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Due libri sul #M5S: storia, struttura e sociologia politica di un movimento “pigliatutti”

 

Paolo Ceri e Francesca Veltri,
Il Movimento nella Rete. Storia e struttura del Movimento 5 Stelle,
Rosenberg&Sellier

Piergiorgio Corbetta
(a cura di)
,
M5s. Come cambia il partito di Grillo,
Il Mulino

Il Movimento Cinque Stelle ha, giustamente, attirato un’attenzione enorme da parte dei mass media e degli studiosi, italiani e stranieri. Ho letto molto in materia. Ho trovato cose buone e meno buone; cose originali e cose ripetitive; cose utili e cose inutili alla comprensione del Movimento; cose che mirano alla oggettività e cose che si (s)qualificano per la faziosità (quando sono gli studiosi ad essere faziosi, si mostrano “sottilmente” tali). Credo che il problema più importante non sia quello di classificare il Movimento in categorie a noi note, ma di comprenderne le origini, di collocarlo nel sistema politico e nella società italiana, di valutarne l’impatto e, nella misura del possibile, che potrebbe anche non essere scarsa, prevederne il futuro. In buona parte, questo è il lavoro svolto da Paolo Ceri e Francesca Veltri. Dirò un po’ pomposamente che il Movimento Cinque Stelle è un pezzo consistente dell’autobiografia della Repubblica italiana post- 1945 (preparata da qualche embrione precedente). Trova certamente un prodromo nel Fronte dell’Uomo Qualunque fondato nel 1944 dal commediografo e giornalista Guglielmo Giannini, durato meno di un decennio. Si alimenta non soltanto di critica della politica, ma di vera e propria antipolitica, a lungo nascosta e tenuta sotto controllo dai partiti italiani, soprattutto quelli di massa la cui scomparsa ha aperto la diga. È antipolitica non tanto colpire tutti i privilegi dei politici, tutte le loro sregolatezze senza genio nella gestione del potere e, nel nepotismo, tutti i loro scandali e i salvataggi reciproci dei coinvolti nel malgoverno e nel malaffare quanto pensare e agire come se la politica, in particolare, il ricoprire cariche elettive, fosse un’attività che chiunque, in qualsiasi luogo o in qualsiasi momento, possa svolgere. Insomma, sulla scia di un poco conosciuto Karl Marx, i “cittadini” delle Cinque Stelle vorrebbero credere e farci credere che possiamo fare a meno del “governo degli uomini sugli uomini” poiché con il loro ingresso in politica e in Parlamento, nonché nei governi locali, siamo quasi arrivati allo stadio della “amministrazione delle cose”. Poi, resuscitando Lenin, il bilancio dello Stato e degli enti locali non soltanto diventerà leggibile dalle cuoche, ma lo stileranno loro stesse. Sarà, finalmente un bilancio partecipato, “cucinato” attraverso il web da tutti gli aderenti in maniera assolutamente democratica: uno vale uno.

Prima di riflettere su questo punto, eguaglianza “sostanziale”?, approfondirlo e valutarlo, è opportuno sottolineare che, secondo non pochi studiosi e commentatori politici, il Movimento Cinque Stelle si caratterizza per essere soprattutto e anzitutto populista molto più che, semplicemente (e rozzamente) antipolitico. È Piergiorgio Corbetta che dà voce a questa interpretazione populista che contiene non pochi elementi convincenti. Ho due obiezioni e un suggerimento di tipo previsionale. La prima obiezione è che da qualche tempo un po’ dappertutto si eccede nel qualificare come populista tutto quello: stile, messaggio, contenuti, persone, che non ci piace e che vorremmo non esistesse e sparisse. Invece, bisognerebbe abituarsi a dare per scontato che nelle democrazie, in tutte le democrazie c’è sempre quella che chiamo una “striscia di populismo”. Le democrazie senza popolo sono una contraddizione in termini. Le democrazie con associazioni intermedie deboli e esitanti e con istituzioni di rappresentanza e di governo mal funzionanti aprono praterie all’ingresso dei populisti. È facilmente accertabile che dal momento del meritato crollo dei partiti tradizionali nel 1994 e dell’intero sistema partitico ad oggi l’Italia si trova in condizioni di grande vulnerabilità rispetto al populismo. La seconda obiezione all’uso del populismo classico come categoria interpretativa del Movimento Cinque Stelle va ricondotta a due specificità: da un lato, il fatto che di leader ce ne sono due, il fondatore, Beppe Grillo, e colui che chiamerei il gestore, ieri GianRoberto Casaleggio, oggi il figlio Davide; dall’altro, l’importanza della rete, del Web, mai così tanto cruciale nei rapporti fra il leader e i followers (qui, mi rifaccio al linguaggio dei “social”), laddove il populismo classico, ma anche quello più recente, di Berlusconi e di Bossi, mette l’accento sulla persona fisica del leader, sulla sua carne e le sue ossa, sull’uso evidente del corpo. Il suggerimento di tipo previsionale è che, fermo restando che il populismo si manifesta in corso d’opera, fino ad oggi tutti i movimenti populisti hanno mostrato un problema letale comune: non sopravvivono alla scomparsa del leader-fondatore. Da ultimo, questo è il caso, drammatico per le sue conseguenze sulla vita della popolazione del Venezuela, di Hugo Chavez il cui successore, Nicolàs Maduro, dimostra quotidianamente di non avere praticamente nessuna delle qualità che resero Chavez un populista esemplare (sic).

I due libri qui recensiti hanno taglio e intenti diversi. Ceri e Veltri sono interessati, come recita correttamente il sottotitolo, alla storia e alla struttura del Movimento 5 Stelle. I collaboratori del libro curato da Corbetta offrono, invece, complessivamente quella che chiamerei la sociologia politica del Movimento: presenza nelle istituzioni (Rinaldo Vignati); andamento elettorale (Pasquale Colloca e Andrea Marangoni); basi sociali (Andrea Pedrazzani e Luca Pinto); l’elettorato (Luca Comodo e Mattia Forni); i cambiamenti nell’organizzazione (Gianluca Passarelli, Filippo Tronconi e Dario Tuorto); le modalità di comunicazione (Lorenzo Mosca e Cristian Vaccari). Non potendo sintetizzare nessuno degli articoli, operazione comunque difficilissima per il recensore e diseducativa per il lettore, mi limiterò a pescare nell’ampio e utile materiale messo a nostra disposizione quello che ritengo più rilevante per la comprensione del Movimento, quello che non si trova nei mass media e che, al contrario, gli operatori dei mass media dovrebbero conoscere, ricordare, utilizzare per non farsi sorprendere tutte le volte dagli avvenimenti che riguardano il Movimento.

Primo elemento molto importante: non siamo di fronte ad un’insorgenza subitanea che potrà essere facilmente assorbita. Le Cinque Stelle non sono un movimento flash che, nato ieri, morirà domani. Dieci anni di vita suggeriscono che la spinta propulsiva non si è affatto esaurita. Anzi, si è trasformata in crescita, in espansione, in radicamento. Secondo elemento: stando così le cose, mi sarebbe piaciuta una pluralità di approfondimenti, soprattutto da parte del sociologo Paolo Ceri (che giustamente si riferisce a due grandi classici: Robert Merton e C. Wright Mills), relativi alle possibilità e alle modalità di istituzionalizzazione del Movimento Cinque Stelle. Insieme alla sua co-autrice, Ceri preferisce condurci ad uno sbocco peraltro annunciato indirettamente già a p. 13: “le promesse mancate della democrazia diretta” (che è il titolo delle conclusioni) finiranno per condurre ad un nuovo “dispotismo”? Terzo elemento: curiosamente sia Ceri e Veltri sia Corbetta sembrano credere che il disvelamento del grande inganno “(non) democratico” delle Cinque Stelle espressosi al suo meglio nella frase di Grillo “fidatevi di me” (affermazione populista quant’altre mai) che sceglieva il candidato sindaco perdente per Genova, farà sgonfiare il Movimento, gli toglierà il vento dalle vele. Ho due obiezioni a queste aspettative. La prima la mutuo da Giovanni Sartori che sosteneva e continuerebbe a sostenere (anche se né Grillo né i suoi parlamentari riscuotevano il suo apprezzamento) che quello che conta nella competizione politico-elettorale non è la democrazia interna. Semmai è la democrazia/ticità nella competizione fra partiti.

Il partito è uno strumento che si organizza per conseguire obiettivi. Fintantoché li consegue nessuno metterà in discussione quanto avviene al suo interno né la scelta delle candidature né l’individuazione e accentuazione degli obiettivi programmatici né, tantomeno, la leadership. Il successo si autoalimenta. Le richieste di democrazia faranno la loro insorgenza a fronte di gravi fallimenti, non di piccole battute d’arresto. La seconda obiezione è che il Movimento non è nato su una spinta democraticista, ma, come ho già accennato, su una spinta antipolitica. Quindi, incontrerà delle difficoltà quando, per l’appunto, il vento dell’antipolitica si trasformerà in pochi lievi refoli. L’avvenimento in Italia appare alquanto improbabile (questo è davvero un understatement!). Gli attacchi basati sulla carenza di democrazia interna e sulla manipolazione lasciano il tempo che trovano anche perché i portatori di quegli attacchi non sono, per così dire, impeccabili, al di sopra di ogni sospetto. Affermare, come fa Corbetta, con molti buoni motivi, che il Movimento esprime “una visione in aperta contraddizione con la concezione liberale della democrazia” (p. 270) suscita subito l’interrogativo su chi sarebbero in Italia i portatori di una “concezione liberale della democrazia”, in rigoroso ordine alfabetico: Berlusconi, Bossi, Meloni, Renzi, Salvini, Verdini?

Insomma, è utile e importante sapere che il Movimento è diventato sociologicamente pigliatutti, vale a dire tutti gli elettori che può con una leggera prevalenza di quelli che altrimenti sceglierebbero le sinistre. Ha forti tratti populisti. Dovrà presto vedersela con le sue contraddizioni quanto ai rapporti ambigui intessuti con i mass media. Tuttavia, fintantoché la politica italiana sarà praticata da una maggioranza di carrieristi/e senza scrupoli e senza etica, da sedicenti riformatori che perseguono fini particolaristici e corporativi, da uomini e donne che galleggiano nei loro conflitti di interessi, da incompetenti che non sanno fare funzionare né le assemblee rappresentative né le compagini di governo, all’incirca il 30 per cento di coloro che vanno a votare continueranno a sostenere il Movimento Cinque Stelle. Pour cause.

Recensione pubblicata il 1 marzo 2018 su CasadellaCultura.it

L’astensionismo è diventato un modo di fare politica

Intervista raccolta da Francesco Grignetti per La Stampa

Il politologo: elettori disorientati dai leader Non ha perso il M5S: ha perso Beppe Grillo

 

Il professor Gianfranco Pasquino, politologo, direttore della rivista Il Mulino, già parlamentare di sinistra per tre legislature negli Anni Ottanta e Novanta, reduce da una intensa campagna per il No al referendum che lo ha posto apertamente su un versante antirenziano, aveva intitolato un suo ultimo libro “Cittadini senza scettro. Le riforme sbagliate”. E non è meravigliato che gli italiani votino sempre meno.

Professore, perché c’era da aspettarsi tutto questo astensionismo?
“Intanto perché anche l’astensionismo è un modo di votare. Sono quelli che mandano a dire ai politici: non ci piacete, nessuno di voi ci convince. Sono quelli che pensano che, votando, comunque legittimerebbero questa politica. Ci sono poi quelli che sono sfiduciati, si sentono tagliati fuori da tutto, anziani, isolati, periferici, nulla più suscita il loro interesse. Infine ci sono quelli che, all’opposto, sono attivissimi: i giovani che studiano all’estero, pensiamo alla generazione Erasmus, oppure gli imprenditori che stanno delocalizzando fuori dai confini nazionali, o quelli hanno trovato lavoro fuori d’Italia, o ancora chi aveva fissato per tempo le vacanze in mete esotiche. Nell’Italia d’oggi rappresentano una fascia del 5 o forse il 10% dell’elettorato”.

Fin qui, un discorso generale. Eppure ci sono casi clamorosi. A Genova ha votato meno della metà degli elettori.
“Caso molto interessante, non c’è dubbio. A Genova evidentemente c’è stato un doppio astensionismo: gente di sinistra che aveva votato il sindaco Doria, ha rimpianto quel tipo di sindaco e non si è riconosciuta nella nuova proposta del Pd. Non se la sono sentita di fare il salto della quaglia, votando a destra. Si sono rifugiati nel non-voto. E poi c’è la gente del M5S che non ha accettato i pasticci di Beppe Grillo sulla candidata Cassimatis, che è stata defenestrata nonostante avesse avuto il via libera dalla consultazione via Internet”.

Molti sostengono che l’astensionismo del 2017 suoni come campana a morte per i grillini. Sono fuori da tutti i ballottaggi e stavolta non hanno intercettato il voto di protesta.
“Andiamoci cauti con queste conclusioni. Detto dei pasticci di Genova, è vero che a Parma c’era un ex come Pizzarotti che ha dragato i voti di quell’area, oppure che hanno perso il Comune di Mira ma solo perché il sindaco di lì ha preferito saltare un giro perché altrimenti non si sarebbe potuto candidare alle prossime politiche, o che non possono considerare loro Comacchio dove si è imposto un altro sindaco eretico che è stato abbandonato al suo destino perché è un cervello indipendente, ma lo zoccolo duro del M5S è l’antipolitica. E quel sentimento è sempre lì, vivo e vegeto, pronto a ritornare fuori. Come diciamo noi politologi, c’è stato un problema di offerta. Grillo si è dimostrato brillante nel 2013 ad intercettare quel voto; vedremo che cosa farà in futuro. Quindi non condivido affatto l’opinione di chi dice “è stato sconfitto il populismo”. No, è stato sconfitto Grillo”.

Le prime analisi sui flussi del voto segnalano anche forti perdite del centrosinistra.
“Beh, con quel leader del Pd che un giorno dice “Mai coalizioni con gli scissionisti!” e poi fa coalizioni con Mdp quasi in tutti i Comuni, solo per dirne una, non c’è da sorprendersi che ci sia un certo disorientamento del suo elettorato…”.

Anche in Francia l’astensionismo non scherza, ha visto?
“Lì c’è stato un ciclone che si chiama Macron che ha letteralmente frantumato il partito socialista e ha aspirato anche molti voti gollisti. In effetti, in Francia come in Italia, il tramonto dei partiti storici, la scomparsa delle famiglie politiche, e la fine delle ideologie, sta allontanando tanti elettori dalla politica e quindi dal voto. Da noi peraltro credo che l’ultimo chiacchiericcio nazionale sulla legge elettorale, abbia disorientato tanti italiani un po’ di tutti i partiti. Penso in particolare all’area dei grillini dove nessuno ha capito che cosa vuole Grillo e c’è un po’ di delusione e anche di depressione nel loro elettorato. Ma il ragionamento vale anche per l’area del Pd. E alla fine l’elettore-tipo dice: sapete che c’è, ho una vita da vivere piuttosto che impazzirvi dietro…”.

In occasione di elezioni amministrative, però, specie in tante realtà medie e piccole, il voto ha sempre richiamato un gran numeri di votanti. Non stavolta. Come mai, professor Pasquino?
“Molti devono avere pensato che vinca questo o vinca quello, alla fine non fa una grande differenza. E torniamo alla morte delle famiglie politiche e alla crisi dei partiti tradizionali…”.

Pubblicato il 13 giugno 2017