimi autoritari –alcuni veri capolavori cinematografici, come Una giornata particolare, Il pianista, Adieu les enfants, Schindler’s list, talvolta seguiti da pacati dibattiti fra storici, sociologi e uomini e donne politiche. Tranne poche sguaiate eccezioni, peraltro rappresentative di alcuni settori dell’opinione pubblica, tutti i partecipanti si sono dimostrati in grado di riflettere, anche autocriticamente, sul passato del loro paese, senza manipolazioni e senza esaltazioni. In quasi tutte le scuole, gli studenti hanno avuto modo di leggere documenti esemplari come le pregevoli raccolte di Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana e Lettere di condannati a morte della Resistenza europea. Grazie ai loro insegnanti preparati e consapevoli dell’importanza delle imminenti elezioni europee, gli studenti e anche molti dei loro genitori hanno potuto cogliere l’importante nesso fra le Resistenze nazionali e il tentativo-progetto di costruzione di un’Europa unita capace di fare svanire i nazionalismi e di dare sostanza a più di settant’anni di pace e di prosperità nel continente. Le connessioni fra la Resistenza e la Costituzione sono state esplorate in maniera approfondita sottolineando che i Costituenti desiderarono scrivere un documento giuridico-politico in grado, da un lato, di prevenire qualsiasi ritorno del fascismo, dall’altro, indicare le strade proteggendo e promuovendo i diritti e i doveri dei cittadini che vogliono vivere in una Repubblica democratica e migliorare la qualità della politica e della vita. No, no, il paese descritto non è (ancora) l’Italia.

Pubblicato AGL il 25 aprile 2019

L’eredità della Resistenza

Per molto tempo, le celebrazioni del 25 aprile, la Resistenza e la liberazione dell’Italia, si sono prevalentemente svolte all’insegna della retorica e dell’ipocrisia che cancellavano una storia fatta anche di aspri scontri non soltanto fra opinioni. Che gli italiani abbiano imparato da quelle celebrazioni qualcosa sulla loro storia è molto dubbio. Che non sia stata costruita nessuna memoria condivisa dell’evento che portò alla fondazione della Repubblica che abbiamo (e della sua Costituzione) è accertato. La retorica è fatta di parole roboanti che scivolano via, spesso nel fastidio di chi ascolta. Dall’avvento di Berlusconi nel 1994 ad oggi le celebrazioni “ufficiali” del 25 aprile, senza perdere quasi nulla in retorica, sono diventate controverse, anche arrabbiate, con reciproche accuse di tradimenti e di sovvertimenti, ma non sono migliorate in quanto portatrici di storia e di memorie (al plurale), di luoghi, eventi, famiglie e persone, della sostanza della vita di una collettività.

La maggioranza degli italiani non sente neppure la necessità di fare i conti con il proprio passato perché continua a non conoscere la storia del suo paese il cui insegnamento nelle scuole italiane è diventato raro, difficile e controverso. Gli insegnanti che possono permetterselo lo evitano per non avere conflitti con genitori malamente politicizzati. Neanche quest’anno le celebrazioni della Resistenza, poco sentite e poco preparate, in numerosi casi utilizzate per fare propaganda pro o contro le riforme costituzionali di Renzi e il suo referendum d’ottobre, adempiranno al compito per il quale, più o meno consapevolmente, la maggioranza dei partigiani prese le ami e combatté e che i Costituenti tradussero nel testo scritto della Costituzione repubblicana.

Molto sinteticamente, ai limiti della ipersemplificazione, la Resistenza fu, con motivazioni anche diverse, la richiesta di un’altra Italia e la lotta armata per conseguirla. Nelle spesso e giustamente citate parole dell’azionista Piero Calamandrei, uno dei costituenti più autorevoli e più influenti, la Costituzione è la rivoluzione promessa in cambio della rivoluzione che la Resistenza non riuscì a produrre. Allora, una buona celebrazione della Resistenza dovrebbe basarsi sulla sottolineatura dei valori inseriti nella Costituzione, su una valutazione di quanto è stato fatto, che non è poco, e di quanto manca, che è molto, sull’impegno a dare attuazione concreta a quei valori. Gli obiettivi sono indicati negli articoli della Costituzione, a cominciare dall’eguaglianza e la partecipazione a continuare con l’onestà e il decoro nel ricoprire le cariche pubbliche.

Una buona celebrazione della Resistenza dovrebbe chiamare gli italiani a interrogarsi su quanto hanno fatto, governanti e cittadini, e stanno facendo per conseguire la rivoluzione promessa. Sapere che più di settant’anni fa molti uomini e donne rischiarono e spesso persero per la vita per quei valori, come appare nel documento più importante e commovente, le Lettere dei condannati a morte della Resistenza (in Italia e in Europa), apprezzarlo e insegnarlo ad opera di chi ha l’autorità per farlo in maniera credibile, serve a costruire, nell’oggi e per il domani, una visione condivisa di come gli italiani hanno il dovere di comportarsi se vogliono ottenere una Repubblica migliore. Del resto, se sono esercizi di retorica, magari acida, è meglio non parlare.

Pubblicato AGL 25 aprile 2016

Il giorno della retorica

La terza Repubblica

Il 25 aprile, il 2 giugno e il 4 novembre vivono sulla retorica che, per quanto rotonda, sonora e spesso ipocrita, non riesce a eliminare del tutto la sostanza. Anche se quest’anno forse meno invasiva e pervasiva che nel passato, la retorica della celebrazione richiede, anzitutto e soprattutto, che ciascuna di quelle date evochi una sostanziale unità e qualche volta anche la bontà degli italiani. Ricordare il conflitto, soprattutto quando è stato vero e profondo, è considerato divisivo. Meglio, invece, auspicare una memoria condivisa dimenticando bellamente che questo è un paese senza memoria, meno che mai condivisa, al massimo intessuta di brandelli di vita vissuta e raccontata, a seconda dei luoghi, dei tempi, delle famiglie, dei buoni o dei cattivi maestri. Alla retorica si potrebbe sfuggire con la storia, quella storia che dalla marcia su Roma alla fuga a Pescara, dal quasi dimenticato eccidio di Boves alle stragi di Sant’Anna di Stazzena e di Marzabotto, dalla Repubblichetta di Salò a Piazzale Loreto ha portato alla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo.

Si potrebbe insegnare che, sì, i nazifascisti erano, per dirla con un termine contemporaneo, stragisti, ma che anche alcuni partigiani usarono della loro Resistenza per qualche vendetta personale, ingiustificabile, ma comprensibile se vista come conseguenza della precedente repressione fascista. Si potrebbe insegnare, come fatto in maniera egregia da Claudio Pavone, che la Resistenza fu anche una guerra civile, che gli italiani combatterono gli uni contro gli altri armati, ma che erano in corso altre due guerre. La più importante, il vero spartiacque fra libertà e oppressione, fu la guerra di liberazione nazionale contro l’occupante nazista che puntellava il regime fantoccio chiamato Repubblica di Salò. La terza guerra, quella di classe, subordinata alle prime due, mirava a stabilire in Italia un regime grosso modo (allora, esisteva soltanto l’URSS) comunista. La guerra di classe fu certamente una guerra di minoranza, ma avrebbe lasciato una traccia non positiva in tutti coloro che, usando un impreciso metro di rivoluzione sociale, credettero, dissero e scrissero che la Resistenza era stata tradita. Proprio, no, il fatto è che fra i partigiani solo una minoranza combatté la guerra di classe e la perse. Invece, la Resistenza riuscì a vincere proprio nelle più significative rivendicazioni sociali, tutte trasferite nella Costituzione.

Neppure la Costituzione merita di finire nella melassa della retorica, anzi, delle due retoriche contrapposte. Non è un documento catto-comunista poiché fior fiore di articoli furono scritti grazie ai contributi determinanti dei socialisti, degli azionisti, in special modo, di Piero Calamandrei, persino dei liberali (Luigi Einaudi). Non è un documento da imbalsamare, come vorrebbero troppi catto-comunisti. Anzi, furono gli stessi Costituenti a delineare le procedure per introdurre opportune modifiche costituzionali. Altrove, come in Germania, il superamento del nazismo è stato lento, graduale, ma politicamente e culturalmente efficacissimo. Si è, infine, trasposto nel patriottismo costituzionale, nella consapevolezza che le regole, le procedure, le istituzioni che incanalano e regolano i conflitti rappresentano lo strumento migliore per garantire coesione a una società. In Italia dove pure sarebbe ancora più necessario fare riferimento al patriottismo costituzionale, strumento di coesione sociale, questa strada è sostanzialmente preclusa dalla mancata conoscenza della storia e da celebrazioni, come la Liberazione, che, svolte senza approfondimenti storici, confortano i “credenti”, irritano i faziosi, dispiacciono agli ignoranti, lasciano il tempo che trovano fra gli indifferenti. Un po’ tutti, poi, pensano che dovrebbero essere gli altri a lavorare per una Repubblica migliore. Lo slogan “ora e sempre Resistenza” non è soltanto logoro. E’ monco. Se non viene finalmente accompagnato dallo studio congiunto della storia e della Costituzione, rimarrà sterile. Da qui, abbiamo ragione di pensare che dovrebbe partire “la buona scuola”. Allora, il 25 aprile diventerebbe opportunamente non la celebrazione retorica di un giorno, ma il compimento politico e culturale di un processo di apprendimento per (formare) buoni cittadini.

Pubblicato il 27 aprile 2015

Resistenza e memoria offuscata

La Resistenza ha compiuto 70 anni, o sono 70 giorni? Sì, il 25 aprile è la data ufficiale in cui si celebra la liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Appunto, lo si fa ogni anno in quel giorno. Il resto dell’anno è solo silenzio. I testimoni di quel tempo e i partigiani scompaiono inesorabilmente e inevitabilmente la memoria si offusca. La storia non s’insegna cosicché sempre meno italiani conoscono il significato di quella data. Non sanno che cosa precedette il 25 aprile; non hanno imparato che cosa seguì il 25 aprile. Di tanto in tanto, qualcuno formula un auspicio per la costruzione di una memoria condivisa. E’ un auspicio assolutamente vano per i troppi che di memoria non ne hanno affatto, che hanno soltanto, nel migliore dei casi, ricordi di famiglia, nel peggiore, pregiudizi che sarebbe persino troppo lusinghiero definire ideologici.

Nessuna memoria condivisa può essere costruita senza una conoscenza adeguata della storia d’Italia, del fascismo e dell’antifascismo, della Repubblica di Salò e della Resistenza. I fatidici “programmi di storia” nelle scuole italiane raramente giungono al fascismo, quasi mai alla Resistenza e all’Italia repubblicana. Quando qualche insegnante si avventura nella nient’affatto oscura selva del fascismo e dell’antifascismo, le probabilità che qualche genitore non gradisca quello che gli viene riportato dai figli diventano altissime. Ne consegue uno scontro che i docenti imparano presto a evitare tralasciando la storia contemporanea. Ognuno si terrà i suoi ricordi, con le sue preferenze, le sue superficialità, i suoi errori, anche clamorosi. Qualcuno potrà anche far finta di credere, o credere davvero, che coloro che si unirono, volontariamente oppure perché coartati, alle bande nazifasciste, meritano di essere messi sullo stesso piano, nel giudizio storico e morale, di quelli che diedero vita alle brigate partigiane. I primi, volenti o, più raramente, nolenti combattevano per mantenere/restaurare il dominio nazifascista sull’Italia. I secondi volevano contribuire a cacciare lo straniero, ma anche eliminare quei fascisti che avevano oppresso l’Italia e l’avevano portata in guerra. Opportunamente e molto chiaramente, il Presidente della Repubblica Mattarella ha detto che né i repubblichini né i ragazzi di Salò possono essere equiparati ai partigiani. Naturalmente, non ne consegue che i partigiani tutti siano stati esenti da errori, da eccessi, talvolta da crimini. Qualsiasi guerra abbrutisce, ma il suo obiettivo può fare capire gli errori anche senza condonarli.

Forse non riflettiamo abbastanza su una domanda che il grande filosofo torinese Norberto Bobbio ci ha lasciato: “e se avessero vinto i nazisti?” Se avessero vinto i nazisti, non avremmo avuto la Repubblica democratica e la sua Costituzione che per molti italiani continua a essere un oggetto misterioso, da riformare, sull’onda di qualche campagna propagandistica artificiosa, senza necessariamente conoscerla. Anche se fra i conservatori costituzionali si trovano posizioni di mummificazione degli articoli della Costituzione che neppure i Costituenti riterrebbero accettabili, tantomeno condivisibili, almeno un punto dovrebbero essere chiaro e fermo: la Costituzione democratica è uno dei prodotti, quasi sicuramente il più importante, della Resistenza. Senza l’antifascismo e senza la Resistenza non sarebbe stata scritta nessuna Costituzione. Di più, i valori della Resistenza sono stati tradotti nei principi fondamentali della Costituzione, ma non di ogni soluzione istituzionale relativa al governo, al Parlamento, alla Presidenza della Repubblica, alla magistratura e, ancor meno, alla legge elettorale che neppure si trova nella Costituzione. Onorare la Resistenza in maniera non retorica, ma fortemente pedagogica, significa insegnare quei principi, nelle scuole e nel Parlamento della Repubblica, e praticarne le conseguenze. Qualcuno ha sicuramente tradito la Resistenza, nei suoi comportamenti e nelle sue omissioni. Troppi la celebrano soltanto una volta l’anno. La maggioranza degli italiani non sa, forse non vuole, coniugare i due valori centrali della Resistenza: la libertà e l’eguaglianza. Il 25 aprile serve a ricordare coloro che, in Italia e in Europa, combatterono per la libertà e per l’eguaglianza.

Pubblicato AGL 26 aprile 2015