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Viva la contesa. Ma si pensi agli elettori perduti @DomaniGiornale

La contendibilità (del governo) sta, in maniera non dissimile dalla bellezza, negli occhi di chi guarda. Vedere che i voti del proprio schieramento sono cresciuti è confortante. Constatare che i concorrenti si sono trovati in un sostanziale stallo è quasi altrettanto incoraggiante. Ma il futuro non è mai la semplice prosecuzione dell’oggi poiché numerosi altri fattori sono destinati a fare la loro comparsa. Votando (o no) nelle elezioni regionali, gli elettori erano ampiamente consapevoli della posta in gioco e anche delle problematiche alle quali i candidati presidenti, i loro partiti e, ancor più, le loro coalizioni avevano formulato le loro risposte programmatiche. In Veneto, in Campania e in Puglia non c’era nessun Presidente ricandidato che potesse trarre vantaggio dalle sue prestazioni di governante mettendole in contrapposizioni con le inevitabilmente meno solide promesse degli sfidanti. Peraltro, qualche vantaggio esiste quasi sempre, in termini di visibilità e di relazioni, per le coalizioni governanti. In tutt’e tre i casi, quei governi regionali potevano vantare una lunga storia, quantomeno decennale. Non ne è venuta nessuna sorpresa, ma soltanto una lezione di cui peraltro politici e commentatori attenti non dovrebbero avere necessità: se le sparse membra del centro-sinistra riescono a (ri)comporsi la loro somma può superare il numero di voti che raggranellati dal centro-destra.
Proiettare gli esiti delle elezioni regionali sulle nient’affatto imminenti elezioni politiche del 2027 (a proposito i partiti di governo ci risparmino il brutto gioco di scegliere la data solo in base alle loro convenienze e comunque decidano con un congruo anticipo), non è operazione facile. Chi la fa come, non da sola, la giustamente soddisfatta segretaria del Partito Democratico, deve essere consapevole che il “suo” campo non potrà permettersi nessuna defezione a livello nazionale, anche la più piccola potendo risultare decisiva. Quello che a livello regionale, gli elettori giustamente trascurano, vale a dire la politica estera, non potrà essere eluso a livello nazionale. Oggi come oggi e probabilmente anche domani, le differenze fra i protagonisti del campo largo, sono notevoli e non facili da spingere sotto il tappeto. Vero che la politica estera non è una priorità per l’elettorato italiano, ma basterebbero due o tre per cento di elettori che, particolarmente preoccupati, facessero mancare i loro voti perché l’ago della bilancia pendesse a destra.
Anche se sarebbe sempre preferibile che le elezioni venissero vinte da chi ha le proposte migliori e offre garanzie credibili di saperle attuare, da tempo i dirigenti dei partiti si dedicano alla manipolazione opportunistica delle leggi elettorali. Sbagliano quasi sempre; sbagliano male, e insistono rivelando di conoscere poco la materia (non sono i giuristi gli esperti dei sistemi elettorali). Qui mi limito a sottolineare che una disposizione europea ha sancito da tempo che le leggi elettorali non debbono essere cambiate nell’anno in cui si tengono le elezioni. Aggiungerei anche che è ora di smetterla con la ricerca spasmodica di stampelle sotto forma di premi in seggi per evitare pareggi immaginari. Negli occhi di chi guarda non dovrebbe trovarsi soltanto la bellezza della contendibilità del governo, fenomeno da valutare sempre in maniera positiva. Dovrebbero trovarsi le tracce anche di quei tanti, ad un certo punto sarò costretto a scrivere troppi, elettori e elettrici che alle urne, per molteplici ragioni, comprensibili, ma da me quasi mai ritenute assolutorie, non ci vanno (più). Allora, una buona contesa per il governo del paese sarà quella che sospinge dirigenti, partiti e candidati a cercare gli astensionisti e a incentivarli a tornare con noi. L’interesse di partito e di coalizione coinciderebbe con l’interesse del sistema per una crescita dei votanti. Apprezzabile effetto della ben tornata contendibilità che sarà sotto gli occhi di tutti.
Pubblicato il 26 novembre 2025 su Domani
Un’altra sinistra è possibile, ma bisogna scompaginare @DomaniGiornale

Nelle Marche il Presidente uscente, Francesco Acquaroli, ha ottenuto 50 mila voti di più dello sfidante, Matteo Ricci, europarlamentare in carica da un anno per dieci anni visibilissimo sindaco di Pesaro. Nelle Marche ha votato il 50 per cento degli iscritti nelle liste elettorali. Più di 600 mila elettori hanno preferito astenersi. Una parte di loro sicuramente non è stata in grado di andare a votare per ragioni personali, professionali, congiunturali. Una parte ha consapevolmente deciso di non andare a votare. Una parte non è stata né raggiunta né convinta dai candidati e dai loro partiti ad andare a votare. Eppure, la scelta sembrava importante.
Anche se è giusto interrogarsi sul guaio giudiziario che si era aperto intorno a Ricci, altrettanto giusto chiedersi quanto mettere al collo la bandiera della Palestina possa essere stato controproducente, ancora più interessante sapere quanti elettori abbiano deciso di appoggiare il centro-destra marchigiano per evitare contraccolpi sul governo nazionale, la risposta più soddisfacente suggerita dai numeri è che la coalizione del centro-sinistra non ha saputo mobilitare abbastanza elettori.
Tenacemente e testardamente, coerentemente, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha dichiarato che, comunque, quella del campo largo è la coalizione da perseguire: TINA (There Is No Alternative). Per chi ragiona a bocce ferme è vero: i componenti possibili e necessari sono quelli e non si vedono in giro altri attori portatori di voti. Ma politica è, rimanendo nella mia metafora, sapere giocare con quelle bocce e con i giocatori cercando di creare movimento e entusiasmo. Insomma, facendo sì che una parte almeno degli spettatori decida di dare attivamente il suo contributo, di entrare in campo. Invece, gli elementi poco incoraggianti, se non addirittura scoraggianti sembrano prevalere.
Da un lato, una parte dei Democratici fa fatica a ingoiare la necessità di un’alleanza con il Movimento 5 Stelle, ma non riesce a proporre qualcosa di diverso. Dall’altro lato, il capo delle 5 Stelle cerca quasi scientificamente di sfruttare tutte le tematiche che siano controverse all’interno del PD, a cominciare da quelle che riguardano le politiche europee, non soltanto la difesa. Tutti, poi, percepiscono che fin troppo spesso Giuseppe Conte lascia trapelare la sua ambizione di tornare a Palazzo Chigi. Anche se palesemente non sostenuta dai numeri, questa ambizione sicuramente turba non pochi elettori e consente a troppi male intenzionati commentatori di usarla contro Schlein. In qualsiasi contesto democratico, la Germania è da decenni l’esempio migliore, indiscussa è la candidatura a capo del governo del/la leader del partito che ottiene più voti. Altrimenti, si ha ricatto, anche quando non esplicito, che sicuramente inquieterebbe non pochi elettori. Infine, sicuramente fanno problema anche coloro, come spesso Carlo Calenda, che si oppongono a qualsiasi alleanza con i 5 Stelle, ma mancano della capacità di supplire al venir meno di quei voti. Però, è anche vero che è probabile che almeno una parte di elettori pentastellati nel momento della verità voterebbe comunque per una coalizione contro il governo. Peraltro, nelle Marche i numeri indicano che molti elettori già pentastellati hanno scelto di non andare alle urne forse memori del non lontano passato renziano di Matteo Ricci.
È molto probabile che le coalizioni volute da Schlein vinceranno in Toscana, Puglia e Campania, ma il rischio è che di conseguenza gli interrogativi scomodi proprio sulla qualità dei campi larghi vengano fatti sparire. Certo, l’obiettivo grosso è costituito dalle elezioni politiche nazionali del 2027. Bisognerebbe sapere fare, come scrisse e più volte disse quel grande uomo di sinistra che fu Vittorio Foa, la mossa del cavallo. Scompaginare. Uscire da quella che non sempre è una confort zone per andare a battibeccare con gli astensionisti. Meglio cominciare subito.
Pubblicato il 1° ottobre 2025 su Domani
La sinistra perdente tra quisquilie e pinzillacchere @DomaniGiornale

Esistono destini cinici e bari, ma anche, spesso, sconfitte davvero meritate. Però, non tutti gli sconfitti hanno gli stessi demeriti. Esplorarli e capirli servirebbe a politici razionali, non accecati da rancori e non obnubilati da mal poste e ingiustificabili ambizioni personali, a non commettere gli stessi errori o simili nelle prossime consultazioni elettorali. La struttura della situazione in Liguria è la stessa che esisteva in Sardegna e che si presenterà fra poche settimane in Emilia-Romagna e in Umbria (e fra qualche anno, nel 2027, sic, a livello nazionale). La coalizione di centro-destra, nonostante alcune inevitabili, anche profonde, differenze programmatiche, al momento del voto sa ricompattarsi elettoralmente e politicamente. Non è necessariamente e ineluttabilmente maggioritaria nel paese, ma segue con determinazione l’odore del potere. Nel centro-sinistra, all’inizio non esiste nessuna coalizione, solo molta competizione per “spoglie” tutte da conquistare e fin troppa ambizione per cariche ritenute appetibili. Se la coalizione, che è sbagliato definire campo, poiché non è prefissabile, ma è in movimento e mobilitabile da coloro intenzionati a farne parte, non si forma a causa di veti, gelosie e altre “bazzecole, quisquilie, pinzillacchere”, la sconfitta è quasi certa. Scaricare poi le responsabilità non servirà né a recuperare i voti perduti né a costruire una coalizione migliore, più competitiva, con qualche possibilità di vittoria.
In Liguria Giuseppe Conte è riuscito nell’impresa di perdere tre volte. Ha perso voti e seggi in maniera abbondante portando il Movimento alle soglie di quell’estinzione che Beppe Grillo rivendica come sua prerogativa. Ha perso dentro e con la coalizione di cui faceva parte dopo avere imposto l’ostracismo a Matteo Renzi anche se, diciamolo, un po’ se lo meritava. Infine, ha perso alla grande e in maniera definitiva la competizione con Elly Schlein per la guida del centro-sinistra. No, a Palazzo Chigi lui non tornerà, ma certamente sfruttando i voti che gli rimangono potrebbe riuscire, con dichiarazioni e comportamenti imbarazzanti su guerra e Europa, a rendere impossibile la vittoria del centro-sinistra. Tuttavia, sarebbe un errore molto grave per il centro-sinistra, i suoi dirigenti e i suoi guru pensare che con una qualche imprevedibile resipiscenza Conte diventerebbe l’asso della manica nei prossimi appuntamenti elettorali. In negativo, Conte può essere decisivo. In positivo, è probabilmente necessario, ma certamente non sufficiente.
Sono sorpreso dallo scarso rilievo dato al fatto che l’astensionismo in Liguria ha riguardato più della metà degli aventi diritto al voto. Certo, parte degli (ex)elettori di Toti possono avere tradotto la loro grande delusione in grande astensione. Un tempo il Movimento 5 Stelle avrebbe offerto lo sbocco elettorale ai delusi dal sistema. Questa è un’altra sconfitta di Conte. Se la sinistra non vuole che sia anche una sconfitta, non della democrazia in quanto tale, ma della sua qualità soprattutto in termini di rappresentanza ha il dovere politico e, in qualche modo, anche etico, di andarli a cercare quegli astensionisti. Per tornare a vincere potrebbe essere sufficiente raggiungerli, rimotivarli, portarli alle urne. Non conta quanto largo sarà il campo. Conta, moltissimo, in maniera decisiva, che il campo sia molto affollato da elettori ai quali è stata fatta una credibile offerta di una coalizione progressista, non litigiosa, capace di buongoverno. Altrove dissero “yes, we can” e vinsero.
Pubblicato il 30 ottobre 2024 su Domani
Oltre la stupidità. Il centrosinistra alla prova finale @DomaniGiornale

Nomina sunt consequentia rerum è una frase che sembra assolutamente fuori luogo se riferita all’espressione “campo largo” di cui Conte ha annunciato ieri l’estinzione. Infatti, senza interrogarci più di tanto su chi, forse Enrico Letta in un momento a metà fra speranza e disperazione, ne sia l’inventore, il nome “campo largo” è venuto molto prima della cosa. Anzi, la cosa, pur ampiamente oggetto di dibattito, di spesso meritati lazzi e sberleffi, proprio non esiste. Insistere nella parola mi pare addirittura masochistico. Vi ho contribuito asserendo la necessità di un campo “elastico”, ma ritengo che sia auspicabile e possibile fare di meglio anche lasciando perdere la stupida giustificazione “gli elettori non ci capiscono”. Invece, numerosi elettori che si auto-collocano fra il centro e la sinistra sentono la necessità di accordi per sconfiggere la coalizione che esprime il governo di destra-centro e, più o meno coerentemente, fa politiche di quel tipo.
Alcuni grandi uomini politici italiani hanno sempre saputo che sia per vincere davvero le elezioni, che non è mai soltanto “arrivare in testa”, sia per governare bisogna trovare alleati, fare coalizioni. Giovanni Giolitti aveva la sua ricetta che usò spregiudicatamente, con successo finché gli fu possibile. Socialisti e popolari si mostrarono molto meno accorti e aprirono la strada ai fascisti. De Gasperi non aveva molto bisogno di alleati, ma deliberatamente volle coinvolgere i partiti centristi minori nella sua opera di governo dando rappresentanza a ceti che la DC non poteva raggiungere. Tenacemente, Palmiro Togliatti perseguì la strategia di alleanze politiche e sociali. A livello locale il tentativo fu più facile e spesso coronato da successo. A livello nazionale, il fattore K (kommunismus) fu, ovviamente, bloccante.
La distinzione dei livelli è cruciale, ma sembra che i dirigenti nell’arco del centro-sinistra non l’abbiano adeguatamente compresa. Le differenze di visione sull’aggressione russa all’Ucraina e sulle politiche dell’Unione Europea, sull’immigrazione e sulla giustizia saranno un problema per fare campagna elettorale nel 2027 (sic), per conquistare elettori attenti e perplessi, probabilmente decisivi, e per governare (sic sic). Non c’è, però, quasi nessuna ragione per farle emergere e contare quando la posta in gioco è la Presidenza delle regioni, a cominciare dalla Liguria e poi Emilia-Romagna e Umbria. Non è in gioco la leadership del/nel centro-sinistra. Non è dal torneo oratorio a chi le spara più grosse, al quale, per fortuna, Elly Schlein finora non ha partecipato, che emergerà la candidatura alla Presidenza del Consiglio. Altrove, nelle democrazie multipartitiche, lo sottolineo qui e lo farò di continuo, la carica più elevata di governo va alla persona designata dal partito che ha avuto più voti. È una delle applicazioni più coerenti del principio democratico di maggioranza.
A livello locale, i veti preventivi reciproci, sulla base di sgarbi politici e personali del passato, sono semplicemente stupidi. Spesso, inevitabilmente, in situazioni competitive, sono anche tristemente controproducenti. Non solo in Italia, le sinistre moderate e “avanzate” offrono esempi di comportamenti suicidi che, di nuovo, una parte di elettori giudica deprecabili e deprimenti. La soluzione, certo più facile a dirsi che a farsi, è stabilire prioritariamente i punti programmatici assumendo l’impegno alla loro attuazione. L’affidabilità dei contraenti, uno dei quali, lo sappiamo, si fa un vanto della sua volubilità, potrebbe non essere un problema se vi fosse anche l’impegno a lasciare piena autonomia di azione, implementazione e valutazione ai dirigenti e agli eletti locali. Altrove, quello che ho scritto non è (quasi) mai un catalogo di pii desideri. È ora di imparare e praticare.
Pubblicato il 2 ottobre 2024 su Domani
Fuori campo: catalogo breve per chi sta tra il centro e la sinistra @DomaniGiornale

Nomina sunt consequentia rerum è una frase che sembra assolutamente fuori luogo se riferita all’espressione “campo largo”. Infatti, senza interrogarci più di tanto su chi, forse Enrico Letta in un momento a metà fra speranza e disperazione, ne sia l’inventore, il nome “campo largo” è venuto molto prima della cosa. Anzi, la cosa, pur ampiamente oggetto di dibattito, di spesso meritati lazzi e sberleffi, proprio non esiste. Insistere nella parola mi pare addirittura masochistico. Vi ho contribuito asserendo la necessità di un campo “elastico”, ma ritengo che sia auspicabile e possibile fare di meglio anche lasciando perdere la stupida giustificazione “gli elettori non ci capiscono”. Invece, numerosi elettori che si auto-collocano fra il centro e la sinistra sentono la necessità di accordi per sconfiggere la coalizione che esprime il governo di destra-centro e, più o meno coerentemente, fa politiche di quel tipo.
Alcuni grandi uomini politici italiani hanno sempre saputo che sia per vincere davvero le elezioni, che non è mai soltanto “arrivare in testa”, sia per governare bisogna trovare alleati, fare coalizioni. Giovanni Giolitti aveva la sua ricetta che usò spregiudicatamente, con successo finché gli fu possibile. Socialisti e popolari si mostrarono molto meno accorti e aprirono la strada ai fascisti. De Gasperi non aveva molto bisogno di alleati, ma deliberatamente volle coinvolgere i partiti centristi minori nella sua opera di governo dando rappresentanza a ceti che la DC non poteva raggiungere. Tenacemente, Palmiro Togliatti perseguì la strategia di alleanze politiche e sociali. A livello locale il tentativo fu più facile e spesso coronato da successo. A livello nazionale, il fattore K (kommunismus) fu, ovviamente, bloccante.
La distinzione dei livelli è cruciale, ma sembra che i dirigenti nell’arco del centro-sinistra non l’abbiano adeguatamente compresa. Le differenze di visione sull’aggressione russa all’Ucraina e sulle politiche dell’Unione Europea, sull’immigrazione e sulla giustizia saranno un problema per fare campagna elettorale nel 2027 (sic), per conquistare elettori attenti e perplessi, probabilmente decisivi, e per governare (sic sic). Non c’è, però, quasi nessuna ragione per farle emergere e contare quando la posta in gioco è la Presidenza delle regioni, a cominciare dalla Liguria e poi Emilia-Romagna e Umbria. Non è in gioco la leadership del/nel centro-sinistra. Non è dal torneo oratorio a chi le spara più grosse, al quale, per fortuna, Elly Schlein finora non ha partecipato, che emergerà la candidatura alla Presidenza del Consiglio. Altrove, nelle democrazie multipartitiche, lo sottolineo qui e lo farò di continuo, la carica più elevata di governo va alla persona designata dal partito che ha avuto più voti. È una delle applicazioni più coerenti del principio democratico di maggioranza.
A livello locale, i veti preventivi reciproci, sulla base di sgarbi politici e personali del passato, sono semplicemente stupidi. Spesso, inevitabilmente, in situazioni competitive, sono anche tristemente controproducenti. Non solo in Italia, le sinistre moderate e “avanzate” offrono esempi di comportamenti suicidi che, di nuovo, una parte di elettori giudica deprecabili e deprimenti. La soluzione, certo più facile a dirsi che a farsi, è stabilire prioritariamente i punti programmatici assumendo l’impegno alla loro attuazione. L’affidabilità dei contraenti, uno dei quali, lo sappiamo, si fa un vanto della sua volubilità, potrebbe non essere un problema se vi fosse anche l’impegno a lasciare piena autonomia di azione, implementazione e valutazione ai dirigenti e agli eletti locali. Altrove, quello che ho scritto non è (quasi) mai un catalogo di pii desideri. È ora di imparare e praticare.
Pubblicato il 2 ottobre 2024 su Domani
Con Renzi patti chiari Ma non c’è alternativa al campo larghissimo #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti
Attribuire tutta questa importanza a Renzi è esagerato, significa dargli un peso che non ha: il leader di Iv è solo una componente e non tutti i suoi elettori andranno dove va lui

Per il professore emerito di Scienza Politica Gianfranco Pasquino, il Pd dovrebbe cercare di mettere Renzi «davanti a delle decisioni chiare, dicendogli che deve accettarle e attuarle». Questo perché, a partire dall’alleanza alle Regionali, il leader di Iv «ha bisogno di qualche successo almeno in una prima fase, poi magari riprenderà il suo ego». Ma lo stesso Renzi «deve dimostrare di essere rilevante, influente e decisivo».
Professor Pasquino, riuscirà Elly Schlein a trovare la quadra tra Matteo Renzi e Giuseppe Conte, tra Carlo Calenda e il duo Fratoianni-Bonelli?
Schlein è nata politicamente come movimentista e quindi con i movimentisti dovrebbe saper trattare. È lei che ha coniato l’espressione campo largo e lo sta perseguendo con determinazione, anche se non tutti sono convinti di entrare o che quella sia la soluzione definitiva, se mai ce ne sia una. In questi mesi ha avuto qualche successo e davanti a sé ha tre elezioni regionali importanti in aree in cui il campo largo ha buone possibilità di vincere. In più non ci sono alternative, dunque sta cercando di fare il massimo per raggiungere l’obiettivo.
Che è la vittoria in Umbria ed Emilia-Romagna, dove l’accordo c’è già, e in Liguria, dove il via libera da parte di tutte le componenti non c’è ancora: come finirà?
In Umbria c’è la possibilità di un recupero: la giunta di centrodestra non è stata particolarmente efficace e il centrosinistra aveva perso cinque anni fa anche a causa di certi personalismi. In Liguria la situazione è che Renzi con il suo personale egoismo aveva trovato una collocazione per i suoi anche nella giunta di Genova e questo ora è un ostacolo. Dopodiché Toti ha creato un casino tale da aprire una prateria per il centrosinistra e Orlando è un buon candidato con una solida storia politica alle spalle. Nella mia Emilia-Romagna pesa il fatto che il governo sta trattenendo i fondi per l’alluvione e non ha mai fatto quel che deve. Può darsi quindi che riesca a influenzare qualcuno con la promessa di sbloccare i fondi, ma la Regione mi sembra scarsamente contendibile dalla destra.
Pensa che in Liguria sia andato in scena, come ha accusato Toti, un altro atto della guerra tra politica e magistratura?
Quello che mi ha colpito è che Toti ha rivendicato che quello era il suo modo di fare politica. Non so se questo sia un reato ma comunque non sono d’accordo. Bisogna fare politica riuscendo ad attrarre gruppi e associazioni su decisioni che guardano avanti, non si possono concordare quelle decisioni in cambio di qualcosa, sia che siano voti o soldi. E quindi penso che Toti abbia sbagliato strada e anche difesa. La “guerra”, spesso, è tra alcuni politici, che a volte commettono reati, e magistrati che magari sono un po’ più “cattivi” o semplicemente più attenti di altri.
Tornando alle Regionali, il M5S è restìo ad accettare Renzi in coalizione: è necessaria la sua presenza?
Renzi rimane comunque inaffidabile, sia quando si riavvicina al centrosinistra che quando si allontana. Bisogna cercare di metterlo davanti a delle decisioni chiare, dicendogli che deve accettarle e attuarle. Credo che su questo punto lui sia disponibile perché ha bisogno di qualche successo almeno in una prima fase, poi magari riprenderà il suo ego. Ma deve dimostrare di essere rilevante, influente e decisivo.
Alla festa dell’Unità di Pesaro è stato accolto da applausi, altrove c’è stato qualche fischio: come la prenderanno gli elettori dem e M5S?
Gli elettori del Pd non hanno alcun altro partito nel quale andare, perché non è che i rapporti con Calenda siano migliori di quelli con Renzi. Quindi magari potrebbero protestare ma poi voteranno comunque Pd. Più difficile la situazione del M5S. Da una parte ci sono iscritti e militanti i quali sono contrari a Renzi e li capisco, visto che è la causa della caduta del governo Conte. Tuttavia gli elettori contiani sanno che bisogna comportarsi in maniera saggia e quindi che solo il campo largo offre un’alternativa alla destra e a Meloni.
Insomma, Renzi sì o Renzi no nel campo largo?
Le diversità di vedute ci sono e sono destinate a rimanere. Ma basta non accentuarle e metterle da parte. Ci sono opportunità da sfruttare ed esagerare con le prese di distanza porta alla sconfitta, come il centrosinistra dovrebbe aver imparato. La questione è in fieri e ce la porteremo avanti ancora per un po’. Ma attribuire tutta questa importanza a Renzi è esagerato, significa dargli un peso che non ha. Renzi è solo una componente e non tutti i suoi elettori andranno dove va lui.
Tra i temi che uniscono i partiti del campo largo si parla di sanità e Ius scholae, ma ci sono anche molte differenze: come possono pensare a un programma di governo partiti così diversi tra loro?
Qualsiasi discorso sul programma di governo mi pare prematuro. Questo esecutivo andrò avanti fino al 2027 tranne drammatiche diversità di vedute, come sullo Ius scholae, che Tajani sottolinea per questioni elettorali ma consapevole che non andrà da nessuna parte. La differenza vera è tra l’antieuropeista Salvini e l’europeista Tajani. In mezzo c’è Meloni che non solo sa che in Europa ci deve stare ma che deve anche assumere certe posizioni per contare qualcosa. Dopodiché al governo si arriva passando per alcune vittorie nelle elezioni locali e se il campo largo dimostra che si possono fare accordi a livello locale poi quegli accordi possono essere riproposti anche a livello nazionale.
Sulla politica estera anche nel Pd ci sono contrasti, basti pensare all’utilizzo delle armi in dote all’Ucraina: non è questo un punto dirimente sul quale basare l’alleanza?
Sul tema vedo delle tensioni e dei conflitti ma non è li che si farà l’alleanza. Ci sono due elementi del quale tenere conto: primo è che questi politici rappresentano una Repubblica nella quale ci sono visioni diverse sulle armi a Kiev. Paradossalmente questa classe politica rappresenta l’opinione pubblica, anche se non è in grado di educarla. In secondo luogo tutto sommato l’Italia è irrilevante. In politica estera contano Francia, Germania e ultimamente Svezia e Finlandia dopo l’entrata nella Nato.
Pubblicato il 4 settembre 2024 su Il Dubbio
Non basta allargare il campo e bisogna allungare lo sguardo @DomaniGiornale

Nel valutare l’esito di una qualsiasi elezione bisogna sempre tenere conto di una pluralità di elementi. La natura di quella coalizione è soltanto uno di quegli elementi. In Sardegna esiste il voto disgiunto: per il/la Presidente e per un partito diverso (ha premiato, per molte buone ragioni, Alessandra Todde). In Abruzzo il candidato del centro-destra era il Presidente in carica, l’incumbent. In Sardegna, il centro-destra ha candidato un sindaco non molto apprezzato in sostituzione del Presidente uscente non ritenuto all’altezza. In una competizione bipolare le candidature contano, eccome. Possono essere decisive. Proprio per questo è opportuno curarsi anche delle modalità con cui verranno scelte in Basilicata e in Piemonte. A livello nazionale è (quasi) tutta un’altra storia, ma rimane raccomandabile scegliere bene le candidature parlamentari.
Certo, riuscire a costruire una coalizione “larga”, “giusta” e “coesa” può essere decisivo, magari offrendo agli elettori una spiegazione convincente e trascinante, talvolta coinvolgendoli (che fine hanno fatto le primarie previste nello Statuto del PD?) e, soprattutto, trovando originali priorità programmatiche. Mettere insieme le sparse membra dei progressisti-(non trovo termine migliore, comunque, dovranno essere i “centristi” a decidere dove andare-, è tanto difficile quanto indispensabile se si vuole tornare a vincere. L’Abruzzo non è né la Sardegna né l’Ohio (che ho visitato tre volte e dove non c’è nessuna necessità di fare coalizioni). Non è, con tutto il rispetto, neppure l’Italia. Non c’è una lezione specifica da trarre dall’esito elettorale. Le riflessioni politiche debbono basarsi su un dato strutturale noto e su uno ignoto e su alcuni elementi congiunturali.
Il dato strutturale noto è che il centro-destra è da trent’anni una coalizione più o meno larga e coesa e che i suoi dirigenti conoscono le rispettive ambizioni e preferenze, riuscendo quasi sempre a renderle compatibili. Il dato ignoto è quanto i dirigenti dei progressisti siano disposti a sacrificare delle loro ambizioni personali e politiche per l’obiettivo (mi auguro) comune: sconfiggere il centro-destra. Dalle loro dannose divisioni del passato non sembrano avere ancora imparato abbastanza. Però, esiste più di una probabilità che, facendo di volta in volta coalizioni, costruendo un campo, non mi mancano gli aggettivi, ma preferisco decente, riescano a trovare una pluralità di punti d’accordo e a mettere in secondo piano i punti di disaccordo.
Sembra molto più facile, oggi, procedere sulla strada degli accordi locali che di un grande accordo nazionale. A livello locale, poi, quegli accordi dovrebbero portare anche a ridurre le distanze fra gli elettori cosicché si uscirebbe dalla brutta e dannosa spirale centrifuga: perdere, da una parte, elettori relativamente più moderati, dall’altra parte, elettori più progressisti. Tutto quello che costruisco qui con il mio fidato e affidabile computer va costruito sul campo, senza aggettivi, dai dirigenti, degli attivisti, dai candidati/e. Entrano in gioco i dati che ho definito congiunturali. Il primo, forse il più importante, è quello della legge elettorale con la quale si voterà prossimamente (considero fortemente inadeguata e distorcente la legge attualmente in vigore). Un buon sistema elettorale proporzionale, ad esempio, quello tedesco, non richiede, ma non scoraggia, le coalizioni. Il maggioritario francese a doppio turno le rende indispensabili. Il secondo, imprevedibile, dato congiunturale riguarda quali saranno i temi salienti in occasione delle elezioni politiche. Però, è facile ipotizzare che come stare nell’Unione Europea e come porsi di fronte alle guerre rimarranno temi ineludibili. Non è immaginabile una coalizione che si candidi a governare l’Italia se non ha raggiunto una posizione condivisa su entrambi i temi.
Pubblicato il 13 marzo 2024 su Domani
Solo un campo largo può far vincere la sinistra @DomaniGiornale


Scrutare nelle viscere di elezioni amministrative che riguardano forse un quinto dell’elettorato, in comuni molto diversi fra loro e diversamente governati, con sindaci uscenti, sindaci alla ricerca del secondo mandato, tabula rasa con new entries, è un esercizio difficile per osservatori raffinati. Tuttavia, è cosa buona e giusta esercitarvisi poiché i voti rivelano sempre qualcosa di interessante. La prima osservazione è che a livello nazionale non ha fatto la sua comparsa nessuna tematica nuova di tale importanza da influenzare gli esiti locali. In secondo luogo, nessuno dei contendenti ha saputo suggerire qualche novità/innovazione. Al contrario, molto si è giocato sulla continuità/continuazione e l’effetto inerzia abitualmente va a favore di chi governa senza dare grattacapi alla cittadinanza Infine, non si sono visti errori clamorosi. In buona sostanza, dunque, nel voto al primo turno la differenza l’hanno fatta le candidature e le alleanze. Ai ballottaggi, in particolare laddove i distacchi sono contenuti, oltre alle candidature, decisive saranno le alleanze.
Baloccarsi con la democrazia compiuta che per molti significa non soltanto la possibilità, ma la realtà dell’alternanza pensando che sia prodotta o quantomeno facilitata dalla legge elettorale è semplicistico benché non essenzialmente sbagliato. A far vincere il centro-destra, ieri (e forse anche domani) a livello nazionale è stata la capacità di costruire, mettendo a tacere i riluttanti, una coalizione. Sbeffeggiare Enrico Letta che voleva, con una modica dose di velleitarismo, un “campo largo”, è certamente un errore sgradevole. Se coloro che ritengono inadeguato in termini di politiche e nocivo in termini di valori il governo di centro-destra, non sanno/non vogliono offrire una coalizione alternativa, ma preferiscono geometrie variabili opportunistiche, sarà il caso che mettano in conto molte sconfitte future.
Poiché i numeri contano, nel centro-sinistra talvolta possono essere (quasi) determinanti i dirigenti del sedicente Terzo Polo. Però, peso maggiore e conseguentemente responsabilità maggiore la porta Giuseppe Conte. A livello locale, il Movimento 5 Stelle, ancorché non marginale, spesso non ha abbastanza radicamento. Ai ballottaggi i suoi elettori andranno in ordine sparso, per lo più votando il candidato di “area”, spesso PD, altrimenti rifluendo nell’astensione. A livello nazionale quel 15 per cento potrebbe essere, probabilmente sarà (scommetto sul futuro) decisivo. Ne sapremo molto di più quando disporremo dei dati delle elezioni per il Parlamento europeo. Prima di allora, qualche elemento utile verrà dai ballottaggi poiché saranno gli elettori stessi a mostrare le loro preferenze, seguendo oppure no le eventuali indicazioni di Conte (temo che impersonerà Ponzio Pilato, come lui sbagliando). Ottimisticamente, Il proverbio dice “sbagliando s’impara”.
Pubblicato il 17 maggio 2023 su Domani
Letta, il Pd e gli elettori indecisi da conquistare @DomaniGiornale


Quel quaranta percento di elettori indecisi qualcuno dovrà pure cercarli, parlare loro, convincerli. Certo, almeno la metà di loro alla fine deciderà che non può o non vuole votare, ma quelli che andranno alle urne sono potenzialmente decisivi. Potrebbero allargare il campetto sul quale gioca la sua partita, spero non della vita, Enrico Letta. Difficile, però, che per farli affluire alle urne, se non entusiasticamente, almeno fortemente consapevoli della posta in gioco, sia sufficiente il pur doveroso richiamo all’antifascismo. Sarebbe come giocare in difesa tutta la partita, spettacolo mai esaltante per gli spettatori, in attesa del contropiede vincente, e poi chi sarebbe il contropiedista capace di segnare? Allora, farebbero meglio Letta e i suoi compagni/e, chiedo scusa, alleati a definire meglio il campo di gioco e a cercare le giocate giuste. L’Europa, quella che c’è e quella che vorremmo, è il campo di gioco della nostra vita, retoricamente, del destino nostro, dei figli e delle nipoti. L’Europa che ci rilancia con il PNRR, che ci darà un gas sostenibile, che ci difende dalle aggressioni, che estende la democrazia. L’Europa che non cancella affatto l’identità degli italiani, ma che la considera parte integrante dell’identità che stiamo costruendoci come europei. Agli elettori, dunque, diremo che fare gli scettici, i furbi, i sovranisti con l’Europa significa non rafforzare l’Italiani e gli italiani, ma indebolirla fino a metterla tristemente ai margini (nella metafora “a bordo campo”). Non basterà, ma ce n’est qu’un début. Da lì si inizia, lì si deve innovare e progredire.
Periodicamente, c’è qualcuno che afferma in maniera saccente che le crisi sono opportunità, possono sprigionare creatività. Cominciamo dai fatti, prima delle innovazioni. Bene ha fatto Letta a insistere su una risposta europea (price cap) al prezzo del gas. Europea è stata, e deve continuare a essere, la risposta all’aggressione russa alla Ucraina. Europea bisogna che sia la risposta all’immigrazione, una risorsa, non solo demografica, ma da guidare e regolamentare. Agli elettori indecisi interessa sicuramente il quadro complessivo nel quale si muoverà l’Italia nei prossimi cinque anni, ma ciascuno di loro/noi desidera ascoltare dai candidati, dai partiti, dai dirigenti promesse credibili di rapida realizzazione. Qualche volta la destra le spara grosse: tassa piatta e bassa e blocco navale. Qualche volta è ripetitiva: le pillole scrostate di Berlusconi. Proposte nuove e realizzabili sarebbero decisive per gli elettori indecisi (bisticcio voluto). La vita è lavoro, meglio se gratificante e adeguatamente remunerato, a partire dal reddito di cittadinanza. Questa è un’idea di sinistra, di progresso, di potenziale successo. Attendo la “declinazione” sintetica e allettante da giocatori e allenatori del campetto/campolargo.
Pubblicato il 31 agosto 2022 su Domani
