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Caso Marino: Nessun miracolo a Roma

Non può essere e non è Marino il responsabile assoluto e solitario di tutti guai di Roma, del Partito Democratico e della politica. Probabilmente è il contrario: la politica romana e il PD hanno “causato” Marino sindaco. Certo, Marino doveva essere sufficientemente accorto per non lastricare la strada delle sue dimissioni con scontrini a carico del comune, con multe non pagate, con viaggi di inutile rappresentanza della città di cui era sindaco. Sono cose che, semplicemente, per di più dopo scandali simili, ma di proporzioni maggiori alla Regione Lazio, non si debbono mai più fare. Tuttavia, se Marino avesse dimostrato di sapere governare Roma, gli scontrini non l’avrebbero costretto ad andarsene.

Se l’era cercata lui la candidatura a sindaco e l’aveva anche ottenuta attraverso le primarie, in maniera più che legittima. Neanche le primarie meritano di essere considerate responsabili del successivo scarso e ingenuo governo di Marino. Dietro tutto quello che è successo sta il fallimento della politica del Partito Democratico di Roma e dei suoi predecessori, DS e Margherita. Se il PD non avesse proceduto a riscaldare la “minestra Rutelli” dopo molti anni, ma avesse cercato e trovato un candidato più motivato e più promettente, non avrebbe perso contro Alemanno. Non è detto che la rete chiamata Mafia capitale sarebbe subito stata spezzata, ma almeno non si sarebbe ingigantita.

Fin dall’inizio Marino ha incontrato due problemi reali e non si è mai reso conto di avere una sua enorme debolezza congenita. Il primo problema è che, come parvenu della politica romana, Marino non ha mai saputo, forse neppure voluto, non comprendendone l’importanza, cercare di diventare il capo effettivo e riconosciuto del Partito Democratico di Roma. L’operazione sarebbe comunque stata difficilissima, ma il tentarla gli avrebbe procurato amici e sostenitori e lo avrebbe fatto sentire meno come un “marziano”. Avrebbe anche rapidamente portato alla sua attenzione alcuni fenomeni di degenerazione che, invece, ha compreso poco, male e tardi. Politicamente ingenuo, Marino si è dimostrato anche incapace dal punto divista amministrativo. Non ci si improvvisa sindaci, meno che mai di città grandi e complicate.

Marino costituisce anche una lezione per tutti coloro che continuano a voler pescare nella società civile. Tutti gli eventuali sindaci “civici” passeranno attraverso una fase, più o meno lunga di apprendistato. La supereranno con successo solo se aiutati dai consiglieri comunali dei loro partiti e se sapranno scegliere assessori esperti, capaci e leali. Purtroppo per lui, ingenuo e incompetente, Marino ha anche sopravvalutato le sue capacità, in particolare quella di comprendere la situazione e di guidarla in maniera imperativa basandosi sulle sole idee che considerava valide: le sue. Grave peccato di presunzione, come direbbero gli americani che Marino conosce e ammira, troppa hubris (ampiamente palesata anche nel messaggio video delle sue dimissioni pro tempore).

Detto tutto questo che è innegabile, ma, al tempo stesso, illuminante di una parabola alla fine molto triste, le responsabilità maggiori dell’ascesa maldestra e della caduta rovinosa di Marino sono del Partito Democratico di Orfini e di Renzi. Presidente dell’Assemblea del PD e commissario del “suo” partito romano, che è, dunque, obbligato a conoscere benissimo, Orfini ha talvolta remato contro Marino, talvolta non ha remato affatto. Le sue dimissioni sarebbero logiche. Nient’affatto amico di Marino, il segretario nazionale del Partito Democratico Matteo Renzi non ha mai gradito la presenza di Marino e, di tanto in tanto, lo ha impiombato. Renzi vuole degli “yesmen” anche a livello locale, ma non sa trovarli e poi non ha abbastanza tempo e conoscenze per sostenerli. Insomma, si diano a Marino le sue responsabilità, ma una soluzione decente per Roma, per i romani, per il PD arriverà soltanto quando si affermerà l’idea che la società civile da sola non può cambiare la politica, ma deve allearsi con politici onesti e competenti e che il governo di una città richiede esperienza amministrativa e la coesione di un gruppo dirigente partitico di qualità. Neppure l’incombente Giubileo garantisce la comparsa di un miracolo a Roma.

Pubblicato AGL 11 ottobre 2015