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Da Chiamparino a Roma, tutti i “no” che bocciano Renzi

Il sussidiario

Intervista raccolta da Pietro Vernizzi per ilsussidiario.net

Le dimissioni di Chiamparino, il caso Marino e i ritardi della legge di stabilità rendono la vita più difficile al governo Renzi. Nel primo caso il governatore del Piemonte si è dimesso da presidente della Conferenza delle Regioni, anche se le dimissioni sono per ora congelate su richiesta degli altri governatori. Chiamparino ha però spiegato che le sue motivazioni ufficiali non sono i tagli alla sanità contenuti nella legge di stabilità, bensì il giudizio negativo fornito dalla Corte dei conti sul bilancio della Regione Piemonte. Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, intanto sembra voler andare al braccio di ferro in consiglio comunale. Mentre la legge di stabilità ha già accumulato sei giorni di ritardo. Ne abbiamo parlato con il politologo Gianfranco Pasquino.

Che cosa significano per Renzi le dimissioni di Chiamparino?
Certamente ci sono dei buoni motivi per queste dimissioni perché la legge di stabilità mi sembra abbastanza controversa sui punti più rilevanti, in primo luogo sul taglio della tassa sulla casa. Una figura come Chiamparino, che ha avuto dei doveri istituzionali come sindaco, sa che cosa vuole dire per il bilancio di un Comune il fatto di vedersi privato di quel gettito. Forse Chiamparino ha da ridire anche sul tetto all’utilizzo del contante elevato a 3mila euro. Le Regioni del resto hanno da ridire pure sulla riforma del Senato.

Il fatto che le critiche vengano da un renziano come Chiamparino significa che la legge di stabilità non convince neanche le figure più vicine al premier?
Non so fino a che punto Chiamparino possa essere definito renziano, perché ha una sua struttura politica personale da ormai almeno 20 anni.

Veniamo alla legge di stabilità. Da dove nascono i ritardi nell’iter della manovra?
È l’intero governo che sta lavorando all’insegna dell’improvvisazione, la vera cifra dominante di quanto il presidente del Consiglio ha fatto finora. Annuncia, dice, propone, suggerisce, e poi corregge ripetutamente in corso d’opera tutti i provvedimenti. Questo dunque non mi stupisce affatto, anche se non è un giorno in più o in meno a fare la differenza. E’ la sostanza che deve cambiare.

Secondo lei che cosa non va?
In primo luogo sono contrario all’abolizione delle tasse sulla casa, come pure alla scelta di elevare la quantità di contante utilizzabile da mille a 3mila euro. La commissione Ue ha più volte ribadito che, nell’abbassare le tasse, bisogna avere come obiettivo un aumento dell’occupazione. La riduzione dell’imposizione fiscale non deve essere cioè fine a se stessa.

Questa è una legge di stabilità di destra o di sinistra?
Non ci sono leggi di stabilità di destra o di sinistra nella loro interezza, ma soltanto manovre buone o meno buone. Quella approvata dal governo Renzi mi sembra non pessima, certamente, ma mediocre.

Anche da Roma vengono guai per il premier. Che cosa ne pensa del caso Marino?
Marino deve dare le dimissioni e mantenerle. Dopo di che il Pd romano, compreso Orfini, devono interrogarsi sulla loro capacità di ricostruire un rapporto con la cittadinanza e un partito decente a Roma. Il Pd romano evidentemente ha moltissimi problemi che non sono di oggi, ma che devono essere risolti al più presto.

Marino è stato spinto a dimettersi perché non riusciva a governare o perché dava fastidio?
Marino dava anche fastidio, dopo di che le sue capacità amministrative mi sono sconosciute. Ma soprattutto la sua convinzione di avere fatto cose decisive per Roma mi sembra eccessiva ed esagerata rispetto a quello che abbiamo scoperto e che ancora gli rimane da fare.

Che cosa comporta il caso Marino per il Pd?
Comporta il fatto che a Roma il Pd rischia davvero di perdere il sindaco a vantaggio dell’M5s, anziché di tornare a un’alternanza tra centrodestra e centrosinistra. Comporta inoltre che anche in altre realtà locali gli elettori penseranno che gli amministratori del Pd hanno dei problemi, e che tutto sommato è meglio mettere alla prova il Movimento 5 Stelle, proprio come affermano i suoi sostenitori.

Pubblicato il 23 ottobre 2015

ACCORDO SENATO/ Pasquino: una riforma che prepara il “tutti contro tutti”

Il sussidiario

Intervista raccolta da Pietro Vernizzi per ilsussidiario.net

Il bilancio della riforma costituzionale è certamente negativo, e il risultato è un pasticcio. Non soltanto sull’elettività del Senato, ma anche su enti locali, elezione del presidente della Repubblica e referendum”. A parlare è Gianfranco Pasquino, professore di Scienza politica alla Johns Hopkins University di Bologna. Domenica Renzi parlando al TG5 aveva rassicurato: “Non ci saranno problemi, le riforme vanno avanti, l’abbiamo sempre detto e sempre fatto ma c’è sempre un po’ di preoccupazione nel mondo politico”.

Perché ritiene che il bilancio di queste riforme sia negativo?
Né la legge elettorale né il nuovo Senato daranno maggiore funzionalità al sistema politico, e d’altra parte non daranno neanche maggiore potere ai cittadini. Alcuni si accontenteranno di pensare che spendono meno perché i senatori scendono da 315 a 100. Però non sanno quanti conflitti ci saranno tra il Senato da un lato e le Regioni, la Camera dei deputati, il presidente della Repubblica, la Corte costituzionale dall’altro. Conflitti che ci costeranno comunque tempo e soldi.

Chi ha vinto e chi ha perso all’interno del Pd?
Se la riforma del Senato passa con poche varianti rispetto all’attuale stesura, hanno vinto Renzi e la Boschi mentre la minoranza ha sbagliato quasi tutto. In particolare non ho capito la differenza tra designazione e nomina. Nella riforma si afferma che i consigli regionali designano i senatori, mi domando quindi come si possa parlare di elezione dei senatori da parte dei cittadini. Se le cose stanno così la minoranza non ha capito quasi nulla. Se per di più quei senatori sono eletti in un listino, cioè tutti in un blocco, quella non è l’elezione dei senatori bensì del listino.

Che cosa ne pensa del modo in cui la riforma ridisegna l’elezione del presidente della Repubblica?
Il vero problema è l’impatto che avrà il premio di maggioranza dell’Italicum. Fino al 1 992 le maggioranze governative in teoria avevano una maggioranza per eleggere da sole il presidente della Repubblica, ma di fatto non ci sono mai riuscite. Alla luce di quanto è diventata aspra e maligna la lotta politica, oggi è possibile che un singolo partito con il soccorso silenzioso di alcuni parlamentari che si posizionano riesca a eleggere il presidente della Repubblica. Questo è un fatto che non va bene. Sottolineo che fino a quando non si cambierà la legge elettorale, il premio di maggioranza va a un unico partito.

Secondo lei come si corregge questo rischio?
Dopo un certo numero di scrutini, compreso tra i tre e i cinque, si può prevedere un ballottaggio tra i due candidati più votati per la carica di presidente della Repubblica.

Come interviene questa riforma per quanto riguarda gli enti locali?
Quello degli enti locali è un altro pasticcio. Non sappiamo che fine hanno fatto le province, e la mia impressione è che nella riforma sia incluso un tentativo di ri-centralizzazione. In un certo senso potrebbe anche essere accettabile, ma se noi creiamo una camera delle autonomie, decidiamo che ne facciano parte 21 sindaci e poi centralizziamo alcune funzioni, c’è il rischio che si creino dei nuovi conflitti.

La riforma interviene anche sull’istituto del referendum. Come valuta il modo in cui ciò avviene?
La riforma eleva a 800 mila il numero delle firme necessarie a chiedere il referendum. Sarebbe stato legittimo aspettarsi un contrappeso, in base a cui il quorum non si calcolava più sulla base degli aventi diritto bensì sul numero dei votanti alle elezioni politiche più recenti.

Come vede la moral suasion di Mattarella per trovare una maggioranza più ampia sulle riforme?
Da parte di Mattarella, come pure di Napolitano, mi sarei aspettato che facessero notare una cosa: cinque senatori nominati dal presidente della Repubblica in una camera delle regioni non c’entrano nulla. Qui non è un problema di moral suasion ma di institutional reasoning, cioè di ragionamento istituzionale. Non conta però l’ampiezza della maggioranza che approva la riforma costituzionale, quanto piuttosto il contenuto che in ogni caso rimane di basso livello.

Sappiamo che lei ha conosciuto direttamente Pietro Ingrao, l’ex presidente della Camera morto domenica. Lei come lo ricorda?
Le idee di Ingrao sono state identificate con una posizione movimentista della politica. Ciò è vero solo in parte, perché Ingrao ha poi creato il Centro per la Riforma dello Stato, che pubblica ancora oggi la rivista Democrazia e diritto. Io stesso sono stato cooptato in quella rivista agli inizi degli anni ’80. E a proposito di riforme, Ingrao era favorevole al monocameralismo, che è una cosa molto diversa da un bicameralismo differenziato. Nel monocameralismo la sovranità popolare è espressa da una sola camera, che deve essere eletta con un sistema elettorale apposito.

Quale eredità lascia Ingrao al nostro Paese?
Le posizioni di Ingrao sono sempre state minoritarie, tanto nel Paese quanto nel partito, ma erano posizioni che coglievano dei punti anche rilevanti. Il suo vero obiettivo era porsi come contropotere, e Ingrao stesso quando arrivava vicino al potere si ritraeva. Dopo essere stato per tre anni presidente della Camera, decise che non voleva più farlo perché si sentiva limitato nella sua capacità di espressione e di azione politica.

Pubblicato il 29 settembre 2015

Italicum: Renzi gioca d’azzardo ma (stavolta) rischia di perdere

Il sussidiario

Intervista raccolta da Pietro Vernizzi per ilsussidiario.net

Ora tutto dipenderà da come l’Italicum sarà votato: con o senza fiducia e con o senza scrutinio segreto. Renzi sta facendo il giocatore d’azzardo, e in questi casi a volte si vince, ma in altre si perde“. E’ il commento di Gianfranco Pasquino, professore di Scienza politica alla Johns Hopkins University di Bologna. Ieri la commissione Affari costituzionali della Camera ha approvato la legge elettorale che da lunedì sarà discussa dall’aula di Montecitorio. Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme istituzionali, ha lanciato un appello subito dopo il voto: “I gruppi parlamentari rinuncino a chiedere il voto segreto in aula sulla riforma elettorale”. A stretto giro la risposta di Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia: “Sulla riforma della legge elettorale lo strappo lo ha fatto Renzi, deportando dieci suoi parlamentari in Commissione Affari costituzionali“.

Come valuta il testo finale dell’Italicum votato in commissione?

L’Italicum nel corso del tempo è stato migliorato ma ci sono tre punti che potrebbero essere modificati facilmente. Il primo aspetto che andrebbe cambiato riguarda le candidature multiple, che andrebbero subito abolite. I capilista bloccati inoltre fanno sì che due terzi dei parlamentari saranno nominati, e che ciò varrà per il 1 00% dei parlamentari di tutti i partiti esclusi quelli di Pd e forse M5S. La stessa minoranza Pd così può scordarsi di essere nominata o di riuscire a entrare nuovamente in Parlamento. La terza questione riguarda il premio di maggioranza.

Che cosa va cambiato?

Il premio di maggioranza non deve essere attribuito a una lista. I sostenitori dell’attuale formulazione sostengono che la lista è più compatta e quindi garantisce maggiore governabilità. Io al contrario sono convinto che bisogna incentivare la formazione di coalizioni. Altrimenti ci sarà una lista che ha il premio di maggioranza e quattro o cinque “listine” incapaci di fare opposizione. La verità è che, se non cambierà nulla, l’unica opposizione vera che ci sarà nel prossimo Parlamento sarà quella dell’M5S.

Renzi ha mai affrontato prima una prova di forza come quella sull’Italicum?

Renzi affronta soltanto prove di forza. Ha affrontato la prova di forza contro Bersani e quindi quella contro Letta. Se quest’ultimo avesse chiesto a Napolitano di mandarlo alle Camere per fargli votare la sfiducia, le cose sarebbero andate in modo diverso. Il metodo del premier è quello di andare allo sbaraglio, finora è stato fortunato ma sicuramente non continuerà così anche in futuro. Tanto è vero che quando ha tentato la prova di forza con l’Ue non ha ottenuto granché.

Il premier esce indebolito o rafforzato dalla vicenda dell’Italicum?

Da un lato esce leggermente ammaccato perché schiacciare le minoranze implica anche il fatto di subire un calo di popolarità. A qualcuno che pure fa parte della maggioranza del Pd non è piaciuto il modo in cui Renzi ha trattato le minoranze. La sostituzione dei dissidenti in commissione era tecnicamente possibile, ma da un punto di vista politico è stata molto sgradevole. Ora tutto dipenderà da come l’Italicum sarà votato: con o senza fiducia e con o senza scrutinio segreto. Renzi sta facendo il giocatore d’azzardo.

Che cosa accadrebbe se Renzi cedesse e accettasse le modifiche?

Se Renzi cedesse sulle candidature multiple e sui capilista bloccati non succederebbe nulla. La minoranza sarebbe contenta, perché potrebbe finalmente organizzarsi sul territorio e candidare i suoi esponenti. Lo stesso vale se rinunciasse al premio di lista anziché di coalizione, perché se lo volesse, il Pd potrebbe comunque andare al ballottaggio da solo. Quindi siamo di fronte a un incaponimento stupido. Il ministro Boschi ha rimarcato che sono nove anni che aspettiamo la legge elettorale: benissimo, quindi nulla impedisce di aspettare altri due mesi.

Perché Renzi comunque non vuole accettare delle modifiche ragionevoli?

Renzi vuole dimostrare di essere lui a decidere tutto e di essere in totale controllo del partito e dello stesso gruppo parlamentare. Al punto da schiacciare i deputati del Pd e in particolare a obbligare alle dimissioni il capogruppo Roberto Speranza. In questo modo vuole mandare alla gente il messaggio che lui è molto più forte, innovativo e deciso di tutti i suoi predecessori.

Lei prima ha parlato del gioco d’azzardo di Renzi. Che cosa rischia in questo caso?

Se chiede il voto di fiducia e perde, deve dare le dimissioni. Se perde ma senza la fiducia, può ricominciare prendendo atto del fatto che ci sono degli emendamenti che non ha lasciato che fossero discussi in commissione. Se queste integrazioni fossero accettate potrebbero migliorare la legge e consentirne l’approvazione in tempi brevi. Con gli emendamenti che ha presentato, la minoranza sarebbe disposta a votare la legge.

Per Berlusconi, l’Italicum è una legge autoritaria e Renzi è malato di bulimia di potere. Come si spiega questo voltafaccia?

Berlusconi è un opportunista, perché quella legge contiene molte delle cose che lui vuole a cominciare dai capilista bloccati e dalle candidature multiple. Alcuni esponenti legati al Cavaliere non hanno la certezza di essere eletti, e quindi le candidature multiple offrono loro maggiori chance. Lo stesso premio di maggioranza è stato inventato con il Porcellum di Berlusconi e Calderoli. L’Italicum contiene molto del Porcellum, al punto che secondo me è un Porcellinum.

Pubblicata il giovedì 23 aprile 2015

Renzi, perché tutta questa fretta di approvare il “nuovo” Porcellum?

Il sussidiario

Intervista raccolta da Pietro Vernizzi per ilsussidiario.net

Alla lucida follia di Berlusconi si è sostituita la non troppo lucida confusione del governo Renzi, i cui principali ministri non stanno facendo ciò cui sono chiamati perché sono privi di una vera esperienza politica”. Ad affermarlo è Gianfranco Pasquino, professore di Scienza politica alla Johns Hopkins University di Bologna.

Renzi vuole votare prima per l’Italicum e poi per il Quirinale, Berlusconi chiede che sia il contrario. Chi la spunterà?

A me i tempi interessano poco e mi interessa molto di più il merito. Questa è una brutta legge elettorale, e approvarla in tempi stretti non significa migliorarla. Invece che a gennaio, potremmo approvarla a maggio purché sia meglio di quella attuale. Capisco d’altra parte che Forza Italia voglia negoziare l’elezione del presidente della Repubblica prima di dare i suoi voti che sono decisivi per approvare la legge elettorale.

L’elezione del capo dello Stato può inasprire le tensioni fino a fare saltare l’accordo sull’Italicum?

No. Il punto però non è l’inasprimento delle tensioni politiche, dietro a cui ci sono ben altre motivazioni. La vera questione è che il Presidente della Repubblica deve essere scelto non perché piace a Renzi e a Berlusconi, ma perché è un uomo o una donna che sa fare rispettare la Costituzione, attuarla, ricordarsi che deve rispettare l’unità nazionale e che deve essere il punto di equilibrio del sistema.

Quali sono le vere ragioni dell’inasprirsi delle tensioni politiche?

Queste tensioni dipendono molto spesso dal linguaggio utilizzato dai leader. Ci troviamo in una politica parlata, e nessuno va a vedere che cosa contengono concretamente i provvedimenti del governo e le controproposte delle opposizioni che spesso non conosciamo. Le opposizioni si limitano a dire no e i loro emendamenti spesso sono presentati in modo folkloristico.

Perché ritiene che l’Italicum sia una brutta legge elettorale?

A non andare bene è l’impianto, che è esattamente quello del Porcellum con piccole variazioni. L’Italicum è un sistema elettorale proporzionale con un premio di maggioranza. In tutta Europa inoltre ci sono sistemi elettorali che incoraggiano la formazione di coalizioni, e non che le impediscono come nel caso di questa riforma. Il fatto che nell’Italicum si dica che un partito deve vincere un premio di maggioranza che gli consente di governare da solo documenta che la nuova legge elettorale è basata su un principio semplicemente sbagliato. Occorre una legge che consenta di rappresentare meglio questo Paese per evitare che troppi elettori si astengano.

Non ci sarà il Mattarellum come legge elettorale transitoria, ma l’Italicum sarà post datato al 2018. Che cosa ne pensa?

Questa è una follia, si fa una legge elettorale votata prima del 15 gennaio per farla entrare in vigore soltanto nel 2018. In Italia le norme entrano in vigore 15 giorni dopo la loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. L’idea di posticiparla di tre anni mi pare francamente assurda. Trovo inoltre assurdo rigettare il Mattarellum sul quale invece ci sarebbe una notevole convergenza parlamentare.

La “lucida follia” era uno dei motti di Berlusconi. Renzi lo ha fatto proprio?

La follia la vedo, la lucidità un po’ meno. A gennaio il presidente del consiglio aveva presentato tre proposte di legge elettorale per poi sceglierne una quarta, che nel corso del tempo è notevolmente cambiata su punti non marginali. Si reintroducono le preferenze, si prevede il ballottaggio e le soglie si abbassano dall’8% al 3%.

All’orizzonte vede una nuova sentenza di incostituzionalità della Consulta?

Il presidente della Repubblica qualche tempo fa ha dichiarato che la legge elettorale avrebbe dovuto essere sottoposta a “opportune verifiche di costituzionalità”. Lo stesso Napolitano aveva sollevato dubbi, e non so se a diradarli siano state sufficienti queste piccole modifiche. Personalmente mi sembra che I dubbi di costituzionalità restino ancora tutti, anche se innanzitutto questa legge è un pasticcio.

Dal 31 gennaio alla Camera torna la riforma costituzionale. Che cosa accadrà?

Renzi si vanta di avere i voti e quindi staremo a vedere. Alcune parti di quella riforma, che però non sono sottoposte all’attenzione dell’opinione pubblica, sono sacrosante: mi riferisco in particolare all’abolizione del Cnel, che proposi già 30 anni fa quando ero senatore. Anche la riforma del rapporto tra Stato e Regioni, checché ne dica Renzi, era già stata attuata nel 1999.

Che cosa ne pensa della modifica del Senato?

E’ giusto modificare il bicameralismo paritario, ma continuo a credere che i senatori nominati per sette anni dal presidente della Repubblica non abbiano nulla a che vedere con un’autentica riforma di Palazzo Madama. E continuo a pensare che sarebbe un gesto nobilissimo da parte di Napolitano affermare che una volta terminato il suo mandato non intende fare il senatore a vita.

Sel ha attaccato Renzi affermando che l’agenda delle riforme la detta il Parlamento e non il governo. Lei che cosa ne pensa?

Il governo deve avere un’agenda e i parlamentari che sono stati eletti per sostenere il governo devono tradurla in pratica. Se Renzi è quindi in grado di fare funzionare la sua maggioranza parlamentare sui provvedimenti del governo, che riflettono l’agenda elettorale e le proposte fatte agli elettori, su questo ha il diritto di andare avanti. Ma sulle riforme costituzionali che riguardano il Paese è il parlamento che rappresenta compiutamente il Paese, mentre il governo rappresenta solo una parte e cioè la maggioranza che ha vinto le elezioni.

L’agenda del governo sta risentendo negativamente della fretta di fare le riforme?

L’agenda risente anche del problema della fretta, insieme a quello dell’ignoranza e della superficialità di alcuni dei componenti della squadra di governo, incluso il presidente del consiglio.

E di chi oltre a lui?

Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, è una persona capace, eppure manca la sostanza. Il suo ruolo non è solo quello di fare fronte alle emergenze, come è il caso di Mafia Capitale, ma anche di dare risposte al fatto che la giustizia civile italiana funziona malissimo. Mi domando se il ministro Orlando darebbe un voto di sufficienza all’attività che egli stesso ha svolto finora.

Il ministro Orlando è l’ultimo della classe?

Non è affatto così, anzi ne ho grande stima. Ho stima anche per il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, ma anche nel suo caso mi domando se lei si promuoverebbe. Il ministro non è riuscita a rilanciare l’attività di istruzione pubblica e di ricerca.

Perché abbiamo dei bravi ministri, come Orlando e la Giannini, che però non fanno le cose per le quali sono stati scelti?

Perché i ministri non sono stati scelti sulla base delle loro competenze e di una qualche pregressa attività parlamentare. Un politico che si dedica all’attività parlamentare ha molto da imparare. Nel Regno Unito e in Germania non si diventa ministri se non si è stati parlamentari per diversi anni. Invece in Italia sembra che i migliori ministri siano quelli che vengono dalla società civile, e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

Pubblicata giovedì 18 dicembre 2014