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Patto per una buona campagna elettorale e un buongoverno
Nel molto frammentato panorama partiti(ni)co italiano qualsiasi accordo che conduca a aggregazioni politiche ampie è da salutare con favore. Il patto elettorale e politico stilato da Partito Democratico, da Azione e da +Europa va nel senso giusto. Anche qualora non riuscisse a sconfiggere le destre, tutta avanti nei sondaggi, lo schieramento di sinistra e centro avrà una presenza numerica e politica importante nel ridimensionato Parlamento italiano. Sarà in grado di svolgere un’opera efficace di controllo su quanto farà il governo (a guida Meloni?), di controproporre sulla base delle sue proposte programmatiche, di mantenere utili legami di rappresentanza con l’elettorato, non soltanto il suo. Comprensibilmente criticato, perché temuto, dalle destre, il Patto fortemente voluto da Enrico Letta non è pienamente apprezzato neppure nella sua area di riferimento, quel campo largo nel quale il segretario del PD avrebbe voluto impegnare più giocatori. Ambizioni personali e vecchi e nuovi rancori continuano a essere presenti e dannosi non solo per i dirigenti che li nutrono, ma soprattutto per l’elettorato una parte del quale non è disponibile ad affidarsi a chi non garantisce stabilità politica e convergenza programmatica, ma si esibisce in distinguo e litigi permanenti, spesso l’unico modo per farsi notare.
In quanto ai programmi, alle cose da fare per l’Italia, il Patto ha una caratterizzazione abbastanza precisa. Lo sfondo è dato dall’europeismo e dall’atlantismo, mai così rilevanti per fare fronte all’aggressione russa in Ucraina e alle sue pesanti conseguenze politiche e economiche. Poi, praticamente su tutte le materie più importanti, Letta, Calenda e Bonino hanno opportunamente scelto di fare riferimento a quella che viene chiamata Agenda Draghi, ovvero a quanto il governo di ampia coalizione guidato da Mario Draghi stava facendo e aveva progettato di portare a compimento. Naturalmente, quell’Agenda non deve essere intesa come esaustiva e immodificabile. Lo stesso Presidente del Consiglio avrebbe introdotto modifiche e variazioni derivanti da mutate situazioni. D’altronde, anche a fini nient’affatto criticabili di accrescimento del suo consenso elettorale, il Partito Democratico ha assoluta necessità di potenziare gli interventi sociali che sintetizzerò nell’espressione “riduzione delle diseguaglianze”, anche economiche. Però, molti sanno che la ricetta migliore per ridurre le diseguaglianze è costituita dalla crescita economica, ambito nel quale toccherà a Calenda sprigionare il suo tasso di innovazione finora più declamato che tradotto in indicazioni concrete.
Fuori da accuse, recriminazioni, diffusione di notizie manipolate o semplicemente false, senza ipocrisie e senza illusioni, sembra arrivato il tempo del confronto, anche aspro, fra le destre e il Patto fra centro e sinistra, non soltanto sulle cose da fare, ma anche sulla competenza e sulla credibilità di chi si candida a farle. Potrebbe ancora scaturirne una campagna elettorale apprezzabile.
Pubblicato AGL il 4 agosto 2022
UE: per convinzione, non solo per convenienza.
Qualche volta giova ricordare gli elementi strutturali delle situazioni che analizziamo. La partecipazione italiana all’Unione Europea deriva da decisioni prese e riaffermate nel corso del tempo dai governi e dai Parlamenti. Ha un suo solido fondamento costituzionale nell’art. 11 che sancisce che “L’Italia … consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Non possono esserci dubbi che l’Unione Europea è una di quelle organizzazioni. Inoltre, è l’organizzazione alla quale l’Italia ha dato significativi contributi, anche con le energie di suoi rappresentanti, da Spinelli a Prodi, da Monti a Bonino, e più di recente, da Mogherini a Tajani e,in modo del tutto straordinario, Draghi. È quella il cui funzionamento l’Italia può meglio e più direttamente influenzare. Naturalmente, per esercitare influenza, da un lato, bisogna credere negli obiettivi e nelle capacità di quell’organizzazione, dall’altro, bisogna essere credibili come paese e come persone.
In qualsiasi attività che richieda sforzo e impegno continuativi, è giusto chiedersi quale sia il tornaconto, la convenienza, ma nel momento in cui si crede nel processo di unificazione politica dell’Europa come il più importante fenomeno storico della seconda metà del secolo XX, diventa anche opportuno agire in base alla convinzione. Con queste premesse, mi permetto di obiettare all’Ambasciatore Nelli Feroci che sembra voler portare il discorso sull’Europa alla pura e semplice convenienza per l’Italia, “malgrado tutto”, di continuare a farne parte. Nel frattempo, i britannici stanno già pagando il conto della loro inopinata exit e giorno dopo giorno capiscono che nessun isolamento potrà mai più essere “splendido”. Sicuramente, più deboli, economicamente, culturalmente, e meno “identitari”, gli italiani pagherebbero un prezzo ancora più alto se dovessero abbandonare l’Unione Europea o anche soltanto allentare i legami con le sue istituzioni. I sovranisti, non soltanto quelli italiani, debbono ancora spiegare in che modo i problemi della crescita economica, della riduzione delle diseguaglianze, dell’immigrazione, che sono difficili da risolvere nell’ambito di una Unione fra 27-28 stati, sarebbero affrontati e risolti da uno Stato che operi da solo, senza soffrire gli inevitabili contraccolpi della sua uscita che sarebbe comunque traumatica.
Poiché, però, ho spostato il discorso dalle convenienze alle convinzioni, il quesito da sollevare è quanto gli italiani credano oggi nella loro identità nazionale e quanto in una aggiuntiva identità europea, quanto pensino che il loro futuro e quello dei loro figli sia preferibile in un più ampio consesso di popoli oppure sia unicamente praticabile con efficacia nel cortile della loro casa. Fare della partecipazione all’Unione Europea una mera adesione di convenienza è riduttivo, sbagliato, diseducativo. Affermare come vado predicando che nell’Unione Europea bisogna stare per convinzione (che è il luogo in assoluto migliore per i cittadini degli Stati-membri e per coloro che chiedono l’adesione) richiede che i “convinti” procedano a spiegare indefessamente i pregi e le potenzialità dell’Unione. L’ha fatto fino al suo ultimo respiro il fondatore dell’Istituto Affari Internazionali, Altiero Spinelli. Gli dobbiamo l’impegno ad andare avanti.
Pubblicato il 3 ottobre su affarinternazionali.it