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È uscito il fascicolo “L’etica pubblica ma non solo” a cura di Gianfranco Pasquino #Paradoxa Anno XIX– Numero 4 – Ottobre/Dicembre 2025

Non finisce qui. Le considerazioni con le quali concludo vanno intese come una sorta di prontuario democratico. La prima considerazione riguarda la competizione democratica che, ampia, aperta, allargata, approfondita, trova sempre limiti nell’etica. Ci sono comportamenti vecchi e nuovi, ad esempio attacchi, più o meno infamanti, alle persone in politica, che una pluralità di cittadini ritiene inaccettabili, deplorevoli e riprovevoli. Secondo, truccare la competizione politica dando vantaggi, ad esempio, di finanziamenti e di visibilità, ad alcuni concorrenti che portano in politica risorse suscettibili di produrre poi conflitti di interessi, tocca un punto nevralgico dell’etica in politica. Terzo, è plausibile ipotizzare che il grado di presenza e di effettività dell’etica in politica dipenda dalla sua presenza e effettività nella rispettiva società con potenziamenti e indebolimenti reciproci. Pertanto, uno studio che intenda essere esauriente dovrebbe partire da una ricognizione sull’etica nelle famiglie, nelle scuole, nelle confessioni religiose, nelle associazioni, in particolare nei sindacati e nei partiti, nella cultura politica complessiva. Oserei affermare che esiste un circolo virtuoso di etiche che si rincorrono e si rafforzano.
Così sia.

Contributi:
Lo spazio dell’etica in politica
Gianfranco Pasquino

Etica e politica: rapporti tesi
Giovanni Giorgini

L’etica del servizio
Maurizio Viroli

Etica costituzionale
Francesca Rescigno

«La Repubblica delle pere indivise»: etica, politica e non solo nell’Italia contemporanea
Antonio Maria Orecchia

Un giornalismo etico è ancora possibile
Roberto Vicaretti

Paradoxa, Anno XIX– Numero 4 – Ottobre/Dicembre 2025

Talk show e carta stampata: nel dibattito pubblico per me pari sono

Sorpresa: i giornalisti della carta stampata si stupiscono che i conduttori dei talk show concordino le domande con i politici che invitano. Loro, invece, no? Però, il guaio grosso è che né gli uni né gli altri sanno replicare alle risposte dei politici. Per farlo dovrebbero essere preparati e autorevoli. Sapessero l’inglese potrebbero imparare dalla BBC (e non solo).

La nostra Repubblica esigente

Per nessuno scopo, analitico, interpretative, propositivo, la Costituzione italiana può essere divisa nettamente in due parti: una attinente ai diritti (e doveri), l’altra all’ordinamento dello Stato. I principi ispiratori dei Costituenti e la loro visione complessiva informano chiaramente e coerentemente entrambe le parti. Tutte le componenti della Costituzione italiana si tengono insieme e segnalano che qualsiasi revisione, anche minima, deve essere valutata con riferimento al suo impatto complessivo. La tesi che argomento e svolgo nel libro La Costituzione in trenta lezioni, UTET 2015 è che nessuna Costituzione è mai semplicemente un documento giuridico. Le Costituzioni migliori , a cominciare da quella degli Stati Uniti d’America e a continuare con quella della Germania contemporanea, sono documenti eminentemente politici. Mirano a plasmare la vita di una comunità, a darle le regole di comportamento e di rapporti fra persone, associazioni, istituzioni.

Anche la Costituzione italiana mira a fare, limpidamente, tutto questo. Plasma la Repubblica democratica, evidenziando, fin dall’inizio, che la Repubblica sono i cittadini, siamo noi. Ai cittadini — elettori, rappresentanti, governanti– spetta il compito di rimuovere gli ostacoli all’effettiva partecipazione alla vita della comunità (art. 3). Con questa indicazione, i Costituenti miravano a costruire le premesse della coesione sociale e a dare senso e identità ad una comunità di sconosciuti, usciti da vent’anni di fascismo che aveva teso a isolarli e a punirli se si associavano e se parlavano di politica. A questi “sconosciuti”, anche agli stessi uomini e donne nell’Assemblea Costituente, apparve subito necessario ricordare l’importanza della partecipazione, sottolineare il riconoscimento del pluralismo e delle capacità associative, anche in partiti politici (art. 49), mettere in evidenza che le cariche pubbliche, in politica, nelle istituzioni, nella burocrazia debbono essere adempiute con “disciplina e onore” (art. 54). Ai detentori di cariche istituzionali, fra i quali si trovano, naturalmente, anche i magistrati, si raccomanda di tenere in grande conto sia la separazione dei poteri affinché ciascuno di loro svolga i compiti specifici affidatigli sia l’equilibrio affinché nelle loro inevitabili interazioni nessuna istituzione cerchi di sopraffare le altre e tutte operino in un complesso “gioco” di freni e contrappesi. Forse, nella predisposizione di questi freni e contrappesi si colloca anche il fin troppo spesso menzionato “complesso del tiranno”, ma che i freni e i contrappesi siano la base sulla quale operano tutte le democrazie migliori appare innegabile.

La Costituzione è un documento politico esigente. Funziona tanto meglio quanto più i cittadini, i rappresentanti e i governanti non si limitano a rivendicare diritti, ma si impegnano a svolgere fino in fondo i doveri ai quali vengono chiamati: educare i figli, votare, pagare le tasse in proporzione al loro reddito, riconoscere e rispettare il diritto d’asilo e porlo in pratica. La Costituzione ha accompagnato e, oserei dire, ha guidato la crescita dell’Italia da paese rurale, agricolo, ampiamente analfabeta, sostanzialmente impoverito e distrutto dal fascismo e dalla Guerra fino a farlo diventare l’ottava potenza industriale del mondo. Tuttavia, è sempre esistita una qualche insoddisfazione nella società e nella politica per obiettivi, il più importante dei quali è la crescita culturale e sociale, che non venivano raggiunti. Insomma, la società italiana non diventava, non è ancora diventata abbastanza civile. Né, oramai da anni, fa progressi, ad esempio, in materia di pagamento delle tasse o di contenimento e “respingimento” della corruzione. Questi gravissimi inconvenienti non sono evidentemente attribuibili alla Costituzione e ai suoi articoli, tantomeno alla sua ispirazione, agli accordi e ai compromessi, spesso fecondi, che i Costituenti raggiunsero fra loro, offrendo una non banale e non criticabile lezione di metodo.

Se, come ho detto e ribadisco, “la Repubblica siamo noi”, allora dobbiamo criticare gli italiani, individualisti e egoisti, che pensano di cavarsela da soli e di non dovere nulla allo Stato e ai loro concittadini; gli italiani “familisti amorali”, che orientano e giustificano qualsiasi loro comportamento con l’esclusivo perseguimento di vantaggi per la loro famiglia; gli italiani che si fanno forti della loro appartenenza a qualche corporazione (burocrazia, magistratura, classe politica, giornalismo); gli italiani che screditano qualsiasi forma di impegno e si rifiutano di riconoscere il merito e di premiarlo. Questi sono gli italiani che non hanno saputo né voluto capire che soltanto agendo nel rispetto delle regole, dei diritti, dei doveri scritti nella Costituzione, la Repubblica, di cui celebriamo i settant’anni, raggiungerà una apprezzabile qualità democratica e si accompagnerà ad una società davvero, finalmente civile.

Pubblicato AGL il 2 giugno 2016