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Un’altra sinistra è possibile, ma bisogna scompaginare @DomaniGiornale

Nelle Marche il Presidente uscente, Francesco Acquaroli, ha ottenuto 50 mila voti di più dello sfidante, Matteo Ricci, europarlamentare in carica da un anno per dieci anni visibilissimo sindaco di Pesaro. Nelle Marche ha votato il 50 per cento degli iscritti nelle liste elettorali. Più di 600 mila elettori hanno preferito astenersi. Una parte di loro sicuramente non è stata in grado di andare a votare per ragioni personali, professionali, congiunturali. Una parte ha consapevolmente              deciso di non andare a votare. Una parte non è stata né raggiunta né convinta dai candidati e dai loro partiti ad andare a votare. Eppure, la scelta sembrava importante.

   Anche se è giusto interrogarsi sul guaio giudiziario che si era aperto intorno a Ricci, altrettanto giusto chiedersi quanto mettere al collo la bandiera della Palestina possa essere stato controproducente, ancora più interessante sapere quanti elettori abbiano deciso di appoggiare il centro-destra marchigiano per evitare contraccolpi sul governo nazionale, la risposta più soddisfacente suggerita dai numeri è che la coalizione del centro-sinistra non ha saputo mobilitare abbastanza elettori.

Tenacemente e testardamente, coerentemente, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha dichiarato che, comunque, quella del campo largo è la coalizione da perseguire: TINA (There Is No Alternative). Per chi ragiona a bocce ferme è vero: i componenti possibili e necessari sono quelli e non si vedono in giro altri attori portatori di voti. Ma politica è, rimanendo nella mia metafora, sapere giocare con quelle bocce e con i giocatori cercando di creare movimento e entusiasmo. Insomma, facendo sì che una parte almeno degli spettatori decida di dare attivamente il suo contributo, di entrare in campo. Invece, gli elementi poco incoraggianti, se non addirittura scoraggianti sembrano prevalere.

   Da un lato, una parte dei Democratici fa fatica a ingoiare la necessità di un’alleanza con il Movimento 5 Stelle, ma non riesce a proporre qualcosa di diverso. Dall’altro lato, il capo delle 5 Stelle cerca quasi scientificamente di sfruttare tutte le tematiche che siano controverse all’interno del PD, a cominciare da quelle che riguardano le politiche europee, non soltanto la difesa. Tutti, poi, percepiscono che fin troppo spesso Giuseppe Conte lascia trapelare la sua ambizione di tornare a Palazzo Chigi. Anche se palesemente non sostenuta dai numeri, questa ambizione sicuramente turba non pochi elettori e consente a troppi male intenzionati commentatori di usarla contro Schlein. In qualsiasi contesto democratico, la Germania è da decenni l’esempio migliore, indiscussa è la candidatura a capo del governo del/la leader del partito che ottiene più voti. Altrimenti, si ha ricatto, anche quando non esplicito, che sicuramente inquieterebbe non pochi elettori. Infine, sicuramente fanno problema anche coloro, come spesso Carlo Calenda, che si oppongono a qualsiasi alleanza con i 5 Stelle, ma mancano della capacità di supplire al venir meno di quei voti. Però, è anche vero che è probabile che almeno una parte di elettori pentastellati nel momento della verità voterebbe comunque per una coalizione contro il governo. Peraltro, nelle Marche i numeri indicano che molti elettori già pentastellati hanno scelto di non andare alle urne forse memori del non lontano passato renziano di Matteo Ricci.

È molto probabile che le coalizioni volute da Schlein vinceranno in Toscana, Puglia e Campania, ma il rischio è che di conseguenza gli interrogativi scomodi proprio sulla qualità dei campi larghi vengano fatti sparire. Certo, l’obiettivo grosso è costituito dalle elezioni politiche nazionali del 2027. Bisognerebbe sapere fare, come scrisse e più volte disse quel grande uomo di sinistra che fu Vittorio Foa, la mossa del cavallo. Scompaginare. Uscire da quella che non sempre è una confort zone per andare a battibeccare con gli astensionisti. Meglio cominciare subito.

Pubblicato il 1° ottobre 2025 su Domani