Home » Posts tagged 'Francia'
Tag Archives: Francia
Quanto conta Mattarella nel tempo delle destre @DomaniGiornale


Le chiavi di lettura del ruolo del presidente della Repubblica italiana possono essere, dovremmo averlo oramai imparato tutti, molteplici. Sottolineerò che la molteplicità delle possibili interpretazione e la relativa discrezionalità del Presidente costituiscono un fattore positivo per il miglior funzionamento del sistema politico italiano. Sì, quanto ho scritto è fin d’ora un avvertimento agli eventuali riformatori. La relativa discrezionalità di cui opportunamente gode il Presidente dipende, anzitutto, dalla definizione dei suoi poteri stabilita, peraltro flessibilmente, nella Costituzione. Per quanto ciascun Presidente sappia che “rappresenta l’unità nazionale” (art. 87), le differenze nelle modalità con cui hanno svolto questo compito sono state significative. Sono cresciute sia per il cambiar dei tempi e della politica sia per il grado di autonomia di cui ciascun Presidente ha potuto e voluto godere soprattutto dopo il 1994. Molto hanno contato e continuano a contare anche le convinzioni e le capacità del Presidente stesso.
Dal canto suo, fin dall’inizio del suo primo mandato il Presidente Mattarella ha inteso e fatto chiaramente intendere che desidera rappresentare l’unità nazionale non tanto e non solo in patria (!), ma anche in special modo sulla scena europea. Pertanto, le sue esternazioni e i suoi comportamenti sono orientati a porre l’Italia, a prescindere dai governi del momento, che sono già stati parecchi, e parecchi sono stati i ministri con compiti europei, nella posizione e nella luce migliore possibile. Più di chiunque altro, proprio perché sta e vuole rimanere al disopra della mischia politica, Mattarella vuole proiettare sulla scena europea la credibilità del paese di cui è Presidente.
Qualche governo e qualche ministro rendono questo compito arduo, alcuni criticando il Presidente per una presunta invasione di campo. Invece, anche se, probabilmente il Presidente preferirebbe che il termine supplenza non venga evocato, la sua azione inevitabilmente e consapevolmente apporta qualcosa di più, di necessario per la credibilità, non tanto di uno specifico governo quanto del paese (della nazione, se vi suona meglio). La lunga telefonata di Mattarella con il Presidente Macron era intesa a comunicare a Macron che i rapporti fra Italia e Francia, fra le due nazioni, debbono rimanere (ritornare) a essere improntati a reciproca amicizia. Interpretando l’unità nazionale, il Presidente non si è sostituito al governo, ma ha in qualche modo segnalato al governo Meloni che deve ridefinire qualcosa di importante nello specifico rapporto con la Francia. Tocca al capo del governo, ai ministri competenti, a cominciare da quello degli Esteri, compiere, senza mal poste critiche, il passaggio dalla indiretta predica presidenziale ad una politica più equilibrata.
Pubblicato il 16 novembre 2022 su Domani
Dialoghi sulla Costituzione: Gianni Molinari intervista Gianfranco Pasquino
Registrazione audio a cura di Radio Radicale del dibattito al Teatro Stabile di Potenza mercoledì 14 settembre 2016.
Nell’ambito di una due giorni organizzata dalla Fondazione Basilicata Futuro intitolata “Dialoghi sulla Costituzione”, il giornalista de “Il Mattino” Gianni Molinari ha intervistato Gianfranco Pasquino, politologo e docente universitario.
Nel corso dell’incontro, introdotto da Giovanni Casaletto(Presidente di Basilicata Futuro), hanno preso la parola per porre domande anche alcuni esponenti delle istituzioni lucane presenti in sala e tra questi il Presidente della Provincia di Potenza Nicola Valluzzi.
La registrazione audio di questo dibatto ha una durata di 1 ora e 45 minuti
ASCOLTA QUI ► //www.radioradicale.it/scheda/486358/iframe
Riforme confuse dalle conseguenze imprevedibili INTERVISTA RadioRadicale
Riforma costituzionale e referendum. Intervista realizzata da Maurizio Bolognetti mercoledì 14 settembre 2016 a margine della conferenza “Dialogo sulla Costituzione” di Gianfranco Pasquino al Teatro Stabile di Potenza organizzata da Fondazione Basilicata Futura
ASCOLTA QUI ► //www.radioradicale.it/scheda/486320/iframe
“Riforme brutte, fatte, male, da persone che non conoscono la Costituzione, che non conoscono il funzionamento del sistema politico italiano, e non conoscono il funzionamento dei sistemi politici comparati. Sono anche riforme confuse che avranno conseguenze imprevedibili ma certamente non miglioreranno il sistema politico italiano…”
La registrazione audio ha una durata di 4 minuti
Qual è il Parlamento più produttivo? I numeri della produzione legislativa dei Parlamenti democratici
È ora di uscire da un confuso e manipolato dibattito sull’improduttivo bicameralismo paritario italiano e di dare i numeri sulla produttività di alcuni Parlamenti democratici. Naturalmente, sappiamo da tempo che i Parlamenti, oltre ad approvare le leggi, svolgono anche diversi molto importanti compiti: rappresentano le preferenze degli elettori, controllano l’operato del governo, consentono all’opposizione di fare sentire la sua voce e le sue proposte, riconciliano una varietà di interessi. Sono tutti compiti difficili da tradurre in cifre, ma assolutamente da non sottovalutare per una migliore comprensione del ruolo dei Parlamenti nelle democrazie parlamentari, nelle Repubbliche presidenziali e in quelle semipresidenziali. Qui ci limitiamo alle cifre sulla produzione legislativa poiché una delle motivazioni della riforma del Senato italiano, in aggiunta alla riduzione del numero dei parlamentari e al conseguente, seppur limitatissimo, contenimento dei costi della politica, consiste nel consentire al governo di legiferare in maniera più disinvolta, di fare più leggi più in fretta. È un obiettivo non considerato particolarmente importante dalla maggioranza degli studiosi.
La produzione di leggi ad opera di un Parlamento dipende da una pluralità di fattori, fra i quali tanto la forma di governo quanto l’obbligo di ricorrere alle leggi per dare regolamentazione ad un insieme di fenomeni, attività, comportamenti. Pertanto, i dati concernenti forme di governo molto diverse fra loro sono inevitabilmente non perfettamente comparabili, ma sono sicuramente molto suggestivi. I dati sulla Germania riguardano la legislatura 2005-2009 che ebbe un governo di Grande Coalizione CDU/SPD e quella successiva nella quale ci fu una “normale” coalizione CDU/FDP. Dal 2007 al 2012 la Francia semipresidenziale ebbe un governo gollista con la Presidenza della Repubblica nelle mani di Nicholas Sarkozy. Dal 2010 al 2015 la Gran Bretagna fu governata da una inusitata coalizione fra Conservatori e Liberaldemocratici. La prima presidenza Obama (2008-2012) fu per metà del periodo segnata dal governo diviso ovvero con i Repubblicani in controllo del Congresso. Ricordiamo che negli USA l’iniziativa legislativa appartiene al Congresso, ma il Presidente può porre il veto, raramente superabile, su tutti i bills approvati dal Congresso. Per l’Italia abbiamo scelto tre periodi: 1996-2001, con diversi governi di centro/sinistra; 2001-2006, governi di centro-destra con cospicua maggioranza parlamentare; 2008-2013, prima un lungo governo di centro-destra che si sgretolò gradualmente, poi dal 2011 un governo non partitico guidato da Mario Monti. Questi due elementi spiegano perché la legislatura 2008-2013 abbia prodotto meno leggi delle due che l’hanno preceduta.
Complessivamente, però, i dati indicano chiaramente che il bicameralismo italiano paritario non ha nulla da invidiare ai bicameralismi differenziati sia per quello che riguarda la produzione legislativa sia per quello che riguarda la durata dell’iter legislativo. I dati presentati nella tabella mostrano come la quantità di produzione legislativa del Parlamento Italiano sia in linea con la produzione legislativa della maggiori democrazie occidentali, se non, in qualche caso, addirittura superiore. Una considerazione analoga può essere fatta per i tempi di approvazione. Nei Parlamenti e nelle legislature esaminate, l’approvazione di una legge richiede in media circa dodici mesi, nove negli Stati Uniti, e otto mesi o poco più nel caso italiano. Il Parlamento italiano quindi fa molte leggi e le fa in tempi piuttosto celeri.
Gianfranco Pasquino e Riccardo Pelizzo
Pubblicato i 3 giugno 2016
L’Europa e i suoi nemici
L’Unione Europea ha un Alto Rappresentante per la Politica Estera, l’italiana Federica Mogherini, ma gli Stati-membri continuano a mantenere ampi spazi per la loro politica estera e fanno grande fatica (è un eufemismo) a coordinarsi proprio quando il problema da affrontare è serio. Il caso recente più emblematico è rappresentato dalle sanzioni alla Russia per il suo intervento negli affari interni dell’Ucraina. L’Unione Europea non ha una politica di difesa comune. L’ironia, questa volta molto triste, della storia, è che la Comunità Europea di Difesa fu bocciata nel 1954 proprio dai francesi, più precisamente da una strana, ma facilmente comprensibile, alleanza di gollisti (fortemente nazionalisti) e di comunisti (ancor più fortemente pro-sovietici). In seguito, la Francia del Generale Presidente Charles de Gaulle, dotatasi per ragioni di prestigio dell’arma nucleare, la force de frappe, pose praticamente la parola fine a qualsiasi progetto di difesa comune. [Un grande studioso di Relazioni Internazionali, ottimo conoscitore della Francia, recentemente scomparso, dopo avere insegnato a Harvard per più di cinquant’anni, Stanley Hoffmann criticava questo e altri comportamenti degli stati europei bollandoli come “ostinati e obsoleti”.] Oggi, il Presidente socialista François Hollande, in uno dei momenti più drammatici della storia della Francia contemporanea, ha annunciato di volere fare ricorso ad un articolo del Trattato dell’Unione europea che consente a ciascun Stato-membro di chiedere sostegno anche militare agli altri Stati-membri. Hollande non può (probabilmente neppure vorrebbe) coinvolgere la Nato nelle azioni militari francesi poiché nel lontano 1966 il Presidente de Gaulle decise di uscire dalla componente militare dell’alleanza. La Francia procederà a incontri bilaterali con tutti i capi di governo degli Stati-membri dell’Unione che dichiarino la loro disponibilità a partecipare ad azioni militari con la Francia e a sostenerla.
La risposta di Renzi è stata complessivamente positiva, ma saranno poi le concrete richieste di Hollande la base sulla quale valutare l’effettiva disponibilità italiana. Per di più, Renzi ha in qualche modo spostato l’attenzione affermando che la guerra all’ISIS non può essere risolutiva e deve essere accompagnata da altre modalità di intervento. L’idea che i terroristi anche quelli dell’ISIS e coloro che reclutano in Europa sono il prodotto di situazioni di intenso disagio sociale, di emarginazione, della disperazione non trova fondamento convincente. La manovalanza è attirata anche dalla possibilità di uscire da luoghi e ambienti, le banlieues parigine, un quartiere di Bruxelles, brutte cittadine nei dintorni di Londra, e di andare a distruggere coloro ritenuti responsabili del loro malessere. La maggioranza dei terroristi, certamente i capi e i coordinatori, non sono mossi né dal disagio né dall’emarginazione (i veri emarginati sono talmente isolati da non entrare neppure in contatto con i reclutatori). L’ISIS è un progetto politico che, nella sua ambizione: ricostruire il Califfato, un potente Stato islamico, ha enorme potere d’attrazione. Pensare che quel progetto, più o meno sostenuto e predicato da una moltitudine di imam nelle moschee del Medio-Oriente e di alcuni paesi europei, possa essere sconfitto, in tempi brevi, creando opportunità di lavoro oppure attraverso l’istruzione, è assolutamente illusorio. La guerra che la Francia e la Russia hanno lanciato contro l’ISIS e le sue basi è necessaria. Dovrà essere accompagnata, come ha detto a chiare lettere quel realista che è Putin, dal taglio dei finanziamenti all’ISIS moltissimi dei quali provengono da stati arabi, in primis l’Arabia Saudita e il Qatar, che si pagano, non sempre con successo, la loro sicurezza domestica. [Quanto ai i paesi produttori di armi, fra i quali, anche la Francia e l’Italia, dovrebbero riflettere su quello che fanno e quello che vendono].
Qualcuno ha frequentemente sostenuto che l’unificazione politica di più paesi è facilitata dall’esistenza di un nemico potente e vicino. L’Unione Sovietica è stata a lungo quel nemico per l’Europa che, infatti, fino al 1989, anzi, al 1990, riunificazione tedesca, è gradualmente cresciuta nell’integrazione. Dopo il 1989, gli Stati-membri dell’Unione hanno sacrificato l’approfondimento dell’integrazione politica all’allargamento dell’Unione con la conseguenza che Polonia, Repubblica Ceca, Slovakia e Ungheria non pensano affatto di dovere accettare alcune politiche europee comuni, in specie quella sulla redistribuzione degli immigrati. E’ possibile che l’ISIS, il nuovo nemico, facilmente entrato in un continente che giustamente si vanta di essere aperto, serva ad accelerare e ad approfondire l’unificazione politica dell’Europa.
Pubblicato AGL 19 novembre 2015
El proyecto político europeo #OPINIÓN #ElMundo
El proyecto político europeo tiene una larga y dificíl historia, pero también un futuro prometedor. La historia de la idea de Europa nace hace más de dos mil años con los griegos y sigue, más o menos visible, en la voluntad de poder de los emperadores romanos y de los Jefes de Estados europeos, y en las inspiraciones de grandes intelectuales y escritores. Nadie puede infravalorar la importancia y la fuerza de las ideas al recordar el pasado, interpretar el presente, y hacer un proyecto de futuro. El momento crucial para Europa tuvo lugar sobre los escombros de la Segunda Guerra Mundial, cuando algunos hombres de Estado, algunos grandes burócratas (entre ellos Jean Monnet) y ciertos políticos (Altiero Spinelli) iniciaron, al mismo tiempo, un proceso funcionalista (juntar los recursos y hacer crecer las ocasiones de cooperación económica) y otro federalista (empujar a los gobiernos hacia la cesión de poderes y partes de la soberanía en favor de algunas instituciones supranacionales). El camino federalista se paró en 1954 por una inédita alianza entre los comunistas y los gaullistas franceses que vetaron la Comunidad Europea de Defensa (una decisión que Europa todavía está pagando), mientras que el camino del funcionalismo avanzó con notable éxito: del Mercado Común y la Comunidad Económica Europea al nacimiento de la moneda única, el Euro.
En octubre 2012 se concedió a la Unión Europea el premio Nobel de la Paz por «sus progresos en la paz y en la reconciliación» y por haber garantizado «la democracia y los derechos humanos» en el Viejo Continente. En el comunicado oficial del premio se destacaba que la UE «ha contribuido a lograr la paz y la reconciliación, la democracia y los derechos humanos en Europa. Hoy una guerra entre Alemania y Francia sería impensable, y eso demuestra que a través de la mutua confianza, históricos enemigos ahora puedan ser amigos. Asimismo, la caída del Muro hizo posible la entrada en la Unión de los países de la Europa central y oriental, así como la reconciliación en los Balcanes y la perspectiva del ingreso de Turquía, todo lo cual representa un gran paso hacia la democracia». En suma, concluía la nota, «el papel de estabilidad jugado por la UE ha ayudado a que gran parte de Europa se transforme de un continente de guerra a uno de paz».
Estoy convencido que es posible sostener que el proyecto político europeo ha alcanzado, como señalan los observadores independientes, un primer gran objetivo: la paz. Además, mirando la historia económica de los seis países fundadores y de todos los Estados que poco a poco han pedido el acceso y han entrado en Europa, es posible afirmar que Europa ha conseguido otro objetivo también muy importante: la prosperidad. Con el paso del tiempo, todos los Estados miembros han crecido económicamente gracias a la intregración de muchos sectores de actividad. Las dificultades de la crisis del 2008, a causa de la política económica y bancaria de EE.UU, han producido graves consecuencias negativas que, sin embargo, probablemente hubieran sido peores sin la Unión Europea.
Al principio, el proyecto político europeo no tenía la ambición de liberar a los países de la Europa centro-oriental del comunismo, sino más bien de hacer más sólida y próspera la democracia dentro de la Unión. Pero, en seguida, por un lado el ejemplo de países que protegen y promueven los derechos de sus ciudadanos y garantizan su participación política, y por otro, su visible prosperidad económica, jugaron ciertamente un papel importante al hacer entrar en crisis a los regímenes comunistas. La Unión Europea es una gran sociedad abierta, para utilizar las palabras de Karl Popper; es el más grande espacio de civilización en el mundo, donde, por ejemplo, no existe y no se aplica la pena de muerte. Su ampliación a los países del Este y, en parte, también a los países Bálticos es otro jalón importante para el proyecto político europeo. Paz, prosperidad y democracia son éxitos extraordinarios, pero que no pueden considerarse alcanzados para siempre ni completamente.
Desde hace varios años, se han manifestado tensiones con respecto a la economía y a la democracia. Algunos europeos creen que las tensiones puedan desaparecer con una vuelta a las políticas nacionales. Se equivocan. Otros europeos piensan que la Unión ha ido demasiado deprisa. Por eso, en su opinión, habría que pararse y consolidar lo que tenemos, tranquilizando a los ciudadanos. También se equivocan. Desafortunadamente, ésta parece ser la política dominante: ganar/perder tiempo a la espera de que lleguen tiempos mejores. Un liderazgo verdaderamente europeo se debería comprometer en la construcción de esos tiempos mejores, pero parece que ningún gobierno u oposición europea ejerce un liderazgo que esté a la altura de ese desafío. Esta opción es la minoritaria entre los líderes, los intelectuales y los ciudadanos europeos. Otros sostienen que habría que seguir adelante, aceptando velocidades diferentes entre los países miembros, hacía una unificación política de Europa: hacia los Estados Unidos de Europa. En cualquier caso, hasta que se configure un pueblo europeo es necesario aumentar los intercambios culturales de todo tipo, incrementando programas como Erasmus y Sócrates. Hace falta que los partidos de las tres grandes familias europeas -cristiano-demócratas, social-demócratas y liberal-demócratas- hagan un política activa e incisiva de educación política entre los electores europeos, y no sólo con ocasión de las elecciones al Parlamento Europeo. Hace falta que las políticas económicas y las políticas sociales pasen a manos de la Comisión Europea, de forma que estén más controladas por el Parlamento Europeo y menos por los distintos parlamentos nacionales. En fin, hace falta que las instituciones europeas se reformen en el sentido de mostrar mayor transparencia y sensibilidad hacia los ciudadanos.
El proyecto político europeo contempla también la democratización de los procedimientos y de las decisiones. La burocracia europea tiene que ser como una casa de vidrio. Actualmente hay dos organismos europeos que han realizado y siguen realizando una gran contribución al proceso de la unificación económica y política: el Banco Central Europeo y la Corte Europea de Justicia. Es el círculo Consejo-Comisión-Parlamento el que tiene que mejorar y ser reestructurado. Su modo de funcionamiento tiene que mejorar para fortalecer las relaciones con los ciudadanos europeos. Todo esto es difícil que se alcance en un momento en el que, por un lado, hay que afrontar el desafío de milliones de inmigrantes que huyen de las guerras civiles y de la pobreza de sus países y, por otro, es urgente e indispensable demostrar que el proyecto político europeo tiene todavía mucha fuerza propulsiva. Nadie puede creer que sea fácil la operación de construir una Europa politicamente unida en un contexto donde existe una Babel lingüística, de culturas y tradiciones diferentes. Sin embargo, tampoco nadie puede negar que la operación está en marcha y ya ha dado muchos pasos hacia adelante. Pero hay que seguir. Frente a los populismos nacionalistas, las relaciones intergubernamentales, hoy tan frecuentes, pueden ofrecer resistencia, interponer obstáculos, pero no derrotarlos definitivamente. La política federalista sería la solución más eficaz. Es posible sostener que los Estados Unidos de Europa son nuestro destino, pero es un destino que sólo se podrá alcanzar mediante el trabajo y las transformaciones tanto institucionales como económicas, políticas como sociales, combinando los derechos y los deberes del ciudadano europeo. Europa será lo que sus ciudadanos quieran que sea.
Gianfranco Pasquino es profesor Emérito de Ciencia Política en la Universidad de Bolonia.
Publicado 13 de noviembre 2015 en la página 6 di El Mundo y en elmundo.es
Vientos de cambio en Europa. Es poco lo nuevo que avanza
Las numerosas y coloridas listas de izquierda que le dieron la vida (y la victoria) a Syriza en Grecia y que contribuyeron al crecimiento de Podemos en España son un fenómeno que tiene sus raíces fundamentalmente nacionales. No es una moda que, como la moda, produjo imitaciones, pero, por ejemplo, en Italia, más que imitaciones exitosas, lo que encontramos es el florecer de las ilusiones. También en otras partes, en Europa, aparecieron listas de izquierda en la misma izquierda, desde los Piratas suecos y alemanes hasta la Alternativa para Alemania, pero demostraron que no consiguieron afirmarse en el electorado. El elemento común a todas las nuevas listas de izquierda es la insatisfacción en las capacidades de representación de los partidos de izquierda, a menudo socialistas. En Grecia, esos partidos, más precisamente el Pasok, se derrumbaron y sus potenciales electores se dejaron convencer por Tsipras. En España, el PSOE se mantiene, pero en la oposición, mientras que Podemos creció gracias a la afluencia de jóvenes sin antecedentes, pertenencias partidarias y lealtades electorales. Por otra parte, en Alemania, Suecia, Noruega, Francia y Gran Bretaña, los partidos socialdemócratas y laboristas están en el gobierno y consiguen demostrar la inutilidad de un enfrentamiento con ellos. Por el contrario, cuando el desafío se presenta, se manifiesta mucho más a la derecha que a la izquierda. Aquí está el segundo elemento común: la oposición al euro, la crítica a la UE, la reaparición de un nacionalismo xenófobo (y, a veces, antisemita).
Pensar que éstas son posiciones que prenuncian un futuro practicable me parece francamente no sólo un error, sino una enorme estupidez (una tontería monumental). En el caso de las derechas se trata simplemente de su incapacidad para llegar a la modernidad. En los casos de Syriza y Podemos, hay un poco de infantilismo, destinado a pasar con el tiempo. Hay también una recuperación de la política de los buenos sentimientos: ayudar a los más débiles. Y hay, finalmente, un poco de miedo al futuro y a la competencia global que mancomuna a algunos sectores de derecha, como lo ha demostrado, no casualmente, la alianza antinatural de gobierno entre Syriza y los Griegos Independientes.
En la medida en que son “nacionales”, los fenómenos de izquierda y derecha serán confrontados por los partidos tradicionales. En la medida –variable– en que son antieuropeos, podrán ser combatidos por el Parlamento y la Comisión Europea. Aunque está absolutamente fuera de moda sostener que el horizonte de Europa es luminoso, ésta es mi posición. La UE tiene aún enormes espacios por mejorar desde el punto de vista de la eficiencia, la desburocratización y la democracia. Las nuevas derechas son viejas, pero están destinadas a perdurar. Existen en todas las democracias, incluida la de los Estados Unidos y las de toda América Latina. En cambio, las nuevas izquierdas están destinadas a durar poco, l’espace d’un matin, para luego retroceder. Merecen un poco de atención, pero los analistas deben tener una mirada más amplia. El futuro es de los partidos que, a pesar de todo, supieron reformarse constantemente desde hace más de ciento cincuenta años.
PUBLICADO EN EDICIÓN IMPRESA DE PERFIL 31/01/2015 Traducción: Guillermo Piro
Liste bloccate? ma mi faccia il piacere!
Il voto di preferenza è, come sostengono alcuni professoroni non soltanto costituzionalisti, “un’anomalia tutta italiana”?
Sbagliato!
Come dimostra chiaramente la tabella preparata dal mio allievo Marco Valbruzzi, soltanto quattro paesi su ventuno condividono quella che non è “un’anomalia”, ma una scelta politicamente e elettoralmente rilevante.
Per non consegnare i prossimi parlamentari nelle mani di Renzi e di Berlusconi, la battaglia per almeno una preferenza è cosa buona e giusta.
clicca sulla tabella per espanderla
Se escludiamo i casi in cui la “rappresentanza personale” deriva dal collegio uninominale (Francia, Regno Unito, in parte Germania e Ungheria) o dal ricorso al Voto Singolo Trasferibile (Irlanda e Malta), i paesi che restano fuori, a far compagnia all’Italia, sono: Spagna, Portogallo, Romania, Bulgaria e Croazia.