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Paracadutati, nominati e asserviti a chi li ha nominati #ElezioniPolitiche2018
Difficile che i parlamentari nominati, spessissimo anche paracadutati, rappresentino “il territorio”. Non lo farà neppure, è un caso emblematico, Maria Elena Boschi. Giusto criticare i capipartito e i capicorrente. Utile sarebbe criticare anche i candidati multiuso, già asserviti (forse questo è un caso da manuale di introduzione surrettizia del vincoli di mandato) a chi li ha nominati. Un parlamento di nominati non è politicamente rappresentativo, ma è potenzialmente un parlamento di trasformisti pronti a vagare.
Rappresentanti paracadutati: nuove acrobazie #ElezioniPolitiche2018
È doveroso riferire giorno per giorno nei dettagli tutte le giravolte e le acrobazie spericolate dei capi partito e capi corrente per ottenere la candidatura per sé e per i loro seguaci più fedeli in seggi reputati sicuri. È imperativo, però, da parte di tutti i commentatori, soprattutto quelli che si scandalizzano, premettere sempre che queste operazioni “seggi sicuri per candidati nominati” sono la conseguenza logica e fermamente voluta da coloro che hanno stilato e fatto approvare con voti di fiducia la legge elettorale Rosato. Contare su parlamentari da loro scelti era l’obiettivo predominante, perseguito da Renzi e da Berlusconi. Pertanto, quel che succede in termini di candidature era non soltanto del tutto prevedibile, ma previsto (non soltanto da me). Adesso, molto tardivamente, “diciamo”, vengono allo scoperto critici inaspettati, come Ernesto Galli della Loggia (Corriere della Sera, 23 gennaio) che giunge faticosamente a sostenere l’introduzione dei collegi uninominali come strumento per migliorare la selezione della classe dirigente. “Troppo poco troppo tardi”. Anzitutto, se non esistesse il requisito della residenza da almeno due-tre anni in quel collegio il fenomeno dei candidati/e paracadutati/e continuerebbe alla grande. In secondo luogo, bisogna chiarire che c’è il collegio uninominale di tipo anglosassone nel quale vince il seggio chi ottiene almeno un voto in più dei concorrenti e il collegio uninominale di tipo francese che richiede la maggioranza assoluta al primo turno in assenza della quale ai candidati che sono ammessi, e passano, al secondo turno (che non è un ballottaggio) sarà sufficiente la maggioranza relativa. Il doppio turno francese offre agli elettori maggiori e migliori possibilità di informazione politica e di scelta. In terzo luogo, queste formule elettorali chiamano tutte in causa quello che è effettivamente in gioco nell’elezione di un Parlamento, di qualsiasi assemblea: la rappresentanza politica.
Fra le altre cose, l’Italicum, come il Porcellum prima di lui, non si curava della rappresentanza. Attribuendo un cospicuo premio in seggi mirava all’elezione del governo che avrebbe goduto di una maggioranza artificiale in Parlamento, costretta a sostenerlo. Coloro che deprecano quello che chiamano “il ritorno della proporzionale” sbagliano due volte. Primo, perché la legge Rosato è molto meno proporzionale del Porcellum e dell’Italicum. Secondo, perché non hanno mai voluto un sistema elettorale maggioritario, ma sono nostalgici di un premio di maggioranza che avrebbe distorto la proporzionalità proprio a scapito della rappresentanza, senza garantire nessuna, qualunque ne sia il significato, governabilità. L’equazione “meno rappresentanza più governabilità” (o viceversa) è sostanzialmente fallace.
Memorabilmente (ma anche no), l’allora Ministro delle Riforme istituzionali Maria Elena Boschi difese i capilista bloccati previsti dall’Italicum affermando che sarebbero stati i “rappresentanti di collegio”. In seguito, sostenne lei,e affermarono molti parlamentari del PD, che si era (pre-)occupata di Banca Etruria poiché così si fa se si vuole rappresentare il “proprio” territorio. Adesso sembra che l’aretina Boschi, caso emblematico, sarà candidata in Trentino. Da questo momento in poi suggerirei a chi segue il turbinio delle candidature di offrire due informazioni: prima, i collegi (uninominale e proporzionale) nei quali si presentano candidati e candidate e il comune della loro residenza. Sicuramente, invece di dilettarsi con la previsione di future maggioranze di governo, che, ovviamente, dovranno ricevere il voto di fiducia dal Parlamento, sarebbe più opportuno chiedersi come potrà un Parlamento di nominati e paracadutati “scegliere bene un governo” e offrire rappresentanza a un elettorato comprensibilmente insoddisfatto e inquieto (sono due eufemismi).
Pubblicato il 25 gennaio 2018
Rappresentanza politica? Another time, another place, another law
L’anno 2017 si è chiuso con una buona notizia. Molti parlamentari del Partito Democratico, ma persino il sottosegretario, già ministro, Maria Elena Boschi hanno (ri)scoperto la rappresentanza politica. La cattiva notizia è che fanno una grande confusione. La loro concezione della rappresentanza si traduce nell’occuparsi del “territorio”, dei piccoli imprenditori e, naturalmente, delle banche purché si trovino nel loro collegio elettorale. È un peccato che l’ex-ministro delle Riforme Istituzionali non abbia letto con la necessaria attenzione l’art. 67 della Costituzione italiana dove è scritto chiaramente che “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione”, non un collegio elettorale, neanche il suo. Non posso, me ne sono già convinto, supporre e meno che mai pretendere che Maria Elena Boschi e troppi parlamentari del PD, che le hanno dato sostegno e che ne auspicano la ricandidatura, abbiano letto gli importanti scritti di Sartori sulla rappresentanza politica che è tale sempre e soltanto se è elettiva. Altrimenti si chiama delega o mandato. Che è un rapporto fra gli elettori e gli eletti i quali, non soltanto hanno fatto campagna elettorale per ottenere voti, ma per capire esigenze e preferenze degli elettori. Si sforzeranno poi di mantenersi responsabili rendendo conto a quegli elettori, non trafficando in influenze, ma spiegando che cosa hanno fatto, non fatto, fatto male e perché. Né la legge Calderoli né l’Italicum miravano a consentire che si stabilisse un rapporto di questo genere fra gli eletti, nominati dai capipartito e dai capicorrenti, e gli elettori che non avevano avuto modo di scegliere, ma erano stati costretti a ratificare. La legge Rosato ha pervicacemente riprodotto lo stesso meccanismo.
Alla domanda di Sartori, “quale sanzione temono di più i parlamentari, quella del partito, di gruppi esterni, degli elettori?”, la risposta Rosato-vigente è chiarissima: in testa di quella del partito, poi dei gruppi, da ultimo, molto distaccati, degli elettori. No, la Boschi non stava interloquendo su Banca Etruria perché si preoccupava degli interessi degli elettori del suo territorio. Avendo il dovere costituzionale di “rappresentare la nazione” non le era comunque concesso dalla Costituzione italiana, non dico di trovare, ma neppure di cercare una soluzione per la banca del suo giardino di casa a scapito, inevitabilmente, dei risparmiatori truffati in altri territori.
Oltre ad una riflessione sulla rappresentanza politica, quello che è avvenuto spinge a due altre considerazioni. La prima riguarda il conflitto d’interessi e l’inadeguatezza, già denunciata a suo tempo, ma non con abbastanza vigore, e scivolata nell’oblio, della legge Frattini che ne offre una regolamentazione fiacca e moscia, del tutto inadeguata, che non ha riguardato nessuno da quando è stata approvata. Che un governante sia in grado di favorire, grazie al suo status, prima ancora che al suo potere politico, i suoi interessi privati e quelli dei suoi familiari, è evidente. In qualche caso, però, non dovremmo neppure riferirci a una legge. Ci sono cose: incontri, telefonate, e-mail, richieste di informazioni in corso d’opera che, per quanto non sanzionabili in via giuridica, sono comunque inaccettabili e riprovevoli. C’è un’etica in politica: cose che, semplicemente, non si debbono fare.
La seconda considerazione attiene alla legge elettorale Rosato. Mentre il PD cerca il collegio nel quale la ricandidatura di Maria Elena Boschi farà meno danni al partito, è doveroso mettere in grande rilievo che grazie alla clausola che consente più candidature la Boschi non correrà nessun rischio di non (ri)elezione. Turlupinati saranno, anzitutto, gli elettori di Arezzo se la loro parlamentare non fosse ricandidata nel suo collegio naturale poiché non potranno esprimere la loro valutazione sul suo operato di rappresentante. Turlupinati saranno anche gli altri potenziali elettori del PD che dando il voto alla lista del loro partito automaticamente lo vedranno trasferito su una candidata che non gradiscono.
Siamo di fronte ad un caso eccezionale oppure è un caso da manuale? Certamente, eccezionale è stata la difesa spasmodica, persino ad opera del Presidente del Consiglio Gentiloni, il quale poteva scegliere un tranquillo silenzio, di un ex-ministro, già responsabile di una riforma costituzionale bocciata dal 60 per cento degli elettori. Da manuale, vale a dire tutte prevedibili e previste, sono, invece, le conseguenze della legge elettorale Rosato: quasi nullo il potere degli elettori, elezione assicurata per i dirigenti dei partiti. Questa legge elettorale, lamentano accorate tutte le vedove giornalistiche e politologiche del premio di maggioranza, non assicurerà la non meglio definita governabilità. Il problema vero è che soffoca anche la rappresentanza politica.
Pubblicato 8 gennaio 2018 su PARADOXAforum