Home » Posts tagged 'bicameralismo perfetto'
Tag Archives: bicameralismo perfetto
La rappresentanza politica esiste dove gli elettori hanno potere @DomaniGiornale
Invece di ricorrere a improbabili non divertenti e assolutamente insignificanti parole latine per definire la bozza della prossima legge elettorale, sarebbe molto più utile che i commentatori ne spiegassero e valutassero le caratteristiche. Dire che in Commissione Affari Istituzionali si discute del Brescellum (perché il cognome del Presidente della Commissione è Brescia), ma si intrattiene anche l’idea del Germanicum o, peggio, del Tedeschellum poiché la legge potrebbe avere una soglia d’accesso al Parlamento del 5 per cento (attendo lo Svedesellum se la soglia sarà del 4 per cento come in Svezia), non serve a informare correttamente nessuno. Annunciare che “ritorniamo” alla proporzionale (con grande scandalo di coloro che temono che l’Italia s’incammini verso una Weimar da loro immaginata) senza ricordare che l’attuale legge Rosato è già 2/3 proporzionale e 1/3 maggioritaria, è una manipolazione. Non spiegare che il non precisato maggioritario che vorrebbe il leader di Italia Viva non ha niente a che vedere con le leggi maggioritarie inglese e francese, entrambe in collegi uninominali, la prima a turno unico, la seconda a doppio turno, è un’altra brutta manipolazione. Infatti, almeno a parole Renzi vorrebbe qualcosa di simile al suo amato Italicum: un premio di maggioranza innestato su una legge proporzionale che gli consentirebbe trattative a tutto campo.
Fintantoché nessuno dirà con chiarezza, e sosterrà con coerenza, che le leggi elettorali si scrivono non per salvare i partiti e per garantire i seggi dei loro dirigenti, ma per dare buona rappresentanza politica agli elettori, non sarà possibile scrivere una legge elettorale decente. Quando leggo nel titolo di grande rilievo dell’intervista rilasciata da Sabino Cassese al “Domani” che : “l’attuale classe politica non è all’altezza di governare”, mi sorgono spontanee (sic) tre domande: 1. come è stata reclutata l’attuale classe politica? Che c’entri qualcosa anche la legge elettorale? 2. dove e come troverebbe l’astuto professor Cassese una classe politica migliore, all’altezza? 3. che sia necessaria una legge elettorale diversa per porre le premesse del miglioramento della classe politica? Poi mi vengono in mente tutti coloro che, saputelli e arrogantelli, dicono che non esiste una legge elettorale perfetta, magari mentre vanno in giro criticando il bicameralismo italiano proprio perché “perfetto” (non lo è).
La classe politica migliore verrà, da un lato, dalla competizione vera fra partiti e fra candidati, proprio quello che la legge Rosato non può offrire, e dalla possibilità per gli elettori scegliere davvero fra partiti, ma anche fra candidati/e non nominati non paracadutati. Se il collegio è uninominale (e la legge maggioritaria), no problem: gli elettori valuteranno anche i candidati, la loro personalità, la loro esperienza, la loro competenza. Se la legge è proporzionale, la lista delle candidature non deve essere bloccata e agli elettori bisogna assolutamente garantire la possibilità di esprimere un voto di preferenza (perché non due lo spiegherò un’altra volta). Trovo, da un lato, risibili, dall’altro, prova sicura di ignoranza profonda, dall’altro, ancora, offensiva per la grande maggioranza degli elettori italiani, sostenere, come viene spesso fatto, che il voto di preferenza apre la strada alla mafia e alla corruzione. Oggi esiste una Commissione parlamentare che serve a individuare preventivamente quali sono le candidature impresentabili e c’è una Legge Severino che punisce severamente la corruzione. La mafia e la corruzione non si combattono, e meno che mai si vincono, sottraendo agli elettori la possibilità di scegliere il loro candidato/a e non consentendo ai candidati/e di andare a cercarsi quei voti, interloquendo con gli elettori per farsi eleggere, e di tornare da quegli elettori per ottenere la rielezione spiegando il fatto, il non fatto, il malfatto. Dunque, le leggi elettorali si valutano in base alla possibilità di stabilire e mantenere un legame di rappresentanza politica fra elettori e candidati attraverso il collegio uninominale oppure il voto di preferenza e dando per l’appunto agli elettori il potere di scegliere. Non mi pare proprio che queste esigenze siano tenute in conto in Commissione alla Camera. Credo che almeno i commentatori (e qualche professore di Scienza politica non servo del suo partito di riferimento) dovrebbero farne tesoro o, quantomeno, tenerle presenti e discuterne.
Pubblicato il 8 dicembre 2020 su Domani
Tre cose che so sulle revisioni costituzionali
Discutere con lo stuolo di renziani della prima ora e di convertiti in corso d’opera, spesso ancora più zelanti (ovvero fanatici) sul merito delle revisioni costituzionali è praticamente impossibile. A qualsiasi obiezione di merito i renziani e i loro disinvolti fiancheggiatori, presenti anche nei mass media, contrappongono tre obiezioni. La prima è che bisognava comunque fare qualcosa dopo trent’anni di immobilismo. La seconda è che, da qualche parte, qualcosa, meglio se una tesi dell’Ulivo (ma quello di Renzi appoggiato da Alfano e Verdini è un governo del brand Ulivo?) o qualcuno, meglio se un vecchio comunista (incidentalmente, non ricordo di avere visto stagliarsi alto il profilo di Napolitano riformatore delle istituzioni e della legge elettorale), hanno proposto cambiamenti molto simili a quanto da loro fatto. Terzo, dati rapporti di forza nel Parlamento eletto nel febbraio 2013 non era possibile fare niente di più, ma soprattutto niente di diverso. Nessuna delle tre obiezioni tiene.
Alla prima obiezione ho contrapposto tempo fa (Cittadini senza scettro. Le riforme sbagliate, Egea/UniBocconi 2015), quello che ho definito “un’altra narrazione”. Nessun immobilismo negli ultimi trent’anni. Anzi, notevole attivismo dei cittadini e del Parlamento. Legge sulle autonomie locali 1990; referendum sulla preferenza unica 1991; abolizione di 4 ministeri e del finanziamento statale dei partiti più, cambiamento della legge elettorale del Senato nel 1993; approvazione delle legge sull’elezione diretta dei sindaci nel 1993; approvazione del Mattarellum nel 1993. Riforma del Titolo V nel 2001; revisione di 56 articoli della Costituzione nel 2005 (poi bocciata da referendum ovviamente e correttamente non chiesto dai revisionisti, ma contro di loro: referendum oppositivo); legge elettorale Porcellum 2005. Tralasciando alcune riforme minori, è evidente che il ritornello dell’immobilismo, da un lato, è pura e semplice, ma colpevole, ignoranza; dall’altro, è un deplorevole ricorso alla manipolazione dei fatti su uno almeno dei quali il Presidente Mattarella, parte in causa, ha il dovere istituzionale di farsi sentire.
Andare alla ricerca delle Tesi dell’Ulivo che l’Ulivo non tentò in nessun modo di tradurre in pratiche ha qualcosa di patetico. Senza contare l’avversione della maggioranza degli ulivisti a quanto veniva fatto nella Commissione Bicamerale presieduta da D’Alema fino a contribuire al suo fallimento, quelle tesi non sono il Vangelo istituzionale del buon riformatore. Quanto ai vecchi comunisti, almeno per quello che riguarda il Senato la loro posizione iniziale fu: nessun Senato, monocameralismo. La distanza fra il monocameralismo e il bicameralismo con il Senato trasformato in camera di regioni discreditate è qualitativa, abissale. All’obiezione che le riforme fatte non hanno nessuna visione sistemica, ma sono episodiche e occasionali, gli improvvisati riformatori non hanno risposta alcuna. Soprattutto, non spiegano che forma di governo verrà fuori da quanto hanno cambiato e dal chiaro ridimensionamento nei fatti dei poteri del Presidente della Repubblica che non dovrà più nominare il Presidente del Consiglio, che sarà automaticamente il capo del partito che avrà ottenuto il premio di maggioranza, e non potrà più opporsi allo scioglimento del Parlamento quando quel capo di maggioranza lo riterrà opportuno e benefico per i suoi interessi di partito.
Infine, l’invito dei renziani a prendere atto che in questo parlamento non era possibile fare riforme di tipo e qualità diversa è, di nuovo, il prodotto di una combinazione di ignoranza e di manipolazione. La politica consiste nella capacità di creare le condizioni per le riforme. Nel Parlamento eletto nel 2013 era possibile, da un lato, cercare, con pazienza, ma anche con durezza, altri interlocutori, magari nelle aule parlamentari senza produrre un accordo extraparlamentare, il Patto del Nazareno che, naturalmente, ha posto enormi paletti alla legge elettorale poiché, in sostanza, l’Italicum contiene tutte le componenti del Porcellum in piccolo: porcellinum. Dall’altro, persino volendo mantenere un filo del discorso con Berlusconi, altre soluzioni erano possibili, soprattutto per quanto riguarda il Senato. Semplicemente, non sono state esplorate. Qualcuno vorrebbe raccontare la favola che Berlusconi ha imposto la sopravvivenza di cinque senatori (i Senatori delle Autonomie) nominati dal Presidente della Repubblica? Oppure che Berlusconi ha fortemente voluto che al Senato delle autonomie fosse conferito il potere di nominare due giudici costituzionali?
Da ultimo, il Presidente del Consiglio ricorre al ricatto plebiscitario senza nessun precedente in Italia su referendum costituzionale: “se bocciate riforme me ne vado”. No comment? No!
Pubblicato il 25 aprile 2016