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«Ma Schlein su Ue e Ucraina non è chiara. Chi le è contro la sfidi invece di criticarla» #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti

Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica a Bologna, commenta il voto in Toscana e analizza quanto accade nel Pd, con Paolo Gentiloni che negli scorsi giorni ha chiesto a Schlein «un chiarimento» con il M5S. «Penso che Schlein volte prende posizioni che non mi piacciono ma per sfidarla servono posizioni chiare e precise che al momento ha solo una piccola minoranza guidata da Pina Picierno – dice – Dopodiché un partito deve avere una linea molto chiara sulle questioni più spinose come appunto l’Europa e l’Ucraina, cosa che in questo momento non avviene».

Professor Pasquino, in Toscana Giani ha stravinto e il Pd è ampiamente primo partito: segno che Schlein può dormire sonni tranquilli alla guida dei dem?

I toscani, come i calabresi e i marchigiani, votano sulle questioni che riguardano la Regione e scelgono il loro candidato presidente in base alla persona. Tutto il resto, cioè i Pro Pal, l’idea che possa in qualche modo contare la politica internazionale sulle questioni interne e regionali, esiste solo nella bolla mediatica. Detto ciò, Schlein è la segretaria eletta attraverso le primarie e gli sfidanti se vogliono devono chiederne le dimissioni e proporre le primarie come controllo sul suo operato.

Eppure nel fine settimane Paolo Gentiloni ha detto che serve un «chiarimento» con il M5S sull’Europa, sull’Ucraina, insomma sulla politica estera: che ne pensa?

Penso che Schlein volte prende posizioni che non mi piacciono ma per sfidarla servono posizioni chiare e precise che al momento ha solo una piccola minoranza guidata da Pina Picierno. Dopodiché un partito deve avere una linea molto chiara sulle questioni più spinose come appunto l’Europa e l’Ucraina, cosa che in questo momento non avviene.

Il guru dem Goffredo Bettini dice invece che serve un chiarimento interno al partito, più che con il M5S: che ne pensa?

Bettini non voglio commentarlo. Mi chiedo perché debbano rivolgersi a un guru esterno. Un partito, come diceva il compagno Gramsci, è un intellettuale collettivo e sicuramente la linea al Pd non può darla Bettini ma neanche Cacciari o Canfora. E neanche Albanese.

Casa riformista può essere il progetto centrista che manca alla coalizione?

Il centro è un luogo geografico, per diventare un luogo politico dovrebbe avere politiche chiare e specifiche che invece vengono messe in secondo piano dagli ego di Renzi e Calenda ma anche di Lupi, dall’altra parte. Quindi i centristi possono avere qualche voto, ma non sono decisivi. Come sarebbero invece i Cinque Stelle che però perdono voti di qua e di là con Conte che ha preso posizioni estremiste che renderanno difficile un governo con il Pd.

In Campania De Luca dice che il Pd sta buttando al vento tutti i suoi voti regalando la Regione al M5S per sostenere Fico: ha ragione?

No, perché quando si fanno le alleanze bisogna cedere qualcosa. E Fico è il meno grillino possibile, ha poco a che vedere con Conte, ha imparato moltissimo facendo il presidente della Camera e sostanzialmente è un progressista. Non è un grillino imprevedibile con punte di antipolitica. Insomma, Fico ha complessivamente la consapevolezza della complessità della politica e non è un terribile semplificatore come il grillino medio.

Renzi insiste sul fatto che il campo largo può vincere solo con un centro forte, che faccia da contraltare al M5S… Ribadisco: al centro ci si va in maniera politica. Bisogna trovare tematiche attraenti anche per elettori grossomodo moderati di centro ma che devono andare bene anche al Pd. Perché attenzione: il lavoro che il Pd deve fare non è spostarsi al centro ma trovare tematiche giuste per allargare il proprio bacino elettorale. E ci sono due tematiche sulla quali mi pare che non ci siamo.

Cioè?

La prima è quella dell’ordine pubblico, sulla quale sinceramente non mi ritrovo con il Pd di oggi. Spaccare vetrine per sostenere la Palestina è una stronzata, tecnicamente parlando. L’altra è che questo paese ha bisogno di crescere in maniera significativa e quel che conta è l’istruzione. In questo Paese non ci sono investimenti in istruzione ma bisognerebbe sapere come sfruttare tutte le nuove potenzialità a cominciare dall’IA. Non serve assumere insegnanti e basta, ma serve assumere insegnanti specifici e formati. Se non ci sono bisogna prepararli in maniera molto urgente e se ci sono bisogna assumerli, pagarli meglio e farli circolare.

Pubblicato il 14 ottobre 2025 su Il Dubbio

Sarebbe un errore fatale rendere essenziale l’alleanza con i 5Stelle… #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Riccardo Tripepi

Con l’avvicinarsi delle prossime elezioni regionali, si intensifica il clima da campagna elettorale e per quel che attiene il centrosinistra, si discute sulle reali possibilità del campo largo in sperimentazione di strappare qualche regione al centrodestra e, soprattutto, sulla tenuta dell’alleanza tra PdMovimento 5 Stelle e le forze centriste. L’ennesimo scontro tra il leader di Italia Viva Matteo Renzi e l’omologo di Azione Carlo Calenda, da questo punto di vista, non fa ben sperare. Per analizzare lo scenario in continua evoluzione abbiamo discusso con Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica e autore del saggio In nome del popolo sovrano – Potere e ambiguità delle riforme in democrazia.

Professore, come si presenta il centrosinistra in vista delle prossime elezioni regionali?

Il centrosinistra, per una volta, si presenta meglio del solito. Non ci sono state rotture irreparabili, e le marce di avvicinamento fra le diverse componenti sembrano più convincenti che in passato. Non tutto è risolto, ma si aprono degli spiragli per riuscire a fare qualcosa in più rispetto al recente passato. Penso che il centrosinistra possa giocarsi la vittoria in quattro o cinque regioni. Se riuscisse a conquistare anche la Calabria, sarebbe un risultato di grande rilievo. La partita in Veneto, invece, sarà molto più difficile. Nel complesso, però, arriva a questa tornata elettorale in condizioni migliori rispetto alle precedenti.

Matteo Renzi, dalla sua newsletter, ha indicato come «indispensabile» un’alleanza con i Cinque Stelle per costruire un vero campo largo. È d’accordo?

L’alleanza con i Cinque Stelle è importante, ma non dev’essere vista come una condizione imprescindibile. Il centrosinistra non può permettersi di dipendere interamente da questa intesa. La retorica che rende il Movimento Cinque Stelle “essenziale” per qualsiasi campagna o strategia elettorale è sbagliata. Sono alleati importanti ma non sono da considerare fondamentali per ogni campagna elettorale e per ogni elezione. Gli accordi vanno poi verificati caso per caso.

Il leader di Azione Carlo Calenda ha reagito con durezza alle parole di Renzi, dicendo che Azione non sosterrà mai candidati comuni con i Cinque Stelle…

Calenda reagisce male per abitudine, direi quasi per riflesso. Ma non è mai in grado di proporre un’alternativa credibile. È sbagliato porre veti perfino all’inizio della discussione. E sbaglia anche nel valutare il proprio peso politico: si illude di essere decisivo, ma finora è stato determinante solo nelle sconfitte. Un atteggiamento costruttivo sarebbe quello di contribuire alla definizione di candidature e programmi credibili, non certo quello di alzare barricate.

Lo stato di salute dei rapporti tra Pd e Movimento 5 Stelle, invece, come lo valuta?

Deve ancora migliorare. Le alleanze regionali e comunali dovrebbero essere decise in base alle dinamiche locali, non imposte dall’alto. È un errore che Conte e Schlein non devono commettere. Ogni territorio ha le sue peculiarità, e gli accordi vanno costruiti sul campo, coinvolgendo i gruppi dirigenti locali. I diktat nazionali producono solo risentimenti e fallimenti.

Per qualche interprete Pd e Movimento Cinque Stelle si stanno dividendo il Paese: il Pd punta al Centro- Nord, il Movimento al Sud, puntando anche al reddito di dignità regionale, parente stretto del reddito di cittadinanza. È così?

Può succedere che si formino queste dinamiche. Ma non bisogna esagerare con le semplificazioni. Prendiamo l’esempio di Roberto Fico in Campania: non mi pare stia interpretando una linea che punti esclusivamente verso politiche di tipo assistenzialista. È chiaro che al Sud servano anche politiche di sostegno, ma non ci si può fermare lì. Serve una strategia di sviluppo, una visione strutturata. Diversamente, si perpetua l’idea che il Sud sia solo una terra da aiutare e non da valorizzare. Ma non mi sembra strano che si offra sostegno alle aree più deboli del Paese.

E il centrodestra? Come arriva a questa tornata elettorale?

Il centrodestra parte da una posizione di forza: è al governo e ha una leader indiscussa, Giorgia Meloni, che riesce a tenere insieme la coalizione e a controllare tutto. I suoi vice Antonio Tajani e Matteo Salvini non sono in grado di insidiarle la leadership. E poi i leader del centrodestra sanno perfettamente che devono stare insieme, non uniti, per vincere. Questo garantisce stabilità all’alleanza che può anche concedere qualche sciagurato giro di valzer a qualche attore e soprattutto a Matteo Salvini che ha bisogno di visibilità. Alla fine, però, si ricompattano sempre.

Secondo lei il risultato delle elezioni regionali può influire sulla tenuta del governo Meloni?

Credo di no. Il governo deve andare avanti sia sul piano nazionale che su quello internazionale. Le elezioni regionali hanno una loro dinamica distinta e non determinano automaticamente ripercussioni sulla tenuta dell’esecutivo. Vale per qualsiasi maggioranza, di destra o di sinistra: governare significa assumersi la responsabilità di guidare il Paese, indipendentemente dall’esito delle consultazioni locali.

Pubblicato il 27 agosto 2025 su Il Dubbio

Bene il proporzionale, ma serve una soglia di sbarramento al 5% #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti

Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica a Bologna, spiega che sulla legge elettorale «bisogna riuscire ad avere una proposta seria e discutere su quella» perché «solo così un qualche tipo di dialogo acquista di senso» e che tuttavia «l’idea di un proporzionale con premio di maggioranza può essere una buona base di partenza ma servono paletti ferrei come una soglia di sbarramento al 5% e non più di dieci collegi».

Professor Pasquino, la convince la proposta di una legge elettorale proporzionale con un premio di maggioranza?

Bisogna essere chiarissimi: il proporzionale con soglia di sbarramento significa che ci saranno collegi elettorali nei quali verranno eletti 7-10-15 candidati ma a livello nazionale serve una soglia di sbarramento tra il 4 e il 5, come è in Germania e infatti lì funziona. Ma dipende come vengono ritagliati i collegi, se i parlamentari da eleggere (n. d. GP) sono più di dieci si frammenta troppo il sistema, al contrario se sono molti meno si concentra troppo l’esito elettorale. L’importante è che ci sia una clausola di esclusione del 5% su soglia nazionale senza eccezione alcuna. Bisogna superare il 5% e poi si va alla divisone dei seggi.

A partire da queste basi pensa sia possibile il dialogo tra maggioranza e opposizione?

Diciamo che mi pare una discussione penosa: bisogna riuscire ad avere una proposta seria e discutere su quella. Solo così un qualche tipo di dialogo acquista di senso. In ogni caso questa idea può essere una buona base per dialogare ma, come detto, servono paletti ferrei. E poi alla riforma del premierato che ha in mente Meloni sarebbe collegato anche un nuovo sistema elettorale, come si fa a fare l’uno e non l’altro?

Pensa che, a proposito dell’idea di indicare il premier, Meloni stia tirando la corda perché sa che dall’altra la leadership di Schlein è messa in difficoltà da Conte?

Credo di sì e penso sia anche un’operazione che può fare con grande facilità. Il centrosinistra da questo punto di vista è malmesso ma l’indicazione del premier non è una cosa buona perché limiterebbe i poteri del presidente della Repubblica. Mi pare anche questa una discussione molto sterile. Ripeto: bisogna scegliere un sistema esistente che sappiamo funzionare e non inventarsi qualcosa di nuovo. Andiamo a vedere cosa funziona: o il sistema tedesco o quello francese, ma Meloni non vuole il doppio turno quindi non rimane che quello tedesco così com’è.

Nel dibattito sulla legge elettorale si richiama spesso la stabilità dei governi: le due cose sono collegate?

La stabilità non dipende dal meccanismo elettorale ma dalla capacità di formare delle colazioni e di tenerle insieme. L’attuale stabilità di Meloni non dipende dalla legge elettorale con la quale si è votato ma dal fatto che il suo è il partito più grande, lei è una guida solida e decisa e gli altri non hanno un’alternativa praticabile. La stabilità dipende dalla capacità di dare vita a coalizioni sufficientemente coese, programmatiche e leali. Il meccanismo elettorale poi può aiutare ma serve leadership politica.

Il centrosinistra ne troverà mai una condivisa dall’intera coalizione?

No perché non arriveremo mai a una situazione in cui Conte accetta la leadership del Pd. Sta facendo tutto il possibile per smentire questa tesi e questo rende debolissimo l’intero centrosinistra. Ci si arriverebbe con un sistema elettorale a doppio turno ma senza di esso è praticamente impossibile. Sappiamo che anche dentro al Pd ci sono delle remore e degli scrupoli sulla leadership di Schlein ed è anche giusto che sia così visto che non può vantare tanti successi finora. Ma a meno che non emerga un’alternativa vera che passi attraverso un voto bisogna rispondere positivamente a quello che la segretaria fa.

Si parla anche dell’ipotesi di primarie per tutti i partiti: cosa ne pensa?

L’obbligatorietà non deve esistere. Le primarie sono uno strumento che ciascun partito decide se utilizzare oppure no. Se c’è un candidato straordinariamente capace, perché sottoporlo a primarie? Servirebbe solo a indebolirlo. Ma se un partito lo scrive in statuto poi le deve fare. Il Pd ce l’ha e quindi le fa, FdI no e dunque può “permettersi” di non farle.

Data quindi per scontata la leadership di FdI, a Fi e Lega conviene una legge elettorale proporzionale con un premio di maggioranza?

Che cosa può essere migliore di una legge proporzionale per partiti che hanno al massimo il 10% di voti? Ne hanno bisogno, quindi ne scrivano una buona e salveranno il loro 10%. Quello che partiti del genere devono fare è imparare a negoziare con persone di alta qualità e ottenere cariche nel futuro governo sulla base dei voti elettorali ottenuti.

Pubblicato il 6 maggio 2025 su Il Dubbio

Conte un problema per il centrosinistra. Ma i suoi voti servono #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti

Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna, critica il «movimentismo» di Conte su temi come Gaza e il Jobs act perché «disturba qualsiasi tentativo di costruire una coalizione che voglia darsi un programma di governo» e non condivide la troppa esposizione mediatica di molti esponenti dem, a partire da Bettini e Picierno. «La linea del partito non la può dettare Bettini ma neanche Picierno – dice – La deve dettare la segretaria dopo aver ascoltato più esponenti possibili.

Professor Pasquino, Conte sta spingendo molto su temi come Gaza e i referendum sul Jobs Act: è un problema per Schlein?

Ho l’impressione che Schlein abbia deciso a tutti i costi di “abbracciare” Conte e il suo 12- 15% di voti. La verità è che quei voti sono essenziali ma non è sicuro che in questo modo riuscirà a recuperarli. In ogni caso questa è la strategia e quindi la leader dem lascia che parte dell’agenda politica e programmatica venga dettata da Conte. Cosa che sappiamo non viene condivisa da Renzi, Calenda e una parte di elettori centristi.

E quindi sarà un problema per la futura coalizione, o no?

È certamente un problema. Il problema è Conte con le sue ambizioni personali e la sua incapacità politica. Questo suo movimentismo disturba qualsiasi tentativo di costruire una coalizione che voglia darsi un programma di governo. Conte porta avanti dei temi con i quali non può mai vincere le elezioni. Può ottenere forse qualche voto in più, ma complessivamente questo è un problema per il Pd e per il centrosinistra.

Oggi ( ieri, ndr) un’intervista a Goffredo Bettini ha scatenato il dibattito tra chi nel Pd è più vicino al M5S e chi ai centristi: Schlein da che parte dovrebbe stare?

Lei, come molti, pone l’alternativa tra stare nei pressi di Conte e stare nei pressi del centro. Ma l’unica alternativa possibile è quella di essere originali e avere un programma diverso da tutti e due e trovare il modo di dare un’offerta politica all’elettorato che sia esclusiva del Pd. Volete il salario minimo garantito e un certo tipo di rapporti coi migranti e la loro integrazione? Volete una certa presenza in Europa? Schlein dovrebbe riuscire a stilare un programma che guarda avanti e costringere gli altri a confrontarsi con esso. Non deve essere lei ad andare a traino traino né di Conte né dei centristi.

La differenza di opinioni tra esponenti come Bettini e Picierno, ad esempio, può ancora coesistere?

Diciamo che nel Pd hanno sempre coesistito queste due anime, è sempre stato così e infatti è sempre stato un problema. Un problema che deve essere non per forza risolto ma certamente ridimensionato. La linea del partito non la può dettare Bettini ma neanche Picierno. La deve dettare la segretaria dopo aver ascoltato più esponenti possibili. Serve una politica “franca” per raggiungere posizioni condivise dopo aver espresso al meglio le sue personali posizioni, e deve esprimerle in maniera chiara.

Ci sono questioni, come la politica estera, dove un accordo tra le varie anime della coalizione sembra impossibile: come si risolverà?

In una certa misura Schlein deve riuscire a ridurre le distanze, in secondo luogo deve riuscire a trovare una modalità per esprimere queste diversità di visioni in maniera che non siano causa di antagonismi nella coalizione. Questo significa fare politica, cioè evitare che quello sia l’argomento decisivo sul quale si decide l’alleanza. Perché se così fosse il centrosinistra non andrebbe da nessuna parte.

Tornando al Jobs act, Renzi ovviamente lo difende mentre Schlein è contro: come si pone la questione visto che è stato lo stesso Pd a volerlo e approvarlo?

La questione può diventare un problema per Schlein se lei si limita a dire sì al referendum, ma se dicesse anche altro, cioè come affrontare i problemi che quella legge puntava a contrastare allora è un altro paio di maniche. E la questione riguarda anche il sindacato: è capace o no di andare oltre quella legge e il semplice rifiuto di essa? Dire no a quella legge e basta non serve a nulla.

Fa bene Schlein a esporsi così tanto sui quesiti referendari sapendo che difficilmente si raggiungerà il quorum?

Fa bene nel senso che la segretaria di un partito deve avere una posizione e segnalarla agli elettori. Il rischio quorum c’è perché mobilitare un elettore italiano è sempre difficile, anche perché l’argomento riguarda solo una parte di elettori. Ma dipende sempre dall’affluenza. Se anche non si raggiungesse il quorum ma con un’affluenza attorno al 40% sarebbe comunque un segnale importante.

Pubblicato il 17 aprile 2025 su Il Dubbio

Che errore per il Pd staccarsi dai Socialisti, Schlein rifletta #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti

Per Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna, con il voto di ieri al Parlamento europeo «il Pd non soltanto si è spaccato ma ha anche abbandonato la linea ufficiale dei Socialisti e democratici europei e questo è ancora più brutto perché significa che mancano ancora dei passi per diventare un grande partito del socialismo europeo e per diventare dunque un grande partito europeista».

Professor Pasquino, come giudica la spaccatura avvenuta nel Pd sulla risoluzione al Parlamento europeo?

Il Pd è un grande partito rappresentativo del paese e se su una scelta cruciale si spacca non va bene. Ma il Pd non soltanto si è spaccato ma ha anche abbandonato la linea ufficiale dei Socialisti e democratici europei e questo è ancora più brutto perché significa che mancano ancora dei passi per diventare un grande partito del socialismo europeo e per diventare dunque un grande partito europeista.

Crede che la linea di Schlein sia dettata dal fatto di avere alla sua sinistra un partito come il M5S che ha una visione molto netta contro il piano ReArmEu?

Non condivido per nulla né la posizione di Conte né quella secondo la quale un partito si farebbe orientare nel proprio voto da quella, estrema e impossibile da sostenere, di un altro partito. Quella che fa influenzare da una pessima politica è una cattiva politica.

Sembra che Schlein abbia minacciato le dimissioni nel caso in cui fosse finita in minoranza, scenario evitato soltanto grazie alle astensioni dei tre indipendenti: che ne pensa?

Quando una leader minaccia le dimissioni ha già perso la sua posizione di leader. Un leader cerca di aggregare e non di dividere il partito ulteriormente con delle modalità abbastanza autoritarie e imperative. È una brutta situazione che segnala un problema di leadership e di cultura politica.

La minoranza ha chiesto che si faccia un confronto interno, che tuttavia suona molto di resa dei conti: si arriverà a tanto?

Se il dibattito interno serve solo a contarsi tanto vale non farlo; se invece serve a raggiungere posizioni politicamente condivise allora ci si può provare. Ma il Pd ha perso la sua capacità di creare cultura politica e questo è un problema per un grande partito che si dice di sinistra.

L’ha persa con Schlein o già da prima?

Probabilmente non l’ha mai avuta ma alcuni segretari del passato cercavano di mediare in maniera raffinata. Non Renzi, naturalmente, ma altri sì. E forse gli attuali dirigenti dovrebbero ripensare la linea.

Pensa che le divergenze su un tema così dirimente come la politica estera possa portare a un cambio di leadership, dopo che Schlein ha rianimato un partito che sembrava moribondo?

Da questo punto di vista è Schlein che deve dirci se è in grado di ricucire le diverse posizioni presenti nel Pd. E non esagererei troppo sull’aver riconquistato voti, perché più che riconquistati da Schlein quei voti sono stati persi da Conte. Il problema non sono tanto i voti ma le idee.

Ma Schlein ha ravvivato il Pd proprio spostandosi su posizioni “movimentiste”, o no?

Quelli che hanno votato i Cinque Stelle e che poi sono tornati a votare Pd non sono voti “movimentisti” ma di elettori che cercano una soluzione di governo. Il problema è riuscire a ricucire all’interno del Pd, quindi non tanto strappare altri voti al M5S, che verranno da soli se il Pd avrà una linea chiara e netta.

Ad esempio?

Bisogna trovare una linea di condivisione delle politiche europee e proporre dei cambiamenti avanzati che non producano inciampi alla linea europea. E che siano maggiormente incisivi.

Come il ReArmEu?

Innanzitutto non avrei mai usato la parola riarmo perché non si tratta di riarmare l’Europa ma di armarla. In secondo luogo credo che il piano von der Leyen sia sostanzialmente corretto, magari per quello che riguarda il finanziamento credo che abbia ragione Giorgetti. Servono le armi e serve anche la diplomazia, nel senso di aumentare la credibilità dei ruoli associati alla Difesa all’interno della Commissione.

Cioè occorre cambiare le funzioni dell’Alto rappresentante per la Politica estera e la Sicurezza?

Il ruolo è corretto, ma bisogna che si spieghi chiaramente a tutti che se si vuole parlare di difesa e politica estera è quella la persona con la quale discutere. In generale, credo che bisogna riuscire a far si che ci sia un esercito europeo e non una somma di eserciti nazionali: non so tecnicamente come si può fare ma serve un esercito europeo guidato da persone convinte del progetto.

Come giudica le mosse del presidente americano Donald Trump sull’Ucraina e il Medio Oriente?

Temo le giravolte e le improvvise impennate di Trump. Perché non sono così sicuro che abbia padronanza delle relazioni internazionali e non sono nemmeno convinto che il suo segretario di Stato sia abbastanza forte da convincerlo delle cose da fare. Ma ovviamente mi auguro che sia in grado di farlo.

Pubblicato il 13 marzo, 2025 su Il Dubbio

Intervista raccolta da Giacomo Puletti

Professor Pasquino, ieri la segretaria dem Schlein da Pomigliano si è espressa su Stellantis chiedendo a Elkann di essere audito in Parlamento, Conte e Calenda lo avevano già fatto. La sinistra sta tornando tra gli operai?

Già il fatto che si parli di ritorno è preoccupante perché vuol dire che si erano dimenticati degli operai da molto tempo. Davanti alle fabbriche dovrebbero starci in primis i sindacati, altroché che chiamare alla rivolta sociale. Per quanto riguarda Conte, lui va tra gli operai per cercare di ottenere un minimo di consenso soffiando sulle proteste, mentre Schlein dovrebbe avere contatti più frequenti e organizzati. Dovrebbero esistere figure nel partito che curano questi rapporti, perché farsi vedere davanti ai cancelli ogni tanto non serve a granché.

Pensa che i recenti attacchi di Conte al Pd derivino dal fatto che, vista la faida interna con Grillo, l’ex presidente del Consiglio si senta un po’ un leone ferito?

Chiamare Conte leone mi pare eccessivo … Il leader M5S rilascia dichiarazioni, ma non c’è alcuna sostanza nelle sue frasi. Dice che è progressista ma non di sinistra ma non c’è progresso se non si sta a sinistra, visto che la destra è solitamente conservazione. Conservazione anche di cose buone, per carità, ma il progresso sta a sinistra, nel tentativo di cambiare le cose. Se dice che non è a sinistra allora non è neanche progressista. Dopodiché Conte interpreta un elettorato che in parte è progressista ma non tutto, perché una parte è qualunquista e anzi il M5S nasce proprio con questa chiave del no a tutto. Tanto che oggi la guerra con Grillo è proprio sull’anima del Movimento, su quel che il M5S deve essere. Se si abolisce il limite dei due mandati si apre a una nuova classe politica rispetto a quella del primo M5S. Ma ricordiamoci che il 5-6 per cento dei voti è necessario a qualsiasi coalizione di centrosinistra se vuole vincere.

Un’eventuale scissione di Grillo creerebbe danni a Conte?

Diciamo che porterebbe all’indebolimento di entrambi. Anche perché non è che se Grillo fa la scissione allora riporta il M5S al 20-25 per cento. Anzi. Ma il partito di Conte perderebbe molti attivisti. Sarebbe la fine dell’illusione che si potesse tenere sulla corda quel 30% di elettori portandoli su alleanze varie, prima con la Lega e poi con il Pd, sempre al traino di Conte che non essendo né carne né pesce va bene per tutto. Ma è appunto un’illusione che dura un mandato, perché poi rivela tutti i suoi limiti.

Dunque Conte non dovrebbe temere il voto di questi giorni?

Stiamo dando a Grillo, Conte e il M5S un’importanza che non ha. Si tratta di un partito del 10% che forse perderà ancora voti. Grillo forse cercherà di ostacolare Conte ma non sappiamo nemmeno se ce la farà. Lo stesso Conte sta perdendo visibilità e non tornerà mai al governo, perché non può fare il presidente del Consiglio se è a capo di un partito con meno del 10%. Insomma, lasciamoli lacerare al loro interno, poi con quel che resterà torneremo al dialogo.

Chi sta invece incrementando i propri consensi è Avs: i voti di Fratoianni e Bonelli arrivano da quelli in uscita dai Cinque Stelle?

Credo che quelli che hanno votato 5S e che non lo votano più siano elettori fondamentale astensionisti. E che sarebbero stati astensionisti già nel 2013 senza i Cinque Stelle. La crescita dell’astensionismo è data da quel tipo di elettori, che sono prevalentemente giovani. Una parte di loro forse sono interessati all’ambiente o in cerca di lavoro e quindi Fratoianni e Bonelli li raggiungono, ma anche in questo caso non esagererei troppo visto che hanno comunque il 6-7%. Ma qualcosa di utile si sta vedendo.

C’è poi l’incognita della gamba moderata della coalizione: crede che anch’essa sia necessaria per la vittoria, a prescindere da Renzi e Calenda?

Anche quella serve, ma non so come si riesca a prescindere da Calenda e Renzi. In qualche modo bisogna convincerli a fare un tipo di campagna elettore e di politica che permetta di raggiungere un elettorato centrista. Ma se il loro scopo fosse quello di strappare voti al Pd, allora la sconfitta sarebbe di tutti. Devono trovare elettori moderati che però pensano che il paese debba cambiare e portarli nell’ambito del centrosinistra.

Dunque con l’obiettivo di togliere voti a Forza Italia e non al Pd …

Non solo non devono togliere voti al Pd ma non devono nemmeno criticare in maniera ossessiva le scelte del Pd. Devono delineare un’alternativa dicendo cosa farebbero loro, che tipo di visione hanno e soprattutto devono dichiararsi sostanzialmente europeisti, compreso Renzi che ultimamente ha criticato e non poco l’Europa e Ursula von der Leyen, e convincere quella parte di elettori che oggi votano Fi.

Venendo al Pd, crede che l’exploit del partito alle Regionali sia il segnale di un ritorno a un centrosinistra pigliatutto dei tempi di Renzi e Prodi?

Né l’uno né l’altro. Con Prodi l’elemento trainante era il leader stesso. I Comitati per l’Italia erano stati la grande innovazione che gli permisero di raggiungere settori della società civile importanti numericamente e per quello che rappresentavano. Nel 2014 l’elettorato aveva colto in Renzi, giustamente, la novità ma erano Europee e il Pd è da sempre considerato il partito italiano più europeista. Schlein deve tornare all’idea che il partito deve esser davvero presente nel territorio e quindi dire basta alle candidature paracadute e invece dirsi favorevole alle primarie, verso le quali resta diffidente. Insomma, non vedo ancora quel tentativo di strutturazione vera del partito.

Cosa manca perché si arrivi a quella fase?

Manca una cultura politica, se le chiedessi qual è la cultura politica del Pd non saprebbe rispondermi. E neanche gli italiani. Il Pd oggi è una cosa che sta lì grosso modo nel centrosinistra con qualche visione progressista ad esempio sul salario minimo e sulla sanità che condivido ma non saprei aggiungere altro se non l’europeismo. Quest’ultimo tuttavia con importanti cadute di stile come Strada e Tarquinio, impresentabili.

Pensa che proprio la politica estera potrebbe essere lo scoglio più alto per un futuro centrosinistra di governo?

Sul tema non capisco l’opportunismo di Schlein. Due punti a me sono chiari e sono quelli che mi distanziano profondamente dal Pd. Il primo è che si tratta di un’aggressione russa all’Ucraina, il secondo è che si tratta di un’aggressione di un regime a uno stato democratico. Poi si può discutere di come sostenere Kiev ma se il Pd non capisce i due punti fondanti c’è un problema per il partito, per i suoi elettori e per i suoi rappresentanti. Prima ancora che con gli alleati internazionali.

Pubblicato il 7 dicembre 2024 su Il Dubbio

Il vero problema del M5S è Conte, Schlein punti sull’Ue #Intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti

Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica a Bologna e in libreria da poco con il suo Fuori di testa. Errori e orrori di comunicatori e politici, spiega che Conte è un problema per il M5S e che il lavoro è uno dei pochi temi che unisce il campo largo.

Professor Pasquino, l’unità delle opposizioni in piazza ieri con i metalmeccanici significa che il campo largo passa anche dai temi del lavoro?

Il lavoro è l’unico tema sul quale hanno già trovato un accordo, a cominciare dal salario minimo garantito. Certo è un tema che si può utilizzare ma da solo non basta a creare il campo largo: pone le premesse, ma rimane molta strada da fare.

Una strada che passa anche per la difesa della sanità pubblica?

Più che la difesa della sanità pubblica si dovrebbe proporre una sanità pubblica migliore, più concreta e più efficiente che preveda investimenti di breve periodo per rinnovare l’apparato e di lungo periodo perché ci si è resi conto che i medici sono necessari e quindi bisogna riformare i test d’ingresso, preparare più personale e più infermieri. Anche su questo terreno la sinistra potrebbe trovare un accordo.

Sull’immigrazione invece Pd e centristi spingono molto, meno il M5S visti anche i trascorsi con i vari decreti Sicurezza. Su questo tema potrebbero esserci dei problemi?

Potrebbero essercene e potrebbero anche essere in qualche modo esaltati ricordando a tutti che l’immigrazione non la risolve alcun paese europeo da solo. Serve una soluzione che sia effettivamente europea e che sia rispettata in tutti i paesi. Una soluzione per la quale bisogna superare i veti dei sovranisti e poi tradurla in concreto anche in Italia.

Politicamente quanto sono importanti le prossime Regionali per il futuro del centrosinistra?

L’alleanza deve essere costruita di volta in volta, in una regione se ci sono le Regionali, nei comuni se ci sono le Comunali. Nella speranza che creandola si crei anche uno strumento attrattivo per quegli elettori che non votano più. Bisogna anche vedere se si creano delle leadership delle quali gli elettori si fidino. Per tutti questi motivi le prossime Regionali sono molto importanti. Vedremo come va in Liguria, ma tutte queste tappe sono decisive perché si possono anche offuscare le differenze, mettendo ad esempio Renzi all’interno di una lista civica a sostegno di una candidato governatore, come in Emilia- Romagna. Ma bisogna esserci tutti e questo significa che ciascuno deve rinunciare a qualcosa.

Renzi ha rinunciato al simbolo, a cosa dovrebbe rinunciare il M5S?

Il problema principale del M5S è Conte. Il quale crede di poter tornare a fare il capo del governo mentre le cifre e le percentua-li sono chiare. Se mai l’alleanza del centrosinistra riuscirà ad avere abbastanza voti il premier deve essere espressione del partito più grande ed è molto difficile che il M5S superi il Pd. Deve prendere atto che è il secondo e rassegnarsi ai posti di potere che spettano al secondo.

Una sconfitta in Liguria sarebbe un duro colpo per il Pd, dopo la vicenda giudiziaria che ha coinvolto Toti?

La Liguria è diventata importantissima perché se dovesse venire meno il sostegno di coloro che valutano negativamente quello che Toti ha fatto ciò implicherebbe un colpo di arresto non solo alle opinioni ma alle preferenze e alle speranze del centrosinistra.

Molti criticano la scelta di candidare Orlando: che ne pensa?

Orlando è spezzino e ha una storia politica ligure anche abbastanza lunga. È uomo capace ed è stato anche un buon ministro quindi credo sia il candidato migliore in queste circostanze. Non credo sarebbe una sua sconfitta ma di chi non riuscisse a trovare voti aggiuntivi che di solito vengono dagli astenuti.

Abbiamo parlato dei motivi che uniscono il campo largo: da dove potrebbero arrivare invece i problemi?

Beh, la politica estera potrebbe essere un problema ma dopo aver vinto la campagna elettorale, che certamente non sarà condotta su quello, visto che non p nemmeno una priorità per gli elettori. Schlein dovrebbe invece impostare il discorso sulla politica europea, terreno sul quale Conte è ambiguo e debole. Poi certo non si può guidare l’Italia con una politica estera zoppicante, basti pensare all’Ucraina e al futuro del Medio Oriente, oltre che di Israele.

Dopo le Europee Schlein si goduta un partito in salute: è ancora così?

Nel Pd vedo dei problemi che ci sono ma che riguardano il partito solo di riflesso. Nel bene, che è parecchio, e nel male, che comunque c’è, il Pd rappresenta un elettorato diviso su alcune questioni a partire dalla guerra, sia nel sostegno all’Ucraina sia nel sostegno a Israele. Schlein ha accettato di barcamenarsi e secondo me si è spinta un po’ troppo a favore di coloro che dicono basta a Zelensky e che criticano Israele. Ma la capisco, perché non può lasciare campo aperto a Conte che su entrambe le tematiche è su posizioni ben distanti da quelle del Pd.

Pubblicato il 20 ottobre 2024 su Il Dubbio

Con Renzi patti chiari Ma non c’è alternativa al campo larghissimo #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti

Attribuire tutta questa importanza a Renzi è esagerato, significa dargli un peso che non ha: il leader di Iv  è solo una componente e non tutti i suoi elettori andranno dove va lui

Per il professore emerito di Scienza Politica Gianfranco Pasquino, il Pd dovrebbe cercare di mettere Renzi «davanti a delle decisioni chiare, dicendogli che deve accettarle e attuarle». Questo perché, a partire dall’alleanza alle Regionali, il leader di Iv «ha bisogno di qualche successo almeno in una prima fase, poi magari riprenderà il suo ego». Ma lo stesso Renzi «deve dimostrare di essere rilevante, influente e decisivo».

Professor Pasquino, riuscirà Elly Schlein a trovare la quadra tra Matteo Renzi e Giuseppe Conte, tra Carlo Calenda e il duo Fratoianni-Bonelli?

Schlein è nata politicamente come movimentista e quindi con i movimentisti dovrebbe saper trattare. È lei che ha coniato l’espressione campo largo e lo sta perseguendo con determinazione, anche se non tutti sono convinti di entrare o che quella sia la soluzione definitiva, se mai ce ne sia una. In questi mesi ha avuto qualche successo e davanti a sé ha tre elezioni regionali importanti in aree in cui il campo largo ha buone possibilità di vincere. In più non ci sono alternative, dunque sta cercando di fare il massimo per raggiungere l’obiettivo.

Che è la vittoria in Umbria ed Emilia-Romagna, dove l’accordo c’è già, e in Liguria, dove il via libera da parte di tutte le componenti non c’è ancora: come finirà?

In Umbria c’è la possibilità di un recupero: la giunta di centrodestra non è stata particolarmente efficace e il centrosinistra aveva perso cinque anni fa anche a causa di certi personalismi. In Liguria la situazione è che Renzi con il suo personale egoismo aveva trovato una collocazione per i suoi anche nella giunta di Genova e questo ora è un ostacolo. Dopodiché Toti ha creato un casino tale da aprire una prateria per il centrosinistra e Orlando è un buon candidato con una solida storia politica alle spalle. Nella mia Emilia-Romagna pesa il fatto che il governo sta trattenendo i fondi per l’alluvione e non ha mai fatto quel che deve. Può darsi quindi che riesca a influenzare qualcuno con la promessa di sbloccare i fondi, ma la Regione mi sembra scarsamente contendibile dalla destra.

Pensa che in Liguria sia andato in scena, come ha accusato Toti, un altro atto della guerra tra politica e magistratura?

Quello che mi ha colpito è che Toti ha rivendicato che quello era il suo modo di fare politica. Non so se questo sia un reato ma comunque non sono d’accordo. Bisogna fare politica riuscendo ad attrarre gruppi e associazioni su decisioni che guardano avanti, non si possono concordare quelle decisioni in cambio di qualcosa, sia che siano voti o soldi. E quindi penso che Toti abbia sbagliato strada e anche difesa. La “guerra”, spesso, è tra alcuni politici, che a volte commettono reati, e magistrati che magari sono un po’ più “cattivi” o semplicemente più attenti di altri.

Tornando alle Regionali, il M5S è restìo ad accettare Renzi in coalizione: è necessaria la sua presenza?

Renzi rimane comunque inaffidabile, sia quando si riavvicina al centrosinistra che quando si allontana. Bisogna cercare di metterlo davanti a delle decisioni chiare, dicendogli che deve accettarle e attuarle. Credo che su questo punto lui sia disponibile perché ha bisogno di qualche successo almeno in una prima fase, poi magari riprenderà il suo ego. Ma deve dimostrare di essere rilevante, influente e decisivo.

Alla festa dell’Unità di Pesaro è stato accolto da applausi, altrove c’è stato qualche fischio: come la prenderanno gli elettori dem e M5S?

Gli elettori del Pd non hanno alcun altro partito nel quale andare, perché non è che i rapporti con Calenda siano migliori di quelli con Renzi. Quindi magari potrebbero protestare ma poi voteranno comunque Pd. Più difficile la situazione del M5S. Da una parte ci sono iscritti e militanti i quali sono contrari a Renzi e li capisco, visto che è la causa della caduta del governo Conte. Tuttavia gli elettori contiani sanno che bisogna comportarsi in maniera saggia e quindi che solo il campo largo offre un’alternativa alla destra e a Meloni.

Insomma, Renzi sì o Renzi no nel campo largo?

Le diversità di vedute ci sono e sono destinate a rimanere. Ma basta non accentuarle e metterle da parte. Ci sono opportunità da sfruttare ed esagerare con le prese di distanza porta alla sconfitta, come il centrosinistra dovrebbe aver imparato. La questione è in fieri e ce la porteremo avanti ancora per un po’. Ma attribuire tutta questa importanza a Renzi è esagerato, significa dargli un peso che non ha. Renzi è solo una componente e non tutti i suoi elettori andranno dove va lui.

Tra i temi che uniscono i partiti del campo largo si parla di sanità e Ius scholae, ma ci sono anche molte differenze: come possono pensare a un programma di governo partiti così diversi tra loro?

Qualsiasi discorso sul programma di governo mi pare prematuro. Questo esecutivo andrò avanti fino al 2027 tranne drammatiche diversità di vedute, come sullo Ius scholae, che Tajani sottolinea per questioni elettorali ma consapevole che non andrà da nessuna parte. La differenza vera è tra l’antieuropeista Salvini e l’europeista Tajani. In mezzo c’è Meloni che non solo sa che in Europa ci deve stare ma che deve anche assumere certe posizioni per contare qualcosa. Dopodiché al governo si arriva passando per alcune vittorie nelle elezioni locali e se il campo largo dimostra che si possono fare accordi a livello locale poi quegli accordi possono essere riproposti anche a livello nazionale.

Sulla politica estera anche nel Pd ci sono contrasti, basti pensare all’utilizzo delle armi in dote all’Ucraina: non è questo un punto dirimente sul quale basare l’alleanza?

Sul tema vedo delle tensioni e dei conflitti ma non è li che si farà l’alleanza. Ci sono due elementi del quale tenere conto: primo è che questi politici rappresentano una Repubblica nella quale ci sono visioni diverse sulle armi a Kiev. Paradossalmente questa classe politica rappresenta l’opinione pubblica, anche se non è in grado di educarla. In secondo luogo tutto sommato l’Italia è irrilevante. In politica estera contano Francia, Germania e ultimamente Svezia e Finlandia dopo l’entrata nella Nato.

Pubblicato il 4 settembre 2024 su Il Dubbio

Il campo larghissimo? Schlein prenda quel che passa il convento #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti

Pubblicato il 26 luglio 2024 su Il Dubbio

Il modello laburista condivisibile ma difficile da esportare in Italia #intervista @ildubbionews del 6 luglio 2024

Secondo il professore emerito di Scienza Politica a Bologna nel nostro Paese «possiamo guardare alla Francia» mentre il Regno Unito è lontano

Intervista raccolta da Giacomo Puletti

Secondo Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica a Bologna, la vittoria di Starmer dimostra che «per vincere bisogna riuscire a rappresentare o ad attrarre almeno una parte del centro» anche se «quello di Starmer, comunque lo si guardi, è qualcosa che non può essere riprodotto in Italia» dove invece «possiamo guardare alla Francia».

Professor Pasquino, il voto britannico ha certificato il ritorno dei laburisti al governo, con la svolta al centro impressa da Starmer: che ne pensa?

La Gran Bretagna offre sempre lezioni di democrazia. In questo caso ne ha offerte tre: la prima è che chi ha il potere si logora. Quattordici anni di governo sono lunghi, i conservatori hanno fatto qualche errore anche nella scelte delle loro leadership e alla fine hanno dovuto cedere il potere. La seconda è che il sistema elettorale incentiva i cambiamenti di opinione, amplificandoli. La terza, molto rilevante, è che per vincere bisogna riuscire a rappresentare o ad attrarre almeno una parte del centro. Che non significa, ovviamente, abbandonare destra e sinistra.

Quel centro che invece in Francia è in grande difficoltà, con Macron stretto tra destra e sinistra. È giusto fare alleanze solo “contro” qualcuno, come è il Fronte popolare?

Il centro di Macron ha perso dei pezzi negli ultimi anni ma in parte li ha anche recuperati. E io penso sia giusto creare alleanze contro qualcosa. In Francia la situazione è molto più polarizzata che in Gran Bretagna. Il Le Pen inglese sarebbe Farage, che però ha già vinto con la Brexit. Le Pen deve invece ancora dimostrare di aver tagliato i ponti con quella destra dalla quale provengono lei, suo padre e gran parte degli elettori. Inevitabilmente il Fronte popolare è un’alleanza contro, ed è normale che sia così. Poi possiamo riflettere sulle contraddizioni ma è logico che sia orientato contro l’estrema destra. E non è in nessun modo anti democratico.

In Italia tendiamo sempre a voler riprodurre le mode che vengono dall’estero, e infatti in molti già parlano di seguire l’esempio di Starmer: è replicabile?

Quello di Starmer, comunque lo si guardi, è qualcosa che non può essere riprodotto in Italia. Perché è capo di un grande partito, ma non di una colazione. Noi un partito grande lo abbiamo avuto con la Democrazia Cristina, alla quale dobbiamo ancora essere in buona misura grati, ma sarebbe un errore guardare alla Gran Bretagna. Possiamo guardare alla Francia, ma lì c’è il doppio turno che è un grande dispensatore di opportunità politica a chi sa coglierle. E sembra che la sinistra le abbia colte attraverso le d’esistenza. Che però sono possibili e anzi rese imperative dal sistema elettorale.

E dunque cosa dovrebbe fare il centrosinistra italiano per tornare vincente?

Il centrosinistra italiano deve pensare in maniera generosa. La France Insoumise di Melenchon ha rinunciato a una parte considerevole di loro candidati perché era l’unico modo per creare un campo alternativo a Le Pen. Quanti in Italia tra Conte, Renzi, Schlein e gli altri sarebbero disposti a fare queste rinunce purché vinca un candidato comune? È un discorso proponibile ma difficile, e questo è il vero scoglio da superare.

È difficile desistere se le posizioni nella coalizione sono opposte…

Bisogna avere una base valoriale comune che deve essere ovviamente la Costituzione. Dopodiché si possono accettare le diversità su alcune politiche ma bisogna sapere definire e negoziare. È un’operazione complessa e che richiede enorme pazienza, intelligenza e che di certo un doppio turno come quello francese faciliterebbe.

Chi ha provato, con successi alterni, a riproporre la terza via in Italia è stato Matteo Renzi, ormai dieci anni fa: cosa è cambiato da allora?

Prenda due fotografie: una di Renzi mentre parla in pubblico o in Senato e una di Starmer mentre fa campagna elettorale. La personalità di Renzi era travolgente. Era ego all’ennesima potenza. La figura di Starmer è quella di mi coordinatore di un’attività politica rilevante, di un selezionatore dei parlamentari. E che offre agli elettori l’immagine di un leader rassicurante. Tutto quello che faceva Renzi serviva solo alla sua grandeur e questo è stato l’errore drammatico. La sua personalità ha sfasciato un’operazione che poteva essere vincente se fosse stata condotta con meno personalismo e maggiore generosità.

Schlein ha aperto al centro negli ultimi giorni: può essere lei la figura in grado di compiere questo passo?

Se la domanda è “può essere” la risposta è affermativa, se la domanda è “sta tentando di farlo” la risposta è probabilmente sì, se la domanda è “ci sta riuscendo” la risposta è probabilmente ancora no. Perché Schlein viene da un passato movimentista piuttosto acceso e quindi ci sono dei “sospetti” nei suoi confronti. Serve che faccia qualcosa di più ma non posso essere io a dirle cosa fare. Ma certamente deve capire quali sono i punti di resistenza alla sua leadership, che ci sono. E cercare di capire come superarli.

Come può inserirsi in questo contesto il Movimento 5 Stelle di Conte?

Conte è in una tenaglia. Deve in qualche modo entrare in quel campo se vuole vincere ancora. Riuscendo a smussare alcune delle sue punte. Dall’altro lato deve mantenere alcuni aspetti di sua visibilità utili a tenere un certo elettorato in quel campo. Forse Conte l’ha capito ma non so se sarà in grado di fare un’operazione del genere. La vittoria lo vedrebbe premiato in uno schieramento nel quale non potrà mai essere primo. La sconfitta avrebbe ripercussioni sul Movimento e sullo stesso Conte.

Pubblicato il 6 luglio 2024 su Il Dubbio