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Non solo imperfetto Anche pasticciato
Il passaggio dal bicameralismo che troppi si sono ostinati a chiamare perfetto al bicameralismo renzian-boschiano sicuramente imperfetto é malamente compiuto. Sarà meglio non chiamare in causa fra i favorevoli Pietro Ingrao, che voleva il monocameralismo, ben diverso dal cambiamento in un sistema che rimane bicamerale, oppure i dubbi dei Costituenti i quali, alla fine, scelsero per non poche buone ragioni il bicameralismo che ci siamo tenuti per 67 non brutti anni. Mi continua a destare forti perplessità l’esplicito e ribadito sostegno a questa riforma da parte di Giorgio Napolitano, Senatore a vita senza nessun precedente impegno a favore di riforme elettorali e istituzionali, che, anzi, ha sempre ispirato la sua azione in materia alla massima cautela.
A questo punto, possiamo dirlo alto e forte: i senatori, a cominciare da quelli del Partito Democratico, minoranze trattativiste incluse, e sconfitte, si sono suicidati. Nessuno di loro, salvo acrobazie dei Consigli regionali, tornerà nella prossima assemblea. I più forti di loro cercheranno di strappare grazie all’Italicum un seggio sicuro nella Camera dei deputati. Qualcuno dei suicidi cerca di farci credere, ma forse soprattutto di convincere se stesso, che si é immolato per (il Partito del)la Patria che sarebbe il renzian partito della Nazione con l’aggiunta di quei mobili gentiluomini profondi conoscitori delle strutture e dei meccanismi istituzionali che si chiamano verdiniani.
“Cosa fatto capo ha” si dice in Toscana. Quel che interessa é sapere se la cosa fatta funzionerà, ovvero se migliorerà il funzionamento del sistema politico italiano e la qualità della sua democrazia. Troppi hanno sottovalutato tre aspetti che potrebbero avere conseguenze molto negative. Il primo aspetto é che quella del Senato é stata una riforma ad hoc: ridurre il numero dei parlamentari, spendere molto di meno, accelerare la legislazione. Così facendo, però, la funzione di controllo della seconda lettura é andata persa e si sono aperti grandi e evidenti problemi di riequilibrio e di freni e contrappesi anche per le modalità di elezione del Presidente della Repubblica. Secondo elemento trascurato sono gli eventuali, probabili e numerosi, conflitti, fra i prossimi Senatori, forse nominati, forse designati, sicuramente non eletti, i Consigli regionali stessi, che, avendoli designati, pretenderanno di dettarne i comportamenti (altro che “senza vincolo di mandato”), i loro colleghi deputati, i ministri che si occuperanno di materie regionali, il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale alla quale arriveranno molti e frequenti ricorsi. Il terzo aspetto problemático deriva dall’inevitabile tentativo del prossimo Senato di ritagliarsi un qualche indefinito e, allo stato delle cose, indefinibile, ruolo legislativo e politico.
Alla fin della ballata, c’é, dunque, pochissimo di cui rallegrarsi. La trasformazione del Senato sarà brandita come un trofeo dai renziani, mai la positività del suo impatto rimane tutta da verificare. E’ giusto concluderne che, sì, il governo ha ottenuto quasi tutto quello che ha finora voluto in materia di riforme istituzionali, ma questo strapotere é, almeno in parte, piuttosto preoccupante. Mentre si discute sul come ritoccare l’Italicum, é probabile che a mente fredda qualcuno scoprirà più di una magagna nel Senato/Camera delle regioni. Brutta questa storia che non é neppure ancora completamente terminata.
Pubblicato AGL il 15 ottobre 2015
La ballata delle riforme
Almeno per qualche giorno non si potrà dire che la proposta di riforma elettorale Renzi-Berlusconi si sia incartata. Anzi, è stato raggiunto un accordo importante. Il testo in discussione nell’aula della Camera riguarderà unicamente l’elezione dei deputati. Per il Senato, bisognerà presumibilmente attendere che sia formulato e messo in discussione il disegno di legge costituzionale che lo trasforma profondamente facendone una sorta di Camera delle autonomie che non dovrà più dare la fiducia al governo e non potrà più togliergliela. Adesso, soprattutto chi pensa, una volta approvata la nuova legge elettorale, ad una rapida dissoluzione del Parlamento e ad elezioni anticipate, ha di che essere soddisfatto. Sono caduti gli emendamenti che subordinavano l’entrata in vigore del nuovo sistema all’approvazione della riforma del Senato. Però, chi valuta le riforme in maniera “sistemica”, vale a dire, con riferimento ad un effettivo miglioramento delle modalità di funzionamento del sistema politico-istituzionale italiano, in particolare, dei rapporti governo/parlamento, non può che rimanere piuttosto perplesso. Infatti, in caso di crisi di governo e di sua impossibile soluzione in questo parlamento, nelle inevitabili elezioni anticipate gli elettori si troverebbero ad eleggere la Camera dei deputati con la nuova legge e il Senato con un sistema che deriva dalle dure e sostanzialmente insormontabili obiezioni della Corte Costituzionale.
Quello che, con pessimo termine viene definito “consultellum”, cioè la risultante delle bocciature costituzionali, è un sistema proporzionale senza nessuna clausola che impedisca la frammentazione partitica e che renda difficile la rappresentanza in Senato di partiti anche molto piccoli. Il rischio reale è che la Camera avrà, soprattutto grazie al premio di maggioranza, un chiaro vincitore, mentre il Senato potrebbe non avere vincitori e, per di più, trovarsi con una maggioranza diversa da quella della Camera: ingovernabilità assicurata.
Due sono le lezioni intermedie che si possono trarre dalla ballata elettorale. La prima è che la fretta di Renzi ha prodotto una situazione confusa con un testo che è assolutamente necessario ritoccare, rendere più limpido, ad esempio, nelle troppe soglie di sbarramento previste, raccordare con la riforma del bicameralismo, brutalmente sbandierata davanti ai senatori dal Presidente del Consiglio che ne chiedeva l'”ultima” fiducia. Per fortuna, la ballata elettorale non è ancora finita cosicché, senza impuntature, c’è ancora tempo per, ad esempio, eliminare le candidature multiple e trovare il modo di accrescere il potere, adesso minimo, degli elettori. La seconda lezione sembra essere che l’asse Berlusconi-Renzi ha tenuto, ma che il “grande disappunto” manifestato da Berlusconi sulle incertezze di Renzi potrebbe tradursi in una sua indisponibilità a collaborare per altre riforme.
Finora Berlusconi ha ottenuto quel che ha voluto: sia un premio di maggioranza che è da lui conseguibile, soprattutto se la Lega sarà costretta ad aggregarsi a Forza Italia nel caso la soglia di sbarramento la mettesse in enorme difficoltà, sia le liste bloccate che gli consentono di continuare a nominare tutti i suoi parlamentari, uno per uno. Oltre, Berlusconi potrebbe non volere andare. Insomma, questa breve (e alquanto tardiva: il velocista Renzi aveva promesso la nuova legge elettorale già per fine gennaio) vicenda segnala che il capo del governo ha gravemente sottovalutato le difficoltà del compito riformatore e che lui e i suoi collaboratori, purché li ascolti più di quanto presta attenzione al Senatore di Forza Italia, Denis Verdini, plenipotenziario di Berlusconi nelle trattative elettorali, non sono in pieno controllo della situazione. Hanno ancora molto da imparare.
AGL 5 marzo 2014