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Se sarà bocciato, il premier da Mattarella e un nuovo voto di fiducia in Parlamento
Intervista raccolta da Marilicia Salvia per IL MATTINO
La data fatidica? “Si voterà non prima della seconda metà d’ottobre”, preconizza (con un certo ottimismo, dati i tempi tecnici) Gianfranco Pasquino, docente emerito di Scienze Politiche all’Università di Bologna, convinto che il governo vorrà attendere la pronuncia della Corte Costituzionale sull’Italicum, annunciata per il 4 ottobre, prima di lanciarsi nella fase conclusiva della campagna referendaria.
Professore, incassato il via libera della Cassazione le opposizioni scalpitano perché si vada alle urne subito, il prima possibile. Renzi riuscirà a tenere a bada tanta agitazione?
“La fretta delle opposizioni si può capire, è evidente che più la si porta per le lunghe più la maggioranza si avvantaggerà della sua posizione oggettivamente dominante sui mezzi dell’informazione, soprattutto televisiva. Ma a guardar bene, che la campagna referendaria duri a lungo non è utile per nessuno, neanche al governo, meno che mai al Paese”.
Teme un autunno di veleni?
“Sì, una coda d’estate e poi un autunno carichi di conflitti, di lacerazioni. Non ne abbiamo bisogno. E non ne ha bisogno il governo, che deve invece recuperare incisività di azione su molti temi importanti per il Paese”.
Più importanti della riforma costituzionale? Il governo la considera una questione dirimente, tanto da aver legato la propria stessa sopravvivenza all’esito del voto.
“Sì, ed è stato un grave errore”.
Perché?
“Intanto è quanto meno eccessivo presentare questa riforma, anzi il fatto di aver realizzato una riforma costituzionale, come un’impresa epocale: il centrosinistra nel 2001 ha condotto in porto la riforma del titolo quinto, e anche Berlusconi aveva cambiato una serie di articoli”.
La riforma Berlusconi però fu bocciata dai cittadini.
“Non importa, voglio dire che ci sono stati governi innovatori anche prima di questo. Non ha senso quindi drammatizzare l’esito del referendum, in un senso o nell’altro”.
Quindi sbaglierebbe Renzi a lasciare Palazzo Chigi se dovesse prevalere il no?
“L’errore Renzi lo ha fatto quando ha addirittura personalizzato il referendum usando il termine “io”e non”il governo” a proposito delle dimissioni in caso di sconfitta. I critici hanno avuto buon gioco a dire che Renzi voleva il plebiscito. E si capisce adesso perché le opposizioni premono per andare alle urne il prima possibile e non dare nessun vantaggio all’avversario”.
Scenario numero uno: al referendum vince il no, la riforma è bocciata. Renzi che fa, si dimette davvero?
“Ragionando dal punto di vista dell’onore, Renzi dovrebbe andare da Matterella a rassegnare le dimissioni. Dopo di che la saggezza politica vorrebbe che Mattarella gli chiedesse di andare in Parlamento a chiedere la fiducia”.
Scenario numero due: vincono i sì. Renzi si rafforza automaticamente dal punto di vista politico?
“Se vincono i sì è presumibile che il premier sarà portato a personalizzare questa vittoria. Ma purtroppo per lui e per il Paese i problemi non si dissolveranno. Ecco perché dico che non bisogna tirarla per le lunghe con questa campagna: l’economia continua ad andare male, il debito pubblico continua a crescere, e l’Italia ha ancora problemi di credibilità sulla scena europea”.
Quali problemi risolverà, invece, la riforma Boschi se dovesse superare il giudizio degli elettori?
“Il Cnel sparirà, e nessuno ne sentirà la mancanza. Per il resto temo che crescerà la confusione. Lo scoglio maggiore è nell’attuazione della nuova normativa che regolerà i rapporti fra Stato e Regioni”.
Il sistema guadagnerà in efficienza dall’abolizione del bicameralismo perfetto?
“Perla verità tutte le statistiche dimostrano che il nostro bicameralismo ha prodotto più leggi e in tempi più rapidi di altri sistemi in Europa.Penso che sarebbe stato preferibile ispirarsi al sistema tedesco, che prevede una seconda Camera di appena 69 seggi assegnati alle maggioranze di governo nei singoli land. Ma capisco che 100 seggi piacciono di più, e che il centrodestra attualmente in minoranza nelle Regioni italiane non avrebbe digerito l’idea”.
Uno degli argomenti più usati dalle opposizioni è quello di una possibile deriva autoritaria che risulterebbe dal combinato disposto della riforma con la legge elettorale. È d’accordo?
“Il pericolo non èla deriva autoritaria, per fortuna Renzi non è Mussolini né Erdogan e noi non siamo l’Italietta degli anni Venti né la Turchia. Io temo piuttosto una deriva confusionaria”.
Sull’Italicum comunque Renzi ha invitato il Parlamento a intervenire, anche al di là dei possibili rilievi che arriveranno dalla Consulta.
“Immagino non che il Parlamento, ma la Consulta interverrà e che Renzi vorrà aspettare appunto questa pronuncia prima di portare gli italiani al voto”.
Qual è la preoccupazione?
“Il premio di maggioranza che consegnerebbe il Parlamento al partito vincente anche al ballottaggio. Credo che sarebbe necessario prevedere una soglia minima per accedervi, e soprattutto la possibilità di creare coalizioni al primo turno e apparentamenti al secondo, come per le amministrative: in questo modo si arriverebbe a rappresentare meglio e in modo più ampio gli elettori”.
Rieccoci al rischio di autoritarismo, allora.
“No, la storia è un’altra. Immaginiamo il ballottaggio tra Pd e 5 Stelle, e la vittoria finale di questi ultimi. Il premio di maggioranza impedirebbe qualsiasi mediazione. Nulla quaestio per gli italiani, ma cosa ne penserebbe l’Europa, che dall’Italia si aspetta posizioni diverse da quelle professate dai grillini? Il rischio è la conflittualità permanente e l’inconcludenza”
Pubblicato il 9 agosto 2016
Referendum. Ora si discuta nel merito
Non sorprendentemente, la Cassazione ha dato il via libera al referendum costituzionale. La campagna ufficiale dei sostenitori del “sì” e del “no” può cominciare. Credo che molti italiani, dalle spiagge ai monti, dai laghi alle città d’arte, non si accorgeranno di nessun cambiamento significativo. Da tempo, infatti, sia il Presidente del Consiglio sia il Ministro delle Riforme si sono buttati a capofitto nella operazione di promuovere e difendere le loro riforme. Naturalmente, gli oppositori, uno schieramento eterogeneo, hanno fatto del loro meglio per non perdere terreno. I sondaggi dicono che, forse, il “no”, appena gonfiato da coloro che proprio non gradiscono Renzi e il suo governo, è in leggero vantaggio. Poiché i referendum costituzionali non hanno quorum, entrambi gli schieramenti debbono preoccuparsi di mobilitare tutti, ma proprio tutti i loro eventuali elettori.
Fin dall’inizio, deliberatamente, Renzi ha mirato alla mobilitazione degli italiani personalizzando il referendum, vale a dire sostenendo che il suo governo è stato l’unico governo capace di fare riforme costituzionali negli ultimi trent’anni e più (non è vero poiché tanto il centro-sinistra nel 2001 quanto il centrodestra di Berlusconi nel 2005 hanno fatto riforme costituzionali). Questa operazione ha suscitato le critiche di coloro che, giustamente, facevano notare che il capo del governo voleva sostanzialmente un plebiscito sulla sua persona, altro che una discussione sul merito di ciascuna delle riforme costituzionali. A un certo punto, persino il Presidente Emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, apertamente schieratosi a favore delle riforme, si è accorto del pericolo e ha invitato Renzi a non “personalizzare”. Almeno temporaneamente, il Presidente del Consiglio ha ridotto il tasso di personalizzazione, ma il suo Ministro Boschi continua a tenere assemblee nelle quali lega la sorte del governo all’approvazione delle sue riforme costituzionali.
Difficile dire chi risulterebbe favorito da una campagna referendaria protratta oltre limiti ragionevoli. Visto che è cominciata già a maggio, se la data del referendum fosse fissata, com’è stato ventilato, tra l’inizio e la metà di novembre, arriverebbero tutti senza fiato e incattiviti. Tuttavia, è innegabile che il governo e il Partito democratico, soprattutto adesso che si sono garantiti la benevolenza dei direttori delle reti televisive pubbliche, hanno più fiato per durare (ma anche per commettere errori di presunzione e di arroganza). Di qui alla data del referendum, c’è almeno un ostacolo, non sappiamo quanto grande, da superare: la sentenza della Corte Costituzionale sull’Italicum. Renzi e Boschi continuano a sostenere che è una buona legge e rimandano al Parlamento qualsiasi eventuale ritocco (e ce ne sarebbero almeno tre da fare: eliminazione delle candidature bloccate, abolizione delle candidature multiple, possibilità di formare coalizioni al primo turno e apparentamenti, come nel caso dell’elezione dei sindaci, al ballottaggio). Se la Corte non esprime obiezioni, il governo avrà il vento in poppa. Però, se la Corte impone dei ritocchi, allora gli oppositori dell’Italicum e delle riforme costituzionali potranno logicamente accusare il governo di non sapere fare le riforme, non soltanto quella elettorale, ma, per estensione, neppure quelle costituzionali.
Potremmo concludere che, comunque, è arrivato il tempo della discussione sul merito delle riforme. Seppure, in maniera sparsa e disorganica, la discussione sul merito, purtroppo spesso manipolata e confusa, ha già fatto molte incursioni sugli schermi televisivi, nelle pagine dei quotidiani, attraverso i “social”. Persino i sondaggi hanno già registrato una riduzione, contenuta, ma effettiva, del numero di coloro che dichiarano di non saperne abbastanza. Dibattiti organizzati da giornalisti informati e condotti senza starnazzamenti nei quali sembra vincere chi ha la voce più forte potranno essere utili. Se fosse disinnescata anche la minaccia/ricatto della crisi di governo qualora non vinca il “sì”, sarebbe persino meglio (per tutti, anche per il capo di quel governo).
Pubblicato AGL 9 agosto 2016
Italicum salvare o cestinare
Sembra che, almeno temporaneamente, la discussione sullo spacchettamento delle revisioni costituzionali. sia andata in stallo. Da un lato, avendo spesso sostenuto l’organicità del loro pacchetto di revisioni, Renzi e Boschi non potevano accettare lo spezzettamento. Dall’altro, comunque, il voto che conta sarebbe quello sul Senato, che si vincerà o si perderà a prescindere da qualsiasi spacchettamento. Crescono, invece, le richieste di modifica della legge elettorale tanto che Renzi, come Boschi, convinto della bontà del prodotto, ha deciso di sfidare il Parlamento. Se vi si trova una maggioranza per fare un’altra legge elettorale si manifesti e proceda. A parole, molti, sostanzialmente mossi dalla preoccupazione che con l’Italicum così com’è, non soltanto al ballottaggio con il PD arriverebbero le Cinque Stelle, ma i sondaggi dicono che vincerebbero, trafficano con ritocchi auspicabili. I più preoccupati sono gli esponenti del PD che compongono la Ditta, il gruppo di parlamentari di prevalente provenienza ex-comunista i quali, in caso di vittoria delle Cinque Stelle, sarebbero le più probabili vittime della mancata conquista del premio di maggioranza. I seggi a loro disposizione diventerebbero davvero pochi. Certo, nessuno di loro può argomentare la proposta di riforma dell’Italicum in maniera così platealmente personalizzata. Quindi, quel che vorrebbero cambiare viene giustificato soprattutto con riferimento a quanto la Corte Costituzionale scrisse nella sua sentenza che fece a pezzettini il Porcellum. D’altronde, che di quelle motivazioni si debba tenere conto, è reso ancora più ovvio e attuale dal fatto che la Corte valuterà l’Italicum e le sue clausole, si dice, il 4 ottobre.
È un po’ curioso che chi ha votato l’Italicum si faccia, con molto sprezzo per la sua personale coerenza politica, sostenitore di una revisione anche profonda della legge. Qualche democratico potrebbe sostenere che nei deliberata del suo partito si trova ancora l’approvazione data a un sistema elettorale di tipo francese: doppio turno in collegi uninominali con una clausola percentuale per il passaggio dei candidati al secondo turno. Ma, poi, dicono tristemente che mancano i numeri, copiando l’affermazione espressa in maniera più roboante dai renziani. Pochi pensano, con nostalgia, giustificata, e con apprezzamento, pur non pieno, alla legge di cui fu relatore l’allora deputato Mattarella, ma nessuno s’impegna davvero a farla, come forse si potrebbe, rivivere. Da ultimo, un gruppo di parlamentari di osservanza bersaniana hanno presentato un loro progetto centrato sul ridimensionamento del premio di maggioranza, considerato, come stanno attualmente le distribuzioni dei voti fra gli schieramenti, eccessivo. Lo è certamente, ma, come sostengono i renziani, deve esserlo per dare un senso alla legge e abbastanza seggi a un partito affinché sia messo in grado di governare da solo. Inoltre, i tardoriformatori bersaniani desiderano abolire il ballottaggio. Evidente è l’obiettivo di impedire alle Cinque Stelle di vincere conquistando i voti di tutti coloro che non vogliono il PD e che, a Roma e persino a Torino hanno dimostrato di essere davvero tanti. Invece, il ballottaggio ha effettivamente un grande pregio: dà, come si è visto nel caso dell’elezione dei sindaci, un’ottima riforma fatta nei trent’anni che i renzianboschiani definiscono, sbagliando, di ozio istituzionale, agli elettori un grande potere: quello di decidere chi vince.
Né l’uno né l’altro dei cambiamenti, come sono stati presentati, appaiono accettabili a Renzi e Boschi. Svirilizzano l’Italicum e non disegnano un sistema migliore. La verità è che all’Italicum si dovrebbe comunque fare un po’ di maquillage: via i capilista bloccati, via le candidature in più collegi, via il divieto di coalizioni al primo turno e di apparentamento nel passaggio dal primo al secondo turno. Altrimenti, una buona legge elettorale esige che l’Italicum sia cestinato e che i riformatori guardino alla Francia della Quinta Repubblica oppure alla Germania, en attendant non Godot, ma la Corte Costituzionale.
Pubblicato AGL 20 luglio 2016
Banchieri incostituzionali. Non mettete la Costituzione nelle mani dei banchieri!
L’avv. Giovanni Bazoli, presumo laureato in Giurisprudenza, che cita come suo maestro il giuspubblicista Feliciano Benvenuti, riesce a definire per tre volte “perfetto” il bicameralismo italiano (Al referendum meglio votare Sì. O dovremo dire addio alle riforme, Corriere della Sera, 14 luglio, p. 15). L’intervistatore, Aldo Cazzullo, non lo può correggere dato che anche lui usa il termine perfetto in una domanda. Naturalmente, la Costituzione non si riferisce mai al bicameralismo con l’aggettivo perfetto che potrebbe essere correttamente utilizzato per definire il funzionamento di una struttura (ma allora sarebbe davvero da stupidi riformare una struttura che funziona in maniera “perfetta”). Se non si vuole confondere il funzionamento con la struttura, allora, strutturalmente, il bicameralismo italiano è paritario, indifferenziato, simmetrico. Comunque, non solo il Bazoli si dice favorevole alle riforme, ma cita solo quella del bicameralismo senza spiegare perché sarebbe buona, utile, in grado di fare funzionare meglio il sistema politico.
Come altri che ne sapevano/sanno poco quanto lui, non è convinto dalla bontà della legge elettorale rispetto alla quale inanella una serie di strafalcioni da fare invidia a molti degli stessi proponenti e difensori dell’Italicum. Sostiene che il premio di maggioranza sarebbe del 15 per cento (e lo considera non “ragionevole”) con riferimento ad un 40 per cento (nella versione iniziale un cervellotico 37,5 non, come dice Bazoli, 37) che nessun partito, da solo, riuscirà a conseguire. Il premio va parametrato sul voto sincero al primo turno cosicché, se chi vince al ballottaggio aveva ottenuto il 30 per cento al primo turno, il suo premio in seggi sarà del 25 per cento, un premio ancora meno ragionevole. Afferma, come altri prima di lui, per esempio, Eugenio Scalfari, che persino la legge truffa sarebbe preferibile poiché attribuiva un premio di 5 punti alla coalizione che avesse “conquistato la maggioranza assoluta dei voti”. Giusto il premio alla coalizione giunta alla maggioranza assoluta, ma quel premio non era affatto di 5 punti bensì consegnava a quella coalizione i due terzi dei seggi, quindi con un premio variabile, fino al 16 per cento circa.
Anche Bazoli si dice favorevole al doppio turno francese in collegi uninominali, sostenendo che fu “escogitato” in una non meglio definita “fase di transizione dal proporzionale al maggioritario”. Non so che cosa significhi “fase di transizione”, ma dà l’idea di un periodo di tempo non breve. So che il sistema maggioritario, fortemente voluto da de Gaulle, accompagnò l’instaurazione della Quinta Repubblica, e fu immediatamente utilizzato senza nessuna transizione. Infine, Bazoli si esibisce anche su uno scenario controverso fatto balenare da Renzi e dai renziani di tutte le ore.
Perso il referendum che il giovane Premier ha un “pochino” personalizzato, non si potrebbe neanche andare alle urne (a parte che non è chiaro perché si “dovrebbe” andare alle urne: la legislatura finisce nel febbraio 2018). “Il Paese si troverebbe in una situazione veramente drammatica di impasse costituzionale. Il Presidente della Repubblica non avrebbe di fatto la possibilità di indire nuove elezioni finché non fossero riformati i sistemi elettorali di entrambe le Camere”. Il Presidente della Repubblica non ha nessuna necessità di sciogliere le Camere a meno che, in maniera proterva e dissennata, il Partito democratico non impedisca la formazione di un nuovo governo. Il resto anche Bazoli potrebbe affidarlo ai parlamentari e alla loro coscienza e scienza (sic). Potrebbero fare rivivere con due tratti di penna il Mattarellum (che tanto caro fu al Presidente Mattarella, o no? ) oppure intervenire sull ‘Italicum dalle molte magagne tardivamente scoperte oppure impiegare il loro tempo ad importare il doppio turno francese senza introdurvi clausolette furbacchiotte. Politici decenti non creano e non approfondiscono “drammatiche crisi istituzionali”. Offrono soluzioni praticabili.
Pubblicato il 14 luglio 2016
Buttare l’Italicum e gli opportunismi
Domenica 19 giugno le candidate e i candidati del Movimento 5 Stelle sono arrivati al ballottaggio in 20 comuni e ne hanno vinti 19. Subito dopo sono ricominciate le richieste da più parti di ritoccare la legge elettorale nazionale detta Italicum per impedire l’eventualità che il ballottaggio prossimo venturo per la conquista del governo nazionale avvenga fra il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico. Renzi si è affrettato a rispondere che non sono previste modifiche. Si vedrà. Comunque, il principale problema dell’Italicum è che è una legge elettorale fatta su misura del PD di maggio (2014, quando nelle elezioni europee il partito superò il 40 per cento dei voti) con il consenso di Berlusconi, allora convinto che sarebbe stato il suo centro-destra ad arrivare al ballottaggio, e di Alfano, che chiese ed ottenne una clausola di accesso al Parlamento non più alta del 3 per cento (come in Spagna, circa 15 milioni di elettori meno dell’Italia, e non 4 per cento come in Svezia: meno di 10 milioni di elettori). Tanto Berlusconi quanto Alfano vollero la possibilità di candidature multiple (non più in tutte le circoscrizioni, ma “solo” in dieci) e parlamentari nominati (adesso capilista bloccati in tutte le circoscrizioni) cosicché l’Italicum che, persino secondo Napolitano, dovrà essere sottoposto alle “opportune verifiche di costituzionalità”, assomiglia molto al Porcellum, smantellato dalla Corte Costituzionale. In buona sostanza, l’Italicum è un porcellinum, con le preferenze e con il ballottaggio che deve avvenire, a causa dell’ossessione anti-coalizioni di un capo di governo che vuole essere l’uomo unico al comando, fra i due partiti o le due liste più votate, a meno che un partito o una lista ottenga al primo turno il 40 per cento dei voti più uno. Già alcuni renziani si affrettano a sostenere che la lista può anche essere composta da più partiti, ma questo sarebbe uno stravolgimento dello spirito della loro legge (e delle intenzioni personalistiche di Renzi) nonché una molto dubbia, forse improponibile, interpretazione della lettera.
Queste sembrano e, sostanzialmente, sono quisquilie e pinzillacchere. Né le leggi elettorali né i ritocchi cosmetici alle leggi esistenti debbono essere fatti con riferimento ai desideri e alle preferenze dei partiti e dei loro dirigenti. L’Italicum è una legge di parte che non può essere modificata per convenienze di parte, ma che deve essere cestinata. Punto e a capo.
Nel frattempo, pendono anche alcuni ricorsi alla Corte Costituzionale su diverse clausole della legge. Il criterio con il quale valutare una legge, qualsiasi legge elettorale non è mai il tornaconto dei partiti esistenti, ma il potere degli elettori. L’Italicum migliora il Porcellum grazie sia al ballottaggio sia alla possibilità di esprimere uno o due voti di preferenza, ma, a causa dei capilista bloccati e come conseguenza dell’ingente premio in seggi consegnato ad un partito/lista che ottenga anche soltanto poco meno o poco più del 30 per cento dei voti al primo turno (quindi, quasi raddoppiandone la rappresentanza parlamentare), rimane molto al di sotto quanto a potere degli elettori tanto del sistema maggioritario francese quanto del sistema proporzionale personalizzato tedesco. Nel maggioritario francese a doppio turno (non ballottaggio poiché al secondo turno possono esserci tre, se non quattro candidati) in collegi uninominali, gli elettori hanno il potere di eleggere il candidato preferito oppure, quanto meno, di sconfiggere il candidato più sgradito. E i partiti ottengono importanti indicazioni anche per la formazione delle coalizioni di governo. Nella rappresentanza proporzionale personalizzata tedesca, gli elettori hanno due voti sulla stessa scheda: uno per il candidato nel collegio uninominale, uno per il partito. Con il primo voto eleggono il loro rappresentante, con il secondo voto contribuiscono a determinare il bottino complessivo dei parlamentari del partito preferito purché abbia superato la soglia del 5 per cento (la Germania ha circa 60 milioni di elettori).
Cestinato il sostanzialmente irriformabile Italicum è fra questi due ottimi sistemi elettorali che bisognerebbe scegliere, eventualmente introducendo correttivi che non li snaturino e che siano giustificabili non come contentino ai dirigenti di partito, ma come variazioni che migliorano la rappresentanza politica senza frammentare il sistema dei partiti. Se queste scelte alternative non fossero praticabili nell’attuale Parlamento non resterebbe che un ritorno al Mattarellum, un sistema sostanzialmente conquistato nel 1993 attraverso un referendum popolare, “probabilmente” già sufficientemente noto all’inquilino del Colle il quale potrebbe anche cominciare a fare sentire la sua voce, utilizzato con risultati soddisfacenti in tre elezioni generali: 1994, 1996, 2001. Con l’eliminazione delle liste civetta e una migliore definizione del recupero proporzionale, il Mattarellum consente agli elettori eleggere i rappresentanti che preferiscono e dà loro un doppio voto che conta e pesa. Il resto (della discussione fra opportunisti elettorali) è fuffa oppure truffa.
Pubblicato il 29 giugno 2016
La “riforma” che moltiplica gli inciuci
Le capacità di elaborazione politica del Presidente del Consiglio sono costantemente sorprendenti, in negativo. Anche se cerca di personalizzare al massimo non si trova mai solo. Il corteo dei corifei è affollatissimo. Hai visto mai che ci scappa qualche posto in Parlamento, alla Corte Costituzionale, in qualche Comitato, persino alla direzione di qualche quotidiano o come editorialisti dell’Unità e altro, e così via. Il più recente e, per il momento, più elevato picco di elaborazione concettual-politica è stato raggiunto, da un lato, con l’accusa ai sostenitori del NO al plebiscito costituzionale di essere degli “inciucisti”, dall’altro, al suo fiero rivendicare un convinto bipolarismo. Inciucista, forse, dovrebbe essere più appropriatamente definito chi le revisioni costituzionali e la legge elettorale le ha confezionate con Berlusconi sulla falsariga di quelle fatte da Berlusconi stesso nel 2005 (e bocciate da un referendum costituzionale). Comunque, le revisioni costituzionali renzianboschiane non hanno nulla a che vedere con il bipolarismo. L’abolizione del CNEL condurrebbe ad una competizione bipolare serrata, intensa, decisiva? Meno senatori, per di più non eletti, ma designati dai consigli regionali, darebbero una spinta possente al bipolarismo all’italiana? La maggiore facilità con la quale una maggioranza parlamentare premiata dal bonus previsto nell’Italicum si eleggerebbe il suo Presidente della Repubblica sarebbe l’epitome del bipolarismo? Per dirla con un’espressione che Renzi, Boschi e Verdini capiscono benissimo, sono tutte bischerate.
La verità è che l’inciucista di fatto è stato Renzi e che il bipolarismo non abita affatto nelle sue revisioni costituzionali, approssimative e sconclusionate. Nella pratica, Renzi ha già seppellito il bipolarismo favorendo aggregazioni al centro di cui Verdini è diventato, grazie alle sue capacità manovriere, l’emblema assoluto. Il Partito della Nazione, a seconda dei casi e dei contesti, agognato e sconfessato, andrà a collocarsi al centro, assorbendo tutto il possibile che, nel paese che ha dato vita al trasformismo, è sempre moltissimo, e impedirà qualsiasi competizione bipolare e qualsiasi alternanza di governo. Se le revisioni costituzionali sono più o meno neutre quanto al bipolarismo, semmai più prone a consentire inciucismo, la legge elettorale è il vero cavallo di Troia degli inciucisti. Infatti, impedendo la competizione fra coalizioni al primo turno e proibendo qualsiasi apparentamento al ballottaggio, potrà avere due effetti prevedibili. Da un lato, al primo turno vi sarà un notevole spappolamento di liste che, grazie alla soglia del 3 per cento, mireranno semplicemente a conquistare qualche seggio. Dall’altro, al ballottaggio i due partiti/liste rimasti in campo saranno inevitabilmente costretti a cercarsi alleati che troveranno con promesse che, pudicamente, definirò elettorali.
Allo stato della distribuzione delle preferenze politiche, la competizione elettorale non ha nessuna possibilità di essere bipolare. Sarà inesorabilmente tripolare. In Parlamento, chiedo scusa, nella Camera dei deputati, il partito vittorioso non soltanto dovrà fare i conti con due opposizioni, ma sarà anche costretto a pagare il conto degli aiutini ricevuti nel ballottaggio. Se mai al ballottaggio vincesse il Movimento 5 Stelle, le opposizioni PD e variegati rappresentanti del centro-destra opererebbero in maniera autonoma e separata oppure si coordinerebbero in un comunque deplorevole inciucino? Con la vittoria del PD ci sarebbero un’opposizione di destra e un’opposizione pentastellata. In che modo tutto questo possa essere definito e riesca a costituire bipolarismo è un mistero nient’affatto glorioso. Al di là dell’Arno, in Europa altre leggi elettorali hanno consentito efficaci bipolarismi e li mantengono, robusti e vibranti. L’Italicum è la legge molto parrocchiale (coerentemente con il nome) a favore del Partito della Nazione, versione molto deteriore di quello che fu la Democrazia Cristiana (semmai, interclassista perché “partito di popolo”). Pubblicato il 21 maggio 2016
Le varie facce dell’astensione
Liberi tutti o quasi. Nella primavera dello scontento di molti – la politica offre una grande varietà di “scontentezze” -, vi sono due buone occasioni per scaricarsi: il referendum sulle trivellazioni e le elezioni amministrative. L’ambigua e riprovevole posizione espressa da Matteo Renzi a favore dell’astensione sul referendum è già stata stigmatizzata dal Presidente della Corte Costituzionale e contraddetta dal Presidente della Repubblica che ha annunciato che andrà a votare. Il capo di un partito ha il dovere politico di dare la linea. Il capo del governo deve ricordarsi dell’art. 48 della Costituzione che dice chiaramente che il voto è un “dovere civico”. Nessuno faccia il furbetto: l’astensione non è un voto. Preso atto della non/decisione del capo del loro partito, molti Democratici hanno deciso, come, incidentalmente, dovrebbe essere per tutti i referendum, di seguire quel che detta loro il cuore, forse anche una qualche conoscenza delle trivellazioni e delle conseguenze della loro abolizione. Già poco incline a fidarsi di politici che ondivagano e che seguono non il cuore, ma le convenienze, momentanee e fuggevoli, è probabile che gli elettori si rifugino anche loro nell’astensione referendaria e post-refendaria.
Il sondaggio sulle intenzioni di voto alle elezioni comunali di Bologna pubblicato dal Corriere fotografa (ma altre fotografie saranno necessarie di qui al 5 giugno) una notevole propensione all’astensione. Sono elettori che hanno deciso di stare alla finestra o elettori che già propendono di andare al mare contando sul sole di giugno? Sappiamo che, da qualche tempo, gli elettori italiani (e i bolognesi non possono fare eccezione se non limitatamente) decidono per chi votare negli ultimi giorni della campagna elettorale, qualcuno addirittura il giorno stesso dell’elezione. Quindi, non possiamo escludere che coloro che hanno dichiarato che si asterranno potranno cambiare idea. Attendono, in maniera disincantata, scettica, forse anche irritata, che qualcuno dei candidate e dei loro partiti offra idee, soluzioni, prospettive che, magari non proprio affascinanti, siano almeno convincenti, insomma, come ho scritto qui più volte, un’idea di città dinamica migliore. Le percentuali suggeriscono che la competizione più intensa sarà fra Borgonzoni e Bugani, fra la Lega e le Cinque Stelle, per chi approderà al ballottaggio. Difficile che un ballottaggio a giugno sia foriero di un’impennata di partecipazione elettorale. Potrebbe, però, obbligare i duellanti a raffinare le loro proposte e a indicare le loro priorità, quindi a suscitare maggiore interesse nell’elettorato che, rientrando dall’astensione, vuole contare. Sarebbe una buona cosa.
Pubblicato il 14 aprile 2016
La risposta francese
Bloccato grosso modo alle percentuali ottenute al primo turno nelle tredici regioni francesi, il Front National e le signore Le Pen non hanno conquistato nessuna presidenza. Insomma, contrariamente a mal poste previsioni dei commentatori italiani, che non conoscono a sufficienza il sistema elettorale francese, il Front National non ha vinto un bel niente. Tuttavia, sarebbe sbagliato sostenere a questo punto che è il sistema elettorale, squilibrato, maggioritario, ingiusto ad avere causato la sconfitta dei lepenisti. Certamente, il doppio turno, da non accomunare al ballottaggio che ha una logica piuttosto diversa, consente molte cose nel passaggio dal primo al secondo turno. Grazie alla settimana (qualche volta due) che intercorre fra il primo e il secondo turno, tutti –elettori, candidati, dirigenti di partito– imparano qualcosa. Cominciando dagli elettori che sono affluiti alle urne in percentuali chiaramente superiori, 6-7 per cento in più, a quelle del primo turno, hanno imparato che il Front National era in una posizione potenzialmente vincente e che la loro astensione avrebbe avuto effetti non graditi e non gradevoli. Quindi, hanno deciso che, no, le regioni non debbono avere il colore del Front poiché la “loro” Francia è un’altra cosa. Proprio perché il pericolo lepenista era incombente e reale, i socialisti hanno invitato i loro candidati in alcune regioni a desistere, vale a dire a non ripresentarsi al secondo turno, in modo da favorire la vittoria del candidato dei repubblicani di Sarkozy. La desistenza non è ignota neppure alla sinistra italiana che la praticò nelle elezioni generali del 1996 consentendo all’Ulivo di vincere e a Rifondazione comunista di entrare in Parlamento con un buon numero di deputati. Sbagliato vedere nelle desistenze annunciate e effettuate chi sa quale macchinazione diabolica a danno degli elettori anche se, ovviamente, il Front National ha tutto il diritto di sommergere di critiche la convergenza strategica di Socialisti e Repubblicani. Quello che è stato proposto dai dirigenti di partito è stato ratificato trasparentemente dagli elettori che hanno preferito alle candidate del Front National i socialisti in cinque regioni , i repubblicani in sette (due grazie esclusivamente grazie alle generose desistenze dei socialisti, i regionalisti in Corsica. Per chi si preoccupa dei numeri, ma che ha anche l’obbligo di sapere contare, all’incirca il 70-75 per cento degli elettori francesi hanno respinto l’offerta politica, sociale, economica e anti-europea del Front National. Sarebbe stato più “democratico” se avessero vinto le candidate che avevano ottenuto il 40 per cento dei voti al primo turno, lasciando senza rappresentanza il 60 per cento degli elettori? Nient’affatto. Rien du tout. E’ utile aggiungere che in almeno un paio di regioni i socialisti hanno vinto grazie anche alla convergenza esemplare di tutte le frange di sinistra sui candidati socialisti. Talvolta, seppur faticosamente, la sinistra/le sinistre dimostrano qualche apprezzabile saggezza. Dal punto di vista istituzionale, c’è una conclusione molto importante da trarre. Il sistema elettorale francese consente ripensamenti, la formazione di coalizioni, una rappresentanza più vicina alle preferenze della maggioranza degli elettori. Dal punto di vista politico, da un lato, ancora una volta, la maggioranza dei francesi dimostra di sapere tenere a bada chi, come il Front National, propone politiche di sicurezza, di immigrazione, di gestione del potere estranee e opposte alla Francia democratica; dall’altro, come non può non essere in democrazia, la sfida frontista rimane e potrà essere tenuta sotto controllo soltanto da un governo e da un Presidente che sappiano innovare e dare risposte concrete, sul piano sia economico sia culturale. C’è tempo da qui alle prossime elezioni presidenziali del 2017.
Pubblicato AGL il 14 dicembre 2015
Giuliano è bravo, deve puntare a fare il nuovo leader del Pd

Intervista raccolta da Luca De Carolis per il Fatto Quotidiano (10/12/2015 pag 4)
L’appello dei tre sindaci mi pare importante e saggio. Quanto a Giuliano Pisapia, dovrebbe puntare a fare il leader del Pd e del centrosinistra. Non può accontentarsi di fare il capo di una corrente”. Il politologo Gianfranco Pasquino promuove la lettera-appello di Giuliano Pisapia, Massimo Zedda e Marco Doria, pubblicata ieri su Repubblica, in cui i tre sindaci di centrosinistra invocano l’unione di Pd e Sel “per impedire che vincano la destra e il populismo”.
Cosa significa questa lettera? Che peso ha?
Significa che i tre firmatari conoscono a sufficienza la realtà delle loro città, e possono affermare che da solo il Pd, anzi il partito di Renzi, può perdere le elezioni. E questo vale innanzitutto per Milano, dove aveva vinto il centrosinistra. Ma può valere per tutta Italia.
È un appello rivolto anche a Sinistra Italiana, che a Roma e a Torino ha già scelto di correre contro Renzi.
Certo, parlano anche agli “scissionisti” come Stefano Fassina: che non solo é candidato sindaco a Roma per Si, ma ha anche detto che al ballottaggio voterebbe per i Cinque Stelle. Il messaggio è anche per gli ex del Pd animati da spirito di vendetta.
Evocano la vittoria della destra come spauracchio. Ma non citano i 5Stelle.
La preoccupazione per un successo del M5S ci sarà, ma non mi pare emergere dalla lettera. Detto questo, se i 5Stelle vincessero in una o due città potrebbe esserci l’effetto trascinamento alle Politiche.
Il protagonista di questa lettera pare il sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Più d’uno pensa che, pur essendo di Sel, stia pensando di scalare il Pd, o comunque a un percorso da leader del centrosinistra. E l’insistenza sulla candidatura della sua vice Francesca Balzani ne sarebbe una dimostrazione.
I sindaci uscenti hanno tutto il diritto di indicare la candidatura che ritengono più appropriata, non sarebbe certo fuori luogo.
Quindi Pisapia…
Avrebbe pieno diritto di sostenere Balzani, che a mio avviso sarebbe un ottimo sindaco.
Detto questo, che vuole fare da grande il sindaco di Milano?
Pisapia non è uno qualsiasi. È bravo, competente. Se punta a un “destino nazionale”, per dirla in termini gollisti, non può cercare solo di ritagliarsi una nicchia nella sinistra, di fare il capocorrente. Deve fare il capo e basta.
Insomma, sostituire Renzi.
Dovrebbe puntare a fare il segretario del partito e il candidato premier.
Il premier può davvero ricostruire il centrosinistra? O è troppo tardi?
Renzi è un ballerino acrobatico, cambia danza a seconda del momento. Può mutare idea quando serve. E quindi anche modificare la legge elettorale, introducendo il premio di coalizione o almeno gli apparentamenti al ballottaggio.
Bisogna cambiare l’Italicum.
Senza il premio di coalizione non può esserci il centrosinistra, è evidente.
In tutto questo, il partito della Nazione dove andrebbe a finire?
Se fare il partito della Nazione significa occupare il centro ed impedire ogni alternanza è una soluzione deplorevole. E poi l’abbiamo già visto un partito così: era la Democrazia cristiana, una formazione interclassista.
Il Pd è tornato a fare i banchetti nelle piazze. Vogliono tornare a un partito strutturato? O è stato fatto solo per le Comunali?
E un omaggio che il vizio fa alla virtù. Il vizio è quello di pensare che basti un leader che manda segnali dalle tv, la virtù è la politica che si fa sui territori, con la gente.
Non è che accettando di tornare al centrosinistra Renzi si suiciderebbe? Potrebbe sembrare “vecchio” anche lui.
Se si facesse puntando sui contenuti, e non con una semplice sommatoria di nomi, potrebbe reggere. E sarebbe meglio provarci ora che ai ballottaggi per le Comunali, in emergenza.4
Pubblicato il 10 dicembre 2015



