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Perché la CEI boccia il premierato? È tempo di confronto (anche pubblico) @formichenews

Quando il Papa e i vescovi esprimono le loro posizioni, non in materia di fede, ma nel campo largo della politica, non è solo opportuno, ma anche produttivo confrontarsi apertamente con quelle posizioni? La non solo mia idea di pluralismo è che il confronto fra più affermazioni, fra più posizioni, più soluzioni è essenziale, costitutivo e decisivo in qualsiasi regime democratico. Il commento di Gianfranco Pasquino, accademico dei Lincei e professore emerito di Scienza politica
Molti nemici molto onore”. Fiera della sua tradizione così avrebbe già dovuto rispondere Giorgia Meloni alle dichiarazioni, “prudenza nel toccare gli equilibri costituzionali”, del Cardinale Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) da quasi tutti interpretate come fortemente critiche del premierato. Oppure, forse, il “chisseneimporta” pronunciato in tv ospite di Monica Maggioni relativamente al possibile esito negativo del referendum costituzionale vale anche per le opinioni dei vescovi.
Qui non mi interessa tanto parlare della luna, ovvero del premierato, ma del dito, quello dell’attivissimo, presenzialista Cardinale Zuppi. Reduce dalla sua missione di pace in Russia, dove, presumo (ahi le mie “degenerazioni” professionali) avrà fatto valere le sue letture e conoscenze scientifiche su guerra e pace, mettendo in guardia Putin dal scivolamento verso la Terza Guerra Mondiale (lasciamo l’Ucraina alla Russia come abbiamo lasciato i Sudeti alla Germania nazista: appeasement), Zuppi e i suoi vescovi si fanno ingegneri costituzionali. No, no chiederò quali libri/articoli scientifici hanno letto in materia e neppure quali esperti hanno consultato, meglio non quelli, laici, progressisti, che dicono che il Papa è l’unico che capisce tutto, prima di tutti. Il problema che voglio porre è quello del dibattito pubblico, in pubblico.
Quando il Papa e i vescovi esprimono le loro posizioni, non in materia di fede, ma nel campo largo della politica, non è solo opportuno, ma anche produttivo confrontarsi apertamente con quelle posizioni? Il silenzio è talvolta accettazione, più spesso indifferenza e servilismo. La non solo mia idea di pluralismo è che il confronto fra più affermazioni, fra più posizioni, più soluzioni è essenziale, costitutivo e decisivo in qualsiasi regime democratico. Quindi, se gli ecclesiasti si occupano di tematiche sociali, economiche, internazionali, Unione Europea compresa, politiche e costituzionali, le critiche a quanto esprimono sono non soltanto legittime, ma auspicabili e persino doverose. “Sia il nostro parlare ‘sì, sì’, ‘no, no’”. Nutro molti dubbi sulla chiusa: “il di più viene dal Maligno”. Al contrario, il Maligno preferisce il non detto nel quale fa proliferare per l’appunto l’indicibile, le più strane oscure e confuse commistioni.
Sono andato troppo in là, inaccettabilmente? Attendo il contraddittorio che certamente servirà a chiarire le modalità e gli eventuali limiti alle dichiarazioni episcopali e papali. Personalmente, riservandomi il diritto di critica, di limiti non ne porrei. Chiedo chiarezza, confronto, argomentazione e trasparenza. Con spirito di servizio. Anche alla politica.
Pubblicato il 28 maggio 2024 su Formiche.net
Nella normalità gli italiani riescono sempre a dare il peggio di sé @HuffPostItalia
In un paese decente si discuterebbe di chi sono i congiunti? delle relazioni consolidate? della riapertura delle chiese cattoliche? (gli ebrei hanno deciso che le sinagoghe rimangono chiuse). Ecclesia non significa “assembramento” e gli assembramenti non sono vietati? Il Commissario all’Emergenza Domenico Arcuri ne sa meno della Conferenza Episcopale Italiana? Da dove traggono le loro conoscenze, evidentemente specialistiche, i vescovi italiani? Passato un cortissimo interludio siamo già tornati a gettare discredito sulle competenze e sugli esperti? “Dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare” non potrebbe, forse, significare che, oltre alle tasse a Cesare dovremmo riconoscere anche, sulla base delle acquisizioni scientifiche, di prendere decisioni che riguardano l’organizzazione e la vita di una collettività?
Quelli che in Italia oggi vogliono l’allentamento sono gli stessi che hanno espresso la loro ammirazione per la chiusura draconiana della provincia di Wuhan e di Singapore? Che, naturalmente, comprendeva fortissime restrizioni alla libertà personale di circolazione. E quelli che criticano la possibilità di “tracciare” i movimenti dei cittadini sanno che proprio il tracciamento effettuato su tutti i sud coreani ha praticamente sconfitto il coronavirus? Da quando alcune libertà sono assolute (quella di circolazione poi) anche quando sappiamo che possono andare a detrimento grave delle libertà degli altri fino a portare al loro decesso?
Sarebbero costoro gli italiani che danno il meglio di sé nell’emergenza? A me pare, tutt’al contrario, che l’emergenza sia la cartina di tornasole che fa emergere tutti i difetti, le carenze, gli egoismi degli italiani (per fortuna, di non tutti gli italiani). Su questi fastidiosi rumori di fondo, spesso manipolati e ingranditi, sempre sgradevoli, qualcuno pensa di costruire una politica alternativa a quella del governo Conte? Non sarebbe preferibile che formulasse prima, con precisione, quale politica alternativa è fattibile, con quali costi, con quali esiti, con quali tempi? Non può, naturalmente, trattarsi semplicemente di dire apriamo qualche giorno prima, diamo cento euro in più, riduciamo le distanze di sicurezza. Tutto questo può certamente essere detto accompagnandolo da spiegazioni e da qualche evidenza scientifica. Invece, vedo, ma non sono il solo, che è in atto “un gioco di società”: differenziazioni e riposizionamenti con un sottile profumo di esibizionismo populista e un tocco di immarcescibile servilismo clericale.
Questo triste balletto significa che già molto è tornato come prima. Che non abbiamo imparato niente anche perché per imparare bisogna “avere le basi”. Che sta tornando la normalità nella quale gli italiani riescono sempre a dare il peggio di sé. Oggi più di ieri. In attesa, gioite: una volta sostituito il Presidente del Consiglio Conte che più o meno (la seconda) autorevoli commentatori vedono addirittura “affaticato”, l’Italia s’impennerà. E avremo la gioiosa occasione di dire molte messe di ringraziamento.
Pubblicato il 28 aprile 2020 su huffingtonpost.it
Uomo solo al comando
La linea del segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, sulla riforma dell’art. 18, è stata, non sorprendentemente, approvata a larghissima maggioranza dalla Direzione del partito. Ancora una volta la minoranza ha perso in maniera piuttosto netta, per di più vedendo alcuni suoi esponenti rifugiarsi nell’astensione o, addirittura, convergere sulla relazione del segretario. Non è ancora detto che quanto deciso in Direzione passerà rapidamente in entrambi i rami dal Parlamento, ma nel suo sintetico intervento la vice-segretaria Serracchiani ha detto chiaro e tondo che quanto approvato impegna tutti i dirigenti del partito e i parlamentari, che è anche la posizione, un po’ discutibile, di Renzi. Vero che un partito non è una bocciofila, forse non l’associazione più adatta a essere presa come termine di paragone, ma un partito non dovrebbe neppure essere una caserma, con la Corte marziale (ovvero la non-ricandidatura minacciata nel caso dei parlamentari reclutati da Bersani) evocata per ottenere disciplina assoluta.
La Direzione di lunedì è servita a Renzi sia per definire con maggiore precisione e con piccole inattese modifiche la riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali sia, soprattutto, per mostrare a tutti, ma proprio tutti, che il suo controllo sul partito è fortissimo. Sottoposto a critiche dal Direttore del “Corriere della Sera”, che certamente non scrive mai soltanto a titolo personale, dalla Conferenza Episcopale italiana, da alcuni industriali, oltre che, naturalmente, dai sindacati, nient’affatto riverito a livello europeo dove aspettano che il suo programma, garbatamente definito “ambizioso”, si traduca in riforme visibili, Renzi ha fatto un puntiglioso elenco di riforme iniziate, due solo concluse, ma soprattutto ha voluto schiacciare la minoranza. Il metodo suo e dei suoi più stretti collaboratori non è quello definito da Bersani come Boffo, ovvero fatto di attacchi di delegittimazione personale. Sicuramente, non è neanche “buffo”, come lo ha etichettato Renzi nella sua replica. Infatti, c’è molto poco da ridere quando l’opposizione viene confinata in un angolo, schiacciata e accusata di vivere di “memoria senza speranza” che è solo “nostalgia, polvere e cenere”. Valorizzare le idee, gli apporti, i contributi, le critiche dell’opposizione è, da sempre, la qualità migliore dei leader democratici.
Emarginare l’opposizione, in qualsiasi bocciofila e, a maggior ragione, in un partito è un’operazione nient’affatto democratica e ancor meno positiva per il partito e per le sue riforme. Questo è, dunque, il punto forse dolente, sicuramente delicato. Le riforme, l’art. 18 è soltanto il più recente esempio, ma nessuno può avere dimenticato quello che è successo in occasione della trasformazione (non “abolizione”) in prima lettura del Senato, e può sottovalutare quello che avverrà quando la legge elettorale arriverà per l’appunto in Senato (con le molte prevedibili variazioni da introdurvi), si fanno più incisivamente, più rapidamente, più efficacemente dimostrando l’irrilevanza del 25 per cento circa dei componenti del partito e di molti parlamentari democratici? Sembra che il messaggio che Renzi intende mandare non soltanto ai suoi oppositori nel PD, ma ai non meglio identificati poteri forti sia soprattutto che lui comanda al partito e decide le riforme che imporrà poi ai suoi parlamentari. Anche senza entrare nella critica puntuale all’adeguatezza e alla qualità delle riforme, è giusto chiedersi se la strategia dell’imposizione giovi non soltanto alla possibilità di approvazione parlamentare di quelle riforme, ma anche alla loro traduzione sociale ed economica. Con il sostegno, oramai davvero esplicito, del Presidente della Repubblica, come certificato da alcuni giornalisti che ottengono notizie direttamente dal Quirinale, Renzi va avanti. Resta da vedere se le riforme lo seguono davvero e producono gli effetti sperati, non sempre chiaramente delineati. Se quegli effetti non seguono, la colpa non sarà dei tecnocrati, disprezzati dal Presidente del Consiglio, ma della sua politica e dei politici al governo.
Pubblicato AGL 1°ottobre 2014
