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Senza idee l’egemonia culturale è pura chimera @DomaniGiornale

Sbagliata l’impostazione sbagliata la prosecuzione, per capire cos’è l’egemonia culturale è indispensabile avere idee. In cultura nessuna egemonia, meno che mai connotata da un marchio politico: di sinistra, di destra, di centro, populista, sovranista, e, a maggior ragione, democratica, si acquisisce occupando posti. Certamente, grazie alle nomine e alle graziose, ma spesso, poi, anche esigenti, concessioni ad opera dei detentori, più o meno temporanei e voraci, del potere politico, è possibile avere spazi, occupare luoghi, ottenere cariche. Però, senza idee e senza persone portatrici di idee non ne (con)seguirà nessuna egemonia. La situazione non sarà pienamente definibile con le parole di Shakespeare, la cui personale “egemonia” culturale è enorme, “molto rumor per nulla” soltanto perché le prebende, i vantaggi materiali, la visibilità per un numero notevole di intellettuali e per molti settori dell’opinione pubblica (quasi sicuramente anche degli influencers e dei loro followers) è tutt’altro che nulla. Anzi, prebende, vantaggi, visibilità, soprattutto popolarità, aggiungerei, ma solo perché sono un intellettuale radical chic, effimera sono quasi tutto quello che, desiderandolo, riescono a concepire.
La reimpostazione del discorso deve, non soltanto a mio parere, ripartire dalla riflessione sull’esistenza di molteplici centri di attività culturale, dal pluralismo e dalla libertà di produzione, pubblicazione, diffusione delle idee, cioè, dalla democrazia. In questo contesto, oggi fortunatamente ancora aperto e differenziato, nonostante i preoccupati (e preoccupanti) cantori della crisi della democrazia, esiste una egemonia, spesso sfidata, ma molto resiliente: quella dei valori, soprattutto della libertà, variamente declinata in diritti civili, politici, persino (sic) sociali, del pluralismo e della competizione. In democrazia, pertanto, tutti i modi di fare cultura nelle arti, in musica, in letteratura, nel cinema possono essere praticati. Talvolta, qualche modalità risulterà più diffusa, più accettata, più apprezzata. Difficilmente sarà l’unica e continuerà a essere sfidata e messa in discussione. Se è cultura potrà anche vedere ridursi il suo ambito di influenza e successo, verrà superata in “popolarità”, ma avrà comunque acquisito un suo posto nella storia delle arti, della musica, della letteratura. Con enfasi retorica è opportuno e giusto affermare che le idee che hanno dato vita e innervato l’evoluzione della cultura non muoiono. Continuano a essere fonti di ispirazione, di imitazione, di apprendimenti. Le grandi scuole di cultura sono state fondate e guidate da persone di cultura che non dovevano la loro visibilità e la loro influenza a nessuno, meno che mai alla politica e ai politici, ma soltanto alla forza delle loro idee e delle loro capacità. Molto è cambiato, soprattutto nelle modalità di comunicazione e diffusione delle idee. Forse, persino in meglio. La scena culturale è ormai legata strettamente alla globalizzazione. Leggerei l’espressione “nessuno è profeta in patria”, in maniera all’altezza dei tempi. Fare cultura richiede la conoscenza, il confronto, la competizione su scala globale. Continueremo a vedere e capire le differenze fra conservatorismo e progressismo, fra processi culturali innovativi, fra idee che si espandono e si ritraggono. Potremo anche notare che alcune idee acquisiscono egemonia, quanto duratura o temporanea lo si valuterà dopo. Ma egemoni non saranno automaticamente e neppure frequentemente le idee di chi occupa cariche di vertice per nomina politica. Talvolta, proprio al contrario: egemoni saranno coloro che ha ottenuto quelle cariche come riconoscimento della “genialità” delle loro idee. Ripensare l’egemonia culturale è un impegnativo compito per i produttori di idee.
Pubblicato il 31 gennaio 2024 su Domani
L’egemonia culturale si conquista con la competizione delle idee non occupando posti di potere
Da quando l’egemonia culturale si conquista, non producendo idee, ma, occupando posti? Da quando l’egemonia culturale è un prodotto nazional-sovranista che pensa di poter fare a meno di confrontarsi con il mondo globalizzato e con le idee e i valori dell’Unione Europea? Ripensare l’egemonia in chiave di competizione in democrazia e per la democrazia, oggi (e ieri).
L’imbarazzo di una destra rimasta senza classe dirigente @DomaniGiornale


Una classe dirigente è davvero tale quando i suoi esponenti non soltanto sono convinti di avere le capacità e le competenze per occupare cariche importanti, ma riconoscono che anche altri nel loro partito/coalizione saprebbero fare altrettanto bene. A sua volta, il ristretto gruppo dirigente e il/la leader sanno che i collaboratori di vertice, ministri, sottosegretari et al. non obietteranno all’eventuale sostituzione per non imbarazzare partito e leader, certi che alla prima occasione buona saranno recuperati. Aggrapparsi con le unghie e con i denti alle cariche è, da un lato, un segno di debolezza, di sfiducia in se stessi/e, ma anche nel/la leader, dall’altro è imbarazzante per la leader obbligata a scegliere fra la lealtà personale e politica (ai limiti dell’omertà) e la coesione dell’organizzazione partitica.
Sono davvero così pochi e di rango inferiore gli esponenti di Fratelli d’Italia in grado di sostituire il Ministro Santanché e il sottosegretario Delmastro Delle Vedove? La loro sostituzione indebolirebbe Giorgia Meloni poiché in Fratelli d’Italia, come in altri partiti italiani (e no) esistono situazioni nelle quali, ad esempio, Milano, dove i voti e il consenso, come ha scritto Giulia Merlo, ruotano attorno al Presidente La Russa e al Ministro Santanché? Naturalmente, è comprensibile che la Presidente del Consiglio non sia disposta a concedere alle opposizioni di fare dimettere Santanchè. Proprio per questo è lecito attendersi dalla Ministra una nobile (sic) dichiarazione di dimissioni accompagnata dalla ri-rivendicazione dell’estraneità ai fatti e ai comportamenti che le sono attribuiti.
Se la classe dirigente della destra mostra limiti numerici/quantitativi, non meglio sembra procedere il tentativo di costruire la sua egemonia culturale. I suoi intellettuali di riferimento, scrittori, critici d’arte, giornalisti, hanno finora fatto notizia non per mirabolanti, straordinarie, innovative imprese culturali, ma per scurrilità, improvvisazioni, maschilismo, proprio mancanza di cultura. L’improvvisa visibilità non ha giovato all’autocontrollo che dovrebbe essere patrimonio degli intellettuali. Fermo restando che in democrazia l’egemonia culturale comincia dalla Costituzione, le sue clausole, le sue interpretazioni, che si affermi oppure no e esista dipende dal suo trascendere i confini nazionali.
Sono gli intellettuali degli altri paesi, gli organizzatori culturali, le case editrici, i direttori di musei e orchestre che riconoscono come eccellenti i prodotti che circolano sul mercato delle idee. Questo non è un altro discorso rispetto alla ristrettezza e alla qualità del gruppo dirigente di Fratelli d’Italia e dei governanti del centro-destra. Sono le loro nomine e i loro prescelti che potranno o no produrre e fare circolare cultura. Finora, poco o nulla.
Se la classe dirigente della destra mostra limiti numerici/quantitativi, non meglio sembra procedere il tentativo di costruire la sua egemonia culturale. I suoi intellettuali di riferimento, scrittori, critici d’arte, giornalisti, hanno finora fatto notizia non per mirabolanti, straordinarie, innovative imprese culturali, ma per scurrilità, improvvisazioni, maschilismo, proprio mancanza di cultura. L’improvvisa visibilità non ha giovato all’autocontrollo che dovrebbe essere patrimonio degli intellettuali. Fermo restando che in democrazia l’egemonia culturale comincia dalla Costituzione, le sue clausole, le sue interpretazioni, che si affermi oppure no e esista dipende dal suo trascendere i confini nazionali.
Sono gli intellettuali degli altri paesi, gli organizzatori culturali, le case editrici, i direttori di musei e orchestre che riconoscono come eccellenti i prodotti che circolano sul mercato delle idee. Questo non è un altro discorso rispetto alla ristrettezza e alla qualità del gruppo dirigente di Fratelli d’Italia e dei governanti del centro-destra. Sono le loro nomine e i loro prescelti che potranno o no produrre e fare circolare cultura. Finora, poco o nulla.
Pubblicato il 12 luglio 2023 su Domani
Imporre idee dall’alto non è vera egemonia @DomaniGiornale


A fondamento di qualsiasi egemonia culturale stanno le idee. Qualche volta le ideologie. Bisogna che quelle idee vengano diffuse, apprezzate, considerate essenziali nei dibattiti, nella scelta degli obiettivi, nella ricerca di soluzioni collettive. L’imposizione dall’alto di idee e della loro osservanza non è egemonia. Piuttosto, è discriminazione e oppressione. L’egemonia è tale se viene riconosciuta, se quelle idee portanti costituiscono punti di riferimento ineludibili e i portatori sono variamente premiati, nel loro paese (pardon, patria) e all’estero. Anzi, saranno proprio i premi all’estero, le traduzioni, le vittorie nei Festival a sancire che in effetti alcuni prodotti culturali sono importanti, decisivi. Questi dati “duri” metterebbero in piedi una valutazione più convincente di quanta e quale sia stata l’egemonia culturale della sinistra. Dall’egemonia culturale dovrebbe discendere anche una egemonia politica. Idee importanti sulla vita e sul mondo, sulla cultura e sulla rappresentazione della società che c’è e di quella da costruire non possono non influenzare la politica, i partiti, il voto. Invece, è innegabile che alla egemonia culturale della sinistra si sia contrapposto con grande successo il controllo del potere politico ad opera di chi quella presunta egemonia non gradiva, remember l’espressione “culturame”?, e la sviliva. Tuttavia, neppure l’occupazione, peraltro non integrale, del grande schermo televisivo è servita, da un lato, a contenere l’egemonia culturale della sinistra e, dall’altro, a fare nascere e prosperare una contro-egemonia, centrista, moderata, alternativa.
Con i suoi primi atti e con numerosissime dichiarazioni, i/le governanti del centro-destra hanno annunciato che vogliono porre fina all’egemonia culturale della sinistra (a me, nella misura in cui è effettivamente esistita, sembrava già da tempo esaurita nel pensiero e nelle opere) e sostituirla con idee di destra, con intellettuali di area, con una visione alternativa, a cominciare, ma non solo, dalla RAI. Sono circolati nomi di intellettuali ai quali nessuna egemonia di sinistra aveva impedito di esprimersi, i cui prodotti culturali non hanno mai incontrato censure, che nella misura delle loro capacità sono già stati apprezzati dal pubblico, magari molto meno a livello europeo e internazionale.
Ciò detto, non mi pare affatto che sia alle viste una grande battaglia di idee, anche se forse il sovranismo si erge contro l’europeismo, che qualcuno nello schieramento di centro destra abbia le qualità per diventare un intellettuale pubblico di grande influenza. Non basterà al centro-destra conquistare più posti per acquisire una vera egemonia. Il problema, però, riguarda anche la sinistra, quindi il paese. Venute meno le grandi culture politiche che scrissero la Costituzione, manca una competizione aperta, trasparente, anche aspra fra idee e ideali poiché entrambi sono assenti. L’egemonia non abita in Italia.
Pubblicato il 7 giugno 2023 su Domani
Il Festival di Sanremo sposta davvero gli italiani a sinistra? @DomaniGiornale


Sembra che sul palco del Festival di Sanremo siano state dette molte cose di sinistra. Sembra che sia di sinistra anche strappare una imbarazzante foto di attuale sottosegretario di Fratelli d’Italia con camicia nazista. Ma, a parere di alcuni commentatori di destra il massimo della ritornante egemonia culturale della sinistra (sic) sarebbe stato raggiunto in quello che a me e al Direttore di questo giornale è parso lo sgangherato e un po’ ripetitivo monologo di disinvolto elogio alla Costituzione fatto da Benigni (il comico che nel 2016 annunciò di votare a favore delle stravolgenti riforme renziane alla “Costituzione più bella del mondo”). “Salvare” la Costituzione dal progetto malamente considerato eversivo di una trasformazione semi-presidenziale. E poi dicono che Macron, Presidente di una Francia semipresidenziale, è troppo suscettibile: gli danno del leader autoritario! Di sessualità fluida et similia poco so, ma credo che nessuno di quei dodici milioni di telespettatori, un quinto degli italiani, i restanti quarantotto milioni hanno preferito fare altro, si sia “buttato a sinistra” (copyright il principe de Curtis) vedendo alcune immagini conturbanti.
Nel passato, il Festival di Sanremo non incrinò e non rafforzò l’egemonia nazional-popolare della Democrazia Cristiana e non mise mai in crisi l’egemonia culturale della sinistra. Anzi, con il passare del tempo tutti (o quasi) dovrebbero porsi il duplice problema storico se nell’Italia repubblicana è davvero esistita l’egemonia culturale della sinistra, ovvero dei partiti di sinistra, dei loro dirigenti, dei loro intellettuali di riferimento, delle loro idee e quale sia stato l’impatto di quella egemonia sulla vita e sulla cultura degli italiani. So di sollevare un interrogativo enorme al quale probabilmente persino Gramsci sarebbe riluttante a formulare una risposta. Ma, se l’egemonia culturale ha bisogno quasi per definizione di intellettuali, più o, molto meglio, meno “organici”, continua a rimanere vero che le idee camminano sulle gambe degli uomini (e delle influencer), quali intellettuali (di sinistra) hanno frequentato l’ultimo di Festival di Sanremo? E quali intellettuali di destra avrebbero dovuto essere invitati in alternativa, a fare da contrappeso (il dibattito nooooo)?
Mi accorgo che sto personalizzando, ma, se si è interessati a capire l’evoluzione dell’egemonia culturale, del confronto e dello scontro di idee, di progetti, di visioni di società, non solo è indispensabile personalizzare, ma bisogna chiedersi se esistono ancora grandi intellettuali o “scuole di pensiero” in grado di produrre cultura, di reclutare adepti, di influenzarli e orientarli, e di egemonizzare i dibattiti e la vita culturale del paese e di chi distribuisce cultura “per li rami”. Certo qualcuno direbbe che sono scomparse le ideologie del passato. La loro storia è davvero finita. Siamo tutti più poveri, ma anche, forse, più liberi. Allora, sarebbe forse opportuno chiedersi se siano riformulabili ideologie coinvolgenti e trascinanti e se esistano i formulatori, gli intellettuali pubblici che al pubblico, all’opinione pubblica si rivolgono e in maniera trasparente segnalano come è politicamente e eticamente consigliabile e auspicabile stare insieme/interagire nella società globalizzata.
Molte destre e qualche sinistro rispondono con il sovranismo che ideologia è, ma a contatto con le dire lezioni della storia (Hegel) scricchiola, traballa e cerca di adeguarsi. Qualcuno, anche tramite l’ultranovantenne Jürgen Habermas si aggrappa al “patriottismo costituzionale” non privo di ambiguità e inconvenienti. La mia risposta è che l’europeismo, come storia, comecomplesso di valori, come pluralismo e pluralità di obiettivi, può essere. non una nuova ideologia, totalizzante e costrittiva, ma la cultura politica di riferimento. A Sanremo non s’è vista neanche l’ombra dell’europeismo. Fuori, in molte località, centri di ricerca e università, persino nelle sedi radiotelevisive e giornalistiche si trovano studiosi e operatori spesso anche dotati di capacità, in grado di cantare le lodi dell’Unione Europea e dell’idea d’Europa. Però, mancano i predicatori dell’europeismo possibile e futuro: Jean Monnet, Altiero Spinelli, Jacques Delors. Oggi e domani non dovrebbe preoccuparci nessuna inesistente egemonia, ma dovremmo dolorosamente sentire la diffusa mancanza della materia prima sulla quale può nascere l’egemonia e l’assenza dei suoi facitori
Pubblicato il 14 febbraio 2023 su Domani