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I governi autoritari e la stampa di regime @DomaniGiornale

“Toccasse a me decidere se dovessimo avere un governo senza giornali o giornali senza un governo, non esiterei un attimo a preferire la seconda [opzione]”. Uomo bianco, colto, proprietario di schiavi e amante di una schiava, il principale autore della dichiarazione d’indipendenza e presidente degli USA (1801-1809), Thomas Jefferson era, utilizzando termini contemporanei, un liberale (anglosassone) progressista. Anche se l’alternativa da lui posta può apparire estrema, è indubitabile che i giornali contribuiscono alla formazione di un’opinione pubblica e che i governi temono l’esistenza di un’opinione pubblica liberamente formata. E non è possibile sottacere che, nella misura in cui è loro possibile, i governanti autoritari sopprimono i giornali che fanno informazione, eliminano i giornalisti e si costruiscono quella che si suole chiamare “stampa di regime”.

Naturalmente e per fortuna, nelle democrazie non si arriva mai a questo esito che le asfissierebbe, ma è innegabile che in molte democrazie il conflitto fra governanti e mass media è sempre presente, più che una possibilità, una costante, talvolta pericolosa. Non si perviene alla stampa di regime, ma sicuramente esistono e spesso prosperano giornalisti (anche alla radio e nella televisione) che si caratterizzano per essere “di regime”, qualche volta di qualsiasi regime. I liberali veri prendono atto dell’esistenza di questi fenomeni, ma difendono la libertà di stampa e i protagonisti, a condizione che non incitino a reati, sanciti dalla Costituzione e dalle leggi. Questo campo dei reati da punire, che non deve mai essere largo, ma sempre giusto, è ovviamente soggetto a interpretazioni diverse e opposte, conflittuali che vanno argomentate e valutate con riferimento ai tempi (stato di guerra, eventuali gravi emergenze) e ai luoghi. La valutazione spetta alla magistratura. Nella sua valutazione la magistratura ha il dovere di tenere conto, da un lato, del dislivello di potere che sempre intercorre tra un governo e un qualsiasi, anche importante, giornale, tra un ministro e qualsiasi, anche famoso, giornalista, a cominciare da coloro che praticano il giornalismo d’inchiesta e, dall’altro, fra l’eventuale, giustificabile e giustificata, necessità di riservatezza di alcune attività dei governi e dei ministri, e il diritto dei cittadini di conoscere, di ricevere tutte le informazioni possibili. Lo dirò con il motto del New York Times: all the news that’s fit to print.

Nei, sicuramente molti, casi controversi, la scelta giusta non sta nel mezzo, ma ha l’obbligo di privilegiare il diritto dei cittadini alla informazione e alla conoscenza. Per esercitare il suo potere (kratos) è imperativo che il popolo (demos) possegga il massimo di informazioni disponibili. Non è, dunque, un’esagerazione sostenere che soffocare le informazioni e impedire, con minacce più meno velate, con costose querele, con accuse di diffamazione, il lavoro dei giornalisti, significa attentare ad un principio fondamentale della democrazia ideale nonché della democraticità delle democrazie reali, del loro funzionamento. L’insofferenza dei governanti e di altri potenti nei confronti della libera informazione è sempre un brutto segno.

Nel pensiero e nella pratica liberale(-democratica), la soluzione non è mai la repressione delle fonti e degli informatori. Consiste sempre nella competizione fra la pluralità delle informazioni, la veridicità dei contenuti, il significato delle implicazioni. Libertà e competizione sono principi esigenti, ma assolutamente costitutivi della democrazia come dovrebbe essere e come molti vogliono che sia e si mantenga. Meglio non accettare mai neanche i più piccoli, nient’affatto insignificanti, sfregi alla democrazia.

Pubblicato il 6 marzo 2024 su Domani

La querela minaccia la libertà d’informazione @DomaniGiornale

In politica gli avversari si affrontano e si combattono con gli strumenti della politica. Analisi penetranti, indicazioni intelligenti, proposte innovative, idee idee idee. Da ultimo, se la competizione approda sul campo, più o meno largo, elettorale, l’arma sono i voti. In maniera ossessiva e rozza i politici, non so se più quelli di sinistra o di destra che si beano del loro “garantismo”, annunciano di non volere sconfiggere gli avversari per via giudiziaria, ma politicamente. Deve necessariamente essere molto diverso l’atteggiamento quando il conflitto è tra i politici e i giornalisti? Vale a dire la sconfitta dei giornalisti ad opera dei politici che non hanno gradito un’inchiesta non dovrebbe essere cercata sul piano fattuale smentendo le risultanze dell’inchiesta e dimostrando la falsità delle implicazioni perché i fatti non sono avvenuti? Ricorrendo ad un’altra frase classica del politichese, “lasciare che la giustizia faccia il suo corso”. I più bravi fra i politici e i loro giornalisti di riferimento sono di recente approdati anche alla decisione eroica di “difendersi nel processo, non difendersi dal processo”.

Giorgia Meloni ha scelto di querelare il quotidiano “Domani” e il suo Direttore per un’inchiesta della primavera scorsa. Raccomandazioni a favore di un imprenditore di mascherine i cui prodotti sarebbero costati allo Stato il doppio di quelle dei concorrenti. Emiliano Fittipaldi ha già fornito tutti gli elementi della sua inchiesta. Naturalmente, il tempo passato da marzo a oggi ha visto un enorme cambiamento sulla scena politica. La già allora potente capo del partito Fratelli d’Italia è diventata la ancora più potente Presidente del Consiglio cosicché la sua querela ha immediatamente acquisito maggiore peso e probabilmente susciterà maggiore attenzione mediatica. Il capo del governo “scelto dagli italiani” (meglio, che ha vinto le elezioni e ottenuto il voto di fiducia da entrambe le Camere) vuole dare una costosa lezione a un quotidiano che senza appoggiare nessuno specifico partito sta all’opposizione. In questa luce, l’inchiesta giornalistica potrebbe apparire agli occhi dell’opinione pubblica come un subdolo tentativo di delegittimazione del capo del governo.

    Il rinvio a giudizio del Domani solleva alcuni problemi generali rimasti irrisolti nei rapporti fra governo, qualsiasi governo, e mass media. Senza fare nessun peccato è lecito pensare che il Capo del governo e i suoi avvocati intendano mandare un messaggio (di stampo ungherese): “attenzione alle critiche e denunce, voi, giornalisti, non ve ne lasceremo passare una, ve le faremo pagare care”. Poi saranno i giornalisti stessi, interiorizzato il messaggio, a decidere quanto vogliono esporsi. Dunque, è logico concludere che assicurare la difesa della libertà di stampa, ad eccezione di pochissime fattispecie, da querele governative significa, fuor di retorica, difendere un pezzo importante della libertà.

Pubblicato il 23 novembre 2022 su Domani

Dialoghi sulla Costituzione: Gianni Molinari intervista Gianfranco Pasquino

Registrazione audio a cura di Radio Radicale del dibattito al Teatro Stabile di Potenza mercoledì 14 settembre 2016.

Nell’ambito di una due giorni organizzata dalla Fondazione Basilicata Futuro intitolata “Dialoghi sulla Costituzione”, il giornalista de “Il Mattino” Gianni Molinari ha intervistato Gianfranco Pasquino, politologo e docente universitario.

Nel corso dell’incontro, introdotto da Giovanni Casaletto(Presidente di Basilicata Futuro), hanno preso la parola per porre domande anche alcuni esponenti delle istituzioni lucane presenti in sala e tra questi il Presidente della Provincia di Potenza Nicola Valluzzi.

La registrazione audio di questo dibatto ha una durata di 1 ora e 45 minuti

ASCOLTA QUI ► //www.radioradicale.it/scheda/486358/iframe

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