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Ma quale rimpasto, è ora di studiare. La versione di Pasquino @formichenews
Non è il momento di pensare a un rimpasto di governo che, peraltro, potrebbe non piacere troppo all’Europa. È l’ora di studiare, scrive Gianfranco Pasquino, e stilare con immaginazione i progetti, tempi e costi, per ottenere i fondi europei. Il commento del professore emerito di Scienza Politica
Il gioco italiano del rimpasto mi ha sempre affascinato. Circolano nomi, anche fantasiosi. Si evocano spettri, anche maligni. Si saltano a pié pari, ma anche dispari, i problemi e le motivazioni. Si fa credere ai retroscenisti che il rimpasto/quel rimpasto è un’operazione di enorme rilevanza. Risolutiva. Infine, si intervista anche qualche stratega peso massimo per ottenere conferme che puntuali arrivano, ma anche no, tanto ci siamo già scordati dei punti di partenza. Sono due, in contemporanea: le elezioni regionali e il referendum sul taglio (riduzione del numero) dei parlamentari.
Mi sforzo, ma non riesco a individuare quali sarebbero i ministri da rimpastare se, per fare un esempio, i giallo-rossi perdessero qualche regione di troppo. Chi dovrebbe andarsene se saggiamente gli elettori dicessero no al taglio della loro già incerta e claudicante rappresentanza? Qualcuno ha per caso stilato un elenco delle cose fatte e delle malefatte dei ministri di Conte? Certo, il rimpasto non può toccare il Presidente del Consiglio popolarissimo e stimato punto di equilibrio della coalizione. Dopo il Conte Due si trova soltanto un eventuale Conte Tre per andare a elezioni, quindi, dopo il gennaio-febbraio 2022, avvenuta l’elezione del Presidente della Repubblica in un trilottaggio scintillante e appassionante “Casellati/Casini/Draghi” (a domanda di Formiche, spiegherò, un’altra volta).
Nel frattempo, le ambizioni dei ministrables vanno tenute sotto controllo. Si dedichino a risolvere i rimanenti problemi con le autostrade. A stilare con immaginazione i progetti, tempi e costi, per ottenere i fondi europei. A leggere, non dico un libro (vaste programme per i politici italiani sosterrebbe de Gaulle), ma un articolo scientifico sulle leggi elettorali e le loro conseguenze. Potrebbe servire e poiché non è affatto urgente hanno tutto il tempo per dedicarvisi, ma assumano l’impegno magari per farsi spiegare da Delrio come la legge Rosato sia nel frattempo diventata da 2/3 Pr e 1/3 maggioritaria addirittura “ipermaggioritaria”. Naturalmente, alcuni di noi, viziosi e viziati studiosi, apprezzerebbero essere informati su qualche altro esempio esemplare di legge elettorale maggioritaria, non “il sindaco d’Italia” che è una forma di governo similpresidenziale, non una legge elettorale.
Mentre i Cinque Stelle si arrovellano su Crimi e su Di Battista e i Dem si interrogano su come ricostruire una cultura politica, scriverò, azzardatamente, un aggettivo da prendere con le molle, esplosivo: “riformista” (no? allora progressista), non è credibile che abbiano tempo e capacità di fare due cose insieme, aggiungendovi il rimpasto anche perchè all’orizzonte non si affacciano personalità straordinarie alle quali affidare i ministeri decisivi. Riesco, però, ad immaginare le facce sgradevolmente sorprese e inquiete delle autorità europee se dovessero essere obbligati a trattare con qualche faccia italiana nuova, non sperimentata, meno affidabile del (non già brillante) solito. Buone vacanze.
Pubblicato il 6 agosto 2020 su formiche.net
L’opposizione e suoi doveri
Per chi ha passato la maggior parte della sua vita parlamentare al governo del paese ovvero sostenendo il governo del suo partito, collocarsi all’opposizione è uno scivolamento doloroso. Purtroppo, sembra che i novanta giorni trascorsi dal 4 marzo non sono stati sufficienti a elaborare il lutto. Berlusconi non sarà un’opposizione molto agguerrita contro quello che definisce un governo pauperista e giustizialista. Non potrà tagliare i ponti con Salvini anche perché soltanto mantenendo le coalizioni nelle città e nelle regioni nelle quali la Lega governa con Forza Italia gli è possibile sperare in un futuro migliore. Quindi, assisteremo a qualche dichiarazione più o meno dura, ma a nessun atto concreto di rottura che non sarebbe apprezzato e neppure condiviso dai Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni che già si sono detti disponibili alla prosecuzione di un buon rapporto con Salvini. Di conseguenza, l’onere dell’opposizione cadrà tutto sul Partito Democratico grande sconfitto, fin dall’inizio autocollocatosi sdegnosamente in un angolino. In maniera del tutto rivelatrice, l’ex-ministro PD Graziano Delrio ha già annunciato che il suo partito starà in trincea. Credo che, se proprio bisogna ricorrere a termini militari, sarebbe molto più opportuno che il PD si preparasse a una controffensiva, andando all’attacco.
Infatti, c’è molto da attaccare nelle proposte politiche di Lega e Cinque Stelle, più o meno vagamente recepite nel Contratto di Governo (per il Cambiamento come aggiunge ossessivamente Di Maio). Una buona opposizione ha il compito, anzitutto, di non cadere nella trappola della demonizzazione, nella quale si stanno avviluppando gli operatori dei media. Il governo Lega-Cinque Stelle non è il governo più a destra mai avuto dall’Italia. I governi guidati da Berlusconi 2001-2006 e 2008-2011 sono stati governi nei quali le posizioni e le politiche di destra furono effettivamente dominanti. Più corretto affermare e documentare, soffermandosi appena su inesperienza e incompetenza, che il governo Conte-Di Maio-Salvini è un governo segnato dall’ambiguità e dalla contraddittorietà su molte tematiche. In attesa del discorso d’insediamento del Presidente del Consiglio Conte, la graduatoria delle tematiche discende dalle prime esternazioni di Salvini e, in subordine, Di Maio. “Finita la pacchia”, nella pittoresca espressione del Ministro degli Interni Matteo Salvini, si preannunciano tempi duri per gli immigrati irregolari. L’opposizione ha il dovere di criticare non tanto la durezza delle frasi di Salvini, ma la vaghezza delle sue proposte mettendo l’enfasi sul loro costo e sulla loro probabile impraticabilità. Meglio ancora se l’opposizione fa rilevare che qualsiasi successo si voglia conseguire dipenderà dalla coordinazione e dal sostegno dell’Unione Europea. Ne deriva un’implicita, ma non meno incisiva, critica del sovranismo salviniano: da sola, l’Italia non è in grado di giungere a nessuna soluzione del “problema migranti”. Di Maio si è messo all’opera non soltanto per dare il reddito di cittadinanza, ma anche per le pensioni di cittadinanza. Non basteranno, ovviamente, i soldi eventualmente recuperati da un ricalcolo, pomposamente definito eliminazione, dei vitalizi degli ex-parlamentari. Questo è il terreno sul quale un’opposizione adeguatamente attrezzata dovrebbe dare e ripetere i numeri, evidenziando che i costi sono intollerabili per il bilancio dello Stato per di più se la legge Fornero venisse deformata. I recenti efficaci dati dell’INPS rivelano da quanto tempo qualche centinaio di migliaia di italiani ha goduto di privilegi almeno in parte responsabili delle diseguaglianze che è giusto criticare con l’obiettivo di rimediarle. Sul punto, l’opposizione ha il dovere, che definirei morale ancora prima che politico, di spiegare che la flat tax, anche in due scaglioni, è, prima di tutto anticostituzionale poiché la Costituzione sancisce la progressività delle tasse, in secondo luogo produttiva di ulteriori diseguaglianze a favore dei più abbienti. Grande è lo spazio di un’opposizione sulle cose e propositiva.
Pubblicato AGL il 5 giugno 2018
Vento emiliano e nuove filosofie
Il Partito Democratico dell’Emilia-Romagna non si fa mancare quasi niente tranne, talvolta, i voti, per esempio, quelli che servivano a evitare il ballottaggio di Merola. Non potendo andare oltre il secondo mandato (e la presidenza della Città metropolitana), sfuggitagli per via referendaria la carica di Senatore, il sindaco ha deciso di sbizzarrirsi in politica, forse, sostiene più d’uno, a scapito del miglioramento della sua attività amministrativa che lo vede al sessantesimo posto circa della classifica stilata dal Sole 24Ore. Può anche permettersi di contraddire variamente le proposte e le indicazioni del suo segretario di cui qualche tempo fa si era dichiarato convinto sostenitore. Adesso, mentre esprime il suo favore al referendum sul Jobs Act, legge simbolo del periodo renziano, annuncia che elezioni anticipate non sono una buona soluzione e opera per un’ipotesi di coalizione che includa quelli che un tempo sarebbero stati chiamati “cespugli di sinistra”. Se rinascesse l’Ulivo, e Romano Prodi sostiene che è possibile, quei cespugli avrebbero molte opportunità di essere considerati importanti.
Su altri versanti, i Dem dell’Emilia-Romagna mantengono alta la loro visibilità. Vero che dei tre ministri reclutati da Renzi, una, Federica Guidi, ha dovuto dimettersi qualche tempo fa, il secondo Giuliano Poletti, galleggia su imbarazzanti affermazioni, che non sono gaffes, ma ne rispecchiano il pensiero politico, e il terzo Graziano Delrio è un po’ emarginato, ma se le indiscrezioni hanno qualche fondamento, sarà la nuova segreteria di Renzi a fare il pieno di emiliano-romagnoli. Dal cerchio non più magico del giglio fiorentino al poco frizzante, ma solido ambiente emiliano-romagnolo? Il segretario che cerca un suo personale rilancio ha bisogno di un partito, anche se chi lo conosce non crede che saprebbe poi farlo funzionare e valorizzarlo. Vorrebbe un partito più unito, magari senza Bersani e quel che rimane dei bersaniani. Saranno Critelli, Calvano, Bonaccini, Richetti (alla ricerca di un ruolo chiave e sovraordinato nella nuova segreteria) e Andrea Rossi all’organizzazione a dargli quel partito? Difficile dirlo, ma inevitabile sottolineare che un riallineamento complessivo del PD emiliano-romagnolo su Renzi, da un lato, desterebbe grandi preoccupazioni nei molti parlamentari che desiderano la ricandidatura e molte speranze negli aspiranti fra i combattenti del pur sconfitto fronte del “sì”, dall’altro, aprirebbe spazi per Merola ( non “per il suo progetto” di cui non vedo né gli obiettivi né il perimetro). I nomi li ho fatti. Mancano solo le indicazioni su quali grandi, ma anche piccole, idee sapranno proporre sia i nuovi renziani sia il vecchio Merola. A quando il philosophari?
Pubblicato il 28 gennaio 2017