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“Il rapporto con gli altri insegna” #SALTO18 #5domande @EdizioniEpoke

Gianfranco Pasquino, Professore Emerito di Scienza politica presso l’Università di Bologna, ha accolto con interesse l’iniziativa del Salone del Libro di Torino (10-14 maggio): la raccolta di riflessioni intorno a cinque grandi domande sul nostro tempo e sul futuro che ci attende, cinque domande per tutti noi (lettori, scrittori, intellettuali, studenti, ecc.). Chi vuole partecipare, può farlo direttamente dal sito dedicato cliccando qui.

Abbiamo chiesto ai nostri autori di inviarci, insieme alle loro riflessioni, anche una foto che rappresenti la loro idea di futuro, e siamo molto felici di aver ricevuto così tante adesioni. Come quella del Professor Pasquino, che ha pubblicato con noi il saggio No positivo. Per la Costituzione. Per le buone riforme. Per migliorare la politica e la vita, uscito nel 2016 in occasione del referendum costituzionale, che troverete al nostro stand (insieme a tutta la collana Saggi) durante il Salone, PAD 2, H05-G06.

Eccovi intanto le risposte di Gianfranco Pasquino alle cinque domande targate SalTo18.

  1. Chi voglio essere?
    Sono quello che faccio. Più cose faccio, e più confronto quello che faccio con le persone di cui ho stima, più mi sento realizzato. Pertanto, apprezzo il rapporto con gli altri, ne creo le premesse, ne traggo insegnamenti. Sono me stesso quando mi conosco anche attraverso il rapporto con gli altri. Gli altri mi obbligano a chiarire, di volta in volta, mai definitivamente, chi sono e chi dovrei essere, a diventare me stesso e a cambiare, a cambiare, a cambiare.
  2. Perché mi serve un nemico?
    Solo se non cerchiamo di conoscere noi stessi abbiamo bisogno di un nemico, che non sarà, in verità, mai uno solo, per definirci. Solo se neppure sappiamo chi non siamo, i nemici circoscriveranno quello che non potremo essere. Per tracciare confini è indispensabile avere cognizione di sé e degli altri. Qualche volta i confini servono, eccome, per obbligarci a pensare a come superarli e a imparare ad andare avanti e indietro. Due passi avanti, il progresso, e uno indietro, il consolidamento.
  3. A chi appartiene il mondo?
    Nel corso dei prossimi cento anni impareremo moltissimo sul contenimento e sulla riduzione delle diseguaglianze, sulla creazione di posti di lavoro gratificanti, sull’accoglienza ai “pellegrini” del mondo, sulla protezione dell’ambiente. Il mondo è di chi condivide questi obiettivi e s’impegna a conseguirli.
  4. Dove mi portano spiritualità e scienza?
    C’è rigore nel modo in cui molti uomini e molte donne praticano la religione e c’è spiritualità nella dedizione alla scienza. In entrambe può fare la sua comparsa l’oppressione, ma entrambe sono portatrici di emancipazione. Laicità nella ricerca scientifica e nella valutazione e applicazione dei suoi risultati e laicità nella pratica della religione, che significa chiedere a se stessi quello che non si vuole imporre agli altri, sono i due principi fondamentali cui tenere “fede”!
  5. Che cosa voglio dall’arte: libertà o rivoluzione?
    Dall’arte, nella quale desidero sia inclusa a pienissimo titolo la musica, mi aspetto libertà: libertà di scorrazzare con il pensiero, di sconfinare in territori sconosciuti, di salire a vette di intelligenza e di emozione/commozione, di ascoltare il silenzio. Con tutte queste libertà sfrenate, letteralmente “senza freni”, la rivoluzione, ovvero un cambiamento profondo e totale, può cominciare, irrefrenabile, e condurre alla rivoluzione dentro di noi, fra di noi.
written by Edizioni Epoké 3 maggio 2018

Serve un No Positivo 14ottobre ore 21 a Guastalla #ReggioEmilia

Per una buona riforma. Per migliorare la qualità della politica e della vita

NO POSITIVO

14 ottobre ore 21

Centro sociale 1° Maggio

viale Di Vittorio 2/A

Guastalla 

guastalla

Nessun allarmismo per l’esito del referendum italiano

affari-italiani

Dissento fortemente dall’analisi di Gianni Bonvicini ” II rischi per l’Italia se vince il NO” (22 settembre 2016) e ancor più dalla sua conclusione: “Dire no alla riforma significherebbe negare il nostro interesse europeo e internazionale a giocare un ruolo da grande nazione”. L’accusa di disfattismo e di antipatriottismo mi pare davvero fuori luogo.

Riforme inutili e inefficaci

Credo che sia praticamente impossibile dimostrare che uno qualsiasi dei capi di governo che contano nell’Unione Europea conosca le riforme costituzionali imposte da Matteo Renzi e sia in grado di valutarne, compito difficile anche per gli italiani, l’utilità e l’efficacia. Tanto per cominciare la riforma del bicameralismo italiano, che non è affatto “perfetto” come scrive Bonvicini, produrrà un Senato di consiglieri regionali e sindaci che si occuperanno, con quale preparazione e con quali conoscenze?, certo non ne faranno sfoggio durante le loro campagne elettorali regionali,della politica europea. E’ una scelta assolutamente fuori luogo. Secondo, nel momento in cui sarebbe opportuno valorizzare le regioni e le autonomie locali, anche per attuare compiutamente il principio di sussidiarietà, le riforme approvate reintroducono la “supremazia statale” in molte materie. Avrebbero, invece, se miriamo congiuntamente a rappresentanza ed efficienza, dovuto mirare ad un accorpamento delle regioni e a un’incentivazione della loro efficienza anche in tutti gli ambiti nei quali, a cominciare dall’utilizzo dei fondi europei, debbono operare.

Un bicameralismo non “perfetto”, ma produttivo

Nulla di tutto questo. Bonvicini sembra credere alla non-produttività del Parlamento italiano e alla sua presunta lentezza e farraginosità. Invece i dati, che ho riportato nel mio volumetto NO positivo. Per la Costituzione. Per buone riforme. Per migliorare la politica e la vita (Edizioni Epoké 2016) indicano tutt’altro. Il bicameralismo italiano ha regolarmente “fatto”, ovvero approvato, più leggi e in tempi comparativamente più brevi dei bicameralismi tedesco, francese e inglese. Inoltre, il governo, anche quello di Renzi, ha regolarmente ottenuto le leggi che voleva, spesso nei tempi da lui desiderati, magari ricorrendo alla decretazione d’urgenza e imponendo il voto di fiducia. Semmai, il problema italiano è che le leggi sono quantitativamente troppe e qualitativamente malfatte. Per colpa dei governi, dei ministri, dei direttori generali dei ministeri.

Governi deboli o inaffidabili?

Governo “debole”, Presidente del Consiglio ingabbiato? Supponendo che qualcuno possa credere, senza dati, a queste fattispecie, dovrebbe allora interrogarsi sul perché nelle riforme costituzionali che saranno sottoposte a referendum non si trovi nulla che riguardi direttamente e specificamente né il governo né il suo capo. Rimanendo in Europa sarebbe stato semplicissimo e auspicabilissimo introdurre il voto di sfiducia costruttivo la cui esistenza tantissimo ha giovato alla stabilità dei Cancellieri tedeschi e delle loro compagini governative. Allo stesso modo, una forte Camera delle regioni avrebbe dovuto essere impostata come il Bundesrat tedesco. Naturalmente, punto che, ne sono certo, Bonvicini condivide con me, la “forza” di un capo di governo nell’Unione Europea non dipende tanto e neppure essenzialmente dalla struttura del suo Parlamento, dall’organizzazione del potere locale, da una legge elettorale che contempli un cospicuo premio di maggioranza (che i greci avevano, to no avail, e che hanno recentemente abolito).

Quasi tutte le democrazie europee meglio funzionanti hanno sistemi elettorali proporzionali e governi di coalizione, più rappresentativi delle preferenze dei loro elettorati e con programmi in grado di accogliere in maniera più soddisfacente interessi e preferenze diversificate. La forza di quel capo di governo dipende dalla sua credibilità politica e personale che implica non fare promesse che non può mantenere e non farsi paladino di riforme costituzionali controverse le quali, creando conflitti interistituzionali e confusione di competenze, renderanno le sue promesse ancora più difficili da mantenere.

Unità d’intenti

Infine, un “sistema-paese” diventa e rimane un interlocutore affidabile, non soltanto per e nell’Unione Europea, anche quando non solo, ma in primis, i suoi politici e poi gli intellettuali e gli istituti di ricerca non fanno allarmismo, quando dichiarano convintamente (e cooperano a fare sì che…) che l’esito di consultazioni democratiche sarà comunque governabile. Che i nostri partner europei non hanno nulla di cui preoccuparsi. Che l’allarmismo interno ed esterno non è affatto giustificato. Che i sostenitori del NO non sono nemici del loro paese, ma pensano semplicemente che altre riforme siano possibili e migliori e sanno anche quali riforme introdurre. Questo, soltanto, questo è il messaggio da inviare ai quotidiani economici straneri, alle grandi banche d’affari, all’Ambasciatore USA, che avrebbe fatto meglio a parlare dopo avere ascoltato i rappresentanti dei due fronti, ai partners europei.

Pubblicato il 3 ottobre 2016  su AffarInternazionali

NO positivo Per la Costituzione Per buone riforme Per migliorare la politica e la vita

NO positivo Per la Costituzione Per buone riforme Per migliorare la politica e la vita (edizioni epoké)

NO positivo Per la Costituzione Per buone riforme Per migliorare la politica e la vita (edizioni epoké)

indice

indice-2

 

edizioni epoké 2016

INTRODUZIONE
Storia, memoria, Scienza Politica, Costituzione

Da più parti mi hanno detto che, finito il persino troppo lungo intervallo nel quale molti si vantavano delle riforme del governo o le deprecavano soltanto in base alla loro posizione/preferenza politica, è diventato possibile cominciare una vigorosa discussione sul merito delle riforme. D’altronde, è da sempre che noi italiani siamo famosi per discutere pragmaticamente su fatti e cifre, non fumosamente su cosiddetti pii desideri e complotti immaginari. Ha cominciato Matteo Renzi a dire che queste non sono le sue riforme. Ha chiarito che le riforme sono sue e di Giorgio Napolitano. Il messaggio non è ancora giunto al Ministro Boschi che sostiene che queste sono le riforme del governo approvate dopo faticose discussioni dal Parlamento, ma criticate da coloro, oscurantisti che vengono dal Medioevo, che non rispettano il lavoro del Parlamento e che vorrebbero addirittura farle cadere con il referendum, lo strumento opportunamente previsto dai Costituenti affinché i cittadini valutino l’operato del Parlamento. Neanche questa, però, sembra essere lontanamente una critica sul merito. Inoltre, al Ministro sfugge la differenza, non proprio marginale, che non è stato il Parlamento in quanto tale a fare le riforme, ma una maggioranza neanche troppo convinta di sé.

Sempre fuori merito e anche fuori misura sono arrivati tre diversamente noti sostenitori del “sì”. È arrivata la bordata, assolutamente sul merito, dell’economista Salvati, «chi vota contro le riforme vota contro il paese». Questa meritoria posizione era stata anticipata dal filosofo Massimo Cacciari che voterà sì anche se le riforme non gli piacciono, motivato da «sensibilità repubblicana». Almeno temporaneamente al coro possente di questi sì derivanti da pensose riflessioni sul merito si è accodato il sociologo Arturo Parisi. Voterà sì perché quelle del Renzi e della Boschi sono le riforme dell’Ulivo, meglio le riforme che l’Ulivo non ha fatto e, per quel che si ricorda, che nessuno degli ulivisti ha effettivamente provato a fare. Anzi, gli ultimi rimasti fra i dalemiani potrebbero persino sostenere che Prodi e i suoi collaboratori non furono certo i più agguerriti sostenitori della Commissione Bicamerale per le Riforme Istituzionali (1997-1998).

La memoria degli italiani non è mai lunga tranne quando si tratta di regolare dei conti. La conoscenza della storia, neppure di quella recente, non è mai approfondita. In questo piccolo libro ho raccolto articoli scritti nell’arco di sei mesi, pubblicati in sedi diverse, che ringrazio, che mirano a sollecitare la memoria anche rammentando, in maniera non pedante, un po’ di storia. Non intendo certo scrivere la mia storia di “riformatore istituzionale”, ma neanche cancellarla e fare finta che sono un parvenu. Al contrario, sono orgoglioso di ricordare una traiettoria coerente che va da Restituire lo scettro al principe. Proposte di riforma istituzionale (Laterza 1985), passa attraverso Le istituzioni di Arlecchino (Napoli, ScriptaWeb, 2008, 5° ed.) e approda temporaneamente a Cittadini senza scettro. Le riforme sbagliate (Egea-UniBocconi 2015). Molto, come si conviene ad un dibattito sul merito, che personalmente ho preso molto sul serio, si trova lì.

Qui, invece, gli articoli raccolti si situano sul piano della critica, anche della polemica, politica, augurabilmente utile, talvolta più che doverosa, mai dimentica di quello che ho imparato e che, come studioso di scienza politica, posso orgogliosamente affermare di sapere. Aggiungo e chiudo che il sapere della scienza politica, come ha ripetutamente scritto Giovanni Sartori, è un sapere applicabile. Facendo tesoro di questo insegnamento che, purtroppo nella scienza politica italiana è stato recepito poco e molto male, non ho rinunciato, tutte le volte che mi pareva potesse servire, a introdurre e spiegare le alternative praticabili alle riforme del governo e del Partito Democratico. Con l’immobilismo istituzionale il mio “no” non ha proprio nulla a che vedere. È un “no” a riforme da cancellare per fare riforme buone che migliorano il funzionamento del sistema politico italiano e, con un po’ di sana retorica, anche la vita, non dei governanti e rappresentanti, non della classe politica, ma dei miei concittadini.

Bologna, un giorno del tranquillo agosto 2016

From 1 September Changing Republic – Politics and Democracy in Italy

Di Gianfranco Pasquino e Marco Valbruzzi, Edizioni Epoké

A Changing Republic

 

Questo è un libro sull’Italia, la sua politica, le sue istituzioni, i suoi governanti. Non offre un ritratto edulcorato delle trasformazioni avvenute negli ultimi vent’anni, ma va contro tutti gli stereotipi. Cerca di fornire il massimo di informazioni possibili e di spiegare le peculiarità della politica italiana nel suo contesto nazionale. Ogniqualvolta possibile segnala le differenze (più che le somiglianze) con le altre democrazie parlamentari europee. Parla dell’antica malattia italiana nota come trasformismo, del più recente vizio noto come partitocrazia e della personalizzazione della politica. Lo fa senza demonizzare, ma indicando tutti i problemi e tutti gli inconvenienti che ciascuno di quei fenomeni porta con sé.
Gli autori non evitano neppure lo spinoso (e, secondo alcuni, che sbagliano, noioso) argomento della riforma delle istituzioni. Sì, buone istituzioni e una legge elettorale decente possono rendere migliore una democrazia. Quella italiana ha ancora molta strada da fare. Questo libro illumina quella strada per tutti coloro che vogliano intraprenderla e seguirla: un compito difficile, ma possibile.

Il libro sarà disponibile a partire dal 1 settembre rivolgendosi a simone.tedeschi@epokericerche.eu

INTRODUCTION

This book does not contain a tale of Italian politics and does not aim to provide one. Facts and figures area readily and abundantly available on the Web. Even though they are not always reliable, they offer some useful material to be interpreted. Indeed, interpretation of facts and figures and their explanation is what we believe is especially important, not only when analyzing Italian politics. Too often the books devoted to Italian politics provide stereotypes, mostly in an unjustifiable way. Even though there is a lot to criticize and very little to praise in the politics of Italy, it seems to us that in order to understand it, it is imperative to have a framework. Our contention is that the framework must be comparative. The Italian political system is a not so young parliamentary democracy. Hence it must be compared with all, or at least many, other parliamentary democracies. Only proceeding this way, political scientists, opinion- makers, journalists and citizens will learn something and convey what they have learned to all those who are interested in the politics of Italy as well as of other parliamentary democracy.

Our book is a not what is usually called a “systematic” study. Nor is it a textbook. There are many textbooks of varying quality, most of them destined to be soon outdated because, contrary to widespread beliefs, Italian politics has often changed and is still changing. In itself, change does not mean improvement and should not be equated with it. For instance, there is no doubt that between 1992 and 1994 the Italian political system has undergone significant changes. We hold two strong convictions based on our analyses. No Second Republic ever made its appearance (and no Third Republic is in sight either), but a second turbulent phase of the 1948 Italian Republic was inaugurated. No significant improvement was introduced in the functioning of the political system and in the quality of Italian democracy. Still, many changes surfaced and have remained visible. The electoral laws have been reformed three times. Politics has become highly personalized. Most parties, old and new, have transformed themselves into personalistic organizations. One party has adopted primary elections for the recruitment and selection of its candidates and leaders. All parties have become weak and party government has been seriously challenged by non-partisan governments. Trasformismo, the old parliamentary disease that has characterized Italian politics since 1876, has returned to the fore. Finally, thanks to the Machiavellian combination of “fortuna and virtù”, the three Presidents of the second phase of the Republic have come to play a significant political and institutional role. In many instances, they have been the bearing wall of the political system.

Our chapters are devoted to explore in depth not just the many changes that have occurred in Italian politics, but to explain their origins and to assess their consequences for the political system and for the quality of Italian democracy. The readers will immediately discover that we do not belong to none of the two prevailing schools whose adepts have been writing many articles and books on Italian politics. Contrary to those who believe and state that the Italian political system is an “anomaly”, positive or negative, our contention is that the best way to understand Italian politics is to put it into the comparative context. It will then become possible to identify the assets (few) and the liabilities (many) in the functioning of the Italian political system and, knowingly, to suggest what can and should be changed. We also reject the idea that Italy is a “normal” country. Leaving aside the fuzziness of the adjective normal, we believe that there exist several aspects of Italian politics that are not at all normal, that is, that cannot be found elsewhere. We are also afraid that by utilizing the label “normal”, too many Italians, from the voters to the political leaders, from the parliamentarians to the power-holders, will feel justified in absolving themselves of any responsibility for what is, by all standards, a very poor performance of their political system and of themselves, translated into a very low quality of Italian democracy. We remain firm in stating that in order to provide a balanced assessment of the Italian political system, its functioning, its performance, one has to possess a good political science knowledge, indispensable to acquire and to filter the necessary information from a variety of sources, including the Italian Constitution (1).

In the end, in our chapters we have tried to perform several important tasks. First and foremost, against all stereotypes, we have highlighted the complexity of Italian politics. Second, contradicting and dismissing other stereotypes, we clearly suggest that politics in Italy is not at all characterized by immobilism and stalemate. On the contrary, many significant changes have taken place throughout the life of the Italian Republic and especially in its second phase. Third and last, we stress that Italian politics is the product of conflicts, achievements and drawbacks that makeit very interesting for the observers and the scholars, provided they have the instruments to analyze and to understand it, but very depressing and unsatisfactory for most Italian citizens. The struggle for a better politics and for more convincing explanations goes on. Our, hopefully, not so small contribution to both is to be found in the chapters that follow.

Gianfranco Pasquino and Marco Valbruzzi Bologna and San Piero in Bagno,
February 2015

1. On this basis, we are glad to announce that Perry Anderson has won the first prize for the worst, least illuminating and most misleading piece on Italian politics published in the last decade: The Italian Disaster, in “London Review of Books”, vol. 36, n. 10, May 2014, pp. 3-16.

 

TABLE OF CONTENTS

Introduction

1. Primary Elections. An Episode in institutional innovation
2. Non-partisan governments Italian-style
3. Three Presidents and their accordion
4. Not a normal country: the Italian party systems
5. The 2013 elections and their political consequences
6. Post-electoral politics: institutional problems and political perspectives
7. The triumph of personalist parties
8. Trasformismo: a useful concept for analyzing Italian politics?
9. Democracy at Stake?

 

A Changing Republic. Politics and Democracy in Italy

Mentre il sistema politico italiano è entrato in un nuovo giro di riforme malfatte, Gianfranco Pasquino e Marco Valbruzzi riflettono criticamente sulla storia politica italiana degli ultimi vent’anni, mettendone in luce tutti i limiti, le criticità e, per chi davvero volesse coglierle, le opportunità per rendere le istituzioni più efficaci e meglio funzionanti. 

In uscita ai primi di settembre per Edizioni Epoké

A Changing Republic. Politics and Democracy in Italy

Di Gianfranco Pasquino e Marco Valbruzzi.

A Changing Republic