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Legge elettorale carsica: bentornato, Mattarellum #leggeElettorale #mattarellum

Dov’è finita l’urgentissima legge elettorale? Sono i gufi a fare melina oppure i renziani che, rattrappiti dopo la botta alla legge più bella d’Europa, boccheggiano? Sono quei renziani a temporeggiare sperando di trarre qualche linfa dalle votazioni per il prossimo segretario? Ma se la legge elettorale è di tutti e per tutti perché attendere l’evento di un partito? Comunque, alla Camera dei deputati quel che ne rimane del Partito Democratico ha la maggioranza assoluta dei seggi. È sufficiente che introduca il Mattarellum, magari come primo atto riformista dell’inopinato Ministro delle Riforme Anna Finocchiaro, e lo faccia votare. Dopo, brevissimo il passo, toccherà al Senato dove il PD finalmente nominerà il Presidente della Commissione Affari Costituzionali, per esempio, un Senatore competente come Federico Fornaro, adesso di Articolo 1, e subito dopo chiederà a uomini e donne di qualche volontà di procedere all’approvazione perché prima o poi si tornerà alle urne e, insomma, è meglio avere una legge votata dal Parlamento piuttosto che un testo scribacchiato (eh, sì, cara Corte Costituzionale, proprio di scribacchio si tratta) da non proprio competentissimi giudici. Le leggi elettorali non sono affare da giuristi, ma richiedono conoscenze politologiche. Periodicamente, è anche giusto ricordare a quelli che parlano di sovranità popolare che il Mattarellum non è caduto dal cielo e neanche dalla Consulta, ma è stato in prima e grandissima misura il prodotto di un referendum popolare approvato il 18 aprile 1993 da quasi il novanta per cento dei votanti. L’esito si applicava direttamente soltanto al Senato cosicché i deputati pensarono soprattutto a salvarsi la pelle, ovvero il seggio, e ne venne fuori il Mattarellum con la scheda di recupero proporzionale, ma anche con la possibilità per gli ornitologi di fare le liste civetta per non perdere neanche un voto del cosiddetto scorporo. Brutto trucchetto che nel 2001 costò, a chi aveva ecceduto nella furbata, cioè la Casa delle Libertà, la bellezza di undici seggi.

In attesa della moral suasion del Presidente Mattarella che, ne sono sicuro, arriverà, arriverà, comincio con il ricordare a Forza Italia e al suo ultraottantenne fondatore e capo che con il Mattarellum furono loro a vincere due volte (1994 e 2001) su tre, sequenza spezzata fortunosamente dall’Ulivo, ma soltanto perché la Lega si chiamò o restò fuori dalla berlusconiana coalizione nel 1996. Quanto al vero obiettivo di Berlusconi: nominare i suoi parlamentari, con il Mattarellum potrà continuare a farlo con grande sollievo di tutti i e le candidabili. Naturalmente, poi, anche quei nominati dovranno trovarsi i voti per l’elezione vera e propria: un bagno di politica. Adesso, mi aspetto che tutti gli adamantini sostenitori di Porcellum e Italicum (due leggi elettorali proporzionali neanche troppo molto distorte dal premio di maggioranza: con il Porcellum i seggi maggioritari nel 2008 ammontarono al 15 per cento; nel 2013 al 30 per cento; con l’Italicum non sarebbero stati meno del 25 per cento), dolorosamente colpiti da quello che, sbagliando, definiscono un ritorno alla proporzionale e contraddicendo il loro capo renziano, quello del non avere paura del futuro, fanno riferimento al terrorizzante spettro di Weimar, convergano sul Mattarellum. Di sistema elettorale maggioritario si tratta, per di più in collegi uninominali dove, almeno qualche volta, la personalità dei candidati e la campagna elettorale possono, come vorremmo noi, ma dovrebbero volere anche loro, fare una differenza re-instaurando una democrazia competitiva. Se sarà anche bipolare lo vedremo a voti contati come si racconta che succede in tutte le democrazie del mondo.

Abbandonando pregiudizi e leggende metropolitane che opinionisti anche di non altissimo livello dovrebbero sottoporre al vaglio della critica e di buone letture, chi vuole una legge elettorale decente ha l’obbligo morale di chiedere quello che si può effettivamente e rapidamente ottenere. Il Mattarellum rivisto sullo stampo di quello esistente per il Senato non richiederebbe né alla Camera né al Senato stesso che piccolissimi ritocchi ai collegi uninominali. Mattarellum 2.0: thank you. Tutto il resto sono manipolazioni riprovevoli di chi pensa soltanto a come fare vincere non il proprio partito, ma la propria fazione. Non ha funzionato il 4 dicembre, non funzionerebbe neppure nel febbraio 2018.

Amenità
È arrivata, scrive il “Corriere della Sera” (29 marzo, p. 10), “la mediazione di Giuliano Pisapia … il Mattarellum con collegi più piccoli sarebbe una legge che avrebbe vantaggi enormi per aggregare le coalizioni”. Poiché i collegi del Mattarellum sono uninominali, vale a dire eleggono UN solo candidato, per diventare più piccoli dovrebbero eleggere mezzo candidato? un quarto di candidato? un decimo di candidato? Tutto questo dopo trent’anni di dibattito elettorale. And the rest is silence (Amleto).

Pubblicato il 30 marzo 2017 su PARADOXAforum

Italicum: Renzi gioca d’azzardo ma (stavolta) rischia di perdere

Il sussidiario

Intervista raccolta da Pietro Vernizzi per ilsussidiario.net

Ora tutto dipenderà da come l’Italicum sarà votato: con o senza fiducia e con o senza scrutinio segreto. Renzi sta facendo il giocatore d’azzardo, e in questi casi a volte si vince, ma in altre si perde“. E’ il commento di Gianfranco Pasquino, professore di Scienza politica alla Johns Hopkins University di Bologna. Ieri la commissione Affari costituzionali della Camera ha approvato la legge elettorale che da lunedì sarà discussa dall’aula di Montecitorio. Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme istituzionali, ha lanciato un appello subito dopo il voto: “I gruppi parlamentari rinuncino a chiedere il voto segreto in aula sulla riforma elettorale”. A stretto giro la risposta di Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia: “Sulla riforma della legge elettorale lo strappo lo ha fatto Renzi, deportando dieci suoi parlamentari in Commissione Affari costituzionali“.

Come valuta il testo finale dell’Italicum votato in commissione?

L’Italicum nel corso del tempo è stato migliorato ma ci sono tre punti che potrebbero essere modificati facilmente. Il primo aspetto che andrebbe cambiato riguarda le candidature multiple, che andrebbero subito abolite. I capilista bloccati inoltre fanno sì che due terzi dei parlamentari saranno nominati, e che ciò varrà per il 1 00% dei parlamentari di tutti i partiti esclusi quelli di Pd e forse M5S. La stessa minoranza Pd così può scordarsi di essere nominata o di riuscire a entrare nuovamente in Parlamento. La terza questione riguarda il premio di maggioranza.

Che cosa va cambiato?

Il premio di maggioranza non deve essere attribuito a una lista. I sostenitori dell’attuale formulazione sostengono che la lista è più compatta e quindi garantisce maggiore governabilità. Io al contrario sono convinto che bisogna incentivare la formazione di coalizioni. Altrimenti ci sarà una lista che ha il premio di maggioranza e quattro o cinque “listine” incapaci di fare opposizione. La verità è che, se non cambierà nulla, l’unica opposizione vera che ci sarà nel prossimo Parlamento sarà quella dell’M5S.

Renzi ha mai affrontato prima una prova di forza come quella sull’Italicum?

Renzi affronta soltanto prove di forza. Ha affrontato la prova di forza contro Bersani e quindi quella contro Letta. Se quest’ultimo avesse chiesto a Napolitano di mandarlo alle Camere per fargli votare la sfiducia, le cose sarebbero andate in modo diverso. Il metodo del premier è quello di andare allo sbaraglio, finora è stato fortunato ma sicuramente non continuerà così anche in futuro. Tanto è vero che quando ha tentato la prova di forza con l’Ue non ha ottenuto granché.

Il premier esce indebolito o rafforzato dalla vicenda dell’Italicum?

Da un lato esce leggermente ammaccato perché schiacciare le minoranze implica anche il fatto di subire un calo di popolarità. A qualcuno che pure fa parte della maggioranza del Pd non è piaciuto il modo in cui Renzi ha trattato le minoranze. La sostituzione dei dissidenti in commissione era tecnicamente possibile, ma da un punto di vista politico è stata molto sgradevole. Ora tutto dipenderà da come l’Italicum sarà votato: con o senza fiducia e con o senza scrutinio segreto. Renzi sta facendo il giocatore d’azzardo.

Che cosa accadrebbe se Renzi cedesse e accettasse le modifiche?

Se Renzi cedesse sulle candidature multiple e sui capilista bloccati non succederebbe nulla. La minoranza sarebbe contenta, perché potrebbe finalmente organizzarsi sul territorio e candidare i suoi esponenti. Lo stesso vale se rinunciasse al premio di lista anziché di coalizione, perché se lo volesse, il Pd potrebbe comunque andare al ballottaggio da solo. Quindi siamo di fronte a un incaponimento stupido. Il ministro Boschi ha rimarcato che sono nove anni che aspettiamo la legge elettorale: benissimo, quindi nulla impedisce di aspettare altri due mesi.

Perché Renzi comunque non vuole accettare delle modifiche ragionevoli?

Renzi vuole dimostrare di essere lui a decidere tutto e di essere in totale controllo del partito e dello stesso gruppo parlamentare. Al punto da schiacciare i deputati del Pd e in particolare a obbligare alle dimissioni il capogruppo Roberto Speranza. In questo modo vuole mandare alla gente il messaggio che lui è molto più forte, innovativo e deciso di tutti i suoi predecessori.

Lei prima ha parlato del gioco d’azzardo di Renzi. Che cosa rischia in questo caso?

Se chiede il voto di fiducia e perde, deve dare le dimissioni. Se perde ma senza la fiducia, può ricominciare prendendo atto del fatto che ci sono degli emendamenti che non ha lasciato che fossero discussi in commissione. Se queste integrazioni fossero accettate potrebbero migliorare la legge e consentirne l’approvazione in tempi brevi. Con gli emendamenti che ha presentato, la minoranza sarebbe disposta a votare la legge.

Per Berlusconi, l’Italicum è una legge autoritaria e Renzi è malato di bulimia di potere. Come si spiega questo voltafaccia?

Berlusconi è un opportunista, perché quella legge contiene molte delle cose che lui vuole a cominciare dai capilista bloccati e dalle candidature multiple. Alcuni esponenti legati al Cavaliere non hanno la certezza di essere eletti, e quindi le candidature multiple offrono loro maggiori chance. Lo stesso premio di maggioranza è stato inventato con il Porcellum di Berlusconi e Calderoli. L’Italicum contiene molto del Porcellum, al punto che secondo me è un Porcellinum.

Pubblicata il giovedì 23 aprile 2015

Sopruso politico dei renziani

Sostituire i componenti di una Commissione non viola né il regolamento della Camera né, tantomeno, la Costituzione. Il titolare è malato oppure, come avviene abbastanza spesso, è impegnato in un’altra Commissione -quelle non permanenti prosperano. Oppure è bloccato da inconvenienti logistici, trasporti difficili e in ritardo, oppure è in missione ufficiale in Italia/all’estero. La sostituzione, riguardante uno al massimo due componenti di un gruppo, non soltanto è praticabile, abitualmente decisa dal capogruppo (che, lo dico subito, nel Partito Democratico al momento non esiste), è anche indispensabile per garantire il numero legale e la funzionalità della Commissione. Il caso estremo, ma molto importante, è dato dalla sostituzione temporanea, ad rem, vale a dire per un provvedimento specifico, affinché subentri un parlamentare particolarmente esperto della materia in discussione. Nulla di tutto questo si applica alla sostituzione di massa, addirittura dieci, degli esponenti della minoranza del Partito Democratico in Commissione Affari Costituzionali. Non risulta che i subentranti, il cui unico titolo è quello di essere renziani “spinti”, siano più competenti in materia elettorale di coloro che hanno sostituito né che posseggano expertise non altrimenti acquisibile né, quel che conta molto, abbiano seguito il dibattito, lungo, aspro, serrato e quindi siano particolarmente preparati e in grado di dare qualche contributo per migliorare l’Italicum. Anzi, i sostituti sono stati chiamati per stare zittissimi e votare la linea. Curioso che gli stessi renziani che sostengono che non esiste un sistema elettorale perfetto difendano l’Italicum come se fosse perfetto e non accettino, per principio, nessuna miglioria.

Da qualsiasi prospettiva la si guardi la sostituzione di massa dei Commissari della minoranza non è soltanto una forzatura. E’ un sopruso politico. Grave sarebbe se diventasse anche un precedente. Tutte le volte che un capogruppo subodora che un Commissario del suo gruppo/partito esprimerà riserve o, peggio, addirittura il suo esplicito argomentato dissenso (lasciando nei resoconti una traccia significativa) che potrebbe culminare in un voto contrario, voilà, procederà fulmineamente alla sua sostituzione, naturalmente, ad rem, solo per quella discussione e votazione. Renzi, Boschi, Guerini e Serracchiani, all’unisono con tutti i renziani della prima e delle prossime ore, ovvero le ore delle (ri-)candidature, dichiarano che un partito non è e non deve essere un’armata Brancaleone (che, lo ricordo, era variegata, ma anche molto divertente). Preferiscono fare del PD una caserma dove i soldati sono costretti all’obbedienza assoluta senza discussione dai sergenti di turno. La democrazia non abita nelle caserme anche se, qualche volta, per migliorarne la funzionalità persino i sergenti ascoltano i soldati che ne possono sapere di più su aspetti specifici della vita militare.

No, i pasdaran renziani non hanno questa volontà e neppure la capacità di ascolto. Sostengono, contro tutto quello che hanno scritto i teorici della democrazia da Hans Kelsen a Norberto Bobbio, che la democrazia è decisione a maggioranza “senza se e senza ma”. Imponendo di uniformarsi alla maggioranza del gruppo, adesso in Commissione, poi, lo hanno già annunciato, coartati dal voto di fiducia, anche in Aula, i renziani rischiano di calpestare l’art. 67 che prescrive ai parlamentari di esercitare le loro funzioni “senza vincolo di mandato”. Purtroppo, non posseggo la famosa e indispensabile sfera di cristallo per prevedere che Renzi voglia comunque utilizzare l’Italicum per andare subito, facendo saltare la riforma, peraltro non di spettacolare qualità, del Senato, a elezioni anticipate sia se approvato sia se bocciato. Sono sicuro che, comunque vada, la sostituzione dei dissenzienti in Commissione è il prodromo della loro non ricandidatura. Peccato, l’imperfetto Italicum rimarrà brutto e cattivo, il Partito Democratico darà dimostrazione che il suo aggettivo non è perfettamente attinente, i cittadini non avranno maggiore potere elettorale e le prossime elezioni non miglioreranno la qualità dei parlamentari (ancora nominati per circa tre quarti).

Pubblicato AGL 23 aprile 2015

Riforme istituzionali, Pasquino: “È un sistema pasticciato, manca la visione d’insieme”

Il tempo

Non c’è il rischio di autoritarismo, ma potrebbe aprire varchi ai poteri forti”. Il politologo: “Renzi ha concepito la riforma come un suo trofeo, ma non è chiaro cosa voglia ottenere

Intervista di Giordano Locchi per IlTempo.it 8 agosto 2014

BOLOGNA Il clima è afoso, l’università è praticamente deserta. Ma il professor Gianfranco Pasquino siede nel suo studio al campus bolognese della Johns Hopkins, sede europea della Scuola di Studi internazionali avanzati della prestigiosa università americana e del suo Istituto di ricerca politica. La politica italiana, d’altronde, ancora non è andata in ferie. Palazzo Madama ha serrato i ranghi per arrivare al primo «sì» alla riforma del Senato in tempo per la pausa estiva. E il professore, politologo di fama internazionale, dopo 40 anni di attività accademica alle spalle, ancora si infervora, ancora si appassiona quando si tratta di commentare quello che succede a Roma, nei palazzi del potere. Non ha mai nascosto le sue simpatie a sinistra. Per il premier, però, ha altre parole. «L’insofferenza per le opinioni altrui è un bruttissimo segnale – dice – . Il tentativo di sfuggire al confronto è un sintomo di debolezza: se davvero si passasse a un esame condiviso delle idee, Renzi ne avrebbe poche da mettere sul tavolo. E non so fino a che punto saprebbe argomentarle. Va bene prendere decisioni, ma ci vuole una cultura politica di un certo peso per farlo in questo modo».

Attenzione Pasquino, così fa “il gufo-professore”…
«Guardi, ho tanti capelli ma non verrò relegato a recitare la parte del “parruccone”. Ho le mie opinioni, ma ho studiato e posso permettermi di dire che le mie idee si confrontano con la realtà. Cerco di vedere quello che succede negli altri Paesi, e di proporre qualche modesta soluzione per il nostro sistema politico».

Proprio per questo il presidente del Consiglio ce l’ha con gli opinionisti e i professori. Ha detto che bisogna smetterla col “discussionismo”…
«Mi piace il disprezzo per la cultura di Renzi perché mi ricorda il “culturame” di cui parlava Scelba. Il governo sostiene che il dibattito sulla riforma costituzionale è durato mesi. Considerando i ritmi con cui si riunisce la commissione Affari costituzionali e le elezioni nel mezzo, non mi pare che ci sia stata questa discussione estenuante. Ma il problema non è la fretta…»

E quale?
«Il problema è il contenuto della riforma. È un testo importante che punta a superare il bicameralismo paritario (non chiamiamolo “perfetto”, perché funziona malissimo): una scelta possibile, forse necessaria. Ma è sbagliato pensare che un risultato di questo tipo sia un trofeo per il governo. Renzi alzerà in alto la sua coppa, e poi dovremo chiedergli cosa fare di questo -0,2% di Pil…»

Non crede che il nuovo Senato potrà aiutare il sistema politico a funzionare meglio?
«È difficile dirlo. Da un punto di vista scientifico, delle riforme non possiamo mai prevedere in anticipo tutte le conseguenze. Prima di pensare al risultato, però, si doveva pensare con più esattezza a cosa si voleva ottenere. Non è affatto chiaro».

Renzi è sicuro del risultato perché ha i voti in Parlamento. Il nuovo incontro con Berlusconi a Palazzo Chigi non ha lasciato molti dubbi a questo proposito. Perché il Cavaliere è così generoso con il premier?
«Berlusconi ha bisogno di una legge elettorale che gli consenta di essere il secondo, se non il primo; di riunire sotto le sue braccia le membra sparse del centrodestra; di nominare i parlamentari perché possano dipendere da lui. C’è un problema di età: questa sfida la deve vincere adesso. E il doppio turno gli è congeniale. Non aspetta altro che gettarsi in una nuova campagna elettorale, dove è il più bravo. A differenza della sinistra, nel ballottaggio farebbe scintille».

E Renzi?
«Il suo vuole essere una sorta di atto di indipendenza e di anticonformismo, uno schiaffo a chi diceva “mai con Berlusconi”. È vero che FI offre i suoi voti, ma chissà se sarà sempre di parola. Renzi non deve dimenticarsi che lui dipende soprattutto da Alfano».

E non le sembra che l’asse Renzi-Berlusconi agisca proprio come forma di ricatto nei confronti dei piccoli partiti? In fondo se le soglie verranno abbassate, i “cespugli” lo dovranno ai due grandi leader…
«Io credo che Renzi avrebbe dovuto prima confrontarsi con la sua maggioranza, e solo dopo con Forza Italia. Il resto fa parte della tattica; appartiene all’audacia, ma anche alla superficialità del premier. La verità è che l’Italicum è stato ritagliato per garantire potere proprio ai leader dei due partiti maggiori dei due schieramenti».

L’Italicum, però, contiene il doppio turno. Una misura che voi politologi chiedete da anni.
«È la posizione ufficiale della Società italiana di Scienza politica e io la confermo. Il 90% dei docenti ha votato per il doppio turno. Questa legge però è figlia del professor D’Alimonte, che secondo me ha guardato più agli interessi di Renzi che alle indicazioni della comunità scientifica».

Cosa c’è che non va?
«Io critico il disegno complessivo. Un sistema politico è un insieme di elementi che si tengono insieme. Se si toglie da una parte (se si elimina il Senato elettivo), occorre riequilibrare dall’altra (la legge elettorale). I due passaggi dovevano andare di pari passo. La stessa cosa accade per l’elezione del Capo dello Stato, perché i nuovi 100 senatori cambiano la platea elettiva per il Quirinale. Quale Repubblica vogliono? Manca una visione d’insieme».

Esiste un pericolo di autoritarismo?
«No, non credo. È solo un sistema pasticciato, non autoritario. Ma proprio perché la riforma istituzionale manca di una logica complessiva, potrebbe aprire varchi ai poteri forti».

E Grillo, invece, non le pare in difficoltà?
«Forse la riforma del Senato lo ha messo un po’ in difficoltà nel contestare il dato indiscutibile che numerosi senatori lasceranno la poltrona. Anche dal punto di vista della comunicazione, ci sono molte espressioni renziane che vanno a pescare nell’immaginario grillino. Ma il Movimento 5 Stelle è un partito antisistema. E in Italia c’è una fetta di elettorato che è di per sé antisistema. Se i 5 Stelle continuano a contestare la casta, manterranno un 21-22% di consensi. Sul territorio hanno tutte le possibilità di radicarsi. E a quel punto, nel nuovo Senato “delle Autonomie”, potranno contare su una buona rappresentanza».

Giordano Locchi

Il dissenso non cambia verso

Il passaggio, come si dice “armi e bagagli”, di alcuni parlamentari dal partito (o coalizione) nel quale sono stati eletti ad altro partito (o coalizione), spesso dall’opposizione al governo, ha in Italia una lunga e non apprezzata storia. Ha anche un termine specifico: trasformismo, praticamente intraducibile in altre lingue. Tuttavia, che i parlamentari dovessero godere di autonomia di giudizio e di voto, anche rispetto al loro partito e al loro governo, i Costituenti vollero sancirlo con grande chiarezza. “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” (art. 67). In pratica e nella maggioranza dei casi, i parlamentari condividono la visione di società che ha il partito al quale appartengono e che li ha fatti eleggere e hanno l’obbligo di cercare di tradurre il programma presentato agli elettori (che li hanno votati) in leggi, in politiche pubbliche. I partiti e i loro gruppi parlamentari possono, di conseguenza, chiedere ai loro parlamentari di comportarsi e di votare in maniera disciplinata ogniqualvolta in questione sia l’approvazione di parti del programma. Dal canto suo, il parlamentare ha l’opportunità di comportarsi diversamente, richiamandosi all’assenza di vincolo di mandato, tutte le volte che le materie in discussione e in votazione esulano da quanto sottoposto all’elettorato. Sappiamo che la maggioranza dei parlamentari nella maggioranza dei casi appoggerà la linea del partito, ma l’art. 67 della Costituzione vuole garantire la libertà di voto proprio nei casi estremi.

Né sulla responsabilità civile dei giudici né sulla specifica riforma del Senato il programma del Partito Democratico contiene le misure che sono state sottoposte al voto, la prima nella Camera dei deputati (governo sconfitto), la seconda nella Commissione Affari Costituzionali (governo sull’orlo della sconfitta). In entrambi i casi, i dissenzienti del PD hanno il diritto di esprimere posizioni diverse da linee, per di più contraddittorie, di recente elaborazione e quasi sicuramente destinate a cambiare ancora. Aggiungo che nessuna disciplina di partito può essere imposta né tantomeno giustificata quando i parlamentari sono chiamati a votare su persone: dall’elezione del Presidente della Repubblica all’autorizzazione all’arresto di loro colleghi. Questi sono tipicamente voti in scienza, vale a dire sulla base delle conoscenze disponibili, e in coscienza, vale a dire con riferimento a valutazioni e sensibilità assolutamente personali. Chiamando traditori coloro che non votano i candidati e la linea del partito e giustificando la sostituzione in Commissione di senatori, come Corradino Mineo, che non appoggerebbero le scelte del partito, i dirigenti del PD si giustificano rifacendosi all’imperativo della disciplina di partito, ma, curiosamente, aggiungono un’altra motivazione da autogol.

Scelti dai dirigenti di partito ed eletti su lunghe liste bloccate e chiuse, tutti i parlamentari devono rispondere non ai loro elettori, che neppure li conoscono, ma esclusivamente a chi li ha nominati. Ovviamente, i parlamentari dissenzienti potrebbero ricordare che, costituzionalmente, rappresentano “la Nazione” e aggiungere che, non per colpa loro, sono stati scelti dai dirigenti del partito prima del febbraio 2013. Se ne potrebbe anche concludere che, se davvero si desidera un rapporto più stretto, efficace e trasparente, la proposta di riforma elettorale va subito cestinata e i collegi uninominali subito predisposti. Politicamente, piuttosto di reprimende ed eventuali espulsioni per i presunti “bambini capricciosi”, sarebbe opportuno che, da un lato, il dissenso fosse valorizzato come contributo a una democrazia vivace, dall’altro, che le politiche e le decisioni non fossero calate dall’alto, meno che mai negoziate in incontri bilaterali fra leader, ma costruite nei gruppi parlamentari acquisendo quel vasto consenso che ne consentirebbe poi un’efficace e rapida traduzione legislativa. Questo è l’unico modo per “cambiare verso” in meglio ai rapporti fra il PD e i suoi parlamentari e fra il governo e il Parlamento.

Pubblicato AGL  13 giugno 2014

Mario Mauro cacciato per puntellare le riforme di Napolitano

Il sussidiario

Intervista di Pietro Vernizzi pubblicata su il sussidiario.net  mercoledì  11 giugno 2014

 

IL CASO/ Pasquino: Renzi ha cacciato Mauro per puntellare le riforme di Napolitano

“Non potevo mancare visto il temporaneo prolungamento del mio mandato che cerco di esercitare, nei limiti del possibile, fermamente e rigorosamente nell’interesse del Paese”. Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione dei premi David di Donatello in Quirinale. Il capo dello Stato ha aggiunto: “L’interesse generale del Paese suggerisce cambiamenti e riforme in molti campi, anche in quello istituzionale”. Il presidente della Repubblica è dunque tornato a sollecitare le riforme. Si tratta di capire che cosa è mutato, nel frattempo, nello scenario politico. Ne abbiamo parlato con Gianfranco Pasquino, professore di Scienza politica nell’Università di Bologna.

 

Che cosa vuol dire il segnale di Napolitano ai partiti, proprio quando dopo le Europee le riforme sembrano allontanarsi?

Proprio perché sembrano allontanarsi, Napolitano ricorda che le riforme andrebbero comunque fatte entro tempi decenti. Anche perché probabilmente Napolitano non ha intenzione di rimanere ancora per molto tempo al suo posto.

 

In questo momento qual è l’interesse di Renzi? Fare le riforme o no?

L’interesse di Renzi è approvare le riforme, purché siano fatte bene. Occorre quindi una pausa di riflessione, in quanto la riforma del Senato così com’è non v a bene. La riforma della legge elettorale è stata pensata in un sistema politico e partitico diverso, che dopo le elezioni europee è cambiato. La riforma elettorale non va comunque pensata con riferimento a interessi di corto periodo, in quanto al centro dovrebbe avere il fatto di dare più potere agli elettori. Mentre così come l’hanno congegnata Renzi e Berlusconi, sembra avere come obiettivo il fatto di mantenere al potere i due grandi partiti, Pd e Forza Italia. Il primo è diventato un po’ più grande, il secondo un po’ più piccolo, e a questo punto gli interessi dei due partiti divergono.

 

L’esito dei ballottaggi delle amministrative deve preoccupare Renzi?

No, il segretario del Pd non deve essere preoccupato perché lui non ha fatto campagna elettorale né a Livorno, né a Padova (dove hanno vinto rispettivamente il Movimento 5 Stelle e il centrodestra, ndr). Uno dei suoi più stretti collaboratori, Giorgio Gori, ha comunque vinto a Bergamo. L’effetto-traino di Renzi del resto si è registrato alle Europee, che si sono svolte su tutto il territorio nazionale, mentre alle amministrative al contrario contano molto i fattori locali.

 

Renzi può permettersi di mettere le riforme in agenda senza andare allo scontro?

Assolutamente sì. Renzi ora può mettere le riforme in agenda insieme a Scelta Civica e al Nuovo Centro Destra, che sono i partiti che fanno parte della coalizione di governo e che quindi avrebbero la maggioranza assoluta per approvarle. E’ con loro che deve discuterne, che poi Berlusconi ci sia o non ci sia è un fatto irrilevante e anche a Renzi non dovrebbe importare.

 

Qual è la vera potenzialità del 40% del Pd per le riforme di Renzi?

Non è una questione di numeri, ma di intelligenza e di adeguatezza delle riforme. Se il presidente del Consiglio attua delle buone riforme, l’intero Partito democratico lo seguirà. Nel frattempo ci sono le elezioni del nuovo presidente del Pd.

 

Per Renzi sarà un nuovo grattacapo?

Non necessariamente, credo che ci siano altre tre o quattro buone candidature, Renzi naturalmente ha una maggioranza solida nell’assemblea nazionale e quindi può decidere se vuole puntare a prendere tutto, e allora sosterrà un candidato che gli sia vicino, oppure se vuole essere generoso e scegliere una personalità a prescindere dal fatto che sia o meno renziana.

 

Lei ritiene che la favorita sia Paola De Micheli?

Paola De Micheli va benissimo: è una donna competente, capace, dotata di abilità politica e con un trascorso bersaniano che secondo me non è affatto da disprezzare.

 

Che cosa ne pensa dell’estromissione di Mario Mauro dalla commissione Affari costituzionali?

I gruppi parlamentari hanno il potere di sostituire i loro rappresentanti nelle varie commissioni. Noi possiamo non gradire le modalità con cui ciò avviene, ma resta il fatto che il potere spetta ai gruppi parlamentari. Questi ultimi designano e revocano, se poi c’è anche un obiettivo futuro lo vedremo. Dipenderà da come voterà Lucio Romano, colui che ha sostituito Mario Mauro.

 

Ma qual è il significato complessivo di questa operazione?

Il significato complessivo è che queste riforme preparate in fretta e furia da Renzi traballano, e quindi cercano di puntellarle non con l’intelligenza istituzionale, ma con un ricambio politico dei parlamentari che sono meno sensibili al richiamo del partito, e invece più sensibili al contenuto della riforma.

 

Pietro Vernizzi