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A GESTIRE IL RECOVERY FUND DEVE ESSERE IL GOVERNO CONTE @stati_generali #intervista

Intervista raccolta da Valentina Saini

Professore emerito di scienza politica all’Università di Bologna e Accademico dei Lincei, tra i politologi italiani più ascoltati, Gianfranco Pasquino è un attento osservatore della complessa (quando non convulsa) politica nostrana. Lo abbiamo intervistato per tirare le fila sugli equilibri politici del post-fiducia al Conte bis, e sulle certezze e le incognite dello scenario delicatissimo che a tutto questo fa da cornice: la pandemia da sconfiggere, il Recovery Plan da inviare a Bruxelles, il populismo, i rapporti con l’Unione Europea.

Professore, questo governo Conte è davvero un governo di minoranza come dicono alcuni?

I governi di minoranza sono i famosi “governi balneari”, e ce ne sono stati molti, fanno parte della storia italiana. Poco prima delle elezioni e poco dopo le elezioni c’erano governi che non avevano la maggioranza, ma che sapevano di poter contare sulla benevolenza degli alleati che prima o poi sarebbero entrati nella coalizione di governo.

Ma in merito a questo governo si tratta di una discussione fuori luogo, l’espressione fa parte di un lessico giornalistico che trovo assai fuorviante. Parlare di governo di minoranza significa che si potrebbe anche parlare di governo di maggioranza, il che è una stupidaggine: un governo è tale quando può contare sulla fiducia delle due camere, come sancisce l’articolo 94 della Costituzione. Ciò detto, basta guardare i numeri per accorgersi che attualmente non esiste una maggioranza superiore a quella ottenuta dal governo al Senato.

C’è chi ha fatto notare che “governo di minoranza” è un’espressione che rischia di delegittimare un governo già oggetto di forti attacchi populisti, anche sui social media; è così?

Sì, e infatti la usano tutti gli oppositori del governo. Cercano di delegittimarlo presentandolo come un governo che non rappresenta la maggior parte degli italiani. È un epiteto di cui si può fare decisamente a meno. Vorrei che i commentatori politici facessero un po’ più attenzione alle parole che usano e alle definizioni che affibbiano. Praticamente trovo le stesse parole su giornali diversi, il Corriere non ha parole diverse da Repubblica e qualche volta Repubblica non ha parole diverse da quelle del Giornale. Questo non va bene. Anche perché sono parole sbagliate, tutte incentrate sull’idea che questo non sia un governo eletto dalla gente. Ma non c’è nessun governo che esce dalle urne nelle democrazie parlamentari: i governi sono quelli di coalizione, si formano in Parlamento.

Non c’è dubbio però che il governo esca cambiato da questa crisi. È un governo debole a suo avviso?

Non dimentichiamo che [il vice-presidente della Commissione europea] Dombrovskis, notoriamente un falco, in pratica ha detto: fate attenzione, è questo il governo che deve fare le cose, cioè preparare il piano di ripresa e combattere la pandemia. E siccome Conte è quello che ha ottenuto i fondi, quei fondi li deve gestire un governo guidato appunto da Conte, non da qualcuno che non è in grado di avere dei buoni rapporti con l’Unione Europea.

Si parla moltissimo del tema delle commissioni parlamentari, del fatto che il governo potrebbe trovarsi in difficoltà. In realtà avrà delle difficoltà nelle commissioni solo se Italia Viva voterà con l’opposizione, o no?

Esattamente. Bisogna osservare bene gli elenchi dei componenti delle commissioni e vedere dove Italia Viva può essere decisiva. Stiamo poi parlando solo delle commissioni del Senato, perché alla Camera non dovrebbero esserci problemi. Inoltre io domando: in commissione Italia Viva è disposta a votare regolarmente con il centrodestra? Francamente mi parrebbe esiziale, e comunque inconciliabile con le loro dichiarazioni. Pertanto è un’ipotesi di scuola, come si suol dire, quella per cui il governo avrà dei problemi nelle commissioni, perché 98 volte su 100 Italia Viva o non voterà contro il governo oppure voterà a favore.

A suo avviso qual era l’obiettivo di Matteo Renzi? Perché ha fatto tutto ciò?

Prima di tutto perché pur essendo stato ridotto a più miti consigli non vuole rassegnarsi. Del resto è stato a capo di un partito che ha avuto il 40% dei voti alle elezioni europee del 2014, mentre ora si ritrova con il 2,8%, immagino che ne soffra e che il suo ego megalomaniaco sia in grande difficoltà.

Inoltre tutti o quasi i sondaggi danno Conte al di sopra del 50% del livello di approvazione, cosa che Renzi non ha mai avuto. L’attacco perciò era diretto al presidente del Consiglio, che per di più ricambiava snobbandolo, considerandolo poco più di una puntura di spillo. Questo riguarda i rapporti personali, è vero, ma dobbiamo ricordare a tutti che la politica è un fatto tra persone, per cui il modo in cui le persone si comportano e si valutano è importante.

E a livello politico?

Un primo intento era senz’altro cambiare presidente del Consiglio. Se fosse accaduto Renzi ne sarebbe stato molto soddisfatto. Ma Renzi aveva un obiettivo molto più significativo: scompaginare il PD, la cui maggioranza dei parlamentari, lo sottolineo, sono stati scelti da lui per le elezioni del 2018, quando era ancora segretario del PD. Voleva richiamarli all’ordine, ricordando loro chi li ha candidati e quindi a chi devono essere ancora riconoscenti in qualche modo. E voleva anche scompaginare il Movimento 5 Stelle, non a caso continua a tornare sul Mes sanitario. I 5 Stelle hanno risposto di no al Mes, ma al loro interno qualcuno è disponibile, perché il M5S si sta muovendo verso una piena accettazione dell’Europa. Renzi voleva scompaginare queste due forze e acquisire automaticamente una posizione più rilevante. Un obiettivo che mi pare non abbia conseguito.

Aggiungerei che forse, se lui remasse davvero contro anche nelle commissioni, una parte dei suoi parlamentari non lo seguirebbe più.

Che idea si è fatto di Giuseppe Conte?

Ha dimostrato di essere capace di tenere insieme due coalizioni molto diverse, un pregio non marginale, ed è stato piuttosto vigoroso nel contrastare Salvini, un altro pregio. Nel corso del tempo ha anche dimostrato di avere imparato molto e di continuare a imparare, il che mi pare un ulteriore grande pregio. Siamo in una situazione in cui difficilmente sarei in grado di suggerire un nome diverso, migliore di lui, nel Parlamento italiano o anche nei dintorni.

Il nome di Draghi circola parecchio.

Mario Draghi è certamente una persona di grande intelligenza e grandi capacità, ma di politica, a mio avviso, sa molto poco. Quindi avrebbe la necessità di un periodo di apprendistato, un anno, un anno e mezzo, e non ce lo possiamo permettere. Draghi potrebbe invece essere il commissario alla ricostruzione, potrebbe essere un gande presidente della Repubblica, perché darebbe un’immagine europeista dell’Italia all’estero, ma non è un capo di governo.

L’azione di governo esce ostacolata da questa crisi?

Io credo che i partiti che sostengono il governo sanno che adesso devono essere ancora più attivi, ancora più vigili, incisivi e dinamici. La lezione è questa: dovete saper andare avanti con maggior rapidità. A quel punto anche i parlamentari europeisti di Forza Italia e gli altri sparsi, probabilmente, appoggeranno il governo. Se pensano alle sorti dell’Italia, ma qualche volta anche legittimamente alle loro sorti, è meglio che appoggino questo governo e che dimostrino il loro europeismo anche con il voto. Devo dire che mi ha preoccupato molto il no di Emma Bonino [al voto di martedì sulla fiducia al governo].

Secondo lei in tutto questo quanto conta che a fine luglio inizia il semestre bianco?

Il semestre bianco impedisce di sciogliere il Parlamento, ma se il governo entra in una fase di caos può comunque essere sostituito, anche nel semestre bianco. Peraltro, non vedo l’alternativa, per quanto Giorgetti dica a Salvini che deve essere meno antieuropeista. Questo non basta certo a far cambiare idea a Salvini, e credo che non basterebbe a far cambiare idea neanche alla maggior parte dei leghisti. Che, non dobbiamo dimenticarlo, nascono come indipendentisti, quindi non riusciranno mai a diventare europeisti.

Certo, l’elezione del capo di Stato è una partita cruciale.

Assolutamente sì perché il capo dello Stato viene eletto per sette anni, quindi è la persona che sovrintenderà all’ultimo anno della legislatura in corso, e che darà l’incarico al prossimo Presidente del Consiglio. È davvero uno snodo fondamentale. Fra l’altro perché è necessaria la maggioranza assoluta per eleggere il capo dello Stato e in queste condizioni, visto che contano anche i delegati delle regioni, la maggioranza assoluta non sarà affatto facile da raggiungere.

La posizione sull’Europa dei vari partiti sarà una variabile importante?

Io ho l’impressione che stia per arrivare il momento che Alfiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni indicarono nel Manifesto di Ventotene. Che la linea divisiva non sarà più fra progressisti e reazionari bensì fra coloro che sono a favore dell’unificazione politica dell’Europa e coloro che sono contrari. Non sono sicuro che gli europeisti nel Parlamento italiano ne siano consapevoli, ma se lo sono o lo diventano, allora dovrebbero intraprendere una battaglia vera per spiegare che cos’è l’Europa, quali compiti ha già svolto e quali può ancora svolgere, anche con un’attiva partecipazione italiana. Vorrei che si sviluppasse un’azione culturale intensa, mi piacerebbe anche sentire dagli intellettuali italiani cosa pensano dell’Europa. Vorrei capire se hanno imparato la vera lezione: che fuori dall’Europa non c’è salvezza. Extra Europam nulla salus.

Pubblicato il 22 gennaio 2021 su glistatigenerali.com

L’Europa c’è e rimbalza #NextGenerationEu

L’Unione Europea fa passi avanti, qualche volta piccoli qualche volta lunghi, costantemente. Prendendo le mosse dall’accordo raggiunto fra il Presidente francese Macron e la Cancelliera tedesca Merkel (nulla di cui scandalizzarsi trattandosi dei due Stati-membri più importanti), Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione, ha presentato un ambiziosissimo programma di interventi a sostegno della ripresa economica per la “prossima generazione” dell’Unione Europea. Alquanto imbarazzati i sovranisti, a partire da quelli italiani, hanno fatto spallucce affermando che il programma non passerà nel Consiglio Europeo di metà giugno e che i soldi arriveranno molto tardi, solo all’inizio del 2021. Prima delle critiche, è opportuno concentrare l’attenzione sull’entità senza precedenti dell’intervento: più di 700 miliardi di Euro, una parte sotto forma di prestito a lungo termine, una parte sussidi ai singoli Stati-membri che li riceveranno per progetti chiaramente definiti, per l’economia verde, per la digitalizzazione, per le infrastrutture. L’Italia, paese al quale va la parte più grossa dei fondi, potrà ottenere fino 170 miliardi di Euro, che, per trovare un termine di confronto, equivalgono a circa cinque leggi finanziarie quelle definite “lacrime e sangue”. La sfida riguarda l’intero “sistema paese” che dovrà, anzitutto, definire con pragmatismo e precisione dove vuole spendere quei fondi elaborando un piano convincente in termini di tempi e modi, essendo noto a tutti che l’efficienza e la rapidità della spesa dei fondi europei non sono mai state il punto forte né dei governi nazionali né, tantomeno, di molti governi regionali.

I ventisette commissari europei si sono espressi in maniera concorde il che vuole dire molte cose, a partire, dalle capacità di mediazione e persuasione della von der Leyen e dei due commissari all’economia, il lettone Dombrovskis e l’italiano Gentiloni, ma anche della consapevolezza di tutti gli altri. Sappiamo che ci sono riserve da parte di quattro paesi, in ordine alfabetico: Austria, Danimarca, Olanda, Svezia, che si autodefiniscono “frugali”, ma che a Bruxelles molti preferiscono etichettare come “avari”. Non sarà facile ottenere l’approvazione del Consiglio europeo composto da capi di Stato e di governo, anche perché su materie come i finanziamenti è richiesta l’unanimità. Sono già in corso le trattative da parte della Commissione per evitare che qualche Stato-membro ponga il veto. Cresce la consapevolezza che senza ripresa dei paesi più colpiti anche i paesi rigoristi subiranno conseguenze economiche negative. Dal 1 luglio per un semestre la Presidenza del Consiglio spetterà alla Germania. Sicuramente Angela Merkel desidera conseguire un successo di grande significato sia per la Germania sia per il suo personale prestigio. L’approvazione del piano della Commissione è proprio quel tipo di evento epocale. Lo sarà soprattutto per l’Italia se saprà utilizzare al meglio le ingenti risorse attribuitele dalla Commissione.

Pubblicato AGL il 31 maggio 2020

Uno scontro frontale “calcolato”

“Il tasso di crescita non è negoziabile”. Attribuita al Ministro dell’Economia Giovanni Tria, questa frase denuncia arroganza e insipienza. C’è  arroganza poiché il Ministro afferma come sicuro qualcosa che, il tasso di crescita da lui previsto, è assolutamente aleatorio. C’è insipienza poiché Tria confonde l’aggettivo “negoziabile” con “conseguibile”. Tutti gli organismi che, a vario titolo, si sono occupati (e preoccupati) dell’Italia dalle agenzie di rating al Fondo Monetario Internazionale, dalla Commissione Europea ai ministri dell’Eurogruppo, persino gli Uffici tecnici del Parlamento italiano, hanno prodotto stime molto diverse da quelle italiane, ma convergenti fra loro e chiaramente inferiori alle percentuali del Ministro Tria. Ripetutamente, i ministri Salvini e Di Maio, mai smentiti (potrebbe permetterselo?) dal Presidente del Consiglio Conte, hanno affermato con toni spesso offensivi per il Presidente della Commissione Juncker e per i Commissari che si occupano di economia Dombrovskis e Moscovici, che andranno  avanti, tireranno dritto, che il popolo italiano vuole questa legge di bilancio.

Adesso, da un lato, è diffusa la consapevolezza che fra qualche settimana la Commissione aprirà la procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia. Dall’altro, che i mercati, fatti, come ho scritto più volte, da operatori, anche italiani, che non vogliono perdere soldi né per loro né per i loro clienti, fra i quali anche molti italiani, segnaleranno il rischio Italia, sposteranno gli investimenti, faranno salire il fatidico spread fra i titoli di Stato tedeschi e quelli italiani acuendo la crisi della finanza pubblica italiana e rendendo costosissimo pagare gli interessi sull’altissimo debito pubblico, 130% del Prodotto Interno Lordo. Ad alleviare le conseguenze economiche non basteranno le dismissioni di proprietà dello Stato per la cui vendita e incasso ci vorrà molto tempo.

Anche se dimostratisi assolutamente privi di un minimo di conoscenze economiche, Salvini, Di Maio e Conte, in quest’ordine, non possono non avere pensato alle conseguenze, economiche e politiche, della loro manovra. Altrimenti, sarebbero tecnicamente e politicamente degli irresponsabili. Inquietante è l’ipotesi che Salvini e Di Maio desiderino che la procedura d’infrazione si trascini per qualche tempo e che la loro inevitabile manovra correttiva risulti giustificata agli occhi degli italiani come un’imposizione dall’esterno che sono obbligati a malincuore ad accettare. Entrambi si prepareranno per le elezioni del Parlamento Europeo del maggio 2019. Salvini cercherà di mobilitare in maniera nazionalpopulista gli italiani euroscettici e sovranisti. Di Maio sosterrà coraggiosamente che la Commissione si è espressa contro l’abolizione della povertà in Italia. Poiché la Commissione è consapevole che andare allo scontro frontale con l’Italia è dannoso per tutta l’Unione, il contenzioso rischia di rimanere aperto fino alle elezioni. La partita si annuncia lunga, e brutta.

Pubblicato AGL il 15 novembre 2018