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Qualcosa che so sul semipresidenzialismo. Scrive Pasquino @formichenews

In verità il semipresidenzialismo non è né un parlamentarismo rafforzato né un presidenzialismo indebolito. È una forma di governo a se stante. Il commento di Gianfranco Pasquino, accademico dei Lincei e professore emerito di Scienza Politica

Il termine non fu coniato da de Gaulle, uomo di sostanza, e neppure da Maurice Duverger. Il giurista e politologo francese, favorevole all’elezione popolare diretta del Primo ministro, per uscire dalla palude parlamentare, fu un fiero oppositore (di de Gaulle e) del semipresidenzialismo. Poi, forse anche perché si accorse che funzionava alla grande, ne divenne il “teorico” e l’aedo. A inventare il termine fu, con un editoriale pubblicato l’8 gennaio 1959, Hubert Beuve-Méry, direttore del prestigioso quotidiano Le Monde. Molto critico di de Gaulle, affermò che al Generale non era neanche riuscito di arrivare al presidenzialismo, solo ad un quasi presidenzialismo, per l’appunto semipresidenzialismo. In verità il semipresidenzialismo non è né un parlamentarismo rafforzato né un presidenzialismo indebolito. È una forma di governo a se stante.

Ne era esistito un precedente troppo a lungo trascurato: la Repubblica di Weimar (1919-1933). La sua triste traiettoria e la sua tragica fine non ne facevano un esempio da recuperare. Il fatto è che Weimar crollò per ragioni internazionali e nient’affatto essenzialmente a causa del suo sistema elettorale proporzionale. Ad ogni buon conto de Gaulle volle e ottenne un sistema elettorale maggioritario a doppio turno in collegi uninominali che spinge all’aggregazione delle preferenze laddove le leggi elettorali proporzionali consentono (non necessariamente producono) la disgregazione delle preferenze e la frammentazione del sistema dei partiti.

Il ministro leghista Giorgetti prevede, auspica, apprezzerebbe un semipresidenzialismo de facto. Nella sua visione, una volta eletto alla Presidenza della Repubblica Mario Draghi continuerebbe a guidare il “convoglio” delle riforme del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza attraverso un presidente del Consiglio di sua fiducia da lui nominato. Ho sbagliato a criticare la visione di Giorgetti, formulata con molte buone intenzioni. Potrebbe anche essere effettivamente l’esito che si produrrà. Naturalmente, il Parlamento italiano manterrà pur sempre la facoltà di sfiduciare il capo del governo scelto da Draghi, obbligandolo a nuove e diverse nomine. Vado oltre poiché rimane del tutto possibile che con elezioni anticipate oppure alla scadenza naturale della legislatura, marzo 2023, il centro-destra ottenga la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari e rivendichi giustamente la carica di presidente del Consiglio.

Al proposito, i critici del semipresidenzialismo leverebbero altissimi lamenti contro la coabitazione fra Draghi e chi il centrodestra gli proporrebbe e giustamente vorrebbe fosse nominato. In Francia nessuna coabitazione, ce ne sono state quattro, ha prodotto lacerazioni politiche e costituzionali. Mi si consenta di essere assolutamente curioso delle modalità con le quali si svilupperebbe una coabitazione fra Mario Draghi e Giorgia Meloni.

P.S. Dei comportamenti semipresidenzialisti de facto di Napolitano (con Monti) e di Mattarella (con Draghi) scriverò un’altra volta. Sì, è una minaccia.

Pubblicato il 7 novembre 2021 su formiche.net

I miei cinque Zangheri (1925-2015)

Renato Zangheri

Dicembre 1973 primo incontro ad un convegno dell’Associazione “il Mulino” sul mercato del lavoro, relatore Marzio Barbagli. Dialogo fra Giorgio Amendola e Umberto Agnelli. Dichiarazione di Zangheri, già sindaco di Bologna, “il capitalismo non si riforma; si abbatte”.

Metà anni settanta: molte interviste a quotidiani stranieri, svizzeri, tedeschi, “Le Monde”, sul buongoverno di Bologna. Ciliegiona un libro di giornalista svedese quasi che la città di Bologna fosse la “socialdemocrazia realizzata”.

Giugno 1983: Tiepida serata in una Piazza Maggiore molto affollata. Iniziativa di lancio della compagna elettorale con Nilde Iotti, Renato Zangheri e me (candidato indipendente nelle liste del PCI. Confluirò poi nella Sinistra Indipendente del Senato). Sane divergenze di opinioni.

Febbraio 1984, una settimana dopo la conclusione dei lavori della Commissione Bozzi. Telefonata di invito a chiacchierare sul futuro. Immaginandomi comodamente seduto nel salotto della sua abitazione sui colli, indossavo un bel paio di mocassini. Invece, passeggiata all’aperto in strade nelle quali erano rimaste le tracce di una non leggera nevicata. Che cosa ne penso della legge elettorale? Che bisogna superare la proporzionale che rallenta il cambiamento e invischia. Qualche giorno dopo editoriale firmato Renato Zangheri su “l’Unità”: La proporzionale è irrinunciabile.

Giugno 17, 1984: la sera delle elezioni europee successive alla morte di Enrico Berlinguer. Con grande gentilezza, Zangheri, capogruppo del PCI alla Camera dei deputati, mi dà un passaggio da Fiumicino a centro città. Andavo in TV a commentare quell’ottimo risultato. La mattina dopo i notabili del PCI avrebbero scelto il nuovo segretario. Zangheri, il centrista, né ingraiano né migliorista, pur sempre misurato, mi sembrò sostanzialmente molto fiducioso nella sua elezione.