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La giacchetta del Senato
TerzaRepubblica intervista Pasquino. Ecco come tutti i difetti della riforma verranno al pettine
Noi di Terza Repubblica, travolti e francamente sconvolti da un’overdose di pareri giuridici sulla riforma del Senato, abbiamo deciso di fare alcune domande a un autorevole scienziato della politica.
D. Davvero per capire che riforma è quella del Senato bisogna usare strumenti giuridici?
R.Certamente, no. Quegli strumenti da azzeccagarbugli sono spesso fuorvianti, e inutili. La riforma dell’imperfetto bicameralismo italiano va collocata nel quadro politico dei rapporti fra le istituzioni: “Regioni-Parlamento-Governo-Presidente della Repubblica” e del potere degli elettori. A costoro viene tolto moltissimo potere, elettorale (rappresentanza politica c’è soltanto quando libere elezioni la producono) e politico, che viene dato alle classi politiche peggiori che il paese abbia espresso nell’ultimo ventennio, quelle dei Consigli regionali che, in un modo o nell’altro, nomineranno i Senatori. Con la Camera delle autonomie né le Regioni né i sindaci acquisteranno potere positivo. Al massimo eserciteranno un po’ di potere negativo nei confronti sia della rimanente Camera dei deputati sia del Governo. Altro che velocizzazione dei procedimenti legislativi.
D. E il Presidente della Repubblica che nominerà cinque Senatori?
R.E’ l’elemento più assurdo e ridicolo della composizione del Senato. Napolitano e Mattarella dovrebbero dirlo chiaro e forte che non ci pensano neanche per un momento a esercitare il potere di nomina.
D. Molti dicono, e ineffabili “quirinalisti” si affannano a sostenere, che non dobbiamo tirare i Presidenti per la giacchetta.
R.Il “tiro per la giacchetta” è un’attività eminentemente democratica se accompagnata da motivazioni che, in questo caso, riguardano sia quegli inutili poteri di nomina sia la perdita di poteri del Presidente derivante dalla legge elettorale. Il cosiddetto “arbitro”, secondo Mattarella, non potrà più nominare (come dice esplicitamente la Costituzione) il Presidente del Coniglio e neppure opporsi allo scioglimento del Parlamento, ovvero della Camera dei deputati, richiesto da un capo di governo premiato dai seggi dell’Italicum. Il Senato delle autonomie continuerà come se nulla fosse, tanto avrà sempre pochissimo da fare.
D.Sarebbe dunque stato meglio abolirlo tout court?
R.Oh, yes. Magari non guardando al passato né quello in Assemblea Costituente (che, pure, è opportuno conoscere nella sua interezza) né quello delle Bicamerali (neanche loro nullafacenti), ma chiedendosi per il futuro: a che cosa deve servire una seconda camera? Adesso è tardino per un limpido monocameralismo (perfetto?) che farebbe risparmiare denaro e, forse tempo, ma richiederebbe una profonda modifica dell’imperfetto Italicum. E’ un po’ patetico il Presidente del Consiglio che con la sua serafica ministra Boschi minaccia di cancellare il Senato.
D. Insomma, prof, non c’è proprio nulla di buono nella riforma del Senato?
R. Oh, no. C’è molto di buono, soprattutto è l’insieme che è promettente. Cominceranno gli inconvenienti quando le Regioni dovranno nominare i loro Senatori (la presenza eventuale, di cui si discute come se fosse equivalente all’elettività, di un apposito listino, scelto da chi?, non cambia niente). Poi, quando eventuali crisi porteranno qualche regione a elezioni anticipate e cambi di maggioranze alle quali faranno seguito tensioni per i rappresentanti da sostituire in Senato. Poi, ancora, quando esploderanno scontri fra il Senato delle autonomie e la Camera dei deputati e/o il governo. Quando qualche Senatore rivendicherà la sua libertà di voto “senza vincolo di mandato”. Sono certo che alla prova dei fatti ne vedremo delle brutte. Qui sta l’elemento positivo della riforma. E’ così malfatta e rabberciata che le sue magagne spingeranno molti a tirare la giacchetta del Presidente della Repubblica e la prossima maggioranza a procedere a modifiche profonde.
Pubblicato il 19 settembre 2015
Una riforma sbagliata
Sbagliare è umano, insistere è renziano
Senza scomodare i Costituenti, i quali, pure, ebbero legittime preoccupazioni di rappresentanza politico-territoriale e di equilibri fra le istituzioni, esistono (ed esistevano) due alternative decenti al pessimo testo Renzi-Boschi che verrà fatto ingoiare ai senatori, ma che i giornalisti italiani, ignari di altre esperienze e da sempre poco interessati alle questioni istituzionali, hanno già metabolizzato. Da veri riformatori era possibile procedere verso l’abolizione pura e semplice del Senato rispondendo non soltanto alle sirene populiste e antipolitiche, quelle che vogliono risparmiare sul costo delle istituzioni e della casta, ma anche a chi ritiene che semplificare i circuiti istituzionali rende la politica più trasparente e più responsabile. Naturalmente, questo avrebbe comportato anche un ridisegno della legge elettorale che, già pessima di suo, sarebbe diventata intollerabile dal punto di vista della rappresentanza degli elettori (incidentalmente, le leggi elettorali si valutano avendo come criterio sovrastante il potere degli elettori) e della concentrazione di poteri in una sola camera e in un solo partito. Certo, ci voleva coraggio e sapienza istituzionale. Forse Diogene dovrebbe essere richiamato in servizio: non è fiorentino, ma una consulenza non gliela si dovrebbe negare. Oppure si poteva e si doveva guardare alle seconde Camere che funzionano in sistemi politici simili a quello italiano, per esempio, al Bundesrat con i suoi 69 rappresentanti nominati (l’elettività diretta proposta e negata è un falsissimo problema, non una soluzione) dalle maggioranze al governo nei 16 Länder della Germania (un sistema politico che funziona. Lo sanno anche i molti siriani che cantavano “We want Germany”. No, non scherzo più di tanto).
Comunque, adesso i problemi sono due. Il primo è che una riforma fatta male come questa rimarrà sul groppone degli italiani a lungo, ma c’è il tempo per migliorarla. Secondo, magari il presidente Emerito Giorgio Napolitano e il presidente in carica Sergio Mattarella dovrebbero chiedere a Boschi e Renzi e anche al sottosegretario Pizzetti che c’azzeccano con la Camera delle Autonomie cinque senatori nominati dal presidente della Repubblica. Nel frattempo, mi permetto di chiedere rispettosamente (so che si dice così) ai presidenti se non sia il caso di rinunciare alla carica di Senatore a vita. Sto rilanciando? Sì, ma, come si dice, “non da oggi”. Attendo qualcuno che venga a “vedere” (magari, mi cito?: eccome, no, leggendo Cittadini senza scettro. Le riforme sbagliate, Egea, 2015) perché per riformare un sistema politico-istituzionale le riforme, compresa quella della seconda Camera (Senato), vanno viste, impostate, fatte e valutate, non come fossero spezzatini con piselli, ma in chiave sistemica. E, allora?
Pubblicato il 09 settembre 2015
Ecco la “percentuale” che spaventa Renzi
Intervista raccolta da Pietro Vernizzi per ilsussidiario.net
POLITICA
SCENARIO/ Pasquino: ecco la “percentuale” che spaventa Renzi
giovedì 3 settembre 2015
“Renzi non deve temere né l’ondata dei migranti né l’ascesa di Grillo, perché gli italiani sanno bene che non sono problemi che ha creato lui. La sua unica preoccupazione dovrebbe essere il fatto che il Pil allo 0,7% non basta a ridare al Paese la crescita economica di cui ha bisogno”. E’ l’analisi di Gianfranco Pasquino, politologo, secondo cui “è proprio sulla mancata ripresa che il settembre politico di Renzi rischia di essere contrassegnato da una serie di nuovi annunci privi di sostanza”. Nell’intervista al Corriere della Sera Renzi aveva sottolineato che “se vogliamo fare una forzatura sul testo uscito dalla Camera, i numeri ci sono, come sempre ci sono stati. Chi ci dice che mancano i numeri sono gli stessi che dicevano che mancavano i voti sulla legge elettorale, sulla scuola, sulla Rai, sul Quirinale”.
Che cosa ne pensa del modo con cui Renzi intende affrontare la questione della riforma del Senato?
Quella da parte di Renzi è la solita esibizione di boria, che non ha nulla a che vedere con la bontà della riforma ma soltanto con la voglia di portarla a casa per dimostrare la propria forza. Resta il fatto che questa rimane una riforma brutta, e segnala l’incapacità di negoziare che dovrebbe invece caratterizzare un capo di governo riformista.
Se Renzi tira dritto sulla riforma del Senato, si potrebbe arrivare a una scissione del Pd?
La scissione è soprattutto il prodotto della volontà di chi è al potere di cacciare fuori quanti lo ostacolano. Chi è contrario vuole dei cambiamenti sul contenuto, Renzi invece vuole dimostrare che ha il potere. Dopo di che, a furia di tirare la corda, si logorerà a tal punto che diventerà politicamente e psicologicamente impossibile rimanere in un partito dove i dissidenti sono sbeffeggiati e spesso dichiarati l’ostacolo maggiore a una non meglio definita politica riformista.
Che cosa ne pensa dei cinque senatori nominati dal Quirinale inseriti nella riforma?
Quello che mi sorprende è che né il presidente emerito Napolitano né il presidente in carica, Mattarella, abbiano spiegato quale senso abbia l’idea di avere cinque senatori nominati dal Quirinale, in un Senato che dovrebbe essere la Camera delle autonomie. Di fatto questo aspetto non ha nessun senso, e dovrebbero essere Mattarella e Napolitano a chiederne la cancellazione.
Con settembre ricomincia l’attività parlamentare. Il governo raccoglierà i frutti dopo avere seminato?
Perché ciò avvenga mancano tanti tasselli fondamentali. In primo luogo, il rilancio dell’occupazione attraverso il Jobs Act passa anche per la crescita, perché se il Paese non cresce i posti di lavoro non si moltiplicano. La spending review inoltre è stata prima affidata a Cottarelli, e poi non se n’è fatto nulla. Allo stesso modo non vedo i decreti attuativi della riforma della pubblica amministrazione, e neppure flessibilità e dinamismo in quello che dovrebbe essere uno Stato capace di fare le riforme. Mi aspetto quindi che Renzi trovi presto qualcosa di nuovo da annunciare, e poi vedremo come si andrà avanti.
Di che cosa ha più paura Renzi in questo momento? Di Grillo, degli immigrati o della mancata crescita?
Mettermi nei panni di Renzi è sempre un’operazione che preferirei evitare. Dovrebbe però avere paura di un’economia che continua a non crescere. Gli italiani sanno che alcuni problemi, come i migranti o il rafforzarsi dell’M5S, non sono stati prodotti da Renzi. Il premier deve quindi soltanto temere il semplice fatto che il Pil allo 0,7 % non produce la crescita di cui l’Italia ha bisogno. Dopo la Grecia, l’Italia continua a essere il fanalino di coda. Altro che maglia rosa.
E’ sull’economia che Renzi si gioca le prossime elezioni?
Sì, perché questo è un problema che gli italiani sperimentano di tasca propria ogni volta che vanno al supermercato. Ciò che occorrono sono delle soluzioni più profonde e durature, mentre per fare la riforma del Senato si può anche usare la spada di Gordio. Anche se non lo si dovrebbe fare, perché le istituzioni sono qualcosa che va trattato non con la spada ma con il bisturi.
Secondo Piepoli, nessun partito supererebbe il 40%, Pd ed Ncd insieme prenderebbero il 28%, l’M5S il 29%, FI e Lega il 26%. Quale scenario ci dobbiamo aspettare?
Non è affatto sorprendente che il Pd non riesca a superare il 40%, perché l’ha fatto una sola volta grazie a un colpo di fortuna. Non mi sorprende neppure che ci sia una crescita di FI e Lega, anche perché Salvini è quello che fa più politica sul territorio. Rispetto a Salvini, nel bene e nel male si stanno facendo gli stessi errori che si fecero con Berlusconi: la demonizzazione porta infatti voti al demonizzato. Infine non mi sorprende neppure che cresca il consenso dell’M5S. C’è infatti uno zoccolo duro di italiani insoddisfatti che voteranno il partito che si caratterizza come il più credibile se confrontato con i vecchi partiti. Con questo sistema elettorale l’M5S va al ballottaggio, e dopo ne vedremo delle belle, anzi delle stelle.
Gli elettori di centrodestra però non voterebbero mai M5S al secondo turno…
Questo lo dice lei. Alle Comunali a Parma gli elettori di centrodestra hanno certamente votato per Pizzarotti. A Livorno è stata invece una parte di Pd a votare per il candidato dell’M5S, Nogalin. Al ballottaggio quindi potrebbe avvenire la stessa cosa.
(Pietro Vernizzi)
Con una mediocre riforma Renzi ha messo nell’angolo Berlusconi. Parla GP
Il politologo valuta gli scenari aperti dalla revisione costituzionale. Boccia la linea di Forza Italia. E auspica l’introduzione delle preferenze nell’Italicum.
Intervista raccolta da Edoardo Petti per Formiche.net il 10 marzo 2015
Un passo decisivo verso le nuove istituzioni disegnate da Matteo Renzi è stato compiuto. L’Aula di Montecitorio ha terminato la prima lettura del progetto di revisione costituzionale governativo con 357 voti favorevoli e 125 contrari. Formiche.net ha interpellato lo scienziato politico dell’Università di Bologna Gianfranco Pasquino per comprenderne i risvolti nel panorama partitico.
Come giudica il contenuto della riforma?
Il testo mi pare brutto. Perché se si crea una Camera di rappresentanza delle autonomie è necessario essere precisi su come gli enti locali vengono rappresentati. Anziché mescolare i sindaci con figure nominate dalle regioni, era meglio imitare il Bundesrat tedesco – costituito esclusivamente da esponenti dei Lander – tipico di un assetto parlamentare che funziona benissimo.
Vi sono ulteriori punti critici?
Non capisco il ruolo dei i 5 senatori nominati per 7 anni dal Presidente della Repubblica. Poi, se il problema è ridurre il numero dei parlamentari, bisognava tagliare anche quello dei deputati. E va bene fare una Camera di 100 rappresentanti delle autonomie territoriali, ma si dovrebbe trovare un diverso metodo di scelta. Resta aperto, inoltre, il tema dei compiti del prossimo Senato. Consentire a senatori non eletti il potere di contribuire alla riforma della Costituzione mi sembra eccessivo.
Il combinato disposto della revisione istituzionale e della nuova legge elettorale prefigura un modello coerente?
Parlerei di “scombinato indisposto”. Matteo Renzi voleva approvare un meccanismo di voto calibrato sulla Camera politica. Ma non si è preoccupato del nuovo Senato, che squilibra l’assetto istituzionale. Fondato su un governo che può contare su un altissimo numero di parlamentari nominati ed eletti con il premio di maggioranza. Uno sbilanciamento che incide pesantemente sulla scelta del Capo dello Stato.
La minoranza del Partito democratico ha vincolato il proprio Sì alla riforma alle modifiche del meccanismo di voto. A partire dal superamento dei capilista bloccati.
Che in effetti non dovrebbero essere previsti. Sarebbe utile che fosse adottato il voto di preferenza unico voluto dalla grande maggioranza dei cittadini italiani nel referendum del giugno 1991. Certo, le preferenze costituiscono una causa di corruzione. Ma è stata varata una legge contro il fenomeno. Il problema dei capilista bloccati in ogni caso non è l’unico.
Quali sono gli altri aspetti controversi?
Le candidature multiple, che dovrebbero essere buttate a mare subito. E l’attribuzione al singolo partito del premio di governabilità. Nelle democrazie politiche europee gli esecutivi sono tutti di coalizione ad eccezione della Spagna. Il premier preferisce invece puntare su una compagine mono-partitica, meno rappresentativa dell’elettorato.
Matteo Renzi sembra prospettare una dinamica tendenzialmente bipartitica.
Non è vero. Lungi dal favorire percorsi di aggregazione, le regole elettorali scelte frammentano e svantaggiano le forze di opposizione, relegandole in un ruolo marginale rispetto al governo. Vi è una cosa che sarebbe divertente per i politologi.
Cosa?
Visto lo stato di lacerazione del centro-destra, diviso dalle rivalità tra formazioni non molto forti secondo tutte le rilevazioni demoscopiche, nelle future elezioni politiche sarebbe probabile un ballottaggio tra Pd e Movimento Cinque Stelle. Le tornate amministrative di Parma e Livorno rivelano che a quel punto i giochi potrebbero riaprirsi.
I parlamentari penta-stellati hanno scelto la linea dell’Aventino denunciando “metodi fascisti” nello stravolgimento della Costituzione.
Si tratta di toni esagerati. Non ci troviamo di fronte a una deriva autoritaria, bensì in presenza di una scarsa cultura costituzionale e di un notevole tasso di improvvisazione nei governanti. Il rischio autoritario dovrebbe coinvolgere tutte le istituzioni repubblicane. Per fortuna vi sono una Corte Costituzionale e un Capo dello Stato con un forte senso dell’equilibrio fra poteri. E un’opinione pubblica restia ad avventure anti-democratiche.
Forza Italia invece ha votato No alla riforma, rovesciando la strategia fin qui adottata.
Silvio Berlusconi lo ha fatto per non lasciare la bandiera dell’opposizione alla Lega Nord e ad avversari interni come Raffaele Fitto. La scelta rivela che l’ex Cavaliere ha negoziato male con Renzi, e ora cerca di recuperare.
Nella partita delle riforme il premier ha messo alle corde il “partito azzurro”?
Fi sta seguendo una deriva verso posizioni minoritarie. Il suo leader, giunto al tramonto della propria parabola politica, non è in grado di tenere insieme le anime del partito. E non sa proporre un’alternativa, privo di qualunque concezione istituzionale nuova e dirompente.
La ballata delle riforme
Almeno per qualche giorno non si potrà dire che la proposta di riforma elettorale Renzi-Berlusconi si sia incartata. Anzi, è stato raggiunto un accordo importante. Il testo in discussione nell’aula della Camera riguarderà unicamente l’elezione dei deputati. Per il Senato, bisognerà presumibilmente attendere che sia formulato e messo in discussione il disegno di legge costituzionale che lo trasforma profondamente facendone una sorta di Camera delle autonomie che non dovrà più dare la fiducia al governo e non potrà più togliergliela. Adesso, soprattutto chi pensa, una volta approvata la nuova legge elettorale, ad una rapida dissoluzione del Parlamento e ad elezioni anticipate, ha di che essere soddisfatto. Sono caduti gli emendamenti che subordinavano l’entrata in vigore del nuovo sistema all’approvazione della riforma del Senato. Però, chi valuta le riforme in maniera “sistemica”, vale a dire, con riferimento ad un effettivo miglioramento delle modalità di funzionamento del sistema politico-istituzionale italiano, in particolare, dei rapporti governo/parlamento, non può che rimanere piuttosto perplesso. Infatti, in caso di crisi di governo e di sua impossibile soluzione in questo parlamento, nelle inevitabili elezioni anticipate gli elettori si troverebbero ad eleggere la Camera dei deputati con la nuova legge e il Senato con un sistema che deriva dalle dure e sostanzialmente insormontabili obiezioni della Corte Costituzionale.
Quello che, con pessimo termine viene definito “consultellum”, cioè la risultante delle bocciature costituzionali, è un sistema proporzionale senza nessuna clausola che impedisca la frammentazione partitica e che renda difficile la rappresentanza in Senato di partiti anche molto piccoli. Il rischio reale è che la Camera avrà, soprattutto grazie al premio di maggioranza, un chiaro vincitore, mentre il Senato potrebbe non avere vincitori e, per di più, trovarsi con una maggioranza diversa da quella della Camera: ingovernabilità assicurata.
Due sono le lezioni intermedie che si possono trarre dalla ballata elettorale. La prima è che la fretta di Renzi ha prodotto una situazione confusa con un testo che è assolutamente necessario ritoccare, rendere più limpido, ad esempio, nelle troppe soglie di sbarramento previste, raccordare con la riforma del bicameralismo, brutalmente sbandierata davanti ai senatori dal Presidente del Consiglio che ne chiedeva l'”ultima” fiducia. Per fortuna, la ballata elettorale non è ancora finita cosicché, senza impuntature, c’è ancora tempo per, ad esempio, eliminare le candidature multiple e trovare il modo di accrescere il potere, adesso minimo, degli elettori. La seconda lezione sembra essere che l’asse Berlusconi-Renzi ha tenuto, ma che il “grande disappunto” manifestato da Berlusconi sulle incertezze di Renzi potrebbe tradursi in una sua indisponibilità a collaborare per altre riforme.
Finora Berlusconi ha ottenuto quel che ha voluto: sia un premio di maggioranza che è da lui conseguibile, soprattutto se la Lega sarà costretta ad aggregarsi a Forza Italia nel caso la soglia di sbarramento la mettesse in enorme difficoltà, sia le liste bloccate che gli consentono di continuare a nominare tutti i suoi parlamentari, uno per uno. Oltre, Berlusconi potrebbe non volere andare. Insomma, questa breve (e alquanto tardiva: il velocista Renzi aveva promesso la nuova legge elettorale già per fine gennaio) vicenda segnala che il capo del governo ha gravemente sottovalutato le difficoltà del compito riformatore e che lui e i suoi collaboratori, purché li ascolti più di quanto presta attenzione al Senatore di Forza Italia, Denis Verdini, plenipotenziario di Berlusconi nelle trattative elettorali, non sono in pieno controllo della situazione. Hanno ancora molto da imparare.
AGL 5 marzo 2014