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Nella selva oscura della crisi

La crisi è conclamata, nel senso che da almeno una decina di giorni tutti i protagonisti sanno che il governo Conte non potrà continuare la sua vita senza mutamenti anche profondi. Però, la crisi non è ancora proclamata poiché tanto lo sfidante, il capo di ItaliaViva Matteo Renzi, quanto il bersagliato, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, non vogliono essere palesemente responsabili della rottura. In pratica, Renzi si è spinto troppo in là. Cercherà di dimostrare senso di responsabilità lasciando/facendo approvare la versione rivista, che accoglie alcune sue correzioni, del Piano di Ripresa, ma le sue ministre, obbedendogli, hanno già annunciato in maniera del tutto irrituale e istituzionalmente deplorevole, loro dimissioni immediatamente successive. Conte vorrebbe portare il conflitto in Parlamento per verificare se c’è una maggioranza che lo sostiene anche senza ItaliaViva. Sembra che il Presidente Mattarella non sia favorevole a questa mossa che, in caso di sconfitta certificata dai numeri, renderebbe impossibile un re-incarico a Conte e quindi complicherebbe la soluzione della crisi nell’ambito dell’attuale perimetro della coalizione esistente.

Siamo già dentro fino al collo in quella che nella storia delle molte crisi di governo della Repubblica italiana si definisce “crisi al buio”, senza che, per l’appunto, appaia una soluzione chiara. La differenza, grande, con il passato, è che sia chi faceva la crisi sia chi operava per risolverla, avevano grande esperienza e sapevano che in sostanza non sarebbero fuoriusciti dalla scena della politica a causa dell’impossibilità dell’alternanza. Oggi, la situazione è molto più pericolosa per tutti. E l’alternativa, se non già in questo Parlamento, sta nelle urne che condurrebbero ad una probabile vittoria del centro-destra e ad una drastica diminuzione del numero dei parlamentari Cinque Stelle e del loro potere politico.

   Ė possibile e, non fosse che in ballo c’è anche la pelle degli italiani, divertente ipotizzare un certo numero di soluzioni contando, da un lato, sul potere del Presidente della Repubblica dall’altro sulla fantasia istituzionale sua e dei suoi consiglieri. Un rimpasto lampo che sostituisca le ministre di ItaliaViva sarebbe la soluzione più semplice, ma anche la più rischiosa appesa a pochi decisivi voti parlamentari che rimarrebbero sempre aleatori. Il cambio del Presidente del Consiglio richiede che tutti i contraenti convergano sul nome di una persona dotata di grande autorevolezza e, al tempo stesso, di notevole capacità politica per non farsi cuocere a fuoco lento. Il vero problema è che nessuno, forse neppure lui stesso, sa quali sono gli obiettivi di Renzi e dei suoi parlamentari. Ha ottenuto enorme visibilità. Sta dimostrando di essere decisivo nella caduta di Conte. Ė improbabile che i Cinque Stelle e i Democratici gli consentano di diventare il deus ex machina del prossimo governo. Nella selva oscura della crisi la dritta via sembra del tutto smarrita.

Pubblicato AGL il 13 gennaio 2021

Italicum, timido passo in avanti

Il nostro tempo

Intervista raccolta da Aldo Novellini per Il nostro tempo di Torino pubblicata il 17 Maggio 2015

Chiusa la stagione del Porcellum si apre quella dell’Italicum, la nuova legge elettorale approvata tra le polemiche, che hanno surriscaldato i rapporti tra la maggioranza e le opposizioni e hanno particolarmente scosso il Pd. Per mettere a fuoco le nuove regole elettorali ci siamo rivolti al costituzionalista Gianfranco Pasquino, autore di un recente libro, “Cittadini senza scettro. Le riforme sbagliate ” (edizioni Egea), che si occupa proprio di questi temi.

Come giudica l’Italicum?

Non mi pare una buona legge elettorale. Credo che nel complesso sia una sorta di Porcellum cui sono stati attenuati i difetti più grossolani. Il premio di maggioranza, che era slegato dall’ottenimento di una minima soglia di voti, ora è correlato al conseguimento di almeno il 40 per cento dei suffragi. Vi è poi la novità del ballottaggio tra le due liste più votate qualora nessuno raggiunga la soglia, e direi che questo secondo turno è forse il solo aspetto veramente innovativo della legge. Trovo però insensato che il premio sia concesso alle singole liste e non alle coalizioni, ponendo addirittura il divieto di qualsiasi apparentamento tra primo e secondo turno. Si può capire il timore di veder nascere alleanze troppo eterogenee, ma almeno gli apparentamenti dovevano essere permessi, anche perché le intese tra formazioni diverse per un programma condiviso sono un po’ il succo stesso della politica. Si tenga presente che quasi ovunque in Europa ci sono governi di coalizione che ben riflettono il pluralismo di idee presente nella società. Il difetto più grosso mi pare poi la pervicace insistenza sulle liste bloccate: i capilista delle cento circoscrizioni risultano eletti con questa modalità e, tenendo conto dei molteplici partiti in lizza, a giochi fatti i nominati saranno almeno il 60 per cento dei parlamentari. Sicuramente un passo avanti rispetto al Porcellum, in cui tutti erano nominati, ma pur sempre una quota insostenibile, poiché i cittadini chiedono di poter scegliere i propri rappresentanti e invece, ancora una volta, la politica si arrocca su se stessa. C’è poi una norma semplicemente assurda…

Quale?
Quella per cui un candidato, in genere il leader del partito, può presentarsi in più collegi fino ad un massimo di dieci. In pratica questi deciderà di lasciare il posto ai secondi in lista in base al semplice requisito della fedeltà alla sua persona. Sarebbe invece stato utile inserire il requisito della residenza nella circoscrizione, prevedendo la candidatura del capolista solo in quel collegio.

I rilievi della Corte costituzionale sono stati accolti?

La Corte aveva bocciato i capilista bloccati, che vengono ridotti, e il premio di maggioranza a prescindere dai voti ricevuti, che adesso viene concesso solo con il 40 per cento dei consensi. Si può dunque dire che l’Italicum viene incontro alle osservazioni dei giudici, ma resta il fatto che il Mattarellum era un sistema elettorale decisamente migliore.

Una legge elettorale approvata con la fiducia e senza le opposizioni. Cosa ne pensa?

Renzi era partito facendo un patto con Berlusconi perché voleva fare le riforme a larga maggioranza coinvolgendo l’opposizione, ma alla fine gli è mancato persino il pieno appoggio del suo partito. Un bel cammino a ritroso. In ogni caso alla fine l’ha spuntata, anche se l’obiettivo di conseguire ad ogni costo un risultato ha prevalso in maniera eccessiva sul metodo che invece nella definizione delle regole, e la legge elettorale è tra queste, resta un aspetto decisivo per dare legittimità alle scelte compiute. Approvare una legge elettorale con una maggioranza ristretta può andare bene solo se, a monte dell’intero percorso, vi è un preciso mandato degli elettori su quello specifico tema e su quel particolare modello. Una situazione ben diversa dall’iter dell’Italicum.

Non vi è rischio di incostituzionalità per i capilista bloccati dei piccoli partiti?

Ecco, questo potrebbe essere un interessante quesito di costituzionalità sulla base della disuguaglianza che si crea tra gli elettori. Infatti a chi vota per i partiti più piccoli, nei quali risultano eletti sono solo i capilista, è impedito sin dall’inizio l’elezione di deputati con il voto di preferenza. Una differenza ingiustificata rispetto ad un partito più grande che in ogni circoscrizione, oltre al capolista, elegge altri deputati e dunque la facoltà di scelta può esplicarsi compiutamente.

Una Camera con tanti nominati e un Senato non più elettivo. Che tipo di democrazia si prefigura?

Alla Camera ci sarà almeno il 60 per cento di nominati e questo comporta l’egemonia dei capipartito sui singoli deputati, i quali saranno indotti ad accondiscendere alle richieste di chi gli ha messi in lista. Un fenomeno deteriore che le preferenze avrebbero evitato alla radice. Il Senato sarà un coacervo di persone designate dai Consigli regionali e comunali. Democrazia significa potere del popolo, ed è allora più che evidente che tra i nominati della Camera e un Senato non eletto dai cittadini si restringono gli spazi di una vera partecipazione popolare.

Una certezza è che con l’Italicum non vi saranno mai più larghe intese…

Sì, il premio di maggioranza, con un vincitore che potrà governare da solo, esclude in partenza i governi di larghe intese. Non è però detto che ciò sia sempre un bene.

Perchè?

Le coalizioni allargate, tra maggioranza ed opposizione, possono rivelarsi necessarie e utili per superare particolari frangenti politici. Penso alla Germania, ove in tre occasioni cruciali vi sono stati dei governi Cdu-Spd: nel 1966-’69, per preparare l’apertura verso l’Est; nel 2005-2009 per fare le grandi riforme economiche e oggi, per meglio affrontare la grave crisi europea. Impedire in partenza queste formule di emergenza, a volte frutto della volontà degli elettori che non scelgono in modo univoco una precisa maggioranza, mi pare voler ingabbiare oltre misura il corso della vita politica.

Siamo di fronte ad un presidenzialismo strisciante?

No, perché rimane comunque intatto il rapporto di fiducia tra il governo e la maggioranza parlamentare. E’ chiaro però che il premier vede accresciuto il suo ruolo anche sullo scioglimento anticipato della Camera. Di certo diverrà impossibile sostituire il presidente del Consiglio in corso di legislatura: con l’Italicum non ci sarebbe stato il cambio Letta-Renzi Il sistema diventerà quindi più rigido perdendo quella flessibilità insita nel classico modello parlamentare.

Renzi, quando parla di riforme, afferma che dopo troppi anni di immobilismo bisognava fare comunque qualcosa…

Francamente non vedo tutto questo immobilismo. Nel 1991 vi fu il referendum sulla preferenza unica; nel 1993 i cittadini furono chiamati ad esprimersi sul sistema elettorale e prevalse il maggioritario da cui derivò poi il Mattarellum. Il centro-sinistra poi modificò il Titolo V e la destra avviò una grande riforma costituzionale bocciata nel referendum del 2006. Con Berlusconi fu infine votato il Porcellum. L’affermazione di Renzi è dunque inesatta. In ogni caso poi non basta fare le cose, bisogna anche farle bene.

In definitiva, cosa si doveva fare?

Occorreva prendere a modello i sistemi che funzionano, in particolare quello tedesco e quello francese. In Germania il premier è eletto dal Bundestag e c’è la sfiducia costruttiva che permette di cambiare in corsa ma solo se c’è un preciso sostituto. Nessuna crisi al buio. Il sistema elettorale è un misto tra proporzionale e maggioritario, non dissimile dal Mattarellum. La Francia ha un presidente eletto dal popolo e istituzioni molto stabili, mantenendo il raccordo fiduciario tra governo e Parlamento. E’ meglio imitare ciò che già funziona anziché avventurarsi in sentieri poco battuti, a rischio di realizzare un patchwork. Segnalo che l’unico sistema elettorale in Europa che prevede il premio di maggioranza è quello della Grecia. Un Paese che sarebbe meglio non imitare.