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Fatta la legge elettorale, trovato il disaccordo. Scrive Pasquino @formichenews

Tra gli elementi non considerati nella scelta di una legge elettorale c’è la premessa scientificamente e eticamente doverosa: quanto potere conferisce agli elettori. L’analisi di Gianfranco Pasquino, accademico dei Lincei prossimamente in libreria con “Tra scienza e politica. Una autobiografia” (Utet)

La premessa scientificamente e eticamente doverosa è che il criterio dominante per valutare la bontà di una legge elettorale è quanto potere conferisce agli elettori. Naturalmente, abbiamo imparato che nessun dirigente di partito e nessuno dei loro politologi, o presunti tali, di riferimento utilizza quel criterio come essenziale. Sappiamo che due criteri prevalgono su qualsiasi altra considerazione. Primo, non perdere ovvero limitare le dimensioni della eventuale sconfitta. Secondo, riuscire comunque a portare in Parlamento rappresentanti consapevoli di essere debitori della loro elezione e carica al capo partito o al capocorrente e, dunque, orientati alla disciplina interessata (alla ricandidatura). Nessuna variante di legge proporzionale rende impossibile conseguire entrambi gli obiettivi, anche se, garantendo un voto di preferenza (ricordo che gli italiani si espressero in questo senso in un fatidico referendum giugno 1991) si darebbe persino un po’ di potere agli elettori. Mi sono tappato le orecchie per non sentire le strilla di coloro che contro ogni obiezione vedono nelle preferenze solo corruzione.

   Se Letta mi chiedesse che cosa serve meglio a chi vuole costruire un campo largo, gli risponderei che una legge maggioritaria a doppio turno in collegi uninominali è la soluzione migliore. Quel campo sarebbero/saranno gli elettori a costruirlo secondo il gradimento che daranno all’offerta delle candidature, ovviamente con occhi di tigre, e delle indicazioni di alleanze con i pentastellati incentivati a stare nella coalizione in fieri. Dal canto loro, un po’ tutti i centristi vorrebbero contarsi grazie ad una legge proporzionale che non contenga nessuna soglia d’accesso al Parlamento, rischiosissima per la sopravvivenza di non pochi di loro. Meloni continua a propendere per e difendere “il” maggioritario, credo sostanzialmente la legge Rosato, due terzi proporzionale, un terzo maggioritaria. Sa che, a bocce ferme, questa legge le consentirebbe di essere numericamente decisiva se il centro-destra vuole ricompattarsi e governare. Ma non è vero, come sembra temere, che “la” proporzionale la metterebbe fuori gioco. Anzi, contati i voti proporzionali è possibile, persino probabile che quel che resto del centro-destra sarebbe costretto a constatare l’indispensabilità dei seggi di Fratelli d’Italia per giungere alla maggioranza assoluta in Parlamento. Non tanto paradossalmente, anche una legge di tipo francese renderebbe comunque i suoi voti decisivi per tutti candidati uninominali del centro-destra. FdI sarebbe sottorappresentata, ma determinante.    Come si capisce da questo sintetico scenario, risulta chiarissimo perché un accordo sulla legge elettorale sia molto difficile da trovare. Formiche mi ha chiesto di non esprimere le mie preferenze. Allora concludo con due notazioni comparate che è sempre il modo migliore di procedere. Il doppio turno francese dà più potere agli elettori e ai candidati e agevola la formazione di coalizioni per il governo. Le leggi proporzionali sono spesso raccomandate quando esiste frammentazione sociale e politica. Una buona soglia di accesso riduce la frammentazione, la proporzionalità rappresenta adeguatamente la società. Il resto, nel bene e nel male, non può non restare nelle mani dei dirigenti di partito.

Pubblicato il 23 febbraio 2022 su formiche.net

“La lezione francese” Il sistema maggioritario a doppio turno in collegi uninominali #DemocraziaFutura Anno I n4

Il sistema elettorale francese maggioritario a doppio turno in collegi uninominali ha una storia lunga e interessante. Da non pochi punti di vista, ad esempio, il potere degli elettori e la rappresentanza politica ad opera degli eletti, è una storia di successo.

In Francia il sistema elettorale a doppio turno è stato utilizzato, con qualche breve interruzione, durante tutta la Terza Repubblica (1871-1940). Fermo restando che in ciascun collegio uninominale il seggio era attribuito al primo turno al candidato che aveva ottenuto il 50 per cento più uno dei voti espressi, come avviene dal 1958 in poi (purché abbiano votato almeno il 25 per cento degli elettori aventi diritto), quel doppio turno non conteneva clausole restrittive. In assenza di un vincitore al primo turno, al secondo turno non soltanto potevano passare tutti i candidati già presentatisi, ma venivano ammessi anche altri candidati.

Questa possibilità consentiva ai dirigenti dei partiti e ai candidati stessi di valutare le chances di vittoria di ciascuno e di tutti. Non furono rari i casi nei quali, ad esempio, i candidati socialisti al primo turno erano tre o addirittura quattro. Valutata la loro prestazione, rimaneva in lizza al secondo turno il candidato che aveva ottenuto più voti, ma talvolta il secondo piazzato se ritenuto più idoneo a sommare tutti i voti socialisti e qualche voto in più di candidati “vicini” che desistessero. Addirittura, preso atto che nessuno dei candidati dava adeguata garanzia di riuscire a ottenere la vittoria al secondo turno, il ritiro di tutti apriva le porte ad una nuova candidatura non presente al primo turno.

A chi (si) chiede quale sia la logica di questa variante del doppio turno, è possibile e utile offrire una risposta generale e alcune considerazioni specifiche. La risposta generale, a mio parere convincente, è che, a prescindere da qualsiasi altra considerazione, il doppio turno in sé è portatore sano di abbondanti informazioni politiche importanti. Le informazioni riguardano i candidati, i dirigenti dei partiti, i mass media (allora, essenzialmente la molto letta stampa locale) e, ovviamente, i cittadini elettori. Ciascuno dei protagonisti a vario titolo riceve conoscenze significative e può farne tesoro:

  • I candidati sono in grado non solo e non tanto di valutare la loro prestazione e quella dei concorrenti dentro e fuori del proprio partito, ma anche la validità della propria campagna elettorale oltre all’apprendimento delle preferenze e degli interessi degli elettori tutti e di coloro ai quali hanno fatto riferimento privilegiato.
  • A loro volta i dirigenti dei partiti acquisiscono tutte queste informazioni che consentono loro di risolvere eventuali diatribe interne e, come già anticipato, di cambiare tutti e/o tutto con minori resistenze e con fondate giustificazioni.
  • L’attenzione dei mass media è “catturata” dal complesso gioco delle valutazioni dei candidati e dei dirigenti dei partiti e degli eventuali negoziati per il ritiro di alcuni, le desistenze, e l’ingresso di nuovi candidati.
  • Pertanto, tra un turno e l’altro verrà messo a disposizione degli elettori una considerevole quantità di materiale conoscitivo utile alla formazione delle loro opinioni e alla decisione di voto.

La parentesi proporzionale durante la Quarta Repubblica (1946-1958)

Nel 1946 la Quarta Repubblica francese si dotò di un sistema elettorale proporzionale che, manipolandolo in più occasioni anche al fine di fabbricare maggioranze parlamentari, utilizzò fino al 1958. Non mi riesce di ricostruire la storia dei passi con i quali si pervenne alla decisione di “tornare” ad un sistema elettorale maggioritario a doppio turno.

Comprensibilmente, socialisti e comunisti erano contrari perché consapevoli che la rappresentanza proporzionale “difendeva” meglio le loro posizioni che cominciavano a scricchiolare. Notoriamente contrario al régime des partis del quale socialisti e comunisti costituivano un pilastro, Charles de Gaulle vedeva nei collegi uninominali uno strumento potente per dare visibilità ai candidati, alle persone a scapito delle ideologie e delle organizzazioni.

Il combinato disposto del suo carisma con candidature spesso eccellenti, per le quali la frase “espressioni della società civile” era straordinariamente appropriata e calzante, fece il resto. I collegi uninominali avrebbero premiato le persone e svantaggiato le organizzazioni burocratiche. Socialisti e comunisti persero voti, ma, soprattutto, per la loro incapacità a padroneggiare la logica del doppio turno, soprattutto, come vedremo, l’imperativo di giungere ad accordi, finirono nettamente sottorappresentati in termini di seggi.

Alla logica del doppio turno è, dunque, opportuno dedicare la massima attenzione. 

Al primo turno vince il seggio il candidato/a che ottiene il 50 per cento dei voti più uno purché abbia votato almeno il 25 per cento degli elettori aventi diritto. A titolo puramente indicativo, nel corso delle molte elezioni legislative francesi dal 1962 ad oggi raramente più di cento seggi sono stati assegnati al primo turno. Clamoroso nel 1968 fu l’esito per i gollisti e i giscardiani che presentarono candidati comuni fin dal primo turno eleggendo addirittura 144 candidati.

Al confronto i 2 seggi conquistati al primo turno nel 2017 dalla rampantissima La République en Marche di Emmanuel Macron appaiono un bottino davvero misero soprattutto alla luce della debolezza degli altri partiti. Qui a dimostrazione riporto i dati del collegio del secondo arrondissement di Parigi dove gli elettori che non gradivano il candidato del La République en Marche si sono numerosamente trasferiti sulla candidata gollista (più che le percentuali sono rivelatori i numeri assoluti).

Altrettanto, ancorché diversamente, clamoroso, fu l’esito delle elezioni legislative volutamente anticipate dal Presidente Jacques Chirac nel 1997. “In quell’anno, il Fronte nazionale supera la soglia del 12,5 per cento in addirittura 133 collegi, contro i 49 del 1933, e riesce ad essere presente in 56 duelli (31 con la destra moderata, 13 con il Pcf, 11 con il Ps, 1 con i verdi) e in 76 triangolari (5 con Pcf e destra moderata, 68 con Ps e destra moderata, 3 con verdi e destra moderata)”[1]. Molto importante è sottolineare che “nelle competizioni triangolari, in diversi collegi la presenza del Fronte nazionale ha favorito la vittoria della sinistra: la destra moderata è stata sconfitta in 47 collegi su 76[2]. Nel 1997 è apparso in estrema evidenza quanto la chiusura dei gollisti, fermamente voluta da de Gaulle, all’estrema destra lepenista possa essere costosa e quanto il semplice mantenimento della candidatura lepenista al secondo turno, impedendo un flusso di voti a favore della candidatura gollista, vada a favore della candidatura di sinistra rimasta in campo[3].

Nelle elezioni legislative del 2007, l’exploit presidenziale di Nicolas Sarkozy portò l’Union pour un Mouvement Populaire (UMP) a conquistare 98 seggi al primo turno. I socialisti ne vinsero uno.

Complessivamente 110 candidati furono eletti al primo turno, effetto quasi unicamente del trascinamento della vittoria presidenziale di Sarkozy a favore dei candidati dell’UMP.

Tuttavia, è molto importante sottolineare un fatto reso possibile proprio dal doppio turno e prontamente evidenziato da Le Monde. Imbattibile nella presentazione dei dati elettorali collegio per collegio, in quell’occasione l’autorevole quotidiano francese evidenziò con preoccupazione che, con riferimento ai dati del primo turno, stava per prodursi un’ondata blu (il colore dell’UMP) di proporzioni massicce. Suonato l’allarme, certo non tutti gli elettori francesi leggono Le Monde!, al secondo turno si assistette a due fenomeni congiunti:

  1. la mobilitazione dello sparso elettorato di sinistra a favore dei candidati, per lo più socialisti, rimasti in lizza, che passarono da un deputato a 185,
  2. la mancata convergenza dei centristi sui candidati dell’UMP cosicché lo squilibrio nel numero dei parlamentari fra UMP/PS fu significativamente ridotto.

Questo avvenimento, non inusitato, ma rilevante nelle sue proporzioni, richiede una spiegazione che si basi sulla logica di funzionamento del doppio turno e la espliciti approfondendone le notevoli potenzialità politiche e rappresentative.

Il comportamento degli elettori al primo turno

Come è stato spesso notato, al primo turno l’elettore/trice può permettersi di votare sincero, ovvero per la sua candidatura preferita, in particolare, se intrattiene due aspettative:

1. Nessuno vincerà al primo turno;

2. La sua candidatura preferita riuscirà a superare la soglia di accesso e passerà al secondo turno.

Tuttavia, è possibile, ma non frequente, che alcuni elettori votino fin dal primo turno in maniera strategica, vale a dire, non per la candidatura preferita, che temono abbia poche chances di superare la soglia con il rischio quindi di sciupare il loro voto, ma per la candidatura second best. Il punto merita una breve, ma assolutamente importante, digressione.

Di doppi turni ce ne sono diverse varianti, come scriverò, più avanti.

Il ballottaggio che è la modalità di doppio turno usato nelle elezioni presidenziali francesi (ma anche altrove) è da considerare distinto dal doppio turno legislativo, da non confondere con e da non assimilare a quel doppio turno.

Infatti, quando il vincitore scaturisce da una competizione alla quale sono ammessi soltanto i primi due candidati più votati, parte numericamente rilevante dell’elettorato avrà perso il suo candidato preferito, votato al primo turno, quindi, se decide di non astenersi, si troverà costretto a votare in maniera strategica al ballottaggio, prevalentemente contro la candidatura più sgradita.

L’esistenza del ballottaggio riduce la discrezionalità dell’elettorato, le sue opzioni di scelta e l’elasticità del doppio turno. Si giustifica nell’elezione delle cariche monocratiche poiché ha come obiettivo quello da dare al vincente la legittimità che deriva da una maggioranza assoluta (anche se, come in alcune elezioni presidenziali francesi, nient’affatto cospicua).

La soglia percentuale alta su accesso al secondo turno per ridurre la frammentazione

Al secondo turno in Francia possono (non necessariamente debbono) passare tutti i candidati che superano una determinata soglia percentuale. Nelle prime elezioni dopo la riforma la soglia fu fissata relativamente bassa: 5 per cento. Qualche anno dopo fu innalzata al 10 e nel 1976 definitivamente stabilita al 12,5 per cento degli elettori aventi diritto. È una soglia piuttosto alta poiché se i votanti sono l’80 percento in pratica diventa all’incirca il 17 per cento.  De Gaulle e i suoi consiglieri miravano a contenere e ridurre la frammentazione e il numero dei partiti. In buona sostanza questo esito non è stato conseguito.

Come dimostrano i dati della tabella relativa alle più recenti elezioni legislative, quelle del 2017, nell’Assemblea Nazionale francese sono presenti rappresentanti di addirittura otto partiti che hanno dato vita a sette gruppi parlamentari.

Nota: sono riportati i gruppi così come formatisi all’indomani delle elezioni, i membri dei gruppi possono variare nell’arco della legi-slatura; accanto al nome del gruppo è riportato il nome della lista dalla quale provengono maggioritariamente i membri del gruppo; i membri dei gruppi non riflettono quindi perfettamente gli eletti delle liste, ad esempio almeno una quindicina di eletti LR sono iscritti nel gruppo Les Constructifs; i membri apparentati sono generalmente gli eletti di liste minori o divers; il tipo indica l’apparte-nenza del gruppo alla maggioranza (gruppo maggioritario il gruppo più grande, gruppi minoritari tutti gli altri) o all’opposizione (se il gruppo lo dichiara espressamente), un asterisco indica se il posizionamento non è chiaro. ma deducibile dalla dichiarazione di crea-zione del gruppo.

Tralascio di interrogarmi su quanto questi numeri siano rassicuranti per i tanti, troppi, oppositori italiani del sistema elettorale maggioritario francese.

Credo, però, di fare un’operazione utile riprendendo una proposta di Giovanni Sartori, convinto (come me) della bontà del sistema francese. Per venire incontro ai critici e agli oppositori italiani del maggioritario francese, Sartori tentò di sventare l’obiezione al criterio della soglia percentuale di voti indispensabili per passare al secondo turno indicando una modalità diversa. Stabilendo una soglia percentuale tutti i dirigenti dei partiti piccoli erano/sono/si ritengono in grado di valutare quanto penalizzante potrebbe essere per le loro candidature. Per rendere i calcoli meno affidabili e meno influenti, Sartori suggerì che, invece, di definire una soglia percentuale, il criterio da utilizzare fosse che in tutti i collegi uninominali l’accesso al secondo turno venisse comunque consentito ai primi quattro candidati introducendo nel sistema maggiore elasticità complessiva.

Timori, costrizioni e opportunità del sistema uninominale a doppio turno

Peraltro, i dirigenti dei partiti e i loro sedicenti consiglieri nutrono anche altri, più importanti timori: nei collegi uninominali si vince e si perde senza recuperi (l’elenco di candidati francesi di alta qualità sconfitti è molto lungo a cominciare dal socialista Michel Rocard Primo Ministro dal 1989 al 1991 e sconfitto nel 1993), non è mai consentito di candidarsi in più di un collegio uninominale. Non esistono pluricandidature truffaldine.

Rapidamente il doppio turno dimostrò di contenere sia costrizioni sia opportunità. Entrambe riguardano la necessità di trovare/costruire alleanze. Chi vuole vincere, candidato e partito, è consapevole che, salvo rari casi eccezionali, solo trovando voti aggiuntivi a quelli che può ottenere in quanto candidato di un partito riuscirà ad avere la maggioranza relativa nel suo collegio elettorale.

Pertanto, saranno i dirigenti dei partiti vicini/affini/coalizzabili che svolgeranno una indispensabile attività di coordinamento indicando quali candidati dovranno essere premiati e quali candidati dovranno desistere e in quali collegi.

Potranno trattarsi di accordi temporanei e di desistenze occasionali oppure di qualcosa di più organico.

Così fu in Francia con l’alleanza più che decennale fra i gollisti e i Repubblicani Indipendenti di Valéry Giscard d’Estaing (che addirittura lo portò alla Presidenza della Quinta Repubblica).

Così fu negli anni settanta fra socialisti e comunisti quando finalmente i comunisti si resero conto che l’opzione di “correre” da soli portava soltanto a ripetute sconfitte e, comunque, i loro elettori decisero che era doveroso mandare all’Eliseo il socialista François Mitterrand (1981 e poi, ugualmente, 1988).

Le opportunità vengono offerte proprio dal doppio turno in quanto tale che consente ai dirigenti di partito di valutare le opzioni in campo e di effettuare desistenze e convergenze in questo modo segnalando agli elettori che le alleanze nei collegi prefigurano, se confermate dai voti e premiate dai seggi, la coalizione di governo. Il doppio turno (mi) appare come la modalità migliore per costruire un “campo largo” (copyright Enrico Letta) grazie all’apprezzamento degli elettori per quanto viene loro offerto e prefigurato dai dirigenti dei partiti seriamente e credibilmente interessati a quel campo. Lo considero anche ottimo nell’accrescere la quantità e qualità di rappresentanza politica. Infatti, il candidato che vince grazie alla convergenza su di lui/lei dei voti provenienti dall’elettorato di altri partiti/candidati-e è perfettamente consapevole di dovere tenere conto e rappresentare anche quelle preferenze e quegli interessi [4]

Per quasi vent’anni la competizione elettorale e politica nella Quinta Repubblica francese è stata appannaggio di quello che i commentatori e gli studiosi francesi definirono “quadriglia bipolare”: a sinistra socialisti e comunisti (più i cosiddetti “divers gauche” aggiuntivi, quasi mai decisivi), nel centro-destra gollisti e repubblicani indipendenti.

L’estrema destra, il Front National di Jean-Marie Le Pen riuscì ad entrare in forze nell’Assemblea Nazionale solo perché nel 1986 il Presidente Mitterrand re-introdusse la proporzionale cercando opportunisticamente di impedire o quantomeno contenere la preannunciata vittoria di Chirac e di Giscard.

Con il doppio turno, prontamente recuperato da Chirac, il Front National non è mai andato oltre la conquista di pochi seggi. Infatti, il doppio turno incoraggia le convergenze sulle candidature moderate e punisce le ali estreme, il Front National, ma anche quel che rimane dei comunisti se non riescono a trovare alleati.

La fine non gloriosa della quadriglia bipolare è stata sancita, da un lato, dall’irrompere del ciclone Macron sullo scompaginamento già in corso dei socialisti e ancor di più dei comunisti e, dall’altro, dall’indebolimento dei gollisti, in parte erosi da Marine Le Pen.

In conclusione, anche tenendo conto che al buon funzionamento della competizione elettorale e politica e al suo bipolarismo ha dato un notevole contributo l’elezione popolare diretta del Presidente della Repubblica, il sistema elettorale maggioritario a doppio turno ha fornito un contributo che non esito a valutare come decisivo sia al governo del Presidente sia all’intrusione (sic) della coabitazione. Sì, come scrisse nel 1970 Domenico Fisichella, allora mio collega alla Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze, poi senatore di Alleanza Nazionale, il doppio turno di collegio è un sicuro (secondo me anche generoso) “dispensatore di opportunità politiche”[5]. Lo è non soltanto per i dirigenti e gli strateghi di partito, ma anche per i candidati e, quel che più conta, per gli elettori.


[1] Gianfranco Pasquino, Simona Ventura, “Il sistema elettorale a doppio turno e le sue conseguenze politiche”, in Gianfranco Pasquino, Simona Ventura (a cura di), Una splendida cinquantenne: la Quinta Repubblica francese, Bologna, il Mulino, 2011, 283 p. [La citazione è a p. 167].

[2] Gianfranco Pasquino, Simona Ventura, “Il sistema elettorale a doppio turno e le sue conseguenze politiche”, in ibidem.

[3] Si veda l’esempio concreto di un collegio riportato a p. 167 del nostro saggio del 2011 citato alle note precedenti.

[4] Su tutta questa problematica rinvio al monumentale, quasi mille pagine, e imprescindibile studio di Philip. E. Converse, e Roy Pierce, Political Representation in France, Cambridge Massachussets – London, The Belknap Press of Harvard University Press, 1986, 996 p., uno dei migliori e più illuminanti prodotti della scienza politica statunitense del secolo scorso.

[5] Domenico Fisichella Sviluppo democratico e sistemi elettorali, Firenze, Sansoni, 1970, 260 p.

Pubblicato in
DEMOCRAZIA FUTURA
Media, geopolitica e comunicazione pubblica nella società delle piattaforme e della grande trasformazione digitale

Rivista trimestrale
Anno I
Numero Quattro
Ottobre – Dicembre 2021

Le mie risposte alle domande* de “Il Sole 24 ORE” su pregi e difetti dell’ #Italicum

1) La riforma che la Camera si avvia ad approvare è buona o cattiva?

– Piuttosto cattiva

2) Se dovesse elencarne i meriti in tre punti, quali citerebbe?

– Un solo merito: il ballottaggio che dà potere reale agli elettori

3) In cosa invece la ritiene sbagliata o migliorabile?

– Sbagliato il premio alla lista; sbagliate le candidature multiple; sbagliata la bassa soglia (3%) per l’accesso al Parlamento

4) I sostenitori della legge ne sottolineano la spinta a favore della governabilità. Lei è d’accordo? E in che modo ciò avverrà?

– Non sanno di che cosa parlano. In nessuna democrazia europea la governabilità dipende dal premio di maggioranza

5) Al contrario i detrattori ne sottolineano i limiti in termini di rappresentatività. Vede anche lei un rischio in questo senso?

– La rappresentatività dipende solo parzialmente dal numero dei partiti “rappresentati” in Parlamento. Dipende dalla competizione fra i partiti costretti ad essere rappresentativi per vincere. Il rischio è troppo potere ad un partito che si convinca di essere il rappresentante della Nazione

6) Una delle obiezioni della Consulta al Porcellum è l’eccessiva disproporzionalità del premio di maggioranza attribuito senza stabilire una soglia minima. L’Italicum prevede una soglia del 40 per cento per ottenere il premio del 15 per cento. Si risponde così alle osservazioni della corte?

– Il premio va al partito che vince al ballottaggio, dunque, ottenendo anche solo un voto in più del 50 per cento dei voti espressi. Di volta in volta si saprà quale percentuale degli aventi diritto sarà rappresentata dai votanti al ballottaggio. Rimane che al primo turno quel partito potrebbe avere ottenuto anche solo il 26 per cento dei voti. Poiché gli verranno assegnati il 54 per cento dei seggi parlamentari, il premio ammonterà ad un sonante  28 per cento. La Corte dovrebbe essere fortemente insoddisfatta

7) Non è un’anomalia in sé applicare un premio di maggioranza sulla base di un sistema proporzionale?

 – Il premio di maggioranza su un sistema proporzionale non è un’anomalia italiana. Già lo abbiamo, con buoni esiti, per l’elezione dei Consigli comunali e dei sindaci

8) La soglia di sbarramento è stata portata al 3 per cento per tutti i partiti. Se si voleva davvero fronteggiare la frammentazione non era meglio una soglia più alta, magari del 5 come in Germania?

– Ovviamente, sì: 5 per cento. Fare come in Germania è molto spesso una cosa buona e giusta

9) Non si rischia in questo modo la “balcanizzazione” delle opposizioni in presenza di un primo partito rafforzato dal premio?

– Fare come nei Balcani è per lo più la cosa cattiva e sbagliata, ma sia Renzi sia Berlusconi erano, e probabilmente continuano ad essere, con motivazioni diverse, d’accordo sulla balcanizzazione delle opposizioni

10) L’altra importante obiezione della Consulta al Porcellum riguarda le lunghe liste bloccate, che non permettevano all’elettore di riconoscere il futuro eletto. La soluzione del capolista bloccato e delle preferenze per tutti gli altri non è un ibrido al ribasso? Soddisfa le indicazioni della Consulta?

– Ibrido pessimo, riprovevole. Lascio il giudizio all’incerta giurisprudenza della Corte. La mia soluzione sarebbe, in linea con il referendum del 1991, una sola preferenza

11) L’Italicum prevede la possibilità di candidature plurime per il posto di capolista. Con il rischio che un elettore scelga un partito in virtù dell’appeal di un capolista ritrovandosi poi ad eleggere un altro candidato. Questo non va contro l’indicazione della Consulta sulla riconoscibilita?

– Ovviamente sì. Cancellare con un tratto di pennarello le candidature multiple (10) sarebbe un atto di semplice decenza

12) Il premio di maggioranza, sia in caso di vittoria al primo turno sia in caso di vittoria al ballottaggio, attribuisce alla prima lista un vantaggio alla Camera di circa 25 deputati. Dal momento che la legge è stata pensata soprattutto in chiave di governabilità, non è un margine troppo esiguo?

– E’ un margine sufficiente per un partito che abbia una vita interna vivace e democratica

13) L’Italicum vieta espressamente gli apparentamenti tra partiti tra il primo e l’eventuale secondo turno di ballottaggio, apparentamenti consentiti in altri sistemi con ballottagio. Non si rischia in questo modo di comprimere troppo il confronto democratico dando tutto il potere ai partiti maggiori?

– La domanda contiene parte della risposta. La parte più importante è che in tutta Europa, tranne in Spagna, almeno finora, i governi sono di coalizione. Sarebbe opportuno consentire le coalizioni al primo turno oppure, almeno, come per i sindaci (la buona legge fatta nel 1993 dal Parlamento su impulso dei referendari, gli apparentamenti per il ballottaggio

14) Non è anomalo posticipare l’entrata in vigore dell’Italicum al luglio 2016 privando il Paese di un efficiente sistema elettorale in caso di necessità?

-Piuttosto che di anomalia parlerei di scommessa o di spadina di Damocle sulla testa dei parlamentari. Comunque, molti dicono, ma non è questa la mia opinione, che, in caso di necessità, evidentemente procurata, ci sarebbe il sistema proporzionale delineato dalla Corte. Pasticcio più pasticcio meno: rassegnatevi

15) L’Italicum vale solo per l’elezione della Camera dei deputati dal momento che c’è un legame politico con la riforma costituzionale ora all’esame del Senato per la terza lettura che abolisce il Senato elettivo trasformandolo in Camera delle Autonomie. Non è irrazionale, nel caso in cui la riforma costituzionale non andasse in porto, andare a votare con due sistemi diversi (l’Italicum per la Camera e il proporzionale Consultellum per il Senato)?

–  A questa domanda passo. Che cosa si può suggerire a sedicenti riformatori pasticcioni? Ricordare loro che un sistema politico è per l’appunto un sistema, non un supermercato, nel quale ciascuna delle componenti è in relazione con le altre e che, di conseguenza, cambiarne una significa dovere tenere conto dell’impatto sulle altre

16) C’è il rischio di introdurre un presidenzialismo di fatto con il maggioritario Italicum e una sola Camera elettiva, come sostengono gli oppositori di questa riforma elettorale?

– Sì, c’è soprattutto il rischio di eccessiva concentrazione di poteri nelle mani del Primo ministro. Non è presidenzialismo. E’ piuttosto il “premierato forte”, che nonostante alcuni cattivi maestri provinciali (che non sanno neanche cosa sia l’analisi comparata dei sistemi politici) e i loro ossequiosi allievi, non esiste da nessuna parte e che toglierà non pochi poteri al Presidente della Repubblica rendendogli impossibile svolgere il ruolo di arbitro, di garante, di contrappeso, persino di rappresentante dell’unità nazionale

*Italicum, 16 domande per capire la riforma – Il Sole 24 ORE 01 maggio 2015 (pagg 11/14)

La terza Repubblica

Pubblicato su terzarepubblica.it il 3 maggio 2015