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Passettini, posizionamenti, e Presidenza. Riusciranno Conte e Letta a intestarsi qualche merito? @formichenews

L’elezione del Capo dello Stato e la gestione dei primi fondi europei saranno passettini nella direzione giusta, ma riusciranno Pd e Conte, Letta e il Movimento 5 Stelle a intestarsene qualche merito politicamente fruttuoso? Il commento di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica e Accademico dei Lincei
Giustamente, nella sua intervista a Formiche.net, il mio amico di lunga data Giuliano Urbani critica le mosse dei dirigenti dei partiti del centrodestra. Sicuramente, il declino di Berlusconi e di Forza Italia suggerisce che non saranno i moderati/centristi a dettare tempi e modi della coalizione di centrodestra. Di tanto in tanto, quasi come in un gioco dei quattro cantoni, un editorialista del Corriere della Sera, talvolta persino il direttore, lamentano la mancanza di un centro, meglio di un partito di centro, nel variegato sistema dei partiti italiani. Non sempre i vagheggiatori hanno consapevolezza del fatto inesorabile che un partito di centro che avesse qualche successo elettorale renderebbe impraticabile qualsiasi competizione bipolare e manderebbe in soffitta la famigerata democrazia compiuta, dell’alternanza.
Sul versante che non chiamerò del centrosinistra, ma più propriamente del Partito democratico e delle 5 Stelle, l’unica opzione praticabile sembra essere quella di un’alleanza che da mesi tutti i sondaggi danno minoritaria e perdente nelle intenzioni di voto degli italiani. L’attesa, adesso che ha ottenuto il mandato che desiderava, è tutta su Conte e sulla sua strategia: spostare il baricentro del Movimento verso il Nord. Da quel che le analisi elettorali hanno scoperto da tempo, non è affatto probabile che nel Nord esista un ampio bacino di elettori orientabili verso le 5 Stelle. Continuo a pensare, ma i dati mi confortano, che parte tutt’altro che piccola dell’elettorato pentastellato sia stata mobilitata dalla protesta e dall’insoddisfazione nei confronti della politica e del funzionamento del sistema politico. Nel Nord protesta e insoddisfazione sono, da un lato, meno diffusi che nel Sud, dall’altro, hanno storicamente trovato accoglienza nei ranghi della Lega. Le ambiguità di Salvini rappresentano adeguatamente buona parte di questo elettorato.
Lasciando Conte alla sua difficile ricerca, continua a non essermi chiaro che cosa effettivamente ricerchi il Partito democratico di Letta. I segnali sul terreno, per me importante, dei diritti: legge Zan e cittadinanza ius soli o ius culturae, sono più che apprezzabili, ma chi li apprezza è già da tempo un’elettrice/tore del Pd. Forse verranno corroboranti vittorie democratiche nelle elezioni amministrative e probabilmente sventolerà il vessillo di Enrico Letta nel collegio uninominale di Siena. Nulla di questo, però, fa prevedere uno “sfondamento” elettorale prossimo venturo. Non intravedo indicazioni e mosse che riescano a mobilitare parti della società civile abitualmente in posizioni “wait and see” né innovazioni specifiche in materia, ad esempio, di lavoro e diseguaglianze.
Forse hanno ragione quelli che si concentrano sugli obiettivi ineludibili: una buona elezione del Presidente della Repubblica e un’efficace utilizzazione della prima, già considerevole, tranche dei prestiti e dei sussidi dell’Unione europea. Saranno passettini nella direzione giusta, ma riusciranno Pd e Conte, Letta e il Movimento 5 Stelle a intestarsene qualche merito politicamente fruttuoso? Sapremo l’ardua risposta molto prima dei posteri.
Pubblicato il 14 agosto 2021 su formiche.net
Divisi profondamente #leggeZan
La prima domanda è: il disegno di legge sull’omofobia che ha come primo firmatario il deputato del PD Alessandro Zan è una buona legge? La seconda domanda è: se ha qualche articolo che può essere migliorato, rispetto al testo approvato alla Camera, quelle modifiche rischiano di rinviarlo sine die? È questo l’obiettivo di chi, da ultimo il capo di Italia Viva, Matteo Renzi, si propone con le sue critiche? Vedremo poi se e in quali emendamenti si tradurranno. La terza domanda è: esistono al Senato i numeri per procedere rapidamente alla sua approvazione definitiva? Negli ultimi giorni, l’attenzione è stata tutta concentrata sulle dichiarazioni di Matteo Renzi che ha annunciato di volere tre modifiche importanti a partire dalla molto discussa e complessa “identità di genere”. I voti dei senatori di Italia Viva possono essere cruciali a partire dal 12 luglio quando il disegno di legge Zan approderà in aula.
Ė un dato di fatto che Renzi persegue insistentemente l’obiettivo di ottenere visibilità per il suo piccolo partito inchiodato al 2 per cento circa nelle intenzioni di voto degli italiani. Inoltre, mira a dimostrare quanto conta in questo Parlamento, quanto può essere determinante in alcune situazioni. Il disegno di legge Zan è di iniziativa parlamentare. Quindi non coinvolge il governo e un esito negativo non destabilizzerà Draghi. Poiché, però, il ddl porta il nome di un deputato del Partito Democratico, il segretario del PD Enrico Letta ha l’obbligo politico di difenderlo e condurlo a conclusione positiva. Ė molto probabile che ci saranno alcuni rischiosi voti segreti. Quindi, Letta non può e non deve stare “sereno”. Renzi punta anche a indebolirlo. E Letta ha l’impegno di trovare i voti necessari.
Qualcuno ancora rimprovera al PD di non avere portato al voto, per timore di perdere, il disegno di legge sullo ius soli che mirava a dare la cittadinanza ai figli dei migranti nati in Italia. Da allora, non se n’é fatto nulla. Se non fossero in gioco brutti elementi, da un lato, personali, visibilità e ripicche, dall’altro, ideologici, con il centro-destra che non ha neppure criticato la legge contro gli omosessuali approvata dal governo Orbán, sarebbe forse possibile tentare un accordo. PD e Cinque Stelle potrebbero accettare poche modifiche, mirate e condivise, a condizione che i proponenti, a cominciare da Italia Viva e, forse, Forza Italia e Salvini, garantissero la fulminea approvazione definitiva del testo che dovrà tornare alla Camera. Non so chi ha queste capacità di mediazione e non vedo chi voglia impegnarsi in questo tentativo. Purtroppo, nel Parlamento italiano, ma anche nella società italiana, in occasione di problemi che riguardano la sfera più intima delle persone, come per esempio, la facoltà di scegliere come e quando morire, appaiono divisioni tristissime. Lunga sembra la strada per giungere alla maturità indispensabile per garantire la diversità delle opinioni e la libertà delle scelte.
Pubblicato AGL il 8 luglio 2021
Draghi, Letta e la grande imboscata. Il commento di Pasquino @formichenews
Fa bene Mario Draghi a evitare a tutti i costi le “operazioni bandierine”. Ma dovrebbe realizzare che non è Enrico Letta la mina vagante per questo governo. Di qui a sei mesi Salvini e Meloni potrebbero giocargli un bello scherzo. Il commento di Gianfranco Pasquino
Non ho mai creduto che l’Ecclesiaste: “c’è un tempo per dare denari (agli Italiani) c’è un tempo per prenderli” fosse un riformista. Sono sicuro che anche Draghi riconoscerebbe che le riforme si fanno proprio combinando, almeno in parte, i soldi che si ottengono da chi ne ha fin troppi con il trasferimento a chi, ottenendoli, potrebbe migliorare le sue competenze e la sua posizione contribuendo nel contempo a cambiare il paese. Non so se la motivazione di Draghi nel respingere la tassa di successione proposta da Letta fosse quella di impedire a tutti i partiti l’operazione bandierine. Spero che non sia quella “ne so più io”. A sua volta, Letta dovrebbe sapere che le bandierine del suo partito le debbono, non piantare, ma sventolare i suoi ministri: Franceschini alla Cultura, Orlando al Lavoro, Guerini alla Difesa (?). Il neo-segretario di un partito talmente sgangherato da averlo richiamato dalla vie en rose parigina dovrebbe tentare di ricostruirlo quel partito, che è tutt’altra cosa dal renderlo visibile in un governo dove il bello e il cattivo tempo lo fa inesorabilmente e inevitabilmente il Presidente del Consiglio che, per di più, sembra averci preso molto gusto.
Inutile e improduttivo rincorrere Salvini che, non solo non ne azzecca una, ma è costretto a correre sia per temperamento sia per non farsi raggiungere da Meloni. D’altronde, Letta non è nelle condizioni, nessuno lo è, di proporre qualsivoglia alternativa a Draghi. Meglio continui a sottolineare, non allo spasimo, che il Partito Democratico è il perno di questo governo. Condivido anche che annunci alcune riforme da farsi, oltre alle tasse anche quella dello ius soli e una qualche dote che consenta ai giovani di farsi una vita, di studio e di lavoro, decente. Dunque, mi attendo nuove dichiarazioni, innocue per la vita del governo, ma essenziali per comunicare al paese e ad alcune categorie specifiche che il Partito Democratico si cura di loro. We, Dems, care. Dal canto suo, Draghi deve assolutamente restare au-dessus de la mêlée. Neanche per un attimo deve pensare che il nemico destabilizzante potrà essere il PD che non può andare da nessuna parte. Anzi, sono proprio alcune proposte del PD che gli consentirebbero/consentiranno fra qualche tempo di rendere visibile il suo profilo riformista. Piuttosto, deve temere la grande imboscata, quella del Quirinale, che potrebbe anche diventare il culmine della sua vita di successi. Che cosa dirà Draghi se Salvini e Meloni decidessero non soltanto di fare il suo nome per la Presidenza della Repubblica, ma annunciare che lo voteranno fin dall’inizio? Potrà Letta permettersi, non il lusso, ma lo sgarbo personale, politico, istituzionale di dire no alla candidatura di chi, a fine gennaio 2022, avrebbe già sulle spalle il manto del salvatore dell’Italia? Le scaramucce di questi giorni sono pochissima, ininfluente roba. All’orizzonte si affacciano strutturalmente, cioè sicure e improcrastinabili, scelte che cambieranno in maniera profonda alcuni importanti elementi del sistema politico. Meglio cominciare a riflettervi. “C’è un tempo per fare il Presidente del Consiglio e un tempo per fare il Presidente della Repubblica” concluderebbe quell’attento osservatore della scena, non soltanto politica, che è l’Ecclesiaste.
Pubblicato il 29 maggio 2021 su formiche.net
Ius soli o finanziaria? L’uno non esclude l’altra. Parola di Pasquino @formichenews
Il pregio del bicameralismo è che rende possibile esperire una pluralità di compiti grazie ad un’accurata divisione del lavoro a condizione che la maggioranza sia coesa e intelligente. Il commento di Gianfranco Pasquino
Perché mai bisognerebbe contrapporre i diritti sociali ai diritti civili? E addirittura anteporre i diritti sociali ai diritti civili? Più chiaramente, qualcuno, mi sembra di avere capito che è, fra gli altri, la posizione di Romano Prodi, ritiene che il Partito Democratico ha sbagliato a perseguire e garantire i diritti civili degli omosessuali e dei trans gender prima e a scapito del diritto al lavoro. Questa posizione ha subito trovato conforto, più o meno opportunistico, da un lato, in Di Maio che ha dichiarato il suo essere “sconcertato” dalla proposta di Zingaretti di formulare leggi in materia di ius soli e di ius culturae, dall’altro, nel Presidente dell’Emilia-Romagna il PD Stefano Bonaccini per il quale la revisione della plastic tax viene molto prima dell’estensione del diritto di cittadinanza. Se interpreto correttamente questa posizione, il timore è che se il Parlamento, già oberato dalla Finanziaria, s’impegnasse ad analizzare e valutare i disegni di legge in materia di cittadinanza, non troverebbe il tempo per rivedere la plastic tax e altro. Questo timore sembra essere condiviso da Forza Italia e cavalcato da Salvini e Meloni.
Nella storia della conquista e dell’espansione dei diritti, splendidamente scritta dal sociologo inglese T.H. Marshall, sono venuti prima i diritti civili, quelli del cittadino, libertà di espressione, associazione, culto, proprietà; poi quelli politici, votare ed essere eletti, creare partiti, fare propaganda; infine, ma non dappertutto, i diritti sociali, salute, istruzione, lavoro, assistenza, pensione. La sequenza ha richiesto più o meno tempo, in qualche sistema politico, pure democratico, non è ancora stata completata (v. la salute negli USA). Inoltre, con il governo della signora Thatcher, molti studiosi (ma anche il regista Ken Loach!) hanno notato e fatto rilevare che il taglio dei diritti sociali, lavoro e salute, finiva per incidere negativamente sui diritti politici e persino su quelli civili. Privati del lavoro, molti cittadini non avevano più le risorse per utilizzare i loro diritti civili e politici.
Non elaboro il punto che un Parlamento bicamerale organizzato in Commissioni non avrebbe il tempo di procedere in un suo ramo alla discussione, emendamento e approvazione della Finanziaria, rivedendone aspetti delicati, come la plastic tax (sic), mentre l’altro ramo si dedica ai pure molto delicati ed eventualmente, ma non inevitabilmente, complicati disegni di legge in materia di ius soli e ius culturae. Non è così. Infatti, il pregio del bicameralismo è che rende possibile esperire una pluralità di compiti grazie ad un’accurata divisione del lavoro a condizione che la maggioranza sia coesa e intelligente. Mi preme, invece, sottolineare che coloro che cittadini non sono rischiano in questo paese di trovarsi esposti allo sfruttamento. In maniera leggermente diversa, ma compatibile, sia lo ius soli sia lo ius culturae costituiscono due strade percorribili affinché i migranti nati in questo paese da genitori stranieri ottengano la cittadinanza su loro richiesta in base a chiari requisiti di tempo e di completamento di un ciclo educativo. Divenuti italiani, potranno anche godere dei diritti sociali fra i quali quello al lavoro. Oggi in troppe situazioni i migranti privi di cittadinanza vedono i loro diritti sociali elusi e spesso calpestati. I diritti civili sono la precondizione cruciale per godere dei diritti sociali. Insieme i due grappoli di diritti si rafforzano. Quando mancano i diritti civili, l’accesso ai diritti sociali dipende dall’arbitrarietà, è raro, episodico oppure tristemente negato. L’esito è una società ingiusta.
Pubblicato il 19 novembre 2019 su formiche.net
Conte ha vinto, il suo governo 2 non ancora. Parla Pasquino #Intervista @formichenews
Il prof. Gianfranco Pasquino a Formiche.net: non sarà una stagione riformista, ma si potrebbe aprire una fase di confronto-scontro che arricchisce il Paese. La prima prova del governo? La legge di bilancio
Intervista raccolta da Simona Sotgiu
Una stagione riformatrice? Non proprio, ma ci sono buone premesse perché si apra un dialogo su come far crescere il Paese e su come redistribuire la ricchezza prodotta. A patto che sia Pd che M5S si interroghino non solo sugli obiettivi, come il salario minimo o il cuneo fiscale, ma anche su quali mezzi scegliere per raggiungerli. Conte? Da avvocato del popolo è diventato guida politica di un esecutivo, “è un professore che ha fatto una carriera strepitosa, non si può negare che sia già entrato nella storia”. A poche ore dalle dichiarazioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, Gianfranco Pasquino, professore emerito di scienza politica analizza con Formiche.net i punti di forza e le debolezze del nuovo esecutivo giallorosso, sottolineando le sfide che lo aspettano, come la legge di bilancio e le riforme strutturali, dal taglio dei parlamentari all’autonomia differenziata.
Professore, cosa l’ha colpita di più del discorso del presidente Conte?
Conte ha fatto nel complesso un compito più che sufficiente, diciamo il compito che gli spettava, con una punta di interesse nella presentazione, cioè la richiesta di un linguaggio della politica tra persone, tra i parlamentari e il Paese reale, che sia un po’ più rispettoso delle varie anime del Paese. Ridare un po’ di dignità alla politica anche attraverso le parole, questo l’ho apprezzato ed è stata una buona introduzione.
E il resto?
Per il resto, ci ha chiesto di essere più buoni, di pagare le tasse, di essere accoglienti, di ricordarci che bisogna osservare le leggi, che bisogna garantire la parità di genere, magari anche negli stipendi (il che non mi pare una brutta idea), aiutare i disabili, cercare di migliorare la formazione attraverso la scuola e infine cercare di essere europeisti, perché se non lo siamo rimaniamo isolati. Tutto questo va benissimo, ma purtroppo sull’immigrazione è stato leggermente più incerto.
Cosa intende?
Ha detto, in fin dei conti, che dovrà essere l’Europa a risolvere questo problema. Mi sarebbe piaciuto sentire, invece, la parola “ius soli”, che avrebbe potuto incontrare il favore del Pd, che dovrebbe ricordare di aver proposto un disegno di legge in materia, e sarebbe stato un atto di accettazione consapevole di una società che sta cambiando e che ha al suo interno persone che fanno gli italiani senza purtroppo poterlo essere dal punto di vista della cittadinanza.
Il presidente Conte ha parlato di un “progetto politico che segna l’inizio di una nuova stagione riformatrice”. Pensa che sia possibile?
Il presidente del Consiglio le può anche dire queste cose, poi noi osservatori esterni disincantati che ne abbiamo viste tante, avanziamo i nostri dubbi. Alcuni di una certa età ricordano una stagione riformatrice, si chiamava “centrosinistra”, il primo centrosinistra del ’62-’65, ed era accompagnato da entusiasmo, da una classe dirigente socialista molto solida e molto inventiva, e una classe dirigente democristiana che si era resa conto che il modo per mantenere il suo potere politico era per l’appunto di guardare avanti, fare riforme. Oggi tutto questo non lo vedo.
Perché?
Perché tra i 5 Stelle non conosco chi siano i riformisti. Apprezzo tre o quattro persone, come Roberto Fico che mi pare un uomo all’altezza della situazione; ho ascoltato con piacere Nicola Morra, perché è un uomo colto, però i veri riformisti non li ho visti. Non conoscono, a mio parere, la storia del Paese, né la storia dei riformismi occidentali. Nel Pd ci sono delle persone che sanno fare politica, senza dubbio, però non ho visto l’entusiasmo che deve accompagnare una stagione riformista. Alla fine la parola che ha usato Zingaretti è stata “lealtà”, e va bene ma non è abbastanza. Si richiede innovazione, impegno profondo, una visione e nel discorso del presidente del Consiglio questa visione non c’è. Ci sono una serie di indicazioni, certamente apprezzabili, ma il disegno complessivo non lo vedo. È una lista di cose da fare. Però, come diceva il mio maestro, se gli obiettivi spesso li condividiamo, sono i mezzi che dobbiamo definire con chiarezza, e i mezzi non li ho visti.
Quindi non vede spazio per le riforme istituzionali?
Ci credo poco. Forse voteranno il taglio del numero dei parlamentari all’interno di un contesto in cui giustamente Conte ha detto che bisogna predisporre nuovi freni e nuovi contrappesi. Ma anche in questo caso, queste misure non si devono predisporre dopo, bisogna prima avere un’idea di dove si va a parare riducendo il numero dei parlamentari. Se bisogna fare una legge elettorale, anche in questo caso bisogna avere delle idee.
Si parla di una legge elettorale proporzionale…
Una riforma proporzionale non esiste. Esistono 5, 6, 7 varianti di un sistema elettorale proporzionale e anche questa sarà un’operazione non facile. L’autonomia differenziata, la vedo una cosa complicatissima, mi chiedo come le regioni a statuto speciali si rapporteranno a questo dibattito. Deve essere chiaro che non è più tempo di giocare con le istituzioni, non si gioca più con la legge elettorale, che deve essere sì cambiata ma senza giochi e dimostrando di aver imparato qualcosa dagli ultimi 25 anni di riforme elettorali.
Quali saranno le maggiori sfide e i maggiori rischi per i neo alleati di governo?
Io credo che non ci siano dei punti di scontro inevitabili, forse se il Pd insiste troppo nel rivedere il passato ci saranno degli inconvenienti, perché M5S ha votato dei provvedimenti e non può semplicemente buttarli a mare. Però Conte è stato bravo, ha detto “recepiamo le indicazioni del Presidente della Repubblica sul decreto sicurezza” e questo è positivo. Mi aspetto però che ci siano delle differenze di opinione, in particolare su tutto ciò che riguarda l’economia e lo vedremo subito con la legge di bilancio.
Su cosa dovrebbero concentrarsi?
Il Partito democratico dovrebbe porsi il problema della crescita, mentre il Movimento 5 Stelle storicamente si è posto il problema della redistribuzione, e per redistribuire bisogna produrre, quindi forse prima bisogna stabilire se e come si cresce e poi che cosa si può redistribuire. Ho sentito gli applausi sulla riduzione del cuneo fiscale e sull’introduzione del salario minimo e ci sono margini di confronto e anche di scontro. Ma perché ciò avvenga bisogna avere idee forti, altrimenti resta tutto in superficie. Uno scontro, anche duro, frontale, su principi molto significativi sarebbe forse più utile, perché insegnerebbe al Paese qualcosa sulle grandi differenze che passano tra una politica davvero riformatrice e una politica che si limita solo alla redistribuzione.
Come cambierà, se cambierà, la dialettica politica ora che si è passati dall’esecutivo gialloverde a quello giallorosso? Il premier Conte ha chiesto toni più sobri, ma dalle opposizioni l’accusa di un governo “nato dentro i palazzi” è già cavallo di battaglia.
Innanzitutto bisogna chiarire che i governi nascono sempre nel palazzo, dentro il Parlamento. Anche il governo M5S-Lega è nato in Parlamento, preso atto dei numeri. L’unico passaggio vero dal governo precedente a quello attuale è che il presidente del Consiglio, che in precedenza si era definito l’avvocato del popolo, adesso ha capito che deve davvero guidare un governo. E secondo me ha anche manifestato le capacità per farlo ed è certamente un elemento positivo. Se poi evita alcuni accenni di leggera arroganza e superiorità è meglio per tutti, però glieli concedo.
Da professore a professore, lo promuove, quindi?
Diciamo che è giusto che faccia sapere a tutti che è stato bravo, soprattutto nella seconda fase della crisi, e che sarà bravo, essendo più che un semplice punto di equilibrio ma l’elemento che è in grado di spostarlo sempre un po’ più avanti, anche grazie ai suoi rapporti internazionali. È un professore che ha fatto una carriera strepitosa, non si può negare che sia già entrato nella storia.
Ma torniamo alla comunicazione, pensa ci siano margini per passare dalle dichiarazioni gridate a toni più sobri?
Ahimè, io non vedo quasi nessuno capace di comunicare all’altezza della situazione attuale, quindi inevitabilmente alcuni di loro faranno campagna elettorale permanente. Sentono che devono rafforzare le basi di questo governo nella società, però non so se ne sono capaci. Il punto di forza di Salvini è che era capace di farlo, aveva il fisico del ruolo, un incedere imponente e inoltre gli piaceva. Purtroppo spesso i politici capaci dal punto di vista delle competenze e conoscenze non sono così interessati a mostrarsi in pubblico, perché hanno altre specialità. E questo sarà certamente un vantaggio per Conte perché sarà lui a comunicare con i cittadini.
Nella rosa di ministri, chi vede più propenso in questo senso?
Conte ha chiesto ai ministri di tenere basso il livello della loro presenza sulla scena, ma c’è qualcuno a cui piace essere presente, come Paola De Micheli. A lei è sempre piaciuto e ha anche un ministero abbastanza importante che forse le permetterà di essere più visibile. Anche Di Maio, dato il suo dicastero, avrà tante “photo opportunities” e le userà tutte, però il grande comunicatore in questo governo non c’è, se non il presidente del Consiglio.
Cosa pensa di Di Maio alla Farnesina? Ci sono state molte critiche…
Io sono un professore, il che mi fa dire che in un ministero importante come la Farnesina forse dovrebbe esserci uno sbarramento all’ingresso, ossia la conoscenza di almeno una lingua straniera. Poi subentra il politologo, però, che dice che nei governi di coalizione a due – democristiani e socialdemocratici tedeschi o socialdemocratici e verdi – la seconda carica del governo era sempre il ministero degli Esteri ed era sempre affidato al capo del secondo partito, quindi nella logica della distribuzione delle cariche quella poteva giustamente essere rivendicata da Di Maio. E penso anche un’altra cosa.
Prego.
Conte ha delineato una politica estera nella parte finale del suo discorso, per quanto alcuni passaggi sarebbero difficili per chiunque, come il caso della Libia, mettere fine al conflitto interno sarà un’operazione epocale. Però in generale Conte ha detto cosa bisogna fare e se Di Maio ha ascoltato, e immagino di sì, e se si fiderà dei funzionari e degli ambasciatori estremamente preparati della Farnesina senza portare troppi consulenti esterni, potrebbe fare un buon lavoro.
Pubblicato il 10 settembre 2019 su formiche.net
I nodi del Governo. Distrazione di massa: luci spente sul default
Questa effervescente società italiana! Altro che stare sdraiata sul divano a divorare popcorn e aspettare il reddito di cittadinanza: si organizza, scende in campo, manifesta. Forse, però, non per colpa sua, ma un po’ degli eventi un po’ per inadeguata informazione, manifestanti e contromanifestanti non colgono il bersaglio grosso. È lecito organizzare un congresso sulla famiglia tradizionale, meglio se usando toni e modi non oltranzisti che dileggiano le nuove forme di convivenza e aggrediscono leggi esistenti come la 194 sull’interruzione della gravidanza. È opportuno sostenere le conquiste di civiltà in tutte le materie relative alle unioni. È giusto sostenere la legittima difesa, non necessariamente armata e privatizzata, talvolta prevedendo pene, in una fattispecie allargata, per l’uso di filmini intimi che mettono alla berlina l’ex-compagna (revenge porn; vendetta porno). Persino encomiabile è concedere, sarebbe preferibile dire “riconoscere”, a determinate condizioni, la cittadinanza agli adolescenti i quali, con grave rischio personale hanno salvato le vite dei loro giovanissimi compagni. Che poi anche prendendo le mosse da questo avvenimento il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte senta, “benvenuto!”, il bisogno di “riflettere” sullo ius soli, ovvero sulla cittadinanza a chi è nato in Italia, ancorché da genitori non italiani, è una buona notizia. Però, i capi di governo non si limitano a riflettere. Hanno il dovere di proporre e il compito di decidere. Tutte queste, alla rinfusa, sono tematiche importanti, ma non determinanti, in una società che desideri diventare e rimanere civile, e non sarà neppure la Commissione Banche, ultima trovata del Movimento Cinque Stelle per darsi un po’ di visibilità, a risolvere il problema dei problemi italiani: come rilanciare la crescita economica.
La buona notizia per i governanti pentastellati è che le domande per il reddito di cittadinanza sono alquanto inferiori alle previsioni e quindi, almeno quest’anno, saranno necessari meno fondi di quelli previsti e stanziati. Tuttavia, quei fondi non potranno essere subito destinati a investimenti pubblici e all’ammodernamento delle infrastrutture che soli potrebbero iniziare il rilancio delle attività economiche e la produzione di posti di lavoro. L’effervescenza della società sui diritti da mantenere e, eventualmente, da ampliare (cittadinanza) rischia di essere sfruttata come arma di distrazione di massa fino alle elezioni del Parlamento europeo, 26 maggio, dopodiché sono tutti oramai convinti che vi sarà una resa dei conti con numeri veri fra Lega e Cinque Stelle. No, neppure quelle elezioni spasmodicamente attese risolveranno la tensione fra, da un lato, le politiche redistributive perseguite da Di Maio e securitarie imposte da Salvini e, dall’altro, la necessità assoluta per l’Italia di rovesciare la tendenza e incominciare a crescere. Questo è davvero il bersaglio grosso (di qualsiasi governo) che gli italiani non dovrebbero perdere di vista.
Pubblicato AGL il 1°aprile 2019
DIETRO LE QUINTE/ È Marchionne il nome segreto di Berlusconi per Palazzo Chigi
Per la seconda volta in poco più di quindici giorni, Sergio Mattarella interviene contro l’astensione. L’esito del voto non è affatto scontato, spiega Gianfrancp Pasquino.
Intervista raccolta da Federico Ferraù.
Carlo De Benedetti si dice deluso da Renzi ma voterà Pd; gli esclusi dalle parlamentarie M5s annunciano ricorsi e Mattarella, per la seconda volta in poco più di quindici giorni, interviene contro l’astensione (“nessuno deve chiamarsi fuori o limitarsi a guardare”). È l’Italia che si avvicina alle urne. Come spiega il politologo Gianfranco Pasquino, i partiti hanno fatto una legge elettorale pensata apposta per nominare i parlamentari e rendere impossibile il governo del paese a chi non è coalizzato (prima del voto). Ma dopo le urne il governo potrebbe non essere affatto quello preventivato da Renzi e Berlusconi.
Professor Pasquino, l’astensione è attualmente valutata intorno al 33 per cento. Fa così paura?
Una buona percentuale di elettori che decide di andare a votare solo nell’ultima settimana. Io sono convinto che la campagna elettorale abbia ancora un ruolo importante.
Nel 2013 l’affluenza è stata alta (75,19 per cento) ma è scesa di 5 punti rispetto al 2008.
M5s nel 2013 ha portato al voto degli elettori che altrimenti sarebbero rimasti a casa. I 5 Stelle continuano a esserci ed è nel loro interesse portare a votare quegli elettori. Oggi c’è una parte di italiani insoddisfatta del Pd; Leu ne recupererà una parte. Alla fine di questa lunga ballata, credo che il 75 per cento degli italiani il 4 marzo tornerà a votare.
Secondo Repubblica chi vince governa anche con il 37-39 per cento.
No, quel calcolo è sbagliato perché troppo approssimativo. L’Italia è molto diversificata, partiti e coalizioni sono più forti in alcune zone e deboli in altre e fare proiezioni nazionali di situazioni locali risulta fuorviante. La mia stima è che per avere la maggioranza assoluta dei seggi sia alla Camera che al Senato occorra superare il 44 per cento. E nessuno ci arriverà.
Quale assetto politico ci restituirà la legge Rosato?
Più o meno il paese che conosciamo oggi, con piccole, scusi il termine, dis-proporzionalità e dis-rappresentanze. Ma la cosa ancor più paradossale è che gli stessi politici che hanno fatto la legge elettorale dicono che essa potrebbe restituirci un paese ingovernabile.
Sembra una presa in giro, perché la legge l’hanno fatta loro. E allora forse bisogna pensare male.
Non ci piace il paese così com’è, lo vorremmo diverso, ma per averlo diverso bisogna che i partiti siano in grado di cambiarlo. Invece questi partiti non vogliono cambiarlo: vogliono il potere che serve per far eleggere i loro parlamentari e disporne come vogliono, non per cambiare il paese.
Traiamone le conclusioni, professore. La legge Rosato è stata fatta in modo tale da non permettere a nessuna forza di governare da sola. È stata pensata per un governo di coalizione di chi l’ha votata.
Vero, ma solo in parte. Direi così: per la maggior parte dei politici la governabilità è “vinca il mio partito e abbia la maggioranza assoluta”, per di più controllata dal capo del partito e dal suo circolo più o meno magico, sia esso di Arcore, di Rignano sull’Arno o di una società di consulenza milanese. Il premio di maggioranza renziano serviva a questo.
Ma è stato cassato dalla Consulta.
Infatti. Nessuno negli altri paesi ha mai pensato una cosa simile: il premio di maggioranza è esistito solo in Grecia, anche se là era congegnato in modo da favorire non uno ma due partiti. Le democrazie parlamentari occidentali sono governate da coalizioni di partiti, non da singoli partiti pigliatutto.
E adesso?
I politici ci spaventano dicendo sarà difficilissimo fare una coalizione di governo, ma innanzitutto sarà necessario, e poi sarà doveroso. Dovranno fare anche in Italia quello che stanno facendo Merkel e Schulz: definire i punti programmatici sui quali trovare l’accordo e su quella base mettere insieme un governo.
Il suo pronostico?
Difficile fare previsioni. Credo che alla fine ci sarà un sussulto di dignità e che si andrà alla formazione del governo. Secondo me sono tre gli scenari possibili.
Il primo?
Un governo Renzi-Berlusconi è quello che mette d’accordo, oltre ai diretti interessati che hanno voluto la legge, tutti i commentatori dei maggiori giornali, ma secondo me è un’ipotesi che non regge. Se il Pd prendesse il 25 per cento e Forza Italia il 17, la loro piccola-media coalizione avrebbe il 42 per cento, che non è sufficiente. L’ipotesi terrebbe solo se Renzi prendesse più seggi di quelli che gli spettano col 25 per cento. Improbabile.
Il secondo scenario?
Vincono sul serio i 5 Stelle, cioè ottengono su scala nazionale il 31-32 per cento. Se fosse così, Di Maio andrebbe al Quirinale a chiedere l’incarico come leader del partito di maggioranza relativa. Mattarella non potrebbe negargli un mandato esplorativo e se volesse farlo dovrebbe spiegare perché. Inoltre in Parlamento i 5 Stelle farebbero un’opposizione frontale su tutto.
A questo punto, ottenuto il pre-incarico?
Di Maio scoprirebbe che ci sono certamente persone disposte ad appoggiarlo su alcuni punti programmatici. I numeri ci sarebbero e Mattarella conferirebbe l’incarico.
L’appoggio verrebbe dalla formazione di Grasso?
Verrebbe da Liberi e Uguali ma non solo, anche da singoli esponenti del Pd in nome della responsabilità. Ovviamente sarebbe un do ut des: niente più stupidaggini su euro ed Europa, appoggio al reddito di cittadinanza (M5s) in cambio dello ius soli (Pd), e così via.
E la terza ipotesi?
Il centrodestra vince con il 38-40 per cento, M5s si ferma al 30 il Pd al 25, Leu al 6-6,5. In questo caso è Berlusconi a fare scouting e ci riesce. E per favore non parliamo di “corruzione”: offrirebbe qualcosa in cambio, posti o punti programmatici, sui quali chi ci sta sottoscrive un accordo. Niente di diverso da quanto farebbero di Maio o Renzi.
Ma Berlusconi non può fare il capo del governo. E non ha detto chi vuole mettere a Palazzo Chigi.
Se vince, fa un po’ di fuochi d’artificio, proponendo Draghi, che rifiuta. A questo punto si rivolge a persone di cui non normalmente non si parla perché fanno il loro lavoro, ma che a un’offerta del genere difficilmente potrebbero dire di no.
Ad esempio?
Qualche banchiere ambizioso. Un tale Profumo, o un certo Passera. Non sarebbero gli unici: c’è anche qualcuno molto capace che si è detto deluso da Renzi.
Marchionne.
Appunto.
Pubblicato il 18 gennaio 2018 su ilsussidiario.net