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Qualcosa che so di aggettivi e di Parlamenti #manipolazionedelleparole

Di tanto in tanto qualcuno (più di uno) che ha modo di esprimere frequentemente le sue opinioni in pubblico si lamenta dello povertà, faziosità, inutilità del dibattito pubblico. Anche di quello, che non c’è, sul “suo” Corriere della Sera”? Oh, yes.

Ecco un esempio non proprio minore: mia lettera a Aldo Cazzullo, responsabile della rubrica, spedita il 6 novembre

Referendum confermativo? No, e poi No.
Il referendum sulle revisioni costituzionali non ha aggettivi. La previsione dei Costituenti era che a chiederlo sarebbero stati gli oppositori della revisione approvata che, altrimenti, dopo tre mesi entrava in vigore. Dunque, referendum oppositivo. Comunque, confermativo è aggettivo che riguarda l’esito, non il referendum in quanto tale. Naturalmente, l’esito può anche essere “cancellativo”, abrasivo di quella revisione. Un referendum costituzionale richiesto da un governo sulle sue revisioni costituzionali approvate dalla sua maggioranza parlamentare si chiama plebiscito.

Cestinata la lettera; destinato a rimanere il grave errore manipolativo, con numerose altre occasioni per ripresentarsi imperterrito, non dobbiamo rassegnarci. Continuons le combat.

“La Stampa” non è stata da meno. Quasi settant’anni di scontri sulle istituzioni e ancora c’è chi pensa e scrive che le leggi le deve fare il Parlamento. Da una premessa sbagliata consegue la solita, non meno sbagliata e pericolosa, critica che sfocia nell’antiparlamentarismo ben nota malattia italiana. Servirà a qualcosa la lettera che ho spedito il 7 novembre a Andrea Malaguti, Direttore del quotidiano torinese?

Caro Direttore,
nell’articolo intitolato “Le ferie perenni dei parlamentari: perché ora lavorano due giorni a settimana” (sottotitolo) Il governo ha divorato l’attività legislativa, viaggio nelle Camere esautorate
Alessandro De Angelis commenta alcuni dati interessanti. Fino ad oggi il Parlamento italiano ha prodotto 257 leggi, delle quali 96 sono decreti, 94 sono provvedimenti del governo e “soltanto” 67 leggi di iniziativa parlamentare. Ne deduce, temo sbagliando molto, che il Parlamento italiano è stato esautorato. No, non è così. Il primo dato importante è che il Parlamento italiano produce meno leggi che in passato. Il dato è positivo, significa che sono diminuite le “leggine” e che stiamo raggiungendo i Parlamenti virtuosi: Camera dei Comuni inglese, Bundestag tedesco, Riksdag svedese. Il secondo dato, circa il 75 per cento delle leggi sono di origine governativa, non deve né sorprendere né scandalizzare. La coalizione al governo ha vinto le elezioni e ha il diritto(/dovere) di attuare il suo programma. Lo fa attraverso la sua maggioranza parlamentare. Sulla base della conformità delle sue leggi alle promesse elettorali, e della loro “bontà”, sarà poi valutato dagli elettori. La sua maggioranza parlamentare fa un buon lavoro discutendo, eventualmente emendando e migliorando, infine, approvando le leggi formulate dal suo governo. A loro volta le opposizioni parlamentari dovranno opporsi motivatamente controllando l’attività governativa, ma anche con proposte/promesse alternative. Tough life direbbero e sanno i parlamentari anglosassoni, compito difficile, che non è “fare le leggi”, che caratterizza le democrazie parlamentari. Eppure, il libro di Walter Bagehot (1867)nel quale è scritto a chiarissime lettere che il compito più importante del Parlamento non è quello di fare le leggi, ma di dare vita ad un governo, è stato da tempo tradotto in italiano: La Costituzione inglese (il Mulino 1995). Insomma.

Dopo fake news e gossip, Conte (ora) è più forte

Limpidamente bocciata nell’aula del Senato la sfiducia delle destre e della radicale Bonino contro il Ministro della Giustizia Bonafede, è venuto il tempo di fare chiarezza sullo stato di salute del governo, del Parlamento, della democrazia italiana. Forse, solo momentaneamente zittiti, i retroscenisti ricominceranno fra qualche tempo a dire che sentono spifferi e scricchioli, tensioni e conflitti, che si moltiplicano le voci di crisi del Governo Conte e di sostituzione del Presidente del Consiglio (ad opera del solito noto che immagino, conoscendolo, sorridente e preoccupato). Sono tutte fake news e gossip sostanzialmente irrilevanti. Quand’anche Renzi ottenesse qualche Presidenza di Commissione chi conosce i governi di coalizione sa che sono richieste fisiologiche e non scandalose che potrebbero persino rafforzare il governo. Lascerei alle sedicenti anime belle, ma certo non brave dal punto di visto delle conoscenze del funzionamento delle democrazie parlamentari, di stracciarsi le vesti. Poi, magari, potrebbero gettare uno sguardo oltre le Alpi e, non dico che apprenderebbero, ma almeno vedrebbero la normalità di pratiche nient’affatto eversive.

Conte ne esce effettivamente rafforzato anche perché, come nei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, ci ha messo la faccia. Si è assunto responsabilità politiche e personali. Talvolta commette errori, ma ha dimostrato di sapersi correggere e di non attribuirli ad altri. Appena smetto di ridere vorrei anche aggiungere che non ho mai letto di derive autoritarie effettuate attraverso la decretazione d’urgenza. Né mi pare che il Presidente del Consiglio abbia chiesto “pieni poteri”. Assolutamente fuori luogo proporre un paragone fra Conte e Orbán che s’era già deliberatamente incamminato su un percorso poco democratico.

Avendo, sicuramente, più a cuore di molti di noi la democrazia, le anime belle si sono ripetutamente lamentate poiché il Parlamento italiano era chiuso non per ragioni legate al contagio, ma perché “qualcuno” voleva evitare che controllasse le pericolosissime attività sovversive del governo Conte. Con la riunione d’aula di mercoledì 20 maggio, il Senato ha già tenuto sei sessioni in maggio. Furono sei in marzo e nove in aprile. Per la Camera i dati sono otto in marzo, dodici in aprile, sei, finora, in maggio. Negli stessi mesi, la Camera dei Comuni inglese, la madre di tutte le Camere basse, si è riunita dieci volte in marzo, quattro in aprile, cinque in maggio; il Bundestag tre volte in marzo, due in aprile, cinque in maggio; il Congreso de los diputados spagnolo nove volte in marzo, sette in aprile, due in maggio; la Camera bassa austriaca (Nationalrat) quattro volte in marzo, quattro in aprile, due in maggio..

Sono ancora esterrefatto che, a suo tempo, nessuno abbia replicato a Salvini, giunto fino all’occupazione per poche ore del Senato, a Meloni e ai commentatori piangenti che: “Ciascuna Camera può essere convocata in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente o del Presidente della Repubblica o di un terzo dei suoi componenti” (art. 62 della Costituzione). Al Senato il centro-destra ha 142 seggi su 320, alla Camera 265 su 630, quindi, in entrambi i casi ben più di un terzo (Senato 107; Camera 210). Una semplice e veloce raccolta di firme telematiche, smart collection, e le Camere si sarebbero dovute riunire. No, non è stato il governo a tenere chiuso il Parlamento, ma l’ignoranza e il disinteresse di chi strepitava e non agiva. Infine, la democrazia italiana, appena scossa delle differenze d’opinione e politiche fra le regioni e il governo, non esce in nessun modo indebolita da questa difficile, non finita, prova. Ha inevitabilmente manifestato inadeguatezze che sono strutturali (quelle della burocrazia), ma nessun cedimento nelle sue strutture portanti: Parlamento, governo, Presidente della Repubblica. In attesa del prossimo voto in aula e del prossimo dottissimo retroscena.

Pubblicato il 22 maggio 2020 su Il fatto Quotidiano