Home » Posts tagged 'bipolarismo' (Pagina 2)
Tag Archives: bipolarismo
La “riforma” che moltiplica gli inciuci
Le capacità di elaborazione politica del Presidente del Consiglio sono costantemente sorprendenti, in negativo. Anche se cerca di personalizzare al massimo non si trova mai solo. Il corteo dei corifei è affollatissimo. Hai visto mai che ci scappa qualche posto in Parlamento, alla Corte Costituzionale, in qualche Comitato, persino alla direzione di qualche quotidiano o come editorialisti dell’Unità e altro, e così via. Il più recente e, per il momento, più elevato picco di elaborazione concettual-politica è stato raggiunto, da un lato, con l’accusa ai sostenitori del NO al plebiscito costituzionale di essere degli “inciucisti”, dall’altro, al suo fiero rivendicare un convinto bipolarismo. Inciucista, forse, dovrebbe essere più appropriatamente definito chi le revisioni costituzionali e la legge elettorale le ha confezionate con Berlusconi sulla falsariga di quelle fatte da Berlusconi stesso nel 2005 (e bocciate da un referendum costituzionale). Comunque, le revisioni costituzionali renzianboschiane non hanno nulla a che vedere con il bipolarismo. L’abolizione del CNEL condurrebbe ad una competizione bipolare serrata, intensa, decisiva? Meno senatori, per di più non eletti, ma designati dai consigli regionali, darebbero una spinta possente al bipolarismo all’italiana? La maggiore facilità con la quale una maggioranza parlamentare premiata dal bonus previsto nell’Italicum si eleggerebbe il suo Presidente della Repubblica sarebbe l’epitome del bipolarismo? Per dirla con un’espressione che Renzi, Boschi e Verdini capiscono benissimo, sono tutte bischerate.
La verità è che l’inciucista di fatto è stato Renzi e che il bipolarismo non abita affatto nelle sue revisioni costituzionali, approssimative e sconclusionate. Nella pratica, Renzi ha già seppellito il bipolarismo favorendo aggregazioni al centro di cui Verdini è diventato, grazie alle sue capacità manovriere, l’emblema assoluto. Il Partito della Nazione, a seconda dei casi e dei contesti, agognato e sconfessato, andrà a collocarsi al centro, assorbendo tutto il possibile che, nel paese che ha dato vita al trasformismo, è sempre moltissimo, e impedirà qualsiasi competizione bipolare e qualsiasi alternanza di governo. Se le revisioni costituzionali sono più o meno neutre quanto al bipolarismo, semmai più prone a consentire inciucismo, la legge elettorale è il vero cavallo di Troia degli inciucisti. Infatti, impedendo la competizione fra coalizioni al primo turno e proibendo qualsiasi apparentamento al ballottaggio, potrà avere due effetti prevedibili. Da un lato, al primo turno vi sarà un notevole spappolamento di liste che, grazie alla soglia del 3 per cento, mireranno semplicemente a conquistare qualche seggio. Dall’altro, al ballottaggio i due partiti/liste rimasti in campo saranno inevitabilmente costretti a cercarsi alleati che troveranno con promesse che, pudicamente, definirò elettorali.
Allo stato della distribuzione delle preferenze politiche, la competizione elettorale non ha nessuna possibilità di essere bipolare. Sarà inesorabilmente tripolare. In Parlamento, chiedo scusa, nella Camera dei deputati, il partito vittorioso non soltanto dovrà fare i conti con due opposizioni, ma sarà anche costretto a pagare il conto degli aiutini ricevuti nel ballottaggio. Se mai al ballottaggio vincesse il Movimento 5 Stelle, le opposizioni PD e variegati rappresentanti del centro-destra opererebbero in maniera autonoma e separata oppure si coordinerebbero in un comunque deplorevole inciucino? Con la vittoria del PD ci sarebbero un’opposizione di destra e un’opposizione pentastellata. In che modo tutto questo possa essere definito e riesca a costituire bipolarismo è un mistero nient’affatto glorioso. Al di là dell’Arno, in Europa altre leggi elettorali hanno consentito efficaci bipolarismi e li mantengono, robusti e vibranti. L’Italicum è la legge molto parrocchiale (coerentemente con il nome) a favore del Partito della Nazione, versione molto deteriore di quello che fu la Democrazia Cristiana (semmai, interclassista perché “partito di popolo”). Pubblicato il 21 maggio 2016
Con Verdini un balzo all’indietro
Non credo che si possa dire che i voti non puzzano. Come e dove sono stati conquistati fanno una differenza tanto che qualche volta implicano sanzioni. D’altronde, non tiene più neanche il famosissimo detto pecunia non olet, il denaro non puzza. Infatti, se davvero il denaro non puzzasse non si capirebbe perché le attività di riciclo, di lavaggio che, infatti, in inglese si chiamano money laundering, siano tanto diffuse, fiorenti e lucrative? Questa introduzione soltanto per andare al bersaglio. No, i voti di Verdini non sono come tutti gli altri. Non sono, certamente, gli unici che puzzano e, come altri, sono voti che vengono dal trasformismo: abbandonare lo schieramento nel quale si è stati eletti per andare a lucrare qualcosa nello schieramento di governo. Poi, sarebbe bello se gli elettori fossero in grado almeno ex post facto di dare il loro giudizio sui trasformisti. La legge elettorale Italicum non glielo consentirà in nessun modo. Il fatto che Verdini e i suoi parlamentari dell’Ala abbiano già votato molti provvedimenti del governo Renzi-Boschi non riduce il tasso di trasformismo già ratificato dall’ingresso nella maggioranza di Ala, dimostrato dalla concessione di alcune cariche nelle commissioni ai parlamentari di Ala. Se, poi, davvero Ala e Verdini parteciperanno alla formazione dei Comitati per il SÌ al referendum su riforme costituzionali che il capo del governo considera l’elemento più qualificante della sua azione di governo tanto da “metterci la faccia”e giocarsi la carriera, allora l’ingresso dei verdiniani nella maggioranza governativa non attenderebbe che un piccolo passo: la nomina di un vicesegretario.
Ferme restando le critiche ai cambi di casacca in Parlamento, il problema più grosso causato dalla straordinaria capacità di manovra di Verdini e dall’altrettanto straordinaria disponibilità di Renzi riguarda il future prossimo, più precisamente l’eventuale nascita del Partito della Nazione. Con Alfano e Verdini, forse anche con Casini e altri, il Partito della Nazione si troverebbe inevitabilmente spostato verso il centro dello schieramento politico. Grazie al premio di maggioranza garantito dall’Italicum, che consente di ricompensare tangibilmente con la altrimenti difficile rielezione i verdiniani e gli alfaniani, il Partito della Nazione godrebbe di una ampia maggioranza alla Camera dei deputati. Relegati all’opposizione sarebbero, da un lato, la destra e Salvini, dall’altro, il Movimento Cinque Stelle. Dunque, spostatosi un po’ al centro anche per vincere, il Partito della Nazione si troverebbe inevitabilmente ad occupare quel centro, con due opposizioni non in grado di coalizzarsi, se non in maniera negativa: contro il governo, non per sostituire il governo.
Non voglio in nessun modo equiparare il Partito della Nazione alla Democrazia Cristiana, costretta ad occupare il centro per tenere a bada eventuali rigurgiti di fascismo, ma anche la sfida reale del comunismo. Quello che, invece, merita di essere evidenziato è che il Partito della Nazione metterebbe la parola fine al bipolarismo, peraltro mai gradito da molti settori del ceto politico e dai cerchiobottisti della società civile, tutti intenti a trovare aggettivi derogatori: muscolare, feroce et al. Invece, il bipolarismo (non bipartitismo) è la modalità migliore di funzionamento delle democrazie, non solo contemporanee, quella che, fra l’altro, offre la prospettiva dell’alternanza. Il Partito della Nazione riporterebbe l’Italia indietro di quasi un quarto di secolo, a una politica che i sedicenti riformatori della Nazione e della Costituzione non conoscono, ma rischiano colpevolmente di fare resuscitare. È proprio vero che chi non ricorda la storia è costretto a riviverla.
Pubblicato AGL 4 maggio 2016
La scelta difficile del Colle
Immagino che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ricevuto il testo dell’Italicum, lo stia leggendo con la meticolosità che ha sempre dimostrato da parlamentare e da ministro. L’art. ottantasette della Costituzione gli dà il potere di promulgare le leggi ed emanare i decreti aventi valore di legge e i regolamenti. Il Presidente s’intende assai di leggi elettorali. Non ha dimenticato che, sulla possente spinta dei referendari, la Camera dei deputati presieduta da Giorgio Napolitano, gli affidò la stesura della legge elettorale che divenne notissima come Mattarellum. Uomo dotato di sottile ironia, l’allora on. Mattarella non se la prese. Non rispose neanche alle critiche, alcune delle quali fondate, poiché in sostanza il tempo galantuomo ha dimostrato che la legge che porta il suo nome rimane migliore sia della proporzionale, che troppi suoi colleghi democristiani avevano difeso fino alla morte (della DC), ma anche del Porcellum dei cosiddetti quattro saggi del centro-destra che si riunirono a Lorenzago. Tuttavia, non userà il “metro” della sua legge per valutare il porcellinum partorito da Renzi, Boschi e i loro deputati renziani di tutte le ore.
Sergio Mattarella ha già dovuto usare un altro “metro”, ineludibile per giudicare il Porcellum, quello della corrispondenza di una legge, per di più tanto importante poiché riguarda i rapporti che fondano una democrazia: quelli fra i cittadini, i loro rappresentanti in Parlamento, i governanti. Sono la Costituzione e i suoi principi fondamentali a misurare la qualità e l’accettabilità di qualsiasi legge, ovviamente anche di quella elettorale. Con i suoi colleghi, il giudice Mattarella, anche se non è stato relatore di quella sentenza, ha sonoramente bocciato, totalmente triturandolo, il Porcellum. Purtroppo, poiché in Italia, a differenza che negli Stati Uniti d’America, i giudici non possono argomentare il loro voto, neanche quello favorevole, e neppure le loro opinioni dissenzienti, non c’è dato sapere quale concretamente sia sta la posizione di Mattarella. Sono certo, però, che, con il suo caratteriale rifiuto di qualsiasi protagonismo, non abbia mai proceduto alla comparazione del Mattarellum con il Porcellum, troppo facile troppo vincente.
Avendo cofirmato quella bocciatura, il Presidente Mattarella sta probabilmente riflettendo se il porcellinum abbia tutti i crismi di costituzionalità. Le candidature multiple non sono un trucco ai danni degli elettori? E non vale dire che anche il Mattarellum consentiva candidature multipli, ma non più di tre, poiché i pluricandidati dell’Italicum hanno la certezza dell’elezione, mentre quelli del Mattarellum si trovavano in un sistema competitivo che di certezza ne dava poche. Lo stesso candidato Mattarella, sconfitto nel 1994 in un collegio uninominale, entrò in Parlamento grazie al recupero proporzionale. I capilista bloccati, il cui nome apparirà sulla scheda, altro che “rappresentanti di collegio” se saranno inevitabilmente scelti dai dirigenti di partito e non s’imporrà il requisito della residenza per almeno tre anni in quel collegio, portano via una bella fetta di potere ai cittadini elettori. Per chi è arrivato a credere -i democristiani, anche di quelli di sinistra, c’hanno messo un po’ di tempo- che il bipolarismo è la modalità preferibile di competizione fra partiti e fra coalizioni, il premio alla lista e l’impossibilità di apparentamenti al ballottaggio non può essere una cosa buona. Pessima, poi, è la soglia bassissima, 3 per cento, per l’accesso alla Camera dei deputati (quella del Mattarellum era 4 per cento: sì, quell’uno per cento fa una differenza) che garantisce la frammentazione delle opposizioni parlamentari e l’impraticabilità del bipolarismo.
Il Presidente potrebbe rimandare la legge ai deputati per un’altra lettura, anche tenendo conto dell’ampio dissenso emerso fra loro, accompagnandola, esistono numerosi precedenti, da preganti osservazioni. Potrebbe anche inviare, ma questo sarebbe un atto forse troppo solenne, un messaggio al Parlamento tutto. Forse i giudici costituzionali suoi ex-colleghi gli hanno comunicato di non preoccuparsi. L’Italicum arriverà da loro per quelle che, in corso d’opera, Napolitano aveva definito “opportune verifiche costituzionali”. Infine, Mattarella potrebbe esercitare la sua moral suasion nei confronti di Renzi (non scrivo “del governo” poiché da qualche tempo avremmo dovuto capire che l’uomo solo al comando già c’è) ricordandogli che la riforma del Senato, per la quale i numeri sono traballanti, dovrà tenere conto delle pecche dell’Italicum ed essere molto più equilibrata. In quella sede, una bocciatura, non del tutto improbabile, aprirebbe scenari turbolenti.
Pubblicato AGL 6 maggio 2015
Governabilità e bipolarismo nello stivale
Non esiste nessuna Enciclopedia di Scienze Sociali e nessun Dizionario di Politica (meno che mai quello che ho avuto il privilegio di curare insieme a Bobbio e Matteucci, nel quale la voce “Governabilità” è stata scritta da me), che associ la governabilità di un sistema politico, meglio, di una democrazia, al premio di maggioranza, ad un’aggiunta di seggi regalati al partito più grande. Governabilità è, invece, sempre collegata alla stabilità di un governo (non necessariamente dello stesso capo di governo) che è una delle premesse, ma tutt’altro che l’unica o la più importante, della capacità decisionale. Governabilità è l’esito positivo dell’attività di un governo che sa rispondere in maniera efficace e responsabile, ad esempio, con riferimento al programma presentato agli elettori, alle domande degli attori socio-economici, selezionandole e interpretandole. Il procedimento sarà tanto migliore quanto, a loro volta, le associazioni e i gruppi socio-economici non saranno “disintermediati”, vale a dire, non presi in considerazione e snobbati, ma vivaci, rappresentativi, in competizione fra di loro. Molto di tutto questo non ha nessuna relazione con il sistema elettorale tanto che, nel corso della seria crisi di governabilità che colpì le democrazie occidentali per tutti gli anni settanta fino all’inizio degli anni ottanta, nessuna democrazia pensò di risolvere il problema attraverso una riforma del sistema elettorale. E nessuna lo fece.
Che qualcuno possa credere che l’Italicum produrrà meccanicamente governabilità nel sistema politico italiano è uno dei numerosi misteri non gloriosi della propaganda politica dei renziani e della scarsa professionalità dei giornalisti italiani. Naturalmente, è lecito pensare che un governo monopartitico dotato di una congrua maggioranza parlamentare si trovi in condizioni migliori per offrire governabilità agli italiani. Tuttavia, non soltanto non esiste nessuna certezza che un simile governo sia più e meglio rappresentativo dei governi di coalizione e maggiormente in grado di produrre le decisioni più appropriate e meglio applicabili, ma non esiste neppure una controprova affidabile. Tutti i governi delle democrazie europee, con la sola eccezione, finora, della Spagna (nella quale, peraltro, piccoli partiti regionali sono spesso stati essenziali per la formazione dei governi socialisti e popolari) e, in passato, della Gran Bretagna, sono stati e sono governi di coalizione. In nessuna di quelle democrazie si parla di crisi di governabilità o di ingovernabilità. In nessuna la soluzione di eventuali crisi viene demandata alla riforma del sistema elettorale. L’ultima riforma di rilievo del sistema elettorale vigente in una democrazia europea, dettata da preoccupazioni partigiane, ebbe luogo in Francia. Fu, in verità, una controriforma quando (nel 1985) Mitterrand introdusse, al posto del doppio turno di collegio, una legge proporzionale cancellata da Chirac immediatamente dopo la sua vittoria nelle elezioni parlamentari del 1986.
Fissato il punto che la governabilità è qualcosa che dipende in minima parte dal sistema elettorale, è possibile aggiungere che sono le modalità di competizione politica che facilitano oppure ostacolano la governabilità. In più di un modo, la governabilità è facilitata anche, ma certamente non automaticamente prodotta, dal bipolarismo e dal fenomeno strettamente collegato dell’alternanza. Per anni gli italiani si sono raccontati che volevano costruire una matura democrazia dell’alternanza, che avevano bisogno dei meccanismi elettorali per dare vita a una democrazia compiuta. Anche grazie al Mattarellum, gli italiani hanno avuto sia il bipolarismo sia l’alternanza, ma giustamente sono rimasti abbastanza insoddisfatti dalle qualità di entrambi, ovviamente a causa delle modalità con le quali bipolarismo e alternanza sono stati interpretati e manipolati dai protagonisti politici. Il mantra dei proponenti dell’Italicum e dei loro affannati sostenitori è che produrrà sicuramente il bipolarismo. Questa è un’affermazione azzardata che probabilmente si rivelerà falsa.
Certamente, i meccanismi dell’Italicum non autorizzano nessuna previsione favorevole. Anzi, è facile indicare perché alcuni dei meccanismi elettorali previsti rendono il bipolarismo poco probabile. In primo luogo, se il premio in seggi va al partito o alla lista che prende più voti, non potrà formarsi nessuna coalizione pre-elettorale intenzionata ad offrire all’elettorato un’opzione praticabile di governo. In secondo luogo, se al ballottaggio non sarà possibile appoggiare l’uno o l’altro dei contendenti con aggregazioni sotto forma di apparentamenti -che non soltanto è modalità diversa da quella della formazione di coalizioni pre-elettorali, ma è quanto già avviene nel caso di maggior successo delle riforme che furono fatte (1993) anche prima dell’avvento di Renzi: quella dei sistemi per l’elezione dei sindaci-, ne conseguiremmo inevitabilmente un vincitore contornato da diversi sconfitti in ordine sparso. Inoltre, gli sconfitti non soltanto non avranno nessun incentivo a formare un fronte unitario di opposizione, che, per l’appunto, caratterizzerebbe un, altrimenti impossibile, bipolarismo, ma entreranno in concorrenza perversa fra di loro, proponendo l’irrealizzabile. Infine, perché, poi, non è male tenere anche conto del sistema partitico al quale verrà applicato l’Italicum, è possibile che al ballottaggio vadano il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle, vale a dire un Partito della Nazione e un Partito tecnicamente Antisistema, che significa che, se potesse, cambierebbe il sistema politico-istituzionale e socio-economico.
Se le coalizioni pre-elettorali o gli apparentamenti post primo turno fossero accettati nella legge, due esiti, entrambi preferibili, diventerebbero possibili. Primo esito: il centro-destra potrebbe aggregarsi , superando in voti il Movimento Cinque Stelle. Secondo esito: a sua volta il Movimento Cinque Stelle potrebbe cercare alleati stemperando alcune sue asperità programmatiche. Infatti, la formazione di coalizioni, come rivelano tutte le ricerche, implica due conseguenze entrambe positive: I) dà vita a un governo maggiormente rappresentativo di quello costruito da un solo partito; II) obbliga quel governo a formulare un programma delle sue attività meno “estremo” di quello di un solo partito, tagliando le ali alle proposte eclatanti, più partigiane, meno condivise. Un bipolarismo incentivato dai meccanismi elettorali renderà meno conveniente rimanere sparsi all’opposizione cercando di lucrarne separatamente alcuni vantaggi. Anzi, obbligherà un po’ tutti a cercare di rappresentare una pluralità di interessi e di preferenze e, di conseguenza a fare funzionare, nella maniera che sapranno, una democrazia dell’alternanza. L’Italicum non dà allo stivale del nostro scontento nessuna garanzia né di governabilità né di bipolarismo.
Pubblicato su rivistailmulino.it il 4 maggio 2015
Il libro dei sogni di Renzi &Co
Stiamo fin troppo ascoltando il Presidente del Consiglio e i suoi collaboratori-corifei che ci promettono un paese dei balocchi e delle meraviglie. Sapremo chi ha vinto le elezioni la sera stessa, persino un po’ prima. Come nessun altro al mondo? Il vincitore si troverà in condizione di garantire la governabilità per cinque, lunghi, anni e farà una riforma al mese, fino ad esaurimento. L’Italicum che, pazzescamente il professor D’Alimonte definisce un sistema elettorale maggioritario (al contrario, è una variante di un sistema che assegna i seggi in proporzione ai voti e attribuisce un brutto premio di maggioranza) , ripristinerà il bipolarismo dei nostri (non di tutti) sogni. E’ a questo punto che ci siamo accorti che stavamo, per l’appunto, sognando. Per Craxi, il bipolarismo “DC-PCI” bisognava spezzarlo. Per Andreotti, il bipolarismo significava avere due forni dai quali approvvigionarsi di pane, pardon, di voti, per i suoi governi proiettati nell’impossibile eternità. Per Renzi, Boschi, Serracchiani e Guerini (ma altri si aggiungerebbero volentieri, e lo faranno), il bipolarismo è: il Partito Democratico incamera il premio di maggioranza, mentre le opposizioni, al plurale, si spartiscono in maniera assolutamente proporzionale, le briciole della frammentazione, e l’alternativa, in parlamento e nel paese viene rimandata alle calende minacciosamente greche.
In verità, a noi di quelle opposizioni non potrebbe importarcene di meno. Stanno facendo di tutto per meritarselo il loro destino di frammentazione e di irrilevanza. Berlusconi non ha ancora capito e nessuno, tranne, qualche volta, Fitto, ha finora avuto il coraggio di dirglielo, che se, fra il 2008 e il 2013 Forza Italia ha perso circa sei milioni e mezzo di voti, dal 2013 a oggi ne ha persi altri 3 milioni. Che se Lui non si fa da parte, prendendo atto che “l’autunno del patriarca” è cominciato da qualche tempo, e se non consente una seria e dura battaglia per la successione, il suo lascito politico consisterà in una nota di due righe e mezza a fondo pagina nei libri di storia (quei pochi non scritti dai “comunisti”). Noi per le note su Berlusconi non nutriamo un interesse spasmodico, ma quando pensiamo al sistema politico italiano, ci viene il dubbio euristico che, forse, la rappresentanza tanto politica (e saremmo persino disposti a scrivere “ideale”) quanto di interessi sarebbe opportuno garantirla in maniera un po’ più equilibrata.
Non siamo mai riusciti a sapere né quanto moderati né quanto liberali fossero i liberali e i moderati ai quali Berlusconi mandava promesse e dai quali traeva un’abbondante messe di voti. Più che liberali e moderati ci sono sembrati creduloni. Sappiamo, però, che nessun sistema politico può funzionare in maniera decente -“normale” non abbiamo mai capito che cosa significhi esattamente: come in Francia, in Germania, in Gran Bretagna, in Spagna, nella dimenticata Svezia?-, se una parte del paese, una parte dell’elettorato non si sente rappresentata e, forse, anche quando si sente sottorappresentata ad arte, schiacciata da massicci e artificiali premi. Ci hanno persino raccontato che i governi funzionano meglio quando l’opposizione, non frammentata, è in grado di criticare, (contro)proporre, presentare alternative. Non sembra che questa sia l’opinione prevalente fra i renziani e i loro trafelati fiancheggiatori.
Nelle notti di inverno, ma i più bravi anche nelle lunghe notti d’estate, sono soliti raccontare che i democristiani si felicitassero dell’esistenza di una opposizione comunista. Avevano ragione. Tre anni dopo la scomparsa di quei comunisti che ritenevano il partito una ditta, ma anche una scuola, persino i democristiani scivolarono silenziosamente in un cono d’ombra. Non ci fu neppure bisogno di quella rottamazione che l’ex-Cavaliere del Lavoro Silvio Berlusconi dovrebbe conoscere e praticare, anche su di sé. Sarebbe un contributo utile alla sopravvivenza di Forza Italia e, a determinate condizioni, quasi tutte da (ri)creare, al suo rilancio. Non sappiamo se gli elettori moderati e liberali se lo meritino, un qualsiasi rilancio. D’altronde, molti italiani neanche si “meritano” Renzi, la sua velocità, la sua (raccapricciante) conoscenza dell’inglese, il suo libro dei sogni, i giornalisti che, persino sdraiati/e, ne raccontano le gesta eroiche. Finirà che usciremo a guardare le stelle, nient’affatto cadenti, che già adesso continuano a essere molte più di cinque.
Pubblicato il 20 aprile 2015
Con questo articolo inizia la collaborazione del prof. Gianfranco Pasquino con TerzaRepubblica.it
“Pasticci di Democrazia”: Pasquino, Carlassare e le riforme targate Renzi #BDEM15 @BIENNALEDEMOCR
“Pasticci di Democrazia”: Pasquino, Carlassare e le riforme targate Renzi
di Gianluca Palma (Master in giornalismo “Giorgio Bocca” Torino) pubblicato sul sito biennaledemocrazia.it
“Un Paese è governabile non solo grazie a una buona legge elettorale, ma se c’è il consenso sociale dei cittadini. Per questo oggi sono qui a parlare con voi, ma con il cuore a Roma alla manifestazione di Maurizio Landini”. Lapidario il commento della costituzionalista Lorenza Carlassare, intervenuta questa mattina al seminario “Passaggi di Repubblica e Passaggi di Democrazia”, al cui tavolo dei relatori erano presenti anche il politologo Gianfranco Pasquino e Marco Castelnuovo, giornalista de La Stampa, che moderava il dibattito. “Il governo dovrebbe ricordarsi di applicare l’articolo 3 della Costituzione, che promuove l’uguaglianza sostanziale dei cittadini, dando allo Stato il compito di rimuovere ogni ostacolo alla partecipazione di tutti i lavoratori alla vita politica, sociale ed economica del Paese”. Ciò che spaventa di più sia Pasquino che Carlassare sono le riforme in atto: da una parte quella della Costituzione che, sostengono, mira a stravolgere l’intero assetto istituzionale, e, dall’altra l’Italicum, la legge elettorale con la quale ritengono che si punti a creare un bipolarismo poco democratico, con premi di maggioranza ai partiti che non rappresentano, però, la maggioranza della popolazione. L’Italicum prevede “un meccanismo assurdo – ha aggiunto Pasquino – perchè il premio si dà a qualsiasi partito che prenda la maggioranza dei voti, anche se ha ottenuto il 20-25%. Ciò è fatto apposta per regalare al Partito Democratico, che ora chiamano Partito della Nazione, la maggioranza in Parlamento”. “Allora bisogna chiedersi, i premi di maggioranza servono a inventarla quando quest’ultima nei fatti non c’è o a rinforzare quella esistente?”. Altro problema sono i capilista bloccati. “Un meccanismo – ha spiegato Carlassare – con cui si vuole assicurare il ‘posto’ in Parlamento a dei candidati che non verrebbero mai eletti in alcuni territori”. “Più che di Passaggi di Democrazia –hanno ribadito i relatori– nel caso di questo governo si tratta di Pasticci di Democrazia”. “E ci vuole una forte opposizione sociale – ha concluso la costituzionalista – per questo esprimo massima solidarietà alla manifestazione dei lavoratori
Italicum merce di scambio
Grazie all’Italicum, annuncia e ribadisce Renzi, non ci saranno più inciuci, non si faranno più larghe intese, finirà per sempre il deprecato consociativismo. A metà fra il serioso e il giulivo, ripetono il mantra anche il Ministro delle Riforme Istituzionali Maria Elena Boschi e il vice-segretario del partito, la loquacissima, Debora Serracchiani. Bocciato un cruciale emendamento della minoranza del PD che avrebbe ridotto grandemente il numero dei nominati e approvato un emendamento del PD che ingoia migliaia di altri emendamenti, entrambi i voti debitori del soccorso blu dei Senatori di Forza Italia, il cammino verso l’approvazione di una legge elettorale controversa sembra in discesa. Vedremo in occasione della sua prima applicazione, possibile non prima del 2016, quanto l’Italicum manterrà le sue promesse, in particolare, quelle di sostenere il bipolarismo, di garantire senza mercanteggiamenti un vincitore incoronato la sera stessa delle elezioni e di produrre la governabilità renziana.
Al momento, ma è anche effetto della sotterranea battaglia per il Colle più ambito, il Quirinale, il Partito Democratico si sta dolorosamente lacerando. Soltanto il molto deprecato inciucio con Forza Italia, che dovrebbe essere sconfitto a futura memoria, salva Renzi e la sua brutta riforma elettorale. Berlusconi si aggrappa all’inciucio come se fosse una vera e propria ciambella di salvataggio sia nel duro confronto interno al suo stesso partito sia per rimanere a galla come contraente del Patto del Nazareno e soprattutto per concordare il futuro presidente. Non è ancora andata a fondo la minoranza del Partito Democratico, guidata da Bersani, in grandissima fibrillazione poiché Renzi non fa sconti, non fa concessioni, non fa neppure il piacere di giocare a carte scoperte. Adesso, il test della profondità e della solidità del rapporto prioritario e privilegiato con Berlusconi, non ancora, però, una nuova maggioranza, si sposta verso l’elezione del prossimo Presidente.
Berlusconi ha ripetutamente affermato che non vuole un ex-comunista. In questo modo, taglierebbe fuori dall’eventuale rosa che Renzi potrebbe sottoporgli: Bersani, D’Alema (che ha ancora non pochi sostenitori in parlamento) e Veltroni. Adesso, è l’ex-segretario Bersani che deve porsi il problema di come fare valere quel che resta della ditta. Certamente, l’elezione del prossimo presidente della Repubblica offre alla minoranza del PD, ma anche a Fitto e ai dissidenti di Forza Italia, una grande occasione. Non è soltanto questione di nomi. Peraltro, a Renzi non costa proprio nulla escludere gli ex-comunisti. Non è quella la sua tradizione né, tantomeno, la sua cultura (parola grossa) di riferimento. Anzi, tanto di guadagnato, se l’esclusione degli ex-comunisti, pur non garantendo l’elezione del prescelto nelle prime tre votazioni, facilitasse, faciliterà l’accordo con Berlusconi. E’ sul profilo del non ex-comunista che Renzi e Berlusconi potrebbero avere non marginali differenze di opinione.
E’ lampante che lo scambio, che si sta manifestando sulla legge elettorale, al quale Berlusconi è interessato, riguarda la sua agibilità politica. Il tempo passa, le energie declinano, i malumori in Forza Italia crescono. Se non viene riabilitato in fretta, Berlusconi finirà per non contare nulla. Dunque, ha bisogno di un Presidente della Repubblica molto comprensivo. Anche Renzi desidera un presidente “comprensivo”, magari di basso profilo, meglio se ex-democristiano, poco interventista. Qualcuno lo ha già delineato questo potenziale “presidenziabile”. Proprio come la brutta legge elettorale che consente a Renzi di contare su una vittoria che depurerà il PD dalle minoranze dissenzienti e a Berlusconi di continuare quantomeno a nominare tutti i suoi parlamentari, anche il prossimo Presidente della Repubblica può essere la conseguenza di un inciucio giustificato con l’obiettivo altisonante di porre fine agli inciuci. Per concludere in politichese: “sono queste le riforme, sono questi gli esiti che la gente si attende?”
Pubblicato AGL 22 gennaio 2015
Grillo non vincerà le Europee e Renzi non cadrà. Parola del politologo Pasquino
l’intervista di Francesco De Palo pubblicata il 20 maggio 2014 su Formiche.net
E se Beppe Grillo vincesse le elezioni europee? E’ l’interrogativo che si sta ponendo Formiche.net in chiave ipotetica per comprendere i possibili effetti su istituzioni, governo e partiti di un’affermazione sonante del Movimento 5 Stelle il 25 maggio. Dopo l’opinione di Giuliano Cazzola (“si andrebbe al voto anticipato”), ecco l’analisi del politologo Gianfranco Pasquino che non scorge flagelli in vista per gli equilibri politici…
I Cinque Stelle non vinceranno alle elezioni Europee, Alfano non andrà male, il governo Renzi non cadrà e Berlusconi scenderà sotto il 20%.
E’ la previsione che affida a Formiche.net il politologo Gianfranco Pasquino, secondo cui non è nel novero delle possibilità una crisi di governo né tantomeno è ipotizzabile l’eventualità che il Colle immagini un cambiamento a Palazzo Chigi.
Cosa accadrebbe al governo se Beppe Grillo vincesse alle Europee?
I Cinque Stelle non vinceranno alle elezioni Europee, Alfano non andrà male, Renzi non cadrà e Berlusconi scenderà sotto il 20%, per cui dovrà leccarsi le ferite proprio per riconquistare la fiducia di Alfano e dei suoi, che saranno ringalluzziti dal 6% che potrebbero ottenere.
In caso di “pareggio” o comunque di buon risultato di Grillo, quali sarebbero i riverberi sulla maggioranza, sul Pd, sugli alfaniani e sulle larghe intese?
Grillo otterrà sicuramente un buon risultato, ma sarà irrilevante. Perché anche se dovesse prendere più del 25% non sarà in grado di far pesare quei voti. Potrà per assurdo anche andare sotto il balcone del Quirinale ma non otterrà proprio nulla. Il miglior risultato per Grillo potrebbe essere un Pd sotto il 30%, o un Ncd sotto il 4% ma la soluzione dello sconquasso non sarebbe nelle sue mani bensì in quelle del Colle. E senza dimenticare che comunque la maggioranza parlamentare resterebbe identica. Questo è un voto solo europeo. Per avere un riscontro, Grillo dovrebbe sperare che la maggioranza cambi, ciò che oggi non si verifica.
Giuliano Cazzola su Formiche.net ha osservato che se Grillo vincesse si andrebbe dritti ad elezioni anticipate. Che ne pensa?
No, è semplicemente sbagliato e sostanzialmente impraticabile. Non si potrà andare a un voto anticipato a maggior ragione se il M5S dovesse avere un exploit domenica prossima. Il quel caso il Presidente della Repubblica ricorderà loro che non sono stati capaci di votare una nuova legge elettorale, per cui come si potrebbe andare alle urne? Certamente provvederà a ricordare loro che dal primo luglio al 31 dicembre l’Italia ha il turno di presidenza europea, quindi non ci potrà essere alcuna crisi di governo.
A proposito di legge elettorale, è vero che l’Italicum è concepito proprio per fermare Grillo?
Intanto l’Italicum è concepito in maniera sbagliata, perché avvantaggerebbe Berlusconi e Renzi che potrebbero continuare a nominare i propri parlamentari. Si tratta di una legge mal fatta, che per di più rischia di favorire Grillo e spiego il perché. Se riuscisse finalmente a darsi un ordine a livello di coalizioni, magari al secondo turno passerebbe il M5S al posto di Forza Italia. Dunque la legge dovrà senza dubbio essere rivista dopo le Europee.
L’Italia è tornata a un bipolarismo muscolare con da una parte l’antisistema Grillo e tutti gli altri contro?
Abbiamo avuto in passato un bipolarismo balordo, ma per essere muscolare avrebbero dovuto avere i muscoli entrambi gli schieramenti, invece li ha avuti solo Berlusconi, che li mostrava fin troppo. Oggi abbiamo un tripolarismo di fatto ma se aumentasse il bipolarismo tra Renzi e Grillo, beh sarebbe un bipolarismo vocale più che muscolare.
twitter@FDepalo





