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Arrestare il declino. Crescere con cultura e politica #LaSpezia #27settembre #DeficitDemocratici @egeaonline
giovedì 27 settembre ore 17.30
Mediateca Regionale Ligure
“Sergio Fregoso” ex cinema Odeon
via Firenze, 37 La Spezia
Lectio Magistralis di
Gianfranco PasquinoArrestare il declino.
Crescere con cultura e politica
seguirà dibattito pubblico
Al PD non servono guaritori ma passeggiate salutari sul territorio
Troppi improvvisati e affannati medici si accalcano al capezzale del PD che è davvero malmesso. Qualcuno, il suo Presidente (sic) Orfini, lo dà per morente. La maggior parte dei presunti guaritori sostiene che, già debole e malaticcio alla nascita, abbia bisogno d’interventi di chirurgia invasiva che, quantomeno, taglino le molte escrescenze di dirigenti irresponsabili e inutili. Meglio ricordarsi che, se il PD è ancora un partito o vuole diventarlo, la cura si trova sul territorio: passeggiate e chiacchierate con le persone per capirne esigenze e preferenze e farsi una cultura.
Quale partito per il prossimo segretario del PD?
Dalla rumorosa cavalcata di Veltroni nell’estate-autunno 2007 fino all’inusuale ri-elezione nel 2017 di un ex-segretario sconfitto al referendum costituzionale, le battaglie (impropriamente definite “primarie) per la conquista della segreteria del Partito Democratico hanno regolarmente eluso il tema di “quale partito” debba essere il PD. Tutti i potenziali segretari hanno raccontato qualche storia più o meno credibile, più o molto meno nuova, più o meno infiorettata, sulle “magnifiche sorti e progressive” che avrebbero introdotto nel governo del paese. Con quale partito non si è saputo mai. Con quale successo lo si è visto poi. Nelle democrazie contemporanee, alla faccia di tutte le estemporanee analisi che accentuano la personalizzazione della politica (in Svezia? Norvegia? Danimarca? Finlandia? Germania? Gran Bretagna? tutte democrazie davvero pochissimo “personalizzate”, e altre se ne potrebbero aggiungere), che sostengono che i partiti sono spariti, che trovano, per assolvere gli italiani, inconvenienti simili alla sgangherata politica italiana un po’ dappertutto, i partiti continuano a esserci, in uno stato di salute accettabile, e quelle che chiamiamo crisi della democrazia sono problemi di funzionamento nelle democrazie. Quei problemi sono più evidenti e più gravi proprio laddove i partiti sono più deboli. Incidentalmente, le alternanze al governo non sono mai la causa dei problemi, ma neppure la loro magica soluzione. Marco Valbruzzi mi ha insegnato che quelle alternanze frequenti sono semplicemente il prodotto della competizione fra partiti indeboliti che non riescono a mantenere “fermo” il consenso ottenuto da una elezione alla successiva. La volatilità elettorale è inevitabilmente più alta dove i partiti sono “qual piume al vento” e non dove sono radicati. Sulla volatilità del consenso del PD, se i dirigenti del partito smettessero di raccontarci i loro sogni e studiassero un po’ di analisi elettorali, qualcosa potrebbero imparare. La prima lezione è, come si conviene, tanto elementare quanto fondamentale. Laddove l’organizzazione del partito tiene il consenso elettorale fluttua poco. La seconda lezione è quella operativa. Se i dirigenti del partito si occupano di cariche e di carriere e non della presenza organizzata sul territorio, anche le cariche e le carriere diventano a rischio. Allora, bisogna proteggerle con le candidature multiple e le nomine dall’alto. La legge Rosato ha avuto questo unico esito protettivo che, naturalmente, prescindeva dallo stato del partito ed è andato a scapito della rappresentanza politica.
La campagna per l’elezione del prossimo segretario è sostanzialmente già partita, “sottotraccia” dicono i retroscenisti, ma già narrata in maniera più o meno fake da giornaliste e giornalisti che hanno fonti amiche. Sappiamo di contrapposizioni fra persone, con l’obiettivo prevalente del due volte ex-segretario (e lo scrivo due volte apposta) di bloccare chi è a lui ostile, per un insieme di ragioni che nulla hanno a che vedere con le modalità con le quali sarà ricostruito il Partito Democratico oppure si porranno le premesse per un altro partito. Che Renzi e i renziani siano totalmente disinteressati al PD è lampante. Con grande loro compiacimento personale, hanno nel tempo consentito a Ilvo Diamanti di scrivere tre o quattro articoli su “Repubblica” centrati, pardon, sbilanciati proprio a favore del Partito di Renzi (PdR). Tuttavia, un partito è più di una fazione di carrieristi e, quando i carrieristi perdono, il deflusso di parte di loro, spesso senza un ancoraggio sul territorio (anche perché paracadutati), è fisiologico, alla ricerca di chi offrirà altre opportunità di carriera. Qui sta, naturalmente, il problema di come (ri)costruire il partito sostituendo parte grande di quella classe dirigente. Dal mio allievo Angelo Panebianco ho imparato molto tempo fa che i partiti non possono mai cambiare completamente. Cambiano attraverso spostamenti interni che producono nuove coalizioni dominanti. In questo modo, è nato, frettolosamente e balordamente, nonostante le critiche apertamente rivoltegli, il PD.
Probabilmente, gli spostamenti cominceranno a fare la loro comparsa al momento delle candidature alla segreteria. In particolare, non tanto curiosamente, conteranno le “desistenze” a favore di chi. L’ultimo ex-segretario vorrà certamente continuare, scrivono le giornaliste, a dare le carte, ma quante carte gli saranno restate? Il punto, che dovrebbe preoccupare di più chi pensa che senza partiti e senza un’opposizione strutturata sul territorio nessun sistema politico può funzionare in maniera decente e nessuna democrazia può avere una qualità accettabile, è che i candidati dovrebbero formulare prioritariamente con il massimo di chiarezza possibile la loro idea di partito e non annunciare un programma di governo, per un governo che senza un partito decente non formeranno mai. Schematicamente (estesamente, riflessioni e proposte di notevole qualità si trovano nel volume di Antonio Floridia, Un partito sbagliato. Regole e democrazia interna del PD, di prossima pubblicazione), ecco i temi da trattare: iscritti, sedi, attività, modalità di consultazione e decisione, procedure per la scelta dei dirigenti e dei candidati, e, oso al massimo, “cultura politica” (quindi, anche strumenti per la formazione). Nulla di tutto questo è particolaristico e specialistico. Questa è politica: come rapportarsi alle persone, come rappresentarne idee, preferenze, emozioni, come contribuire alla loro capacità di comprendere e di fare politica. Per rendere meno sgradevole l’inverno del nostro scontento.
Pubblicato il 7 settembre 2018 su PARADOXAforum
Cultura politica e nuove forme di partecipazione VIDEO @RadioRadicale
Nell’ambito del convegno organizzato da “Sinistra Anno Zero”, dal network “Ripensare la Sinistra” e dalla “Treccani. La Cultura Italiana”
Nelle grandi fratture. Un confronto tra generazioni
Roma – Piazza della Enciclopedia italiana
13 luglio 2018
Gianfranco Pasquino
“Cultura politica e nuove forme di partecipazione”
coordina Giacomo Bottos
Registrazione a cura di Radio Radicale
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È possibile immaginare un altro PD
Detto che Maurizio Martina è diventato il settimo segretario del Partito Democratico dal 2007 e detto che il due volte ex-segretario Renzi ha fatto un intervento rancoroso tutto rivolto al passato minacciando un futuro vendicativo, che cosa si può e si deve aggiungere a quanto avvenuto nell’Assemblea del PD? Una sola, vera decisione è stata presa: il prossimo segretario sarà eletto nel febbraio 2019. Saranno gli iscritti e i simpatizzanti a scegliere fra, sembra, almeno tre candidati: lo stesso Martina, il governatore del Lazio Zingaretti, forse un renziano a tenere alta la bandiera delle battaglie perse e di un partito che non ha funzionato. Nell’Assemblea è mancata, ma dovrà pur emergere nel corso della campagna per l’elezione del prossimo segretario, una riflessione su due punti qualificanti: che tipo di partito, che tipo di opposizione. Martina ha indicato quattro elementi indispensabili: idee, persone, strumenti, progetti. Nessuno è entrato nei dettagli, ma è stato facile riscontrare una battaglia fra persone tutta all’interno del partito, con Renzi in testa a criticare il falso nueve Gentiloni, da lui incoronato, ma al quale spesso proprio lui non ha passato il pallone; l’ex-capogruppo al Senato Luigi Zanda; l’ex-capo della minoranza interna Gianni Cuperlo. È stata, in troppo larga misura, una resa dei conti che non serve in nessun modo a ristrutturare il partito. Martina ha almeno sottolineato che un partito di sinistra -ma vogliono il PD e i suoi elettori costruire un partito effettivamente di sinistra?-deve preoccuparsi delle diseguaglianze. Nessuno ha detto, però, con quali idee, con quali persone, con quali strumenti, con quale progetto. Per dirla in politichese, sul territorio il Partito Democratico è presente a macchioline di leopardo. Qualcuno, le Cinque Stelle e la Lega, l’hanno, per richiamare un infausto detto di Bersani, ampiamente smacchiato. Sul territorio si riproducono quasi le stesse divisioni personalistiche del centro, con qualche eccezione di donne e uomini ambiziosi e manovrieri che hanno abbandonato lo schieramento renziano. Nessuno ha parlato di cultura politica che, oramai svelatasi totalmente fallita la contaminazione fra pallide e esangui culture riformiste del passato, dovrebbe scaturire, almeno in parte, dalle riflessioni di intellettuali sbeffeggiati dai renziani e certamente non ascoltati e meno che mai “corteggiati” dagli oppositori interni. Nessuno, infine, ha detto che una cultura politica può trovare modo di formarsi e di esprimersi proprio nel fuoco di una sana battaglia parlamentare di opposizione. È nel “respingimento” dei disegni di legge improntati a repressione, populismo, anti-politica, anti-parlamentarismo e, nient’affatto, per ultimo, da anti-europeismo, che un partito di sinistra deve cercare di ridefinire la sua cultura per sé, per i suoi quadri, i suoi dirigenti, i suoi parlamentari e, persino, ma qui sta la funzione nazionale di quel partito, per l’elettorato. Non sarebbe poco.
Pubblicato AGL 10 luglio 2018
Cultura politica e nuove forme di partecipazione #Roma #13luglio
Nell’ambito del convegno organizzato da “Sinistra Anno Zero”, dal network “Ripensare la Sinistra” e dalla “Treccani. La Cultura Italiana”
Nelle grandi fratture. Un confronto tra generazioni
Roma – Piazza della Enciclopedia italiana, 4
13 luglio 2018 ore 9.30
Cultura politica e nuove forme di partecipazione
coordina Giacomo Bottos
relazioni
Alfonso Musci
Gianfranco Pasquino
interventi di Nicolò Carboni, Domenico Cerabona, Rosa Fioravante, Tommaso Giuntella, Nadia Urbinati
Caro PD, diffida dai guaritori!
Ripensare, andare oltre, superare, addirittura approfondire, prima che sprofondi del tutto: sono questi alcuni dei suggerimenti di più o meno improvvisati guaritori del PD, fino a poco tempo fa impegnati non a criticare gli errori, tanti, fatti, ma giustificarli. Nessuna di quelle strade potrà essere intrapresa se non si pensa a quale cultura politica dovrà avere il partito che verrà. Il PD non ne ha avuta nessuna.
L’opposizione non basta
Come un pugile ancora suonato dalla potente botta elettorale che lo ha portato al punto più basso di sempre del suo consenso elettorale, il Partito Democratico barcolla, esita, pensa di trovare rifugio nell’angolo. Ma, per rimanere in metafora, i secondi gli danno consigli contraddittori. Qualcuno voleva gettare la spugna nel corso dell’elezione dei Presidenti delle Camere votando sempre scheda bianca. Poi, inopinatamente e senza nessuna possibilità di influenzare l’esito, a quel punto già deciso, sono state avanzate due deboli candidature di bandiera. La strategia di rimanere sdegnosamente e pregiudizialmente all’opposizione, lanciata dall’ex-segretario Renzi, e da lui, subito contraddetta con la richiesta della presidenza di due commissioni parlamentari per suoi strettissimi collaboratori, ottiene consensi a parole, ma non sembra essere condivisa da tutti nei gruppi parlamentari del PD. Comunque, solo una volta formata la coalizione di governo, che potrebbe anche essere un governo di minoranza, si saprà chi è all’opposizione e potrà rivendicare la presidenza delle Commissioni dette di controllo. Con qualche unità d’intenti e con qualche proposta specifica, il Partito Democratico potrebbe addirittura sfruttare il suo peso parlamentare per decidere quale coalizione di governo si formerà. I suoi voti sono indispensabili sia per il centro-destra sia per il Movimento 5 Stelle.
In altri tempi, quando le sinistre perdevano le elezioni, come è capitato molto spesso, dopo qualche ipocrita lamentazione, i suoi dirigenti, che avevano comunque mantenuto il posto in parlamento, la poltrona, continuavano come se niente fosse (stato). Chi ci rimetteva davvero erano i ceti popolari, disagiati la cui condizione non sarebbe certo migliorata con qualsiasi governo di centro-destra. Adesso sappiamo da molte credibili ricerche che l’elettorato del PD e di Liberi/eUguali è maggioritariamente composto da persone benestanti che non hanno praticamente nulla o quasi da perdere da nessuno dei governi che si prospettano. A questo punto, non si tratta più soltanto di proteggere i ceti popolari, che non l’hanno votato, anche se, qualora il PD non riuscisse più a raggiungerli, le sue sconfitte elettorali si moltiplicherebbero. Si tratterebbe di svolgere molto concretamente il compito dell’opposizione parlamentare che significa non soltanto andare puntigliosamente a vedere le carte di chi governa, ma controllare sistematicamente tutte le attività dei governanti , contrastando in maniera argomentata quelle inaccettabili, articolando le domande sociali che il governo trascuri e avanzando controproposte fattibili.
Non basterà, dunque, che l’Assemblea del PD convocata per metà aprile decida con spiegazioni convincenti di stare all’opposizione. Sarà imperativo che chiarisca le modalità con le quali definisce il compito della sua opposizione indicando gli obiettivi che vuole perseguire. Tutto questo s’incrocia con l’assoluta necessità per il partito come struttura e come comunità di analizzare quello che è successo negli anni di Renzi, riflettendo sull’assenza di una cultura politica effettivamente riformista, della quale il PD è carente fin dalla sua nascita, assolutamente indispensabile per rifondare e rilanciare l’azione di un partito di centro-sinistra. “Rottamati”, di conseguenza, dovranno essere tutti/e coloro che non si ritrovino nella nuova cultura politica e che non mostrino nessuna capacità di rinnovamento. Un’opposizione del PD, fatta per incapacità di meglio definire il ruolo del partito, non condivisa, già se ne vedono le avvisaglie, non attrezzata, priva di una cultura politica, non va da nessuna parte. Peggio, rischia di acuire rapidamente in alcuni settori dell’elettorato il desiderio di trovare una migliore rappresentanza politica per le sue preferenze e per i suoi interessi, spingendo verso la ricerca di alternative una delle quali è già il Movimento 5 Stelle.
Pubblicato AGL il 27 marzo 2017
In memoriam: Partito Democratico (2007-2018)
Da una fusione a freddo fra spezzoni di classe politica che avevano perso qualsiasi cultura nacque, con endorsement di Romano Prodi, un partito che dopo dieci anni è giunto alla sua più bassa percentuale di sempre nonostante un altro endorsement. Nessuna analisi del voto, nessuna autocritica, nessun riflessione sulla necessità di elaborare una cultura politica, meglio mettersi all’opposizione di tutti i critici. Il PD degli attuali dirigenti costituisce l’ostacolo principale alla (ri)costruzione di una sinistra plurale.






