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Interesse nazionale: nella Nato, nella UE, mai con i nemici della democrazia @formichenews

Solo i sovranisti disinvolti e superficiali possono credere, illudendosi, che, andando da soli, meglio e più proteggerebbero l’interesse nazionale, della patria. Il commento di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica
Un grande (sic) paese ha, comunque, in maniera lungimirante una sola politica estera condivisa fra governo e opposizione e, naturalmente, soprattutto all’interno del governo. Le più o meno acrobatiche prese di distanza diversamente effettuate da Conte e da Salvini sono deplorevoli. Altrettanto deplorevoli sono le dichiarazioni intrinsecamente pro Putin di Silvio Berlusconi: dal sen sfuggite poi capovolte e, poiché personalmente sono un commentatore sobrio e austero, non mi chiederò cos’altro sta nel sen di Berlusconi. La politica estera di un paese, più o meno grande, deve, come scrisse e argomentò il tedesco Hans Morgenthau (1904-1980, esule negli USA, uno dei maggiori studiosi di sempre di Relazioni internazionali, costantemente ispirarsi all’interesse nazionale. Naturalmente, quell’interesse deve essere definito chiaramente, condiviso politicamente e interpretato ogni volta che entra in contatto con la realtà effettuale (l’aggettivo è di Machiavelli, maestro del realismo in politica).
Quell’interesse può essere proposto, protetto e promosso attraverso alleanze, come la Nato, e organizzazioni, come l’Unione Europea. Solo i sovranisti disinvolti e superficiali possono credere, illudendosi, che, andando da soli, meglio e più proteggerebbero l’interesse nazionale, della patria. Comprensibilmente, ogniqualvolta scatta la necessità di proteggere l’interesse nazionale all’interno di organizzazioni sovranazionali è possibile che ciascuna delle nazioni che ne fanno parte esprima preferenze relativamente diverse, mai divergenti. Organizzazioni democratiche al loro interno hanno le capacità e sanno come ricomporre una pluralità di interessi a cominciare da quello, nettamente prioritario e sovrastante, della difesa, della sopravvivenza.
Che questo interesse sia essenziale nell’attuale fase di aggressione russa all’Ucraina è stato prontamente compreso da Finlandia e Svezia che lo hanno tradotto nella richiesta di adesione alla Nato. Pur esercitandosi in qualche, piccolo e sgraziato, ma, presumibilmente, solo estemporaneo, giretto di valzer, anche i Cinque Stelle e la Lega, capiscono che la Nato è l’organizzazione che garantisce la miglior protezione dell’interesse nazionale. Le loro accennate differenze di opinione con il governo “Draghi-Di Maio” sono, però, fastidiose punture di spillo non giustificabili neppure con riferimento a incomprimibili (per Salvini permanenti) pulsioni elettoralistiche.
In definitiva, credo che tutti coloro che auspicano la fine dell’aggressione russa all’Ucraina e l’autodeterminazione dei popoli, stiano acquisendo due consapevolezze. La prima è che qualsiasi cedimento a Putin non lo incoraggerà ad accettare le trattative. La seconda, ancora più importante, a mio papere decisiva, è che è nell’interesse nazionale dei paesi democratici promuovere, non sulla punta delle baionette e sulle rampe di lancio dei missili (in che modo lo scriverò un’altra volta), la democrazia. Da Immanuel Kant sappiamo che sono le federazioni fra le repubbliche (per Kant il termine che identifica i sistemi politici che operano a favore della res publica, il benessere collettivo) a porre fine ai conflitti, non i regimi autoritari e i loro leader con i quali i democratici possono, perseguendo l’interesse nazionale, trattare, ma per i quali non possono mai sentire “amicizia”.
Pubblicato il 22 maggio 2022 su Formiche.net
Partita del Quirinale. Nomi, numeri e regolette del prof. Pasquino @formichenews

Alberti Casellati, Berlusconi, Casini e le possibili mosse del centrodestra al momento del voto. Il politologo Gianfranco Pasquino dà la sua sarcastica versione a Formiche.net su quello che potrà accadere tra poco più di sei mesi al Colle, ricordando però che è giusto porsi il problema del Quirinale, ma è ancora troppo presto…
Mio nonno, che ha visto tante elezioni presidenziali, alcune proprio non divertenti, sostiene che alcune regolette valgono ancora. La prima è che i Presidenti di Senato e Camera partono con un piccolo vantaggio. Quindi, fa bene a mostrarsi presidenziabile Maria Elisabetta Alberti Casellati che, fra l’altro, gode anche del vantaggio di essere donna, al momento giusto.
Roberto Fico non ha l’età, ma c’è un ex-Presidente della Camera che ha l’età e non è appesantito da nessun bagaglio di scontri, cattiverie, politiche malfatte, ideologie, idee: Pier Ferdinando Casini. Da qualche tempo, il suo silenzio è anche il segnale che non vuole essere bruciato da nessuno. Non è pericoloso.
Certo, se qualcuno fa girare il nome di Romano Prodi, anche come risarcimento del pasticciaccio brutto del 2013, allora perché non riesumare Silvio Berlusconi. Senza tante remore ci pensa lui stesso, ma qualche cenno lo hanno già fatto Tajani e alcuni premurosi giornalisti di destra. Popolare, cristiano, europeista, liberale e tanto altro, Berlusconi non si sottrarrebbe all’arduo compito. I numeri, se il centro-destra si mantiene come coalizione relativamente compatta, non mancherebbero.
D’altronde, a questo punto, con la disgregazione anche solo parziale del Movimento 5 Stelle, al centro-sinistra non basterebbe nessun isolato squillo di tromba. E i nomi mancano o sono davvero evanescenti. Mio nonno non vuole tirarli fuori questi nomi poiché, non avendo mai creduto nel detto “molti nemici molto onore”, cerca di non scontentare nessuno.
Al momento, con qualche riluttanza preferisce spiegarmi(vi) quale potrebbe essere la strategia del centro-destra se avessero un po’ di immaginazione politica. Non dovrebbero anticipare nulla, votando bianco o un candidato di bandiera di ciascuno di loro nelle prime tre votazioni. Poi, improvvisamente alla quarta votazione annunciare che convergeranno convintamente su Draghi. Non sarà facile per molti parlamentari di centro-sinistra chiamarsi fuori da questa “convergenza”. Né d’altronde potrebbero consentire che il merito dell’elezione di Draghi se lo attribuiscano tutto Meloni e Salvini, concedendo a Berlusconi di annunciare che è stato lui a dirlo per primo.
La ratio di questo voto del centro-destra è che “promuovere” Draghi al Quirinale significa aprire la porta ad un nuovo, improbabile governo oppure, questa è la prima opzione di Meloni e Salvini, a nuove elezioni politiche con la garanzia per l’Europa che comunque Draghi sovrintenderà all’attuazione del Piano di Ripresa e Resilienza e la garantirà.
Se questo scenario ha la plausibilità che gli attribuisce quell’attento e colto osservatore che è mio nonno, può essere evitato soltanto da qualche netta, ma per adesso prematura, dichiarazione di Draghi. Oppure da fortissime pressioni su Mattarella affinché accetti di rimanere fino alle elezioni del 2023. Il precedente di Napolitano c’è e insegna che si potrebbe procedere in tal senso, ma con l’accordo, non molto probabile, del centro-destra.
Mio nonno che non smette mai di leggere e approfondire Kant e Weber sostiene che la Repubblica italiana è arrivata al punto in cui hanno un ruolo rilevantissimo alcuni intramontabili imperativi categorici, il senso civico e dello Stato, l’etica della responsabilità che certamente hanno Draghi e Mattarella. Molto, quasi tutto, dipenderà dalla loro interpretazione di quello che è giusto fare, non per le loro ambizioni personali, il loro posto nella storia italiana e europea è già assicurato, ma in base alla loro valutazione/preoccupazione per le condizioni attuali e prossime del sistema socio-economico e politico italiano.
Preoccupato anche lui, mio nonno conclude che è giusto porsi il problema del Quirinale, ma è too early to call, troppo presto. E anche se oggi è l’anniversario della Dichiarazione d’Indipendenza degli USA, né lui né io pensiamo che quel presidenzialismo sarebbe la soluzione dei problemi politici e istituzionali italiani.
Pubblicato il 4 luglio 2021 si formiche.net
La ditta e i suoi benefit
E’ vero che la superiorità morale è andata a farsi benedire oramai da parecchio tempo. Vero che anche la diversità non può più essere vantata in maniera impeccabile. Però, non era affatto inevitabile che da un partito con un gruppo dirigente legittimato dalle esperienze di vita dei suoi esponenti e da iscritti che credevano che un cambiamento di natura (quasi) rivoluzionaria richiedesse comportamenti duri e puri si passasse a una vera e propria “ditta”.
Magari inconsapevolmente, la definizione che Bersani ha dato del partito che vorrebbe e al quale s’ispira è rivelatrice. Il coinvolgimento di esponenti locali del partito nelle vicende del “sistema Firenze” è emblematico. In una ditta si entra, meglio se da giovani. Nella ditta si fa carriera per lo più con scatti di anzianità. Si viene ricompensati per il lavoro fatto e, infine, si ottiene una pensione. Meglio non essere troppo ambiziosi. Meglio non esigere valutazioni (difficili e controverse) legate al merito. Meglio non sfidare i dirigenti perché, pur senza ricorrere ad articoli 18, dalla ditta si può essere, più o meno silenziosamente, licenziati (e anche ostracizzati). Una “buona” ditta dà posti di lavoro. In un mercato competitivo (quello elettorale prevalentemente lo è), la ditta può espandersi e avere più posti di lavoro da distribuire. Una ditta assume sia per concorso (rarissimamente il caso di un partito politico) sia per raccomandazione, più pudicamente per segnalazioni. La ditta è anche in grado, in alcuni contesti, l’Emilia-Romagna è stato uno di questi, di ricollocare in alcune succursali non pochi dipendenti rivelatisi inadatti al lavoro politico. Spesso le cooperative, non soltanto in Emilia-Romagna, hanno adempiuto al compito di assumere personale in eccedenza. Quando il lavoro nella ditta rischia di scarseggiare, da un lato, la lotta (pardon, la competizione) per ottenere le cariche più elevate si fa accesa, dall’altro, molti giungono alla conclusione che, prima che sia troppo tardi, bisogna trarre il meglio dalle cariche già ottenute.
Un tempo, comportamenti di questo genere, anche perché limitatissimi di numero. venivano subito scoperti, stigmatizzati e puniti (con l’espulsione). Non era propriamente la conseguenza di un’etica borghese (Kant, Max Weber, Bertrand Russell). Era il controllo sociale da parte di militanti e iscritti che, giustamente, temevano i contraccolpi elettorali e politici negativi sul partito. Meno iscritti, meno militanti, meno controllo eguale più fenomeni di sciatteria, di favoritismi, di promozioni anche senza i titoli necessari. Di nuovo, si parla anche dell’Emilia-Romagna. I dirigenti si sono accorti che la loro carica e il loro potere nella ditta dipendono dalla capacità di trovare posti di lavoro per parenti, amici, seguaci. Il loro potere, ovvero la capacità di punire chi non si dà da fare per loro, trasforma eventuali semplici segnalazioni in vere e proprie raccomandazioni. La diversità se ne va, Intorno e dentro la ditta c’è chi avanza (e vince) con la parola d’ordine “(pre-)pensionare” (rottamare) i dirigenti, ma le prime mosse dei rottamatori sembrano alquanto al di sotto della sfida. Anche loro hanno amici e seguaci da piazzare. Sì, ho scritto del PCI-PDS-DS-PD.
Pubblicato il 22 marzo 2015