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Schlein riformi il Pd, poi penserà alle alleanze. Bene il sostegno a Kiev #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica a Bologna, spiega che «il compito di Schlein è di far entrare o rientrare un certo numero di iscritti che abbiano voglia di lavorare sul territorio» e che «se la segretaria abbandonerà la linea finora seguita dal Pd di sostegno all’Ucraina senza se e senza ma si caccerebbe nei guai».
Professor Pasquino, si aspettava la vittoria di Schlein?
Aspettarmelo non me lo aspettavo, ma pensavo che fosse possibile perché conosco un po’ di politica e so che gli elettori potenziali e attuali e i simpatizzanti del Pd volevano qualcosa di diverso rispetto alla continuità nel partito che sarebbe stata espressa da Bonaccini. Inoltre penso che la Schlein sia l’unica in questa fase che può dare una scossa al partito e immagino che circa 600mila del milione di elettori lo abbiano pensato.
Pensa che ora dovrà trovare accordi con le altre opposizioni?
Un accordo ora non è necessario quasi su nulla. Certo se in Parlamento si presentano mozioni comuni è utile per fare una buona opposizione di cui c’è bisogno. Ma il compito di Schlein è di far entrare o rientrare un certo numero di iscritti che abbiano voglia di lavorare sul territorio e che presentino il partito a quegli elettori disaffezionati e che debbono tornare a votare. L’obiettivo è il 2024 ma la segretaria è stata eletta per riformare il partito, non per fare il capo del governo.
Eppure con i Cinque Stelle prima o poi dovrà parlare, no?
L’alleanza con i Cinque Stelle è assolutamente essenziale, lo dicono i numeri. Sappiamo che una parte dell’elettorato del Pd è franata sul M5S nel 2018 e viceversa nel 2022. Ma andare insieme è l’unico modo per vincere. Lasciamo perdere la Lombardia, dove ha contribuito alla vittoria della destra l’operato spregiudicato e sbagliato di Renzi, Calenda e Moratti.
Schlein ha detto di voler parlare anche a un’ipotetica gamba centrista del centrosinistra. Troveranno un accordo?
Per il momento è una gambetta, non una gamba, e anche se si mettono insieme per fare un partito unico non riusciranno a produrre tanto più di quell’8 per cento che hanno ora. Se si presentano come alternativi all’alleanza con i Cinque Stelle, poi, è inutile stare a discutere. Ma è prematuro parlare di alleanze, prima vengono i temi, nel frattempo alle elezioni europee si va separati e quindi c’è la grande opportunità di contarsi. Questo sarà molto importante per la Schlein, che è stata anche parlamentare europea e quindi si gioca la sua credibilità.
Al momento però il terzo polo vale quanto Lega e Forza Italia, che per il governo Meloni sono fondamentali: pensa che il centrosinistra riuscirebbe a vincere senza Renzi e Calenda?
Le dico soltanto che la prima cosa da fare è cambiare la legge elettorale, che è pessima e lo sanno tutti. Dopodiché le energie si giocano in campagna elettorale. Se Renzi e Calenda pensano di egemonizzare il Pd prima e poi fare un’alleanza con i Cinque Stelle, sono fuori strada. Al momento vogliono far perdere la sinistra e questo non mi sorprende ma mi irrita.
Schlein ha detto che sarà un problema per Meloni: lo pensa anche lei?
Non si tratta di creare problemi al governo, che ne ha tantissimi di suo e che comunque dovrà affrontarne perché di tanto in tanto alcuni ministri gliene creano, da Piantedosi a Valditara. Il Pd deve creare alternative alle politiche che il governo vuole fare, possibilmente su temi di convergenza sia con i Cinque Stelle che con Renzi e Calenda. Ma non c’è nessuna fretta, il prossimo appuntamento è a maggio 2024, non i tratta di fare il colpo a effetto ma di preparare un programma che nel corso del tempo si affini e costruisca un’alternativa al governo di destra.
Sull’Ucraina Schlein ha corretto un po’ il tiro: pensa che continuerà sulla linea Letta di sostegno a Kiev?
Credo che se abbandonerà la linea finora seguita dal Pd di sostegno all’Ucraina senza se e senza ma si caccerebbe nei guai. Tanto per cominciare perde il voto di Pasquino, in secondo luogo indebolisce il Pd sulla scena internazionale. Si può perseguire un’azione diplomatica ma continuando a sostenere che l’invio di armi a Kiev deve essere mantenuto. E sapendo che dal punto di vista diplomatico certamente non saremo noi i mediatori.
Sull’immigrazione crede che il Pd possa farsi valere rispetto ai Cinque Stelle, visto il passato del Conte I o il governo si difenderà senza problemi?
Il governo si difenderà ma sapendo che Piantedosi è diventato praticamente impresentabile. Non solo per le politiche che fa ma per le parole che usa. Sta diventando imbarazzante, sarebbe il caso che ammettesse gli errori e si dimettesse per non mettere in difficoltà Meloni. L’immigrazione in diverse aree è un tema elettorale ed è giusto che Schlein metta in imbarazzo Conte per quello che ha fatto e non ha fatto. Facendogli capire che lei se vuole su questo punto può metterlo in difficoltà.
Dunque l’opposizione non marcerà compatta su questo tema?
L’opposizione deve dire cosa vuole fare e l’unica risposta è essere ancora più incisivi con l’Ue. La risposta italiana è l’accoglienza, salvarli nel momento in cui vengono buttati a mare dagli scafisti, dopodiché dall’Ue vogliamo che ci siano le risorse per dare a costoro un minimo di accoglienza decente e che non ci sia un’immigrazione di massa priva di controllo e decenza.
Pensa che la vittoria di Schlein rientri in una nuova ondata di centrosinistra che si è affermata già in Spagna e Germania e che probabilmente presto si affermerà anche nel Regno Unito?
Ai casi che lei ha citato aggiungerei il Portogallo, dove c’è un buon governo di sinistra che dura da molto. Ma credo poco a un’ondata socialdemocratica. La vittoria di Schlein riguarda un partito. Per parlare di ondata aspetterei un’eventuale vittoria socialdemocratica nei paesi scandinavi e soprattutto in Ungheria e Polonia, che presto andrà al voto.
Pubblicato il 8 marzo 2023 su Il Dubbio
Pasquino: «Al Partito democratico servono idee, non nomi» #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti
“Sto con Letta. Ha fatto bene a presidiare la piazza di Roma”

Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica a Bologna spiega che «il governo va contrastato con le idee, non con il cambio di segretario» e che quindi il problema del Partito democratico «non è accelerare i tempi del Congresso ma produrre delle idee». Secondo Pasquino «finora il dibattito è stato deludente» perché «i candidati parlano di politiche ma si tratta di ricostruire il partito dalle fondamenta» .
Professor Pasquino, Letta ieri ha scritto che l’opposizione sta contrastando le politiche del governo sull’immigrazione, ma a Catania c’è Aboubakar Soumahoro e non qualche dirigente del Pd. Trova che i dem stiano sbagliando strategia?
Il problema dell’immigrazione non riguarda i partiti o i dirigenti ma l’intero paese, e quindi chiunque sia al governo dovrebbe riuscire a coinvolgere l’opposizione. Il problema è che non abbiamo la soluzione in casa e che è un problema europeo. È l’unico caso in cui mi sento di dire che l’Ue porta una responsabilità pesante. Non riesco a immaginarmi un segretario di partito, peraltro dimissionario, che va li per risolvere la situazione. Anzi, farebbe solo peggio.
Dunque i politici che sono lì in questo momento sbagliano?
Sbagliano e penso che lo facciano solo per un po’ di popolarità e visibilità. Che Sinistra italiana abbia una posizione diversa dal Pd lo sappiamo, ma “accogliere tutti” non è la soluzione. Apprezzo la bontà di Soumahoro, ma la sua non è una soluzione politica.
Torniamo a Letta, che domenica è stato contestato alla manifestazione di Roma. Pensa abbia sbagliato ad andare?
Letta ha fatto benissimo ad andare per portare a quella manifestazione la posizione del Pd, che io condivido totalmente e che peraltro non tutti nel Pd condividono. Si è preso una responsabilità importante perché ci crede. Quella non è solo la sua posizione personale ma spero della maggioranza del partito. Non doveva lasciare la piazza agli equidistanti, che non fanno parte del Pd.
Eppure nelle stesse ore a Milano c’era un’altra manifestazione molto più vicina alle posizioni di Letta, non poteva andare lì come hanno fatto altri esponenti dem?
Bisogna andare dove c’è una posizione opposta o comunque diversa dalla tua, per testimoniarne l’esistenza. A Milano Calenda e Renzi avrebbero comunque controllato la manifestazione e messo Letta in una posizione difficile. Quella era una manifestazione molto vicina alla linea del Pd, è vero, ma proprio per questo Letta non avrebbe portato nulla di utile.
Il segretario dem ha auspicato ieri un’accelerazione sui tempi del Congresso, condivisa da Bonaccini. Crede che anche da questo passi un’opposizione più dura al governo Meloni?
Non penso, perché il governo va contrastato con le idee, non con il cambio di segretario. Il problema non è accelerare ma produrre delle idee. Finora il dibattito è stato deludente. I candidati parlano di politiche ma si tratta di ricostruire il partito dalle fondamenta. E bisogna sapere che tipo di partito si vuole costruire. Si vuole o no un partito socialdemocratico che riscopra il rapporto con i sindacati così da riportare indietro milioni di voti? In queste settimane non ho visto idee, solo persone che si candidano. L’unica che ha proposto qualcosa è Paola de Micheli, ma in generale il dibattito è cominciato male e non finirà bene.
La ricostruzione passa anche dal voto in Lazio e Lombardia: quale futuro vede per il Pd dopo il “caso Moratti”?
Non sono un astrologo ma è chiaro che in Lombardia la mossa di Renzi e Calenda fa perdere il Pd. Se il Pd aveva una minima possibilità di vincere, con Moratti che portava via voti al centrodestra, questa mossa invece lo farà perdere. Nel Lazio bisogna che Pd e M5S giungano a un accordo. Se Calenda e Renzi vanno su Alessio D’Amato, indeboliscono l’eventuale alleanza tra dem e grillini ma al tempo stesso la facilitano perché chiariscono le idee agli elettori. Ma Pd e M5S o si mettono insieme o rinunciano a vincere le regionali.

Il reintegro dei medici no vax è uno scandalo. Pd e M5S dialoghino #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti
«Le fibrillazioni, che sono differenze di opinioni qualche volta vere e qualche volta costruite ad arte, continueranno inevitabilmente, ma mi pare che meloni sia in grado di metterle sotto controllo»

Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica a Bologna, spiega che «nel governo ci saranno fibrillazioni» ma «l’unica fibrillazione della quale secondo me Meloni non vuole sentire mai più è quella legata all’amicizia tra Berlusconi e Putin». Sui primi provvedimenti del governo è netto: «il reintegro dei medici no vax è un segnale sbagliato e bruttissimo, è abbastanza scandaloso».
Professor Pasquino, il Consiglio dei ministri ha preso i primi provvedimenti su covid, giustizia e ordine pubblico. Pensa che siano misure necessarie e urgenti o il governo avrebbe dovuto occuparsi d’altro?
Credo che ci fossero certamente questioni più urgenti da affrontare, a partire dalle bollette dal tentativo di rimettere sotto controllo l’inflazione, che è assolutamente necessario. Ma tra le varie misure mi vorrei concentrare su un punto: il reintegro dei medici no vax è un segnale sbagliato e bruttissimo. Dirò di più. È abbastanza scandaloso. Questo provvedimento non andava preso.
Eppure il ministro della Salute, Orazio Schillaci, era a favore del green pass e di certo non è no vax. Non crede che queste misure siano state prese tenendo conto dei dati sul coronavirus?
I dati dicono che il covid non è passato, continua a trasformarsi e ad avere tutta una serie di mutazioni e quindi dare quel tipo di segnale è sbagliato. Credo che da un lato Meloni voglia accarezzare una parte di elettorato che ha votato FdI; dall’altro vuole evitare che della tematica si appropri Matteo Salvini, che è un pirata. In terzo luogo c’è un altro elemento cruciale da tenere in considerazione, e cioè che evidentemente queste misure rispecchiano il pensiero di Meloni.
Crede che questo sarà un governo “law and order”?
Ci si può proporre di essere severi ma bisogna poi essere efficiente e giusti. Direi giustamente efficienti. Non so se siamo preparati a questo ma certo il rave party di Modena bisognava prenderlo, controllarlo e regolamentarlo. Quando si arriva alla repressione violenta tutti in qualche modo sbagliano e sono contento che questo non sia accaduto. Ma tutti sanno che un governo di destra deve essere autorevole e qualche volta anche autoritario. Speriamo tuttavia che non ci siano eccessi.
Ha citato Salvini: pensa che questo governo soffrirà delle fibrillazioni tipiche di una maggioranza di coalizione o Meloni riuscirà a tenere la barra dritta?
Le fibrillazioni, che sono differenze di opinioni qualche volta vere e qualche volta costruite ad arte, continueranno inevitabilmente, ma mi pare che Meloni sia in grado di metterle sotto controllo. L’unica fibrillazione della quale secondo me Meloni non vuole sentire mai più è quella legata all’amicizia tra Berlusconi e Putin. In un governo di coalizione le fibrillazioni sono fisiologiche ma lei ricomporrà i dissensi, anche se chiaramente ne sarà innervosita. Di certo non accuso il destra centro di essere più fibrillante di altri governi. Il vantaggio è che Meloni è paziente e in saldo controllo dell’esecutivo. Per capirci, dopo questo governo non c’è un governo Berlusconi o un governo Salvini.
Dopo la carica della polizia alla Sapienza abbiamo assistito al raduno di Predappio e al rave di Modena, risolto pacificamente. Pensa che ci sia il rischio di un autunno caldo dal uno di vista sociale nel paese?
Diciamo che questo dipende dalle proteste che la sinistra non riesce a incanalare. La destra non avrebbe alcun vantaggio da un ipotetico surriscaldamento del clima. Ma attenzione, Meloni ha detto cose sbagliate sui giovani di destra, perché negli anni di piombo diversi giovani di destra furono picchiatori. Insomma , è meglio che non ricostruisca la storia. Di certo però non è suo interesse alimentare la violenza, visto che di solito questo viene associata al fascismo o al parafascismo.
Può partire proprio dalle questioni sociali l’opposizione della sinistra, che unisca Pd, Movimento 5 Stelle e magari il terzo polo su questi temi?
La risposta è difficilissima perché dipende da chi verrà eletto segretario del Pd e da cosa deciderà di fare Giuseppe Conte. Finora ha alzato molto i toni contro il Pd, ma magari decide che ha raggranellato quello che poteva e che sia sufficiente. La strategia della sopravvivenza direbbe che Pd e M5S devono trovare un accordo ma se entrambi vogliono cercare di umiliare l’altro non si va da nessuna parte. Una parte cospicua del Pd sta cercando di umiliare il M5S, che a sua volta sta emarginando il Pd.
Dopodomani Meloni volerà a Bruxelles: come sarà il primo approccio con le istituzioni europee, da lei più volte criticate?
Meloni sa che deve dimostrare di essere relativamente moderata ma anche esigente, perché è pur sempre il capo del governo di un paese importante. Sa che deve dimostrare di non essere antieuropeista ma pronta a ridefinire le politiche europee. Sa che deve comportarsi in maniera piuttosto diplomatica ma anche gli altri devono tenere conto di non essere di fronte a un’europeista della prima ora. Dall’altra parte la accoglieranno con curiosità e sarà un incontro di ricognizione. Immagino ci sia attenzione interessata e non solo pregiudiziale.
Tra due settimane la presidente del Consiglio sarà invece in Indonesia per il vertice del G20. Come crede che si muoverà a livello internazionale, in particolare modo nei rapporti con gli Usa?
Il problema non è l’alleanza di ora con gli Stati Uniti, che lei ha ribadito dicendosi atlantista, come da solco della tradizione politica italiana. Il problema è il futuro. Deve evitare rapporti con i trumpiani, che sono una banda pericolosa. L’intervento che ha fatto alla Niaf è stato buono ma bisogna tenere in considerazione che un’associazione piuttosto di destra. Insomma deve stare attenta a non spostarsi troppo verso quella direzione.
Pubblicato il 1 novembre 2022 su Il Dubbio
La corsa di Meloni verso palazzo Chigi è legittima Ma lasci stare Orban… #intervista @ildubbionews
Intervista raccolta da Giacomo Puletti 7 settembre 2022
Il M5S resterà al governo, non ha niente di meglio Ma è come se non ci fosse #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo puletti

Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica a Bologna, spiega che «Letta ha avuto bisogno dei Cinque Stelle ma loro potrebbero anche scegliere di tornare con Salvini» ma tutto dipenderà dalla legge elettorale. «Se ci fosse una legge elettorale proporzionale ciascuno correrà da solo e le alleanze si faranno dopo», commenta. Sulla guerra è netto: «Sono contento che Papa Francesco cerchi di diventare un mediatore, ma è difficile esserlo quando dall’altra parte c’è una chiesa comandata da un chierichetto del regime».
Professor Pasquino, crede che i malumori nel Movimento 5 Stelle porteranno a una crisi di governo nelle prossime settimane?
I Cinque Stelle rimarranno al governo perché non hanno niente di meglio. Ma è come se non fossero già più al governo. Hanno dimostrato di non sapere governare e che il loro programma conteneva un sacco di contraddizioni. Conte guida queste contraddizioni e sta cercando di recuperare qualcuno che se ne è andato. Quindi deve essere un po’ più di lotta e meno di governo ma nessuno può pensare di fare una crisi in questo momento.
Queste contraddizioni potrebbero mettere a repentaglio l’alleanza con il Pd?
L’alleanza è sempre stata molto problematica. Letta ha avuto bisogno dei Cinque Stelle ma loro potrebbero anche scegliere di tornare con Salvini, che però in questo momento è in declino. Ma di tutto questo non parlerei finché non si avrà un orizzonte più chiaro sulla legge elettorale.
Pensa a un ritorno al proporzionale?
Se ci sarà una legge elettorale proporzionale ciascuno correrà da solo e le alleanze si faranno dopo. Bisogna però aspettare di vedere cosa faranno. Mi auguro si arrivi a un proporzionale senza pasticci e stupide clausolette. Poi si conteranno voti e seggi.
È proprio convinto che questa legge elettorale verrà cambiata?
Può darsi anche che non riescano a cambiarla ma qualcosa hanno già fatto. Cioè hanno trovato il modo di usare la stessa legge cambiando i collegi, visto che sono stati ridotti i parlamentari. Non so se questo basterà a incoraggiare l’alleanza tra Cinque stelle e Pd ma c’è un 30 per cento di possibilità che la legge rimanga la stessa.
Crede che dalla legge elettorale passerà anche il futuro della coalizione di centrodestra?
Solo in parte, perché quel che è certo è che c’è una frattura chiara tra Meloni, Salvini e Berlusconi. Sto parlando delle questioni europee e internazionali. Per molte ragioni, alcune buone altre meno, Berlusconi e Tajani sono costretti a essere europeisti. Per altrettante ragioni, meno buone, Salvini e Meloni sono apertamente sovranisti. Soltanto che Salvini deve barcamenarsi tra due fuochi, visto che è al governo, mentre Meloni ha mani libere. Per questo dico che potranno anche trovare un accordo ma non troveranno la compattezza che chiedono gli elettori di centrodestra.
Una delle differenze più evidenti è il dichiarato atlantismo di Meloni e Berlusconi e l’ambiguità di Salvini. Sarà questo a fare la differenza?
Certamente il filoatlantismo è uno dei punti di forza della Meloni. È riuscita a dichiararsi tale senza diventare troppo europeista e nel centrodestra questa è la posizione migliore. Perché non deve far dimenticare nessuna sua dichiarazione avventata nei confronti di Putin, come nel caso di Salvini e Berlusconi, e quindi viaggia in un binario di sufficiente coerenza. Gli altri hanno tutti qualcosa da farsi perdonare.
Anche nel centrosinistra c’è molta dialettica, con Conte che sembra voler strappare a Letta temi storicamente di sinistra, come il pacifismo. Ci riuscirà?
Vedo che nei sondaggi Letta tiene. È quello che ha la posizione più coerente. È la stessa posizione dell’Europa e quindi non ha bisogno di nessuna giustificazione. Sono gli altri che devono fare i conti con la situazione internazionale. Conte è ambiguo, così come lo è una parte della sinistra che è pacifista per ragioni sbagliate e non sa neanche declinare il pacifismo, finendo per sembrare pro Russia e pro Putin. L’unico che mantiene una posizione decente è lo stesso Letta.
A proposito di guerra, che idea si è fatto sulle continue polemiche nella comunicazione, in Italia e non solo?
Dovremmo partire da una posizione inoppugnabile. Si tratta di un’aggressione russa all’Ucraina. E il Papa non può dire che la Nato abbaiava dimenticando che Putin è un cane che morde. Se anche il cane abbaia, ci si può allontanare o comunque prendere provvedimenti, ma se morde bisogna difendersi per forza di cose. Sulla questione dei talk penso che gli ospiti abbiano spesso posizioni ideologiche e quindi non dovrebbero essere coccolati come accade quasi sempre.
Ha criticato le parole del Papa, dunque non crede che quella vaticana potrebbe essere la strada giusta per una mediazione?
Sono contento che Papa Francesco cerchi di diventare un mediatore, ma è difficile esserlo quando dall’altra parte c’è una chiesa comandata da un chierichetto del regime. Come si fa a mediare se si ha una posizione che, giustamente, critica di petto quello che la chiesa ortodossa sta facendo, che ovviamente è drammatico? Se poi riesce a mediare sono contento, se invece mi chiede se questa mediazione porterà a un risultato le rispondo che non sono convinto. Il giusto mediatore potrebbe essere l’Onu, ma Putin ha maltrattato Guterres. Poteva esserlo anche Erdogan, ma è sparito.
Il prossimo viaggio di Draghi a Washington rinsalderà l’amicizia tra Italia e Usa o pensa potrebbe creare qualche grana a Draghi, vista la presenza nel governo di Lega e M5S?
Sbagliamo a pensare che ci sia una ritrovata amicizia tra Italia e Stati Uniti. L’atlantismo è irrinunciabile per l’Italia e per l’Europa democratica. C’è una strada tracciata e di volta in volta facciamo i conti con le posizioni dei presidenti americani, ma l’amicizia è sempre rimasta solida. Draghi mi sembra abbia preso una posizione giusta sia rispetto alla guerra, utilizzando aggettivi non da lui ma che condivido, sia nei confronti degli Stati Uniti, mettendo dei paletti che credo Biden rispetterà.
Pubblicato il 7 maggio 2022 su Il Dubbio
Pasquino: “Elezioni lontane: la Lega proverà a destabilizzerà il governo” #intervista @ildubbionews


Intervista raccolta da Giacomo Puletti
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’università di Bologna, entra nel dibattito sulla nuova legge elettorale e spiega che «una buona legge elettorale è quella che dà potere agli elettori e non ai capi partito» e per questo «non ne avremo mai una buona». Sul richiamo di Mattarella alla Magistratura nel discorso di rielezione ammonisce: «Il presidente non è un arbitro ma il protagonista della vita politica» e quindi «deve usare gli strumenti della Costituzione per imporsi».
Professor Pasquino, nel dibattito post elezione presidenziale si parla molto di legge elettorale e del ritorno al proporzionale, che molti vorrebbero “puro”. Che ne pensa?
Penso che non esista il proporzionale puro. Non inventiamoci cose. Il proporzionale ha sempre elementi di disproporzionalità. La legge Rosato, ad esempio, è due terzi proporzionale e un terzo maggioritario. Non diciamo neanche che un premio di maggioranza inserto in un proporzionale lo fa diventare un maggioritario. Italicum e Porcellum erano due leggi proporzionali con premio di maggioranza.
A quale legge elettorale si dovrebbe pensare per mettere d’accordo tutti?
La migliore finora è la legge Mattarella, ma non perché chi l’ha scritta era bravissimo ma perché viene fuori da un quesito referendario approvato dall’ 85 per cento degli elettori. L’unica legge accettabile, non buona, è dunque il Mattarellum. Dopodiché a me pare che alla Camera abbiano già proceduto a ridisegnare i collegi per la legge Rosato. Quindi avremo un’altra legge brutta che consente ai dirigenti di scegliersi i propri parlamentari.
Evidentemente l’argomento la stimola… L’argomento mi indigna. Se nessuno fa una campagna per il punto più rilevante, cioè che una buona legge elettorale è quella che dà potere agli elettori e non ai capi partito, non avremo mai una buona legge elettorale. La legge Rosato non dà nessun potere agli elettori. Bisogna anche che si smetta di dire che staremmo tutti meglio se fosse stato approvato il referendum del 2016. Staremmo ancora peggio.
A prescindere dalla legge elettorale, pensa che la Lega finirà per far cadere il governo Draghi?
La Lega ha un problema, e cioè che il suo leader è quello che ha perso di più nella corsa al Colle. Ha osato molto ma ha sbagliato diverse mosse cercando di fare il king maker. Ha perso consensi rispetto a Giorgia Meloni e per questo la Lega cercherà di destabilizzare il governo ma non fino a farlo cadere. Sarebbe rischiosissimo. Non è detto che far cadere il governo porterebbe a elezioni anticipate, ma se così fosse si aprirebbe un’autostrada per Meloni.
In ogni caso crede che la rielezione di Mattarella porterà a fibrillazioni nella maggioranza?
La rielezione di Mattarella non è portatrice di instabilità, ma è una spinta verso la stabilità. Anche perché Draghi, a chi cercherà di destabilizzarlo, dirà che hanno rieletto Mattarella proprio per consentire la prosecuzione dell’attività di governo. Se hanno deciso di rieleggere Mattarella è perché non volevano che le carte cambiassero.
Si aspettava nel discorso del presidente della Repubblica il richiamo al governo affinché sia concesso il giusto tempo al Parlamento per analizzare le leggi?
Non me l’aspettavo. È un richiamo molto importante perché Mattarella ha parlato a Draghi in pubblico. Tuttavia per quanto riguarda i decreti legge dovrebbe parlare anche a se stesso, perché lui può sia scoraggiare il governo nel ricorrere a questi provvedimenti ma può anche respingerli dicendo che non c’è necessità e urgenza. Poi c’è stato anche il richiamo al Parlamento nella eccessiva dilatazione dei tempi della discussione in Aula. Le Camere devono darsi dei tempi decenti e devono saperli rispettare, altrimenti si creano le condizioni perché il governo proceda per decreto.
Come giudica il passaggio sulla Magistratura?
È stato molto giusto. C’è stato un richiamo durissimo sulla politicizzazione della Magistratura e sulle correnti. Anche qui è da sottolineare che va bene che il presidente lo dica al Parlamento ma parla anche a se stesso in quanto presidente del Csm. Non basta che inauguri e parli, deve imporre qualcosa e farsi valere. Il presidente non è un arbitro ma il protagonista della vita politica. Deve usare gli strumenti della Costituzione per imporsi.
Pensa che Mattarella userà i prossimi sette anni per intervenire?
Nel caso del Csm, in questi sette anni il presidente non è nemmeno stato un arbitro. Non ha fischiato nemmeno un fallo. Quindi la dicitura dell’arbitro è proprio sbagliata. Forse non sarà eletto nel 2029 ( sorride…) ma servirà una persona come lui. Ritengo però che non sia stata una buona idea la rielezione. Anche perché lui ha accettato sì controvoglia, ma doveva spiegare qualcosa di più sul punto.
Perché non è d’accordo con l’idea della rielezione?
Credo che lo spirito dell’articolo 88 sul semestre bianco e in generale sulla Presidenza sia della non rielezione. Non è vero che quello che non è vietato è consentito. Non è così. Ci sono cose appositamente non vietate che però non sono necessariamente consentite. Capisco lo stato d’emergenza ma credo che si dovesse trovare un’altra soluzione.
Pubblicato il 6 febbraio 2022 su Il Dubbio
Pd e 5S facciano fronte comune sul Colle e tirino fuori dei nomi credibili #intervista @ildubbionews #Elezione #Quirinale


Intervista raccolta da Giacomo Puletti
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’Alma Mater di Bologna, è scettico sulla strategia di Pd e M5S per il Colle, dice che «non stanno facendo fronte comune» e che in caso di elezione di Draghi al Colle «se vogliamo avere continuità deve esserci un capo del governo che vada avanti con la stessa maggioranza di oggi».
Professor Pasquino, Pd e M5S bisticciano tra di loro in attesa di un nome per il Colle proposto dal centrodestra. Riuscirà il centrosinistra a trovare un’alternativa valida da sottoporre ai grandi elettori?
Non so se ci riusciranno, ma è sicuro che dovranno fare una riunione non soltanto Letta e Conte, ma Letta, Conte, Di Maio, Patuanelli, Orlando, Guerini e Franceschini. Cioè le varie anime di Pd e M5S. Serve un accordo su una rosa di tre o quattro nomi, per trovare poi uno su quale possono convergere anche altri partiti. L’iniziativa non spetta per forza a Salvini o Berlusconi, ma a chi è in grado di prendersela. Letta e Conte stanno sbagliando alla grande.
Crede che Di Maio stia giocando una partita tutta sua sul Colle per cercare di riprendere la guida del Movimento?
Questa domanda riguarda l’andamento del Movimento 5 Stelle, non tanto il voto per il Colle. Vengono attribuite a Di Maio delle strane mire. Ha fatto una carriera ministeriale straordinaria e quindi credo sia soddisfatto di quello che c’è. Credo voglia un po’ di unità nel Movimento e quindi non penso che ambisca a mettere i bastoni tra le ruote a Conte. Peraltro c’è anche Fico che sta avendo una sua visibilità e vorrà dire la sua.
In ogni caso la strategia attendista di dem e grillini sta portando i suoi frutti, visto l’ormai probabile passo indietro del Cavaliere.
Berlusconi non tramonta perché Letta ha detto che non è votabile, ma perché ci sono dubbi nello stesso centrodestra e perché i suoi telefonisti non riescono a convincere quelli a cui telefonano. I giallorossi non stanno facendo fronte comune, il che era eticamente doveroso. L’iniziativa è tirare fuori dei nomi, non dire “no” e giocare di rimessa e in difesa. Per quanto prestigiosissimo, il nome giusto non può essere Liliana Segre, sarebbe bello votarla in massa come segno di stima ma è chiaro che non si può andare avanti su di lei. Non è questo il modo in cui, essendo i due partiti più grandi, si entra in Parlamento per scegliere il presidente della Repubblica.
Quali nome potrebbero entrare nella rosa di Pd e M5S?
Non sono dell’idea che si devono trovare dei nomi che possono unire. Sono stufo dell’aggettivo “divisivo”, è stupido usarlo perché chiunque fa politica deve essere divisivo, altrimenti non è un buon politico. Aldo Moro ad esempio era divisivo, forse è proprio per questo che abbiamo deciso di non salvargli la vita, ma di certo sarebbe stato un ottimo capo dello Stato. Non possiamo credere che Rosy Bindi o Giuliano Amato o Pierferdinando Casini non possano fare il presidente della Repubblica. Stessa cosa per Draghi e Franceschini, l’importante è decidere un nome e giustificarlo.
Nell’altro campo l’operazione scoiattolo per portare Berlusconi al Colle sembra al capolinea. Se l’aspettava?
Berlusconi ci credeva veramente. Non combatte mai battaglie per la sua bandiera, che ha già issato molto in alto. Piaccia o non piaccia è già nella storia del paese e questa doveva essere la sua ultima battaglia. Non è un decoubertiniano. Dopodiché la battaglia si è fatta ardua e delicata perché gli mancano i numeri. Certamente fossi un parlamentare non potrei mai votare un condannato per frode fiscale.
Crede dunque che il centrodestra unito convergerà ora su un altro nome?
Potrebbe ora aprirsi un’altra partita e se Fratelli d’Italia, come dice Lollobrigida, ha dei nomi, è bene che li tiri fuori. Bisogna dire quali carte si hanno in mano. Letizia Moratti è sicuramente presidenziabile, anche se si può discutere del suo conflitto di interessi. Fossi Salvini giocherei anche su Giorgetti, che ha più di 50 anni, piace in Europa e potrebbe essere il nome giusto.
Non è che alla fine la spunta Draghi?
Certamente, e a quel punto Salvini potrebbe piazzare il colpo grosso: Giorgetti a palazzo Chigi. Draghi ha il profilo giusto, ha dimostrato di aver imparato delle cose in politica, è abbastanza equilibrato e il resto lo faranno i suoi collaboratori.
Come dicevamo, a quel punto si aprirebbe la crisi di governo. A quei scenari andremmo incontro?
Se vogliamo avere continuità deve esserci un capo del governo che vada avanti con la stessa maggioranza e qui ci sono due inconvenienti: non vorrei che eleggendo Draghi Forza Italia si tiri fuori dalla maggioranza, ipotesi avventata che spero sia rimessa nel cassetto dai ministri azzurri; in secondo luogo potrebbe diventare presidente del Consiglio qualcuno di centrodestra. In questo caso Salvini deve avere la forza di dire che il prossimo presidente del Consiglio sarà proposto dai segretari dei partiti che fanno parte della coalizione di maggioranza, non imposto da Draghi, che andrebbe su Franco. Insomma potrebbe aprirsi un braccio di ferro tra Draghi e i partiti difficile da gestire.
Con Draghi al Colle il prossimo inquilino di palazzo Chigi dovrà comunque venire dall’attuale governo, ad esempio Cartabia, per garantire continuità politica?
So che dovrebbe essere un o una parlamentare, ad esempio Franceschini, ma non per forza un uomo o una donna dell’attuale governo. Dobbiamo prendere atto che non si può sempre chiamare un tecnico da fuori. Serve un parlamentare che conosce i colleghi e abbia esperienza politica pregressa. Cartabia, che non conosco, mi dicono sia molto, forse troppo, vicina a Comunione e Liberazione. I mesi passati a fare la ministra della Giustizia non garantiscono che sarebbe anche una buona presidente del Consiglio.
Pubblicato il 19 gennaio 2022 su IL DUBBIO
Gli apllausi non faranno cambiare idea a Mattarella sul no a un mandato bis #intervista @ildubbionews


Intervista raccolta da Giacomo Puletti
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’università di Bologna, spiega che gli applausi della Scala a Mattarella non gli faranno cambiare idea, perché «non vuole che si ripeta ciò che è accaduto con Napolitano» e mette in guardia dalle elezioni anticipate in caso di elezione di Draghi al Colle, perché «agli occhi della Commissione europea l’Italia ha bisogno di stabilità».
Professor Pasquino, il leghista Fontana dice che nelle strategie per il Colle il Carroccio guarderà in primis a Renzi. È sorpreso?
Assolutamente no. Fontana ha fatto un’analisi adeguata dei movimenti di Renzi, il quale tuttavia è assolutamente inaffidabile ed essere sicuri che mantenga quel che dice nella trattativa è tutta un’altra storia. Renzi è vicinissimo a Berlusconi, sono al governo insieme ed entrambi sostengono di essere stati loro ad aver voluto Draghi, quindi la vicinanza Lega- Italia viva non sarà un problema per il centrodestra.
Potrebbe esserlo per Giorgia Meloni, che già da ora dice che dopo l’elezione del presidente della Repubblica si deve andare al voto.
Non so cosa farà Meloni dopo l’elezione del presidente, dipende da che tipo di governo verrà fatto nel caso in cui venga eletto Draghi. Ma Meloni deve sfruttare il suo ruolo in una coalizione di centrodestra e quindi l’unica cosa da fare è aspettare le elezioni politiche.
A proposito di elezioni, come giudica la vicenda Letta- Conte- Calenda sul collegio di Roma I?
È stata una vicenda molto mal gestita. Letta non doveva offrire niente a nessuno. Doveva essere Conte semmai a offrire la sua candidatura e in quel caso Letta doveva dare il suo avallo. Che sia stato un errore di Letta o uno di Conte la storia è comunque bruttina. Calenda si candida a tutto, lo trovo sconveniente. È un parlamentare europeo eletto nella circoscrizione del Nord Est con i voti del Pd e quello deve fare, non altre cose assolutamente riprovevoli, come cercare di dimostrare che sia lui a dominare la scena romana. Non è questo il modo di fare politica che preferisco.
Coraggio Italia e Italia viva si stanno muovendo assieme per formare una pattuglia consistente nella corsa al Colle. Crede che lo schema sarà riproposto anche alle Politiche del 2023?
Per le Politiche del 2023 bisogna aspettare di vedere che legge elettorale verrà fatta. Potrebbe arrivarne una che garantisca il centro, ma se dovessi farla io la farei in maniera che il centro non conti, a prescindere dai nomi, perché serve una competizione bipolare, non una che dà potere di ricatto ai partitini. Per quanto riguarda la corsa al Colle possono fare tutte le prove tecniche che vogliono, ma bisogna capire quale sia il loro candidato. I nomi girano a dismisura e se ne hanno uno dovrebbero dirlo adesso, per poi andare a parlare con il centrodestra e con il centrosinistra. Ci sono 234 miliardi da spendere e devono essere gestiti dal Colle più alto di Roma.
Crede che i cinque minuti di applausi con tanto di cori “bis” a Mattarella potrebbero fargli cambiare idea?
Mattarella non vacilla per applausi o critiche. È un uomo che ha una certa concezione della politica e parla solo dopo aver riflettuto molto. Ha detto che non vuole essere rieletto e manterrà questa idea. Sette anni sono lunghi, sono stati abbastanza difficili e non vuole che si ripeta ciò che è accaduto con Napolitano. Gli applausi sono stati corretti, non ho apprezzato invece quelle urla di bis, le ho trovate un po’ fuori luogo. Hanno certamente rallegrato il presidente ma eravamo alla Scala, non a San Siro.
Entrambi, sia la Scala che San Siro, erano gremiti, mentre in diverse parti d’Europa stadi e teatri sono chiusi. Anche questo è stato un segnale della nostra ripartenza?
Sì, ma dobbiamo tenere presente che il pubblico della Scala non è rappresentativo del paese e forse Draghi dovrebbe chiedere a quelle persone il famoso contributo di solidarietà.
Che non è entrato in manovra per divergenze in maggioranza, con conseguente sciopero di Cgil e Uil. Cosa ne pensa?
Non credo sia il momento di fare scioperi. Anche perché lo sciopero non cambierà nulla, tranne forse indebolire un po’ Draghi e Orlando. Se questo è l’obiettivo di Landini può anche raggiungerlo ma credo che Landini sia un compagno che talvolta sbaglia ed esagera. Ho l’impressione che questo sindacato difenda i garantiti e non si occupi di garantire altri e mantenere in moto la macchina dell’economia e della società italiana. Servirebbe un dialogo che non c’è stato perché Landini spesso ha alzato la voce e Draghi ha alzato le spalle.
Pensa che Draghi sia stia stancato di tenere uniti parti così diverse e stia pensando di correre per il Colle per poi indire le elezioni?
Non credo. Primo perché ho l’impressione che agli occhi di coloro che ci danno i soldi, cioè la Commissione europea, l’Italia ha bisogno di stabilità, non di una campagna elettorale di due mesi e la vittoria magari di qualcuno con una visione europea diversa. Andare al voto con Draghi al Colle penso sia sbagliato.
Calenda ha fatto il nome della ministra della Giustizia, Marta Cartabia. Almeno questa idea del leader di Azione la convince?
Calenda ha scelto Cartabia perché è politicamente corretto individuare una donna, e in questo momento lei è la più visibile tra le donne. È una legittima candidabile e presidenziabile, ma non è l’unica e non risponde nemmeno a tutti i requisiti che secondo me servono, come ad esempio un’esperienza politica maggiore rispetto a qualche mese al ministero della Giustizia.
Chi avrebbe questi requisiti?
(Sorride, ndr) Certo mi farebbe piacere avere al Colle il mio amico Draghi o il mio amico Pier Ferdinando Casini, che incontro sempre alle partite del Bologna o della Virtus. Casini ha la storia di un democristiano di destra, moderato. Non ha mai insultato nessuno, è stato presidente della Camera, è il decano del Parlamento italiano. Se eletto sarebbe totalmente indipendente. Riequilibrerebbe il sistema politico con competenza certa. La stessa che avrebbe Giuliano Amato, che viene criticato perché è stato molto più efficace degli altri nella sua azione politica. Ma non porrei nessun veto nemmeno a Rosy Bindi.
Pubblicato il 8 dicembre 2021 su IL DUBBIO
Il professore Gianfranco Pasquino: «Sul Colle peseranno ancora i giochi di Renzi» @ildubbionews


Il professore Gianfranco Pasquino: “Se Draghi venisse eletto al Quirinale, aprirebbe le consultazioni per dare l’incarico probabilmente al ministro Franco”.
Intervista raccolta da Giacomo Puletti
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’università di Bologna, spiega che «se Draghi venisse eletto alla presidenza della Repubblica chiaramente lascerebbe la guida di palazzo Chigi, aprirebbe le consultazioni e darebbe probabilmente l’incarico a Franco» e che «l’alternativa è che Draghi dia le dimissioni prima dell’elezione e a quel punto sarebbe Mattarella a incaricare l’attuale ministro dell’Economia».
Professor Gianfranco Pasquino, l’autorevolezza riconosciuta a Draghi dai leader del G20 sarà lo slancio decisivo per la sua corsa al Colle?
Credo che Draghi non si sia posto il problema di organizzare un buon G20 per arrivare al Colle, ma certamente ha dimostrato che l’Italia attraverso la sua guida riesce a gestire un summit internazionale in maniera efficiente ed efficace. Che il presidente della Repubblica debba avere un buon consenso internazionale è vero, ma l’obiettivo principale era dimostrare che si può lavorare consapevolmente in maniera unitaria anche con un gruppo di stati che hanno idee diverse. Il multilateralismo è importante, anzi è il miglior modo di fare politica a livello internazionale.
In che modo la credibilità internazionale del presidente del Consiglio potrebbe influenzare nella scelta i partiti presenti in Parlamento?
Noto di riflesso che Di Maio ha avuto una sua visibilità durante il G20 e quindi potrebbe quantomeno dire che Draghi non oscura il Movimento, anzi valorizza sia i pentastellati che lo stesso ministro degli Esteri. Ma in assoluto penso che i partiti italiani non stiano ragionando nei termini giusti.
Cioè?
Pensano soltanto ai vantaggi più o meno immediati che potrebbe portare loro la scelta di un presidente della Repubblica piuttosto che un altro. Il centrodestra vorrebbe intestarsi la candidatura di Draghi ma poi vorrebbe anche lo scioglimento delle Camere. Il centrosinistra sa che Draghi è il candidato migliore ma ha il timore di eleggerlo proprio per la paura di elezioni anticipate. Anche perché scegliere il capo del governo successivo non sarebbe semplice: Franco è buon ministro ma non è all’altezza nazionale e internazionale di Draghi.
A proposito di eventuale successione, come sarebbe gestita la prima volta in cui un presidente del Consiglio in carica diventa presidente della Repubblica?
Su questo fronte la situazione è delicatissima. Se Draghi venisse eletto chiaramente lascerebbe la guida di palazzo Chigi, aprirebbe le consultazioni e darebbe probabilmente l’incarico a Franco. L’alternativa è che Draghi dia le dimissioni prima dell’elezione e a quel punto sarebbe Mattarella a incaricare l’attuale ministro dell’Economia. In questo caso la soluzione sarebbe a portata di mano ma per Draghi sarebbe un rischio evidente.
Pensa che il presidente del Consiglio ambisca al Colle?
La variabile più importante non è la sua preferenza personale, occorre fare un ragionamento in termini sistemici e di visione del paese. Draghi pensa che sia meglio fare il presidente del Consiglio fino al 2023 e quindi aver svolto il suo compito fino in fondo o pensa che il Pnrr vada molto oltre il 2023 e quindi è meglio controllarlo dal Colle per un periodo più lungo? Dipende tutto dalla sua visione dell’Italia e questo è il passaggio più delicato.
Crede che i franchi tiratori che si sono palesati al momento del voto sul ddl Zan saranno un problema al momento dell’elezione del prossimo capo dello Stato?
Il voto sul ddl Zan è stato in buona misura annunciato ed è stato un voto incosciente da parte dei franchi tiratori. Quelli che hanno votato a favore della tagliola dovevano avere il coraggio di dire che non volevano quel disegno di legge: serviva un’ammissione di responsabilità. Ma l’elezione del presidente della Repubblica è cosa diversa, anche se entrambi gli schieramenti avranno delle grane interne. Il centrodestra ad esempio dovrà chiarire il da farsi perché al momento è divisa tra Forza Italia che è continuamente al governo, la Lega che non è chiaro se sia al governo o all’opposizione e Fratelli d’Italia che presidia l’opposizione, anche se la sua crescita sembra essersi arrestata. Anche perché è improbabile che un partito di estrema destra in Europa vada oltre il 20 per cento.
Potrebbe essere il centrosinistra da avere i maggiori problemi? Abbiamo ancora tutti in mente i 101 che pugnalarono Prodi…
Nel centrosinistra tutto dipenderà da una persona imprevedibile nei suoi comportamenti, perché ragiona solo in termini di brevissimo periodo, che è Matteo Renzi. Tuttavia i suoi voti in Parlamento contano e quindi si dovrà raggiungere un accordo anche con lui.
Magari puntando su qualcuno che potrebbe mettere d’accordo anche il centrodestra, come Pier Ferdinando Casini.
Casini è un decano del Parlamento e ha i suoi voti in Parlamento. Ha una sua statura e in troppi lo sottovalutano. In più non è divisivo. Tuttavia penso che Renzi farebbe fatica a intestarselo perché lui si smarcherebbe subito dichiarando indipendente la propria candidatura. Una volta eletto dal Parlamento, il presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale, non chi ha contribuito a eleggerlo. Il colpo di teatro di Renzi starebbe nell’individuare la persona giusta, magari una donna, ma a livello politico non gli gioverà più di tanto.
Pensa che da qui all’elezione del futuro inquilino del Colle i partiti cercheranno di tirare ancor di più l’acqua al proprio mulino, magari per bruciare questa o quella candidatura?
Finora quando qualcuno ha tirato l’acqua al proprio mulino è stato subito stoppato da Draghi. Quindi è un esercizio illusorio e velleitario. Ormai abbiamo solo novembre e dicembre di operatività e nessuno pensa a grandi scossoni. Ci saranno certamente delle sparate utili a qualche retroscena, ma sarebbe da irresponsabili dare forti spallate a questo governo. Basterebbe fare i conti su quanto potrebbe costare in termini di voti persi e tutti i leader della maggioranza si fermerebbero subito.
Pubblicato il 2 novembre 2021 su Il Dubbio
Dalle elezioni il governo esce rafforzato. Ora il premier accontenti il Pd #intervista @ildubbionews


Intervista raccolta da Giacomo Puletti
Come soddisfare i dem? «Ad esempio con un atteggiamento molto favorevole sul rinnovo del reddito di cittadinanza, pur con le variazioni, sulle pensioni, sull’immigrazione e sullo ius soli»
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’università di Bologna, spiega che «Salvini e Meloni dovrebbero riflettere sui propri errori invece di scaricare le colpe su altri» e che il governo esce «appena rafforzato» dal voto, ma «ora Draghi deve rendersi conto che forse a qualche esigenza del Pd si deve rispondere».
Professor Pasquino, a chi è attribuibile la vittoria del centrosinistra alle Amministrative?
La vittoria è al 50 per cento di Letta. È stato ostinato, tenace, sobrio ed è riuscito a ottenere quello che voleva. Il restante 50 per cento è da dividere: attribuisco un 10 per cento a Conte, perché aveva fatto capire agli elettori del Movimento di votare per i candidati del centrosinistra; un 25 per cento agli stessi candidati, perché sono competenti e hanno buone idee per governare le loro città; un 15 per cento al programma complessivo del centrosinistra, che è meno contundente di quello del centrodestra. Sono rimasto stupefatto, come sa sono abbastanza critico del Pd ma Gualtieri, Lo Russo e anche Russo che ha perso a Trieste sono stati candidati efficaci. Insomma il centrosinistra ha scelto bene.
Il Movimento 5 Stelle è destinato a diventare junior partner del Pd nella coalizione di centrosinistra?
Credo che ormai sia inevitabile. Il ruolo di Conte sarà quello di far passare alcune delle idee del Movimento nella coalizione. Non dimentichiamoci tuttavia che è riuscito a convincere una parte di elettori pentastellati romani che non era il caso di astenersi e men che mai di votare per Michetti. In una vittoria con il 60 per cento dei consensi è difficile che non ci siano anche elettori del M5S. Stessa cosa a Torino, ma a Roma l’apporto di Conte è stato diretto.
Letta ha parlato di coalizione larga, da Conte a Calenda, anche se quest’ultimo non è apparso molto entusiasta. Cosa ne pensa?
Credo che la coalizione debba fare affidamento sulle leadership che ci sono. Quindi purtroppo bisognerà parlare anche con Calenda e Renzi. Ma poi ci sono gli elettori, che sanno che o si allarga la colazione o il paese finisce in mano a Salvini e Meloni. Non sono affatto sicuro che Calenda riesca a convincere i suoi elettori a fare cose contronatura. Renzi ci proverà e alzerà il prezzo ma anche gli elettori di Italia viva sanno che è meglio sopravvivere in uno schieramento di centrosinistra che finire schiacciati da Lega e Fratelli d’Italia.
A proposito di Lega e Fratelli d’Italia, di chi è la colpa della sconfitta?
Salvini e Meloni dovrebbero riflettere sui propri errori invece di scaricare le colpe su altri. Non è il tempo che è mancato, sono loro che hanno scelto tardi i candidati. I quali sono stati pescati dai leader, prima di tutto Michetti e Bernardo. Scegliendo un politico a Milano il centrodestra sarebbe stato molto più competitivo. Dovrebbero riflettere anche sul fatto che i sondaggi fotografano una situazione per quel che riguarda l’andamento del partito ma dall’ultima fotografia sono accadute alcune cose, come il caso Morisi, il caso Fd’I a Milano, l’assalto alla Cgil. Fatti non prodotti dalla sinistra, ma dai loro seguaci.
La forte astensione è causata dalla pandemia, dal fatto che tutti i partiti tranne Fratelli d’Italia sostengono Draghi o cos’altro?
Lascerei stare Draghi, che non c’entra niente. Ci mancherebbe che collegassimo l’astensione alla soddisfazione o meno sul governo Draghi. Il punto è che chi vuole vincere deve saper mobilitare i propri elettori e sia Salvini che Meloni non l’hanno saputo fare. Il Pd evidentemente ha una capacità di mobilitazione maggiore. Forse la Meloni doveva impegnarsi di più in prima persona, non soltanto a Roma.
Non pensa ci sia comunque un problema di disaffezione nei confronti della politica?
Dell’astensionismo dobbiamo certamente preoccuparci, perché è chiaro che una parte di elettori crede poco in questa politica e quella parte va recuperata. Ci sono poi strumenti che facilitano la partecipazione, come il voto per posta, e questi strumenti ormai andrebbero presi in considerazione per recuperare un 5, forse 10 per cento di astenuti.
Crede che una legge elettorale di stampo proporzionale, di cui già si parla, porrebbe le basi per la nascita di un nuovo centro?
Non sono dell’idea di costruire un centro artificiale mettendo insieme Calenda, Renzi e altri. Vorrei che fosse un’operazione più limpida e non fatta solo per dare ragione al direttore del Corriere della Sera o a qualche suo editorialista. Poi possiamo anche avere una legge proporzionale ma dev’esserci uno sbarramento per evitare la frammentazione del sistema politico e per impedire il potere di ricatto di qualche partitino.
Crede che il Pd per la troppa euforia o la Lega per sparigliare le carte potrebbero staccare la spina al governo e chiedere elezioni anticipate?
Mi pare che dal punto di vista numerico non basta che la Lega esca dal governo perché si vada a votare. E sarebbe anche un atto abbastanza grave, non condiviso da almeno un terzo del partito. Il governo sarebbe uscito indebolito se avesse vinto il centrodestra. Ne esce invece come prima o forse appena rafforzato, ma ora Draghi deve rendersi conto che forse a qualche esigenza del Pd si deve rispondere.
In che modo?
Ad esempio avendo un atteggiamento molto favorevole sul rinnovo del reddito di cittadinanza, pur con delle variazioni, sulle pensioni, sull’immigrazione e sullo ius soli. Sarebbe il modo migliore per compensare il Pd, che è l’alleato fin qui più forte e credibile del governo.
Cosa cambia in vista del voto per il nuovo presidente della Repubblica?
È ancora troppo presto, dico solo che il nome giusto sarebbe quello di Pier Ferdinando Casini, che è un decano del Parlamento, apprezzato da tutti, con molte conoscenze e infine un bravo ragazzo. Ma su alcune candidature ci sarà uno scontro bestiale. Preferirei non venisse eletto Draghi, perché vorrei che il governo andasse avanti fino al 2023. Ma deve scegliere lui, che ne sa più di me e lei. È una sua scelta personale.
Pubblicato il 20 ottobre 2021 su Il Dubbio