A latere della discussione/confronto con Enrico Letta su La politica domani, mi fa piacere aggiungere alcune, poche, ma precise considerazioni. Senza scherzare, anzi, con non poca preoccupazione, ripeto che, purtroppo, la politica ‘domani’ è già largamente pregiudicata dall’oggi. Sarà, e mi rivelo seguace di von Clausewitz, la politica di oggi perseguita con altri mezzi. Enrico Letta ha dichiarato che almeno uno di quegli altri mezzi lo sta già utilizzando: Instagram. Lo ha imparato insieme ad altre cose di cui ha scritto nel suo libro. Non mi chiedo che cosa ci sarà ancora nella politica di dopodomani che è il mio orizzonte (anche se probabilmente non arriverò a vederla!). Sono preoccupato da quello che non ci sarà (mai) più: contenuti e stile. Per capire e prevedere dovremmo interrogarci ancora più a fondo su come cambia la comunicazione politica e su come le persone si rapportano fra loro, socialmente e politicamente. Esiste ancora questa distinzione? C’è molto da imparare.
Di frequente viene ripetuta una frase famosa: «un politico guarda alle prossime elezioni; uno statista guarda alla prossima generazione. Un politico pensa al successo del suo partito; lo statista a quello del suo paese» (attribuita al teologo americano James Freeman Clarke 1810-1888). Quando guardo la politica italiana e lo faccio, inevitabilmente, tutti i giorni, pur tenendola a distanza, mi rendo immediatamente conto, ma non è una grande scoperta, che gli statisti non abitano qui. Né mi sembra di scorgere fra le leve emergenti alcuni statisti in the making, in fieri. Per questa ragione parlo della politica di dopodomani.
Il declino dei partiti, avvenuto e certificato, anche se i Cinque Stelle stanno cercando di ri-organizzarsi, senza dirlo, come, fra enormi contraddizioni e inadeguatezze, partito, rende difficilissima, anzi improbabile, la comparsa di statisti. Nessuna preparazione politica nessuna competenza nessuna pazienza (virtù rivoluzionaria secondo Gramsci): nessuna possibilità che uomini e donne interessati alla prossima generazione e al sistema politico (qui aggiungerei all’Europa) siano espressi dall’Italia, in Italia.
Sempre ci diciamo che è un problema che trova il suo inizio di soluzione nella scuola – dove, però, scopriamo che la storia è oramai un insegnamento residuale e troppi pensano che la Costituzione debba essere inquadrata sotto Diritto, mentre è Storia più Politica (dirò, più precisamente, ‘scienza politica’). Gettiamo quindi la responsabilità di migliorare la politica sui giovani che non sono responsabili della mala politica e che possono difendersi dicendo che nella mala politica proprio non ci vogliono entrare. Il fascicolo di «Paradoxa» dedicato ai millennials (Giovani e futuro della politica. Oltre il disincanto, 4, 2018), non li colpevolizza, ma neppure li blandisce né chiede loro, ipocritamente, di farsi carico del futuro, quel futuro preparato colpevolmente dai loro genitori dall’inizio degli anni Ottanta. Comunque, il futuro arriverà per loro. Meglio che si attrezzino con tutti gli strumenti che capitano loro per le mani, A politici come Letta, rarissimi di questi tempi in Italia, e a chi se la sente (sugli intellettuali il video già contiene quel che penso) è inesorabilmente affidato il compito prima di disboscare la giungla politica italiana, poi di piantare e fare crescere gli esili steli della buona politica. Una cosa è certa: sarà necessario l’impegno di molti comunicatori, di molti insegnanti, di molti predicatori (non saprei dove collocare il mio maestro Norberto Bobbio, ma so interpretarne il rammarico per l’Italia incivile, degli incivili) per alimentare e sostenere la buona politica. E per sapere quale direzione intraprendere consiglio di guardare sempre, anche criticamente, a quello che succede in Europa. Where else?
Pubblicato il 28 febbraio 2019 su PARADOXAforum