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L’addio al Pd di Matteo Renzi #intervista al professor Gianfranco Pasquino @RadioRadicale
L’intervista realizzata da Roberta Jannuzzi è stata registrata martedì 17 settembre 2019
Con un’intervista al quotidiano La Repubblica, questa mattina Matteo Renzi ha annunciato il suo addio al Partito Democratico.
Abbiamo chiesto un commento a Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna.
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Un leader deve unire, non dividere
Intervista raccolta da Fabrizio De Feo
Roma – Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’Università di Bologna e profondo conoscitore della sinistra italiana, ha di recente pubblicato il libro «No positivo» (Epoké Edizioni) per spiegare limiti e difetti della riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi.
Professore, come commenta la Direzione del Pd? L’apertura di Renzi sull’Italicum è davvero tale?
«No, più che una apertura mi è sembrata una sfida. Voi votate per il Sì il 4 dicembre e poi vedremo, anche perché ha continuato a dire che l’Italicum è un’ottima legge».
C’è chi sostiene che Renzi non sarebbe cosi dispiaciuto di una scissione della minoranza dem.
«Vedo minoranze inquiete e traballanti. Ma se Renzi auspica la scissione fa un errore. Un leader deve tenere insieme il suo partito, ascoltare le posizioni distanti, aggregare non dividere. Un tempo si sarebbe detto cercare equilibri più avanzati».
Renzi propone a Speranza e Cuperlo di discutere le modifiche all’Italicum in un comitato interno al Pd.
«Chi ne farebbe parte? Io sarei nella lista?»
No.
«Allora non mi sembra una cosa seria».
Cosa cambierebbe dell’Italicum?
«Molto. Così com’è se non è un Porcellum è almeno un Porcellinum. Non vanno bene le candidature multiple, i capilista bloccati, la soglia del 3% che è ridicola. Spero che non tocchino il ballottaggio che è l’elemento che dà potere agli elettori».
Quale sistema adotterebbe?
«Sceglierei il sistema tedesco o francese. Oppure se non si vuole andare all’estero basta tornare al Mattarellum con un paio di ritocchi».
Quale scenario immagina in caso di scissione della sinistra dem?
«Non saprei, mi sembra uno scenario troppo futuribile. La sinistra ha innanzitutto un problema di elaborazione e di mancanza di punti programmatici forti. Deve lavorare sulla sua identità».
Ha un senso per la minoranza del Pd schierarsi per il Sì al referendum in cambio di modifiche all’Italicum?
«Assolutamente no, mi sembra uno scambio improprio che equivarrebbe a una dimostrazione di debolezza e a una mancanza di responsabilità. Non è che modificando l’Italicum puoi sanare i tanti difetti della riforma costituzionale».
Lei ha denunciato più volte i limiti della riforma. Quali sono i maggiori pericoli?
«È una riforma pasticciata in cui le funzioni si confondono e il rischio di conflitti è elevatissimo. Non è chiaro quali leggi saranno soltanto di competenza della Camera; non è chiaro quanto il Senato potrà richiamare alcune leggi; così come sono labili i confini con i poteri delle Regioni e del presidente della Repubblica. La Corte Costituzionale è già in allarme, teme una serie di ricorsi inaudita. D’altra parte per rendersi conto del problema basta leggere il nuovo articolo 70 della Costituzione che verrebbe bocciato non solo da un costituzionalista, ma anche da un professore di italiano».
Lei sta girando l’Italia spiegando le ragioni del «No».
«L’interesse è elevatissimo, e se alcuni vogliono votare no per andare contro il governo, in tanti vogliono cogliere il merito della riforma».
Lei ha denunciato una presunta censura ai suoi danni. Radio Rai ribatte di aver semplicemente scelto un format senza un rappresentante del «No» da contrapporre a Renzi.
«Io so soltanto che sono stato chiamato per confrontarmi con Renzi alle 17 e due ore dopo mi hanno richiamato per dirmi che Renzi preferiva stare da solo. Tutto qui».
Pubblicato il 12 ottobre 2016
Dialoghi sulla Costituzione: Gianni Molinari intervista Gianfranco Pasquino
Registrazione audio a cura di Radio Radicale del dibattito al Teatro Stabile di Potenza mercoledì 14 settembre 2016.
Nell’ambito di una due giorni organizzata dalla Fondazione Basilicata Futuro intitolata “Dialoghi sulla Costituzione”, il giornalista de “Il Mattino” Gianni Molinari ha intervistato Gianfranco Pasquino, politologo e docente universitario.
Nel corso dell’incontro, introdotto da Giovanni Casaletto(Presidente di Basilicata Futuro), hanno preso la parola per porre domande anche alcuni esponenti delle istituzioni lucane presenti in sala e tra questi il Presidente della Provincia di Potenza Nicola Valluzzi.
La registrazione audio di questo dibatto ha una durata di 1 ora e 45 minuti
ASCOLTA QUI ► //www.radioradicale.it/scheda/486358/iframe
Riforme confuse dalle conseguenze imprevedibili INTERVISTA RadioRadicale
Riforma costituzionale e referendum. Intervista realizzata da Maurizio Bolognetti mercoledì 14 settembre 2016 a margine della conferenza “Dialogo sulla Costituzione” di Gianfranco Pasquino al Teatro Stabile di Potenza organizzata da Fondazione Basilicata Futura
ASCOLTA QUI ► //www.radioradicale.it/scheda/486320/iframe
“Riforme brutte, fatte, male, da persone che non conoscono la Costituzione, che non conoscono il funzionamento del sistema politico italiano, e non conoscono il funzionamento dei sistemi politici comparati. Sono anche riforme confuse che avranno conseguenze imprevedibili ma certamente non miglioreranno il sistema politico italiano…”
La registrazione audio ha una durata di 4 minuti
“Una riforma pasticciata e confusa”. Intervista a #RadioPopolare
La Costituzione non è soltanto un documento giuridico, ma è anche un documento politico. La Costituzione fornisce regole, procedure, indica comportamenti agli attori politici, ai partiti, alle istituzioni. Dunque, far commentare la Costituzione soltanto dai giuristi è sempre, secondo me, molto limitativo. E farla riformare soltanto dai giuristi significa prendere una prospettiva possibile, non l’unica e certamente non la più alta.
#RadioRadicale Intervista Gianfranco Pasquino sul Referendum costituzionale
L’intervista realizzata da Lanfranco Palazzolo è stata registrata in collegamento telefonico da Chicago domenica 8 maggio 2016 alle ore 10:48. La registrazione audio ha una durata di 7 minuti.
“Siamo in collegamento con il professor Gianfranco Pasquino dagli Stati Uniti per parlare delle delle riforme in particolare della proposta radicale di sottoporre i referendum confermativo a diversi diversi quesiti referendari perché il corpo elettorale probabilmente potrebbe giudicare diversamente diversi passaggi della riforma costituzionale in un referendum confermativo diviso per parti …”
Per voi che ragionate e non plebiscitate. C’è chi ci mette la faccia, noi ci mettiamo la testa
“Noi crediamo profondamente in una democrazia così intesa, e noi ci batteremo per questa democrazia. Ma se altri gruppi avvalendosi, come dicevo in principio, di esigue ed effimere maggioranze, volessero far trionfare dei princìpi di parte, volessero darci una Costituzione che non rispecchiasse quella che è la profonda aspirazione della grande maggioranza degli italiani, che amano come noi la libertà e come noi amano la giustizia sociale, se volessero fare una Costituzione che fosse in un certo qual modo una Costituzione di parte, allora avrete scritto sulla sabbia la vostra Costituzione ed il vento disperderà la vostra inutile fatica” (Lelio Basso, 6 marzo 1947, in Assemblea Costituente).
1. Il NO non significa immobilismo costituzionale. Non significa opposizione a qualsiasi riforma della Costituzione che sicuramente è una ottima costituzione. Ha obbligato con successo tutti gli attori politici a rispettarla. Ha fatto cambiare sia i comunisti sia i fascisti. Ha resistito alle spallate berlusconiane. Ha accompagnato la crescita dell’Italia da paese sconfitto, povero e semi-analfabeta a una delle otto potenze industriali del mondo. Non pochi esponenti del NO hanno combattuto molte battaglie riformiste e alcune le hanno vinte (legge elettorale, legge sui sindaci, abolizione di ministeri, eliminazione del finanziamento statale dei partiti). Non pochi esponenti del NO desiderano riforme migliori e le hanno formulate. Le riforme del governo sono sbagliate nel metodo e nel merito. Non è indispensabile fare riforme condivise se si ha un progetto democratico e lo si argomenta in Parlamento e agli elettori. Non si debbono, però, fare riforme con accordi sottobanco, presentate come ultima spiaggia, imposte con ricatti, confuse e pasticciate. Noi non abbiamo cambiato idea. Riforme migliori sono possibili.
2. No, non è vero che la riforma del Senato nasce dalla necessità di velocizzare il procedimento di approvazione delle leggi. La riforma del Senato nasce con una motivazione che accarezza l’antipolitica “risparmiare soldi” (ma non sarà così che in minima parte) e perché la legge elettorale PorceIlum ha prodotto due volte un Senato ingovernabile. Era sufficiente cambiare in meglio, non in un porcellinum, la legge elettorale. Il bicameralismo italiano ha sempre prodotto molte leggi, più dei bicameralismi differenziati di Germania e Gran Bretagna, più della Francia semipresidenziale e della Svezia monocamerale. Praticamente tutti i governi italiani sono sempre riusciti ad avere le leggi che volevano e, quando le loro maggioranze erano inquiete, divise e litigiose e i loro disegni di legge erano importanti e facevano parte dell’attuazione del programma di governo, ne ottenevano regolarmente l’approvazione in tempi brevi. No, non è vero che il Senato era responsabile dei ritardi e delle lungaggini. Nessuno ha saputo portare esempi concreti a conferma di questa accusa perché non esistono. Napolitano, deputato di lungo corso, Presidente della Camera e poi Senatore a vita, dovrebbe saperlo meglio di altri. Piuttosto, il luogo dell’intoppo era proprio la Camera dei Deputati. Ritardi e lungaggini continueranno sia per le doppie letture eventuali sia per le prevedibili tensioni e conflitti fra senatori che vorranno affermare il loro ruolo e la loro rilevanza e deputati che vorranno imporre il loro volere di rappresentanti del popolo, ancorché nominati dai capipartito.
3. No, non è vero che gli esponenti del NO sono favorevoli al mantenimento del bicameralismo. Anzi, alcuni vorrebbero l’abolizione del Senato; altri ne vorrebbero una trasformazione profonda. La strada giusta era quella del modello Bundesrat, non quella del modello misto francese, peggiorato dalla assurda aggiunta di cinque senatori nominate dal Presidente della Repubblica (immaginiamo per presunti, difficilmente accertabili, meriti autonomisti, regionalisti, federalisti). Inopinatamente, a cento senatori variamente designati, nessuno eletto, si attribuisce addirittura il compito di eleggere due giudici costituzionali, mentre seicentotrenta deputati ne eleggeranno tre. È uno squilibrio intollerabile.
4. No, non è vero che è tutto da buttare. Alcuni di noi hanno proposto da tempo l’abolizione del CNEL. Questa abolizione dovrebbe essere spacchettata per consentire agli italiani di non fare, né a favore del “sì” nè a favore del “no”, di tutta l’erba un fascio. Però, no, non si può chiedere agli italiani di votare in blocco tutta la brutta riforma soltanto per eliminare il CNEL.
5. Alcuni di noi sono stati attivissimi referendari. Non se ne pentono anche perché possono rivendicare successi di qualche importanza. Abbiamo da tempo proposto una migliore regolamentazione dei referendum abrogativi e l’introduzione di nuovi tipi di referendum e di nuove modalità di partecipazione dei cittadini. La riforma del governo non recepisce nulla di tutta questa vasta elaborazione. Si limita a piccoli palliativi probabilmente peggiorativi della situazione attuale. No, la riforma non è affatto interessata a predisporre canali e meccanismi per una più ampia e intensa partecipazione degli italiani tutti (anzi, abbiamo dovuto registrare con sconforto l’appello di Renzi all’astensione nel referendum sulle trivellazioni), ma in particolare di quelli più interessati alla politica.
6. No, non è credibile che con la cattiva trasformazione del Senato, il governo sarà più forte e funzionerà meglio non dovendo ricevere la fiducia dei Senatori e confrontarsi con loro. Il governo continuerà le sue propensioni alla decretazione per procurata urgenza. Impedirà con ripetute richieste di voti di fiducia persino ai suoi parlamentari di dissentire. Limitazioni dei decreti e delle richieste di fiducia dovevano, debbono costituire l’oggetto di riforme per un buongoverno. L’Italicum non selezionerà una classe politica migliore, ma consentirà ai capi dei partiti di premiare la fedeltà, che non fa quasi mai rima con capacità, e di punire i disobbedienti.
7. NO, la riforma non interviene affatto sul governo e e sulle cause della sua presunta debolezza. Non tenta neppure minimamente di affrontare il problema di un eventuale cambiamento della forma di governo. Tardivi e impreparati commentatori hanno scoperto che il voto di sfiducia costruttivo esistente in Germania e importato dai Costituenti spagnoli è un potente strumento di stabilizzazione dei governi, anzi, dei loro capi. Hanno dimenticato di dire che: I) è un deterrente contro i facitori di crisi governative per interessi partigiani o personali (non sarebbe stato facile sostituire Letta con Renzi se fosse esistito il voto di sfiducia costruttivo); II) si (deve) accompagna(re) a sistemi elettorali proporzionali non a sistemi elettorali, come l’Italicum, che insediano al governo il capo del partito che ha ottenuto più voti ed è stato ingrassato di seggi grazie al premio di maggioranza.
8. I sostenitori del NO vogliono sottolineare che la riforma costituzionale va letta, analizzata e bocciata insieme alla riforma del sistema elettorale. Infatti, l’Italicum squilibra tutto il sistema politico a favore del capo del governo. Toglie al Presidente della Repubblica il potere reale (non quello formale) di nominare il Presidente del Consiglio. Gli toglie anche, con buona pace di Scalfaro e di Napolitano che ne fecero uso efficace, il potere di non sciogliere il Parlamento, ovvero la Camera dei deputati, nella quale sarà la maggioranza di governo, ovvero il suo capo, a stabilire se, quando e come sciogliersi e comunicarlo al Presidente della Repubblica (magari dopo le 20.38 per non apparire nei telegiornali più visti).
9. No, quello che è stato malamente chiesto non è un referendum confermativo (aggettivo che non esiste da nessuna parte nella Costituzione italiana), ma un plebiscito sulla persona del capo del governo. Fin dall’inizio il capo del governo ha usato la clava delle riforme come strumento di una legittimazione elettorale di cui non dispone e di cui, dovrebbe sapere, neppure ha bisogno. Nelle democrazie parlamentari la legittimazione di ciascuno e di tutti i governi arriva dal voto di fiducia (o dal rapporto di fiducia) del Parlamento e se ne va formalmente o informalmente con la perdita di quella fiducia. Il capo del governo ha rilanciato. Vuole più della fiducia. Vuole l’acclamazione del popolo. Ci “ha messo la faccia”. Noi ci mettiamo la testa: le nostre accertabili competenze, la nostra biografia personale e professionale, se del caso, anche l’esperienza che viene con l’età ben vissuta, sul referendum costituzionale (che doveva lasciare chiedere agli oppositori, referendum, semmai da definirsi oppositivo: si oppone alle riforme fatte, le vuole vanificare). Lo ha trasformato in un malposto giudizio sulla sua persona. Ne ha fatto un plebiscito accompagnato dal ricatto: “se perdo me ne vado”.
10. Le riforme costituzionali sono più importanti di qualsiasi governo. Durano di più. Se abborracciate senza visione, sono difficili da cambiare. Sono regole del gioco che influenzano tutti gli attori, generazioni di attori. Caduto un governo se ne fa un altro. La grande flessibilità e duttilità delle democrazie parlamentari non trasforma mai una crisi politica in una crisi istituzionale. Riforme costituzionali confuse e squilibratrici sono sempre l’anticamera di possibili distorsioni e stravolgimenti istituzionali. Il ricatto plebiscitario del Presidente del Consiglio va, molto serenamente e molto pacatamente, respinto.
Quello che sta passando non è affatto l’ultimo trenino delle riformette. Molti, purtroppo, non tutti, hanno imparato qualcosa in corso d’opera. Non è difficile fare nuovamente approvare l’abolizione del CNEL, e lo si può fare rapidamente. Non è difficile ritornare sulla riforma del Senato e abolirlo del tutto (ma allora attenzione alla legge elettorale) oppure trasformarlo in Bundesrat. Altre riforme verranno e hanno alte probabilità di essere preferibili e di gran lunga migliori del pasticciaccio brutto renzian-boschiano. No, non ci sono riformatori da una parte e immobilisti dall’altra. Ci sono cattivi riformatori da mercato delle pulci, da una parte, e progettatori consapevoli e sistemici, dall’altra. Il NO chiude la porta ai primi; la apre ai secondi e alle loro proposte da tempo scritte e disponibili.
Le sentenze si applicano e non si manipolano
Le sentenze della Corte Costituzionale si applicano, non si manipolano. Poi, un governo capace provvede rapidamente a modificare, senza violare la Costituzione, le disposizioni di legge che hanno dato origine a inconvenienti, nel caso del blocco delle pensioni, di enorme impatto sul bilancio dello Stato. Restituire ai pensionati 2 miliardi di Euro su un totale stimato di 18 miliardi significa sicuramente evadere quanto scritto dalla Corte ed esporre il governo a probabili sconfitte in caso di ricorsi. Dovrebbe anche seguirne, a meno che la Corte abbia “scherzato”, una replica immediata ad opera degli stessi giudici che hanno il dovere di difendere il loro operato e di imporne la completa osservanza. Hanno forse i giudici la coda di paglia poiché la loro sentenza potrebbe non essere ineccepibile? Non sarebbe ora che la Corte trovasse il modo di informare i cittadini e l’opinione pubblica delle diverse posizioni assunte dai giudici e delle diverse motivazioni? La trasparenza potrebbe spingersi fini alla pubblicazione delle opinioni dissenzienti dalle quali capiremmo anche la qualità dei giudici e grazie alle quali potrebbe emerge una giurisprudenza alternativa.
E’ giusto sollevare criticamente alcune obiezioni alla sentenza emessa. Primo, quasi quattro anni per emettere la loro valutazione appare un termine troppo lungo soprattutto su una tematica che riguarda il benessere dei cittadini e il cruciale rapporto fra Stato e cittadini. Secondo, la rottura del pareggio fra giudici a favore del risarcimento e giudici contrari è stata determinata dal Presidente il quale, forse inevitabilmente, ha ritenuto che una decisione dovesse essere comunque presa. Attendere il giudice indisposto sarebbe stato possibile. Lo si è evitato magari conoscendo la sua posizione, in questo caso probabilmente contraria al risarcimento? Però, esistono anche molte altre responsabilità. In particolare vi sono le responsabilità del Parlamento e dei partiti di non avere proceduto sollecitamente alla nomina dei due giudici costituzionali mancanti. Qualche tempo fa, la cattiva scelta dei candidati alla Corte portò a uno stallo di lungo periodo e a più di venti inutili votazioni. Qualcuno continua a credere che la Corte funzionerebbe meglio se vi fossero rappresentanti di stretta osservanza della loro area politica: centro-destra, democratico, leghista e dovrebbe arrivare anche il momento del pentastellato. Renzi ha già fatto filtrare la sua cattiva intenzione di nominare un “fedelissimo”. I giudici costituzionali dovrebbero essere “fedelissimi” soltanto della Carta costituzionale, evitando, cosa che molti di loro non hanno fatto, di “posizionarsi” per cariche da ottenere alla scadenza del loro mandato di nove anni. Comunque, una Corte senza plenum configura una ferita alla Costituzione e impone che Parlamento e partiti si assumano le loro pesanti responsabilità.
Naturalmente, ci sono anche le responsabilità dei ministri e dei parlamentari. E’ oramai da più di un decennio che ferve il dibattito e si moltiplicano gli interventi sul sistema pensionistico. Possibile che né i ministri e i loro staff né i parlamentari e i loro consulenti, quando non sono semplici “portaborse”, non abbiano sentito la necessità di verificare se il blocco delle pensioni non fosse di dubbia costituzionalità? Sarebbe interessante sapere se neanche i funzionari di Camera e Senato hanno segnalato i rischi di incostituzionalità e, se lo hanno fatto, perché i loro pareri non sono stati adeguatamente recepiti.
Nel complesso, sia dalla sentenza in sé sia dai tempi e dalle modalità con i quali vi si è giunti sia dalle responsabilità dei soggetti coinvolti: giudici, ministri e staff, parlamentari e consulenti, partiti, emerge lo spaccato di un sistema che complessivamente funziona male e risulta inadeguato. In un modo o nell’altro, il costo lo pagheranno i cittadini. Non saranno né la riforma elettorale né la trasformazione del Senato in assemblea numericamente più piccola e non elettiva a produrre miglioramenti. La produzione legislativa tanto del governo quanto del Parlamento deve essere meglio congegnata senza fretta, con maggiore competenza. Questo è il vero significato di governabilità. A questo compito dovrebbero prioritariamente dedicarsi i riformatori consapevoli.
Pubblicato AGL 19 maggio 2015
Sopruso politico dei renziani
Sostituire i componenti di una Commissione non viola né il regolamento della Camera né, tantomeno, la Costituzione. Il titolare è malato oppure, come avviene abbastanza spesso, è impegnato in un’altra Commissione -quelle non permanenti prosperano. Oppure è bloccato da inconvenienti logistici, trasporti difficili e in ritardo, oppure è in missione ufficiale in Italia/all’estero. La sostituzione, riguardante uno al massimo due componenti di un gruppo, non soltanto è praticabile, abitualmente decisa dal capogruppo (che, lo dico subito, nel Partito Democratico al momento non esiste), è anche indispensabile per garantire il numero legale e la funzionalità della Commissione. Il caso estremo, ma molto importante, è dato dalla sostituzione temporanea, ad rem, vale a dire per un provvedimento specifico, affinché subentri un parlamentare particolarmente esperto della materia in discussione. Nulla di tutto questo si applica alla sostituzione di massa, addirittura dieci, degli esponenti della minoranza del Partito Democratico in Commissione Affari Costituzionali. Non risulta che i subentranti, il cui unico titolo è quello di essere renziani “spinti”, siano più competenti in materia elettorale di coloro che hanno sostituito né che posseggano expertise non altrimenti acquisibile né, quel che conta molto, abbiano seguito il dibattito, lungo, aspro, serrato e quindi siano particolarmente preparati e in grado di dare qualche contributo per migliorare l’Italicum. Anzi, i sostituti sono stati chiamati per stare zittissimi e votare la linea. Curioso che gli stessi renziani che sostengono che non esiste un sistema elettorale perfetto difendano l’Italicum come se fosse perfetto e non accettino, per principio, nessuna miglioria.
Da qualsiasi prospettiva la si guardi la sostituzione di massa dei Commissari della minoranza non è soltanto una forzatura. E’ un sopruso politico. Grave sarebbe se diventasse anche un precedente. Tutte le volte che un capogruppo subodora che un Commissario del suo gruppo/partito esprimerà riserve o, peggio, addirittura il suo esplicito argomentato dissenso (lasciando nei resoconti una traccia significativa) che potrebbe culminare in un voto contrario, voilà, procederà fulmineamente alla sua sostituzione, naturalmente, ad rem, solo per quella discussione e votazione. Renzi, Boschi, Guerini e Serracchiani, all’unisono con tutti i renziani della prima e delle prossime ore, ovvero le ore delle (ri-)candidature, dichiarano che un partito non è e non deve essere un’armata Brancaleone (che, lo ricordo, era variegata, ma anche molto divertente). Preferiscono fare del PD una caserma dove i soldati sono costretti all’obbedienza assoluta senza discussione dai sergenti di turno. La democrazia non abita nelle caserme anche se, qualche volta, per migliorarne la funzionalità persino i sergenti ascoltano i soldati che ne possono sapere di più su aspetti specifici della vita militare.
No, i pasdaran renziani non hanno questa volontà e neppure la capacità di ascolto. Sostengono, contro tutto quello che hanno scritto i teorici della democrazia da Hans Kelsen a Norberto Bobbio, che la democrazia è decisione a maggioranza “senza se e senza ma”. Imponendo di uniformarsi alla maggioranza del gruppo, adesso in Commissione, poi, lo hanno già annunciato, coartati dal voto di fiducia, anche in Aula, i renziani rischiano di calpestare l’art. 67 che prescrive ai parlamentari di esercitare le loro funzioni “senza vincolo di mandato”. Purtroppo, non posseggo la famosa e indispensabile sfera di cristallo per prevedere che Renzi voglia comunque utilizzare l’Italicum per andare subito, facendo saltare la riforma, peraltro non di spettacolare qualità, del Senato, a elezioni anticipate sia se approvato sia se bocciato. Sono sicuro che, comunque vada, la sostituzione dei dissenzienti in Commissione è il prodromo della loro non ricandidatura. Peccato, l’imperfetto Italicum rimarrà brutto e cattivo, il Partito Democratico darà dimostrazione che il suo aggettivo non è perfettamente attinente, i cittadini non avranno maggiore potere elettorale e le prossime elezioni non miglioreranno la qualità dei parlamentari (ancora nominati per circa tre quarti).
Pubblicato AGL 23 aprile 2015
Vi dico qual è il vero identikit del prossimo Presidente
Riceviamo e pubblichiamo la vera lettera di Renzi ai militanti del PD
Cari Leggendari Militanti Dem,
non so dove siate quando non lavorate nei ristoranti delle feste dell’Unità (a proposito, che fine ha fatto il vostro leggendario quotidiano “fondato da Antonio Gramsci”?). Certo, non state facendo funzionare i circoli del PD dove non viene nessuno anche perché quello che conta non succede lì. Certo, non state cercando di convincere gli ex-iscritti a rinnovare la tessera e potenziali nuovi iscritti a farla. Peccato perché se non parlate con nessuno sarà difficile spiegare la mia, pardon, “nostra” scelta del candidato al Quirinale. Smettetela di fare i furbetti politicamente corretti e di chiedere chi sono i 101. C’erano anche dei renziani? Ebbene, sì.
Prodi?
Non pensavamo allora che Prodi potesse essere un buon Presidente della Repubblica(cosa pensiamo adesso non ve lo dico). Però, ci parrebbe utile sapere perché circa 394 parlamentari credessero nella capacità di Prodi di “rappresentare l’unità nazionale”, nelle sue competenze costituzionali, nella sua gestione del paese quando non aveva saputo neppure tenere insieme le sue due maggioranze parlamentar-governative.
La ricerca di un garante super partes
Nel frattempo, ha anche detto che non è più interessato. Prendiamolo sul serio e andiamo piuttosto alla ricerca di un (o di una) garante super partes. Naturalmente, non deve essere garante dei cittadini. Ci mancherebbe altro che fosse un “pertiniano” che si metta a criticare il mio velocissimo governo in nome dei cittadini che aspettano le riforme che tardano e che spesso neanche buone sono. Sarà opportuno che il prossimo Presidente della Repubblica si metta bene in testa che la garanzia la deve dare in primis e soprattutto a me, poi anche a Berlusconi che altrimenti non lo vota e ci crea dei problemi. So che vorreste l’identikit, ma non avete fatto attenzione a quello che ho detto nella conferenza stampa di fine con la mia compiaciuta lezioncina sulla storia delle undici elezioni presidenziali? Sette volte su undici gli eletti erano stati presidenti di Camera e Senato. Ah, dite che tutti avevano anche avuto una lunga carriera parlamentare e possedevano una sana biografia politica? Dunque, volete scoraggiare Grasso e Boldrini già ringalluzziti dall’idea che, se ci sarà stallo, potrebbero farcela? Ma se sono dei neofiti che non hanno brillato per niente nella conduzione dei lavori della loro Camera di appartenenza!
L’identikit del nuovo candidato presidente
Quel che ci vuole, cari militanti sconosciuti, è una figura di basso profilo che non abbia mai polarizzato nessuno scontro, che abbia una popolarità minima e poca inclinazione a cercarsela, che in questo parlamento non abbia nessun seguito personale, che, questo conta moltissimo, mi sia debitore della fortuna inaspettata di ascendere al Quirinale e che se lo ricordi tutte le volte (e Napolitano sa quante) avrò bisogno di lui, chiedendogli di chiudere un occhio o di lodarmi a prescindere. Ah, dite che vi sembra l’identikit di un ex-democristiano intorno ai settant’anni, uomo, ovviamente, senza né lode né gloria? Fuochino fuochino, ma, come sapete, mi corre l’obbligo di dire che non intendo partecipare al totonomine poiché io non sono coubertiniano. Partecipo per vincere. Preparatevi tutti (altrimenti la Serracchiani vi bacchetta duramente) a dire alto e forte che la mia scelta è ottima, non conflittuale, per il bene del paese.
Cari Dem, auguri di Anno Buono (ho cambiato verso)
Matteo Renzi
PS Attenzione alla autocandidatura di Pasquino, politologo, con esperienza parlamentare, conoscenze costituzionali, poco o punto condizionabile. Nessuno ha ancora fatto il suo nome. Quindi, non è bruciato. Scorgo qualche pericolo. A voi trovare il modo di sventarlo.
Pubblicato il 5 gennaio 2015 su futuroquotidiano.com