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Proposta per un Senato non più delle Regioni ma delle politiche Ue @HuffPostItalia
Continuo a chiedere ai magnifici e progressisti riformatori costituzionali perché mai dovrebbe essere riformato il bicameralismo italiano se da loro stessi viene definito perfetto. Insisto nel sottolineare che se il problema è, invece, che il nostro bicameralismo è paritario nelle funzioni e nei poteri, renderlo paritario anche nell’età che dovrebbero avere elettori e eletti, non mi pare la strada giusta per approdare alla differenziazione. Ovvio, almeno per coloro che conoscono più di un sistema politico e sanno comparare, che la differenziazione debba riguardare i poteri rispettivi delle due Camere. Banale, però, è suggerire che la seconda Camera debba rappresentare specificamente e forse esclusivamente le Regioni. A prescindere dalla oramai evidente necessità di rivedere le competenze delle Regioni, i loro Presidenti dovrebbero avere imparato e sapere come fare a rappresentare gli interessi delle regioni che governano e a influenzare direttamente i procedimenti legislativi che le/li riguardano.
Mi pare, piuttosto che sia venuto il tempo di innovare significativamente con riferimento alla nuova stagione. Che sia il caso di passare ad una seconda Camera non per dare rappresentanza alle regioni, ma che si caratterizzi come specializzata in quello che è oramai un ambito decisivo, vale a dire le politiche europee? Certo che sì! Non sottovaluto l’obiezione che è molto complicato decidere sia in generale sia di volta in volta quale debba essere il tasso di contenuto “europeo” che renda un provvedimento, una legge, un avvenimento di competenza del Senato riformato. Le migliori menti giuridiche del paese, sono molte, si ingegneranno alla ricerca della soluzione/attribuzione più precisa al tempo stesso che indicheranno come dirimere gli inevitabili conflitti.
Da ultimo, non so quando ripartirà l’entusiasmante gioco di società (dei partiti e dei loro consulenti) chiamato “la bella legge elettorale”. Una cosa so per certo, anzi, due. Primo che non esiste “la” proporzionale, ma che esistono numerose varianti di leggi elettorali proporzionali, alcune non particolarmente buone, altre sicuramente migliori. Secondo, che di leggi elettorali maggioritarie ne esistono due varianti: quella inglese e quella francese che, entrambe, si applicano in collegi uninominali. Nessun premio di maggioranza innestato sulla distribuzione proporzionale dei seggi autorizza a definire quella legge “maggioritaria”. Chi lo fa manipola l’opinione pubblica anche grazie ai commentatori che, non disponendo delle conoscenze minime sui sistemi elettorali, non riescono a imporre chiarezza e precisione terminologica e sostanziale. Dixi et salvavi animam meam, ma non sono contento.
Pubblicato il 14 novembre 2020 su Huffingtonpost
Provaci ancora, Matteo
“Dovrebbero anche i ‘legislatori’ (‘cit.’) abituarsi a pensare che norme approvate per convenienza contingente producono talvolta l’effetto esattamente inverso a quello ipotizzato.” Prendo le mosse da questa frase di Massimo Pittarello, quasi un invito, per riflettere su due tematiche. La revisione di alcuni articoli della Costituzione e il dibattito sulla riforma Italicum della legge elettorale Porcellum sono due splendidi esempi di interventi mal fatti con conseguenze controproducenti.
Si gabella la trasformazione del Senato, in realtà l’umiliazione della sua composizione e delle sue funzioni, nonché la drastica riduzione dei suoi poteri, come una modalità indispensabile per dare stabilità al governo e migliorare il suo funzionamento. La parola magica è governabilità, a scapito della parola, meno magica, ma più pregnante e più appropriata ad una democrazia parlamentare: rappresentanza. Trasformare il Senato in Camera delle Regioni non darà migliore e più rappresentanza alle regioni, semmai ai fatiscenti partiti, ma ne darà meno agli elettori che non potranno più votare i Senatori né, eventualmente e democraticamente, bocciarli. Non esiste nessun trade off fra governabilità e rappresentanza. La seconda se ne va; la prima, vale a dire la governabilità, che, certamente, non dipende dalla riduzione della rappresentanza politica, non si sa se verrà. Tuttavia, potrebbe venire dalla legge elettorale.
Però, la legge elettorale Italicum, proclamata ai quattro venti come una grande e originale conquista che tutta l’Europa ci avrebbe invidiato e che metà Europa si sarebbe affrettata a imitare, viene ora variamente ripudiata. Non da Renzi, che, novello Ponzio Pilato dopo averla fatta approvare a colpi di fiducia, si dichiara disponibile ad accettare le variazioni introdotte dal Parlamento. Non sapendo nulla di sistemi elettorali paragona l’Italicum alla legge per i sindaci, dimenticando le differenze sostanziali che intercorrono fra le due leggi. La legge per i sindaci consente la formazione di coalizioni pre-elettorali, l’Italicum, no; la legge per i sindaci non ha candidature bloccate per i consiglieri comunali e, meno che mai, contempla pluricandidature, l’Italicum, sì; la legge per i sindaci consente gli apparentamenti fra il primo turno e il ballottaggio, l’Italicum, no; il ballottaggio è fra due candidati alla carica di sindaco, nell’Italicum è fra due partiti/liste. Se cade il sindaco, il consiglio comunale si scioglie e si torna a votare. Se cadrà il Presidente del Consiglio, salvo forzature deprecabili, non si andrà a nuove elezioni, ma il Presidente della Repubblica cercherò di formare una maggioranza, non una qualunque, ma operativa in Parlamento esattamente come avviene in tutte le democrazie parlamentari (ma come non si può fare nei consigli comunali).
La “contingenza” qui è chiara: il ballottaggio rischia di condurre il Movimento Cinque Stelle alla vittoria e al governo del paese. Dunque, eliminiamolo “per convenienza” di parte/di partito, anche se il ballottaggio è proprio quello strumento che, inesistente nel Porcellum e unico nell’Italicum, conferisce reale potere agli elettori.
A questo punto, tirando le somme sorge spontanea, mi affido ad uno dei più biechi modi di dire italiani, una domanda: se chi ha fatto la legge Italicum corrisponde esattamente a chi ha approvato le riforme costituzionali e sostiene che la legge elettorale deve essere profondamente cambiata, non è possibile dedurre che anche le riforme costituzionali, dopo una sobria riflessione, debbano essere profondamente cambiate? Troppo tardi per cambiarle, non resta che bocciarle, molto pacatamente e molto serenamente. Contrariamente a quel che dice il loquace Renzi, la partita non finisce affatto qui. Tutte le democrazie sono tali anche perché sanno correggere i loro errori.
Pubblicato il 29 settembre 2016
Non solo imperfetto Anche pasticciato
Il passaggio dal bicameralismo che troppi si sono ostinati a chiamare perfetto al bicameralismo renzian-boschiano sicuramente imperfetto é malamente compiuto. Sarà meglio non chiamare in causa fra i favorevoli Pietro Ingrao, che voleva il monocameralismo, ben diverso dal cambiamento in un sistema che rimane bicamerale, oppure i dubbi dei Costituenti i quali, alla fine, scelsero per non poche buone ragioni il bicameralismo che ci siamo tenuti per 67 non brutti anni. Mi continua a destare forti perplessità l’esplicito e ribadito sostegno a questa riforma da parte di Giorgio Napolitano, Senatore a vita senza nessun precedente impegno a favore di riforme elettorali e istituzionali, che, anzi, ha sempre ispirato la sua azione in materia alla massima cautela.
A questo punto, possiamo dirlo alto e forte: i senatori, a cominciare da quelli del Partito Democratico, minoranze trattativiste incluse, e sconfitte, si sono suicidati. Nessuno di loro, salvo acrobazie dei Consigli regionali, tornerà nella prossima assemblea. I più forti di loro cercheranno di strappare grazie all’Italicum un seggio sicuro nella Camera dei deputati. Qualcuno dei suicidi cerca di farci credere, ma forse soprattutto di convincere se stesso, che si é immolato per (il Partito del)la Patria che sarebbe il renzian partito della Nazione con l’aggiunta di quei mobili gentiluomini profondi conoscitori delle strutture e dei meccanismi istituzionali che si chiamano verdiniani.
“Cosa fatto capo ha” si dice in Toscana. Quel che interessa é sapere se la cosa fatta funzionerà, ovvero se migliorerà il funzionamento del sistema politico italiano e la qualità della sua democrazia. Troppi hanno sottovalutato tre aspetti che potrebbero avere conseguenze molto negative. Il primo aspetto é che quella del Senato é stata una riforma ad hoc: ridurre il numero dei parlamentari, spendere molto di meno, accelerare la legislazione. Così facendo, però, la funzione di controllo della seconda lettura é andata persa e si sono aperti grandi e evidenti problemi di riequilibrio e di freni e contrappesi anche per le modalità di elezione del Presidente della Repubblica. Secondo elemento trascurato sono gli eventuali, probabili e numerosi, conflitti, fra i prossimi Senatori, forse nominati, forse designati, sicuramente non eletti, i Consigli regionali stessi, che, avendoli designati, pretenderanno di dettarne i comportamenti (altro che “senza vincolo di mandato”), i loro colleghi deputati, i ministri che si occuperanno di materie regionali, il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale alla quale arriveranno molti e frequenti ricorsi. Il terzo aspetto problemático deriva dall’inevitabile tentativo del prossimo Senato di ritagliarsi un qualche indefinito e, allo stato delle cose, indefinibile, ruolo legislativo e politico.
Alla fin della ballata, c’é, dunque, pochissimo di cui rallegrarsi. La trasformazione del Senato sarà brandita come un trofeo dai renziani, mai la positività del suo impatto rimane tutta da verificare. E’ giusto concluderne che, sì, il governo ha ottenuto quasi tutto quello che ha finora voluto in materia di riforme istituzionali, ma questo strapotere é, almeno in parte, piuttosto preoccupante. Mentre si discute sul come ritoccare l’Italicum, é probabile che a mente fredda qualcuno scoprirà più di una magagna nel Senato/Camera delle regioni. Brutta questa storia che non é neppure ancora completamente terminata.
Pubblicato AGL il 15 ottobre 2015
#Matteodattiunamossa Ho immaginato le mail tra #Renzi e #Draghi
Caro Draghi,
smettila di provocarmi. Le riforme io le annuncio, mica debbo anche farle. Dammi tempo e sgancia più denaro. Attento: altrimenti ti sommergo di tweet, quelli beffardi.
Tuo Matteo
Caro Renzi,
guardi che io, a Firenze ho anche insegnato. Vi conosco voi sbruffoncelli. Smetta di twittare. Ricominci a studiare, magari anche un po’ d’economia. Mica puo’ pensare che il suo sciagurato governo verra’ salvato da me.
Mario Draghi
Presidente della BCE
(non tanto) Caro Draghi,
‘n son mica un bischero io. Non mi prendere in giro. Ho bisogno di qualche successino soprattutto nel rilanciare l’economia altrimenti Padoan si incavola e il Presidente Napolitano mi chiama un’altra volta al Colle e mi fa la solita lunga ramanzina, come se sapesse tutto lui (ma cosa vuole? Gli ho anche regalato cinque senatori da nominare nella prossima camera delle regioni et al.). Guarda, Draghi, che non ti difenderò dalla Merkel. Non penserai davvero che, se non ti dai una regolata, sarai tu il candidato a succedere al Presidente Napo? tua sorella!
Caro dott. Renzi,
l’ultima cosa che vorrei fare, dopo la Presidenza della BCE, e’ diventare Presidente di una Repubblichetta del Mediterraneo. Ultimo avvertimento. Faccia la riforma della scuola e, subito, del mercato del lavoro (insomma, chieda ad Ichino). Poi ne riparliamo. Infine, si ricordi che qui a Francoforte e a Bruxelles i suoi annunci lasciano il tempo, brutto, che trovano. Non rispondero’ a nessuno dei suoi tweet. Leggo dati e libri, io, continuo ad imparare. Lo stesso non posso dire di lei che mi pare abbia sprecato quasi del tutto i suoi primi sei mesi in carica. Leggo anche i sondaggi. Vedo che cala tutto: la sua popolarità e la fiducia nel suo governo.
Auguri #Matteodattiunamossa
Pubblicato 6 settembre 2014