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Meglio non sballottare il voto francese @formichenews

Sconsiglio gli esercizi di comparazione con la situazione italiana fino all’esito del secondo turno delle legislative, 19 giugno, e ancora più fortemente scoraggerei chiunque dal trarne indicazioni sulla stabilità e la durata del governo Draghi. Il commento di Gianfranco Pasquino, accademico dei Lincei
Le notizie su Emmanuel Macron “sorpassato” da Marine Le Pen si sono rivelate largamente esagerate, cioè sbagliate. Le già non elevate probabilità che il Rassemblement National, almeno apparentemente diventato meno sovranista e anti-Unione Europea, riesca a portare all’Eliseo la sua leader sono chiaramente diminuite. I numeri, direbbero i francesi, cantano. Possiamo ascoltare più di una canzone. La prima è rimasta sottovoce. Quando vanno a votare quasi il 75 per cento dei francesi, tre su quattro, intonare la ripetitiva melodia sull’aumento dell’astensionismo significa, chiaramente, “steccare”. Dopodiché, ovviamente, al ballottaggio la partecipazione elettorale diminuirà poiché un certo numero di francesi, avendo perso il loro candidato/a preferito/a si asterrà- Macron/Le Pen? ça m’est égal! La seconda canzone viene proprio dai numeri. Nel pur molto affollato campo dei concorrenti il Presidente Macron aumenta i suoi voti di quasi un milione rispetto al 2017, mentre l’aumento di Marine Le Pen è di circa 500 mila. A sua volta anche Jean-Luc Mélenchon ha ottenuto mezzo milione di voti in più rispetto a cinque anni fa. Tutti gli altri candidati, a cominciare dal destro Eric Zemmour, sono chiaramente perdenti, talvolta come la repubblicana gollista Pécresse e la socialista Hidalgo, in maniera umiliante più che imbarazzante.
Registrato il non troppo ammirevole affanno con il quale i commentatori italiani tentano di trarre qualche lezione francese, risulta opportuno segnalare che domenica 10 aprile si è svolto il primo turno dell’elezione popolare diretta in una repubblica semi-presidenziale. Gli elettori hanno votato, come sanno gli studiosi, in maniera “sincera”, senza nessun calcolo specifico scegliendo il candidato/a preferito/a. Al ballottaggio, invece, una parte tutt’altro che piccola di loro, addirittura quasi la metà, sarà costretta a votare “strategicamente”, in buona misura contro il candidato/a meno sgradito/a. Rimanendo nel campo musicale, il “là” lo ha già dato Mélenchon: “mai la destra”. Naturalmente, nient’affatto tutti i suoi 7 milioni e seicentomila elettori torneranno alle urne. Tuttavia, è molto improbabile che coloro che lo hanno votato perché “anti-sistema” ritengano gradevole che il sistema venga fatto cadere sotto i colpi della destra lepenista.
Non c’è quasi nulla di cui le destre italiane abbiano di che rallegrarsi. Certamente, Meloni potrebbe sostenere che con il presidenzialismo, che i suoi titubanti alleandi (Salvini e Bersluconi) non le hanno sostenuto, la sua leadership apparirebbe molto visibile (ma poi improbabilmente vincente). Non so quanto Fratoianni, sicuro anti-semipresidenzialista, voglia e possa godersi il voto conquistato da Mélenchon. Sono sicuro che Letta può tirare un sospiro di sollievo, ma saggiamente sa che, guardando oltre il ballottaggio, conteranno i voti per le elezioni legislative francesi che con molta probabilità confermeranno una maggioranza operativa per un vittorioso Macron.
In conclusione, tuttavia, sconsiglio questi esercizi di comparazione fino all’esito del secondo turno delle legislative, 19 giugno (che, forse, Formiche mi inviterà a commentare) e ancora più fortemente scoraggerei chiunque dal trarne indicazioni sulla stabilità e la durata del governo Draghi. “Mogli e voti di casa tua” (antico detto provenzale).
Pubblicato il 11 aprile 2022 su Formiche.net
Francia, Pasquino: “Rivincerà Macron. Boom antipolitico? Fa bene a Fratoianni” #intervista @Affaritaliani

Intervista al professore emerito di Scienza politica: “Se ci saranno scossoni per il governo, non verranno certo dalla Francia” di Paola Alagia
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica: “Nessuna influenza sui partiti di destra in Italia perché Le Pen perderà, Zemmour è andato piuttosto male e Mélenchon, casomai, è antisistema di sinistra. Da noi, quindi, dovrebbe ringalluzzire piuttosto Fratoianni”
I francesi hanno archiviato il primo turno delle presidenziali. L’esito della sfida tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen è rimandato ai ballottaggi tra due settimane. E’ vero che l’attuale inquilino dell’Eliseo è in vantaggio, ma è altrettanto evidente che il consenso raccolto dal fronte dei partiti antisistema, da Le Pen all’estrema destra di Eric Zemmour, alla sinistra di Jean-Luc Mélenchon, sommati agli altri meno rappresentativi, ha superato la soglia del 50%. Quanto basta, soprattutto dopo la vittoria di Orban in Ungheria, per ringalluzzire i partiti di destra in Italia, a cominciare dalla Lega di Salvini? Affaritaliani.it lo ha chiesto a Gianfranco Pasquino. Il professore emerito di Scienza politica non ha dubbi al riguardo: “Nessuna influenza perché sostanzialmente Le Pen perderà, Zemmour è andato piuttosto male e Mélenchon, casomai, è antisistema di sinistra. Da noi, quindi, dovrebbe ringalluzzire piuttosto Fratoianni”.
Professore, la partita comunque rimane aperta e il dato dell’elettorato antisistema significherà qualcosa. Che ne pensa?
E invece no. La partita non è aperta. È assolutamente poco aperta, direi quasi chiusa. A favore di Macron.
Spostiamoci in Italia. Lei, dunque, guardando al governo Draghi escluderebbe fibrillazioni come riflesso del voto francese? Mi riferisco alla tentazione del voto per esempio da parte della Lega che potrebbe portare Salvini ad abbandonare la maggioranza.
Non possiamo trascurare un elemento saliente e cioè che l’elettore è sufficientemente intelligente da capire che vota per il Parlamento italiano e quindi guarda i dati francesi con sufficienza. Da noi i cittadini, questo sì, sarebbero molto più preoccupati se Le Pen fosse in testa e Zemmour fosse andato molto bene. Comunque, i voti francesi sono francesi, punto. E quando voteremo a febbraio-marzo del 2023 saranno ampiamenti dimenticati.
Conclusione: nessuno scossone. E’ così?
Gli scossoni non vengono dalla Francia. Se ci saranno è perché ce li daremo noi da soli.
Soffermiamoci un attimo su Giorgia Meloni e Marine Le Pen. E’ vero che la leader di FdI non ha voluto un gruppo unico con quello di Salvini e Le Pen. Tuttavia, c’è qualche similitudine nella parabole di queste due donne?
La prima similitudine è appunto che sono due donne, la seconda è che sono due donne di destra che si sono fatte in qualche modo da sé, anche se Le Pen ha avuto un vantaggio, suo padre, rispetto a Giorgia Meloni. Dopodiché rappresentano due tipi di nazionalismo, ma quello francese è sempre stato molto aggressivo. A eccezione dell’aggressività ai tempi del fascismo, invece, Meloni ha saputo distaccarsene, ha usato anche le parole giuste, patriota invece che nazionalista. E comunque poi a fare la differenza è il sistema elettorale: nella Repubblica semipresidenziale francese, infatti, Le Pen convoglia i consensi su di sé.
Nel campo del centrosinistra italiano, da un lato c’è il segretario del Pd Enrico Letta che ha parlato apertamente di rischio terremoto per l’Europa e impatto sull’Italia, in caso di vittoria di Marine Le Pen. Dall’altro c’è il leader del M5s Giuseppe Conte che, invece, al netto delle differenti visioni ha sottolineato la vicinanza rispetto ad alcuni temi posti. Cosa raccontano queste sfumature?
Conte non conosce abbastanza la politica e quindi quando si esprime su argomenti che non conosce dice cose che sono sbagliate. Tutto qui.
E’ vero pure che la questione del potere d’acquisto è sentita anche in Italia. Così come è abbastanza conclamata una distanza tra i partiti di sinistra e il loro storico elettorato, non le pare?
La sinistra che non ottiene i consensi a sinistra? Non lo so. Qui il problema è a monte: dovremmo definire bene cosa sia la sinistra. Quali sono i suoi temi? Le classi popolari non hanno solo problemi economici, ma anche culturali, a cominciare dall’accoglienza, che prescinde da quella dei profughi ucraini. Una questione, appunto, che la sinistra ha affrontato malamente. C’è un multiculturalismo inadeguato e questo ha allontanato alcuni elettori.
Pubblicato il 11 aprile 2022 su Affaritaliani.it
Cosa manca al centrodestra di Salvini. Parla il prof. Pasquino
Intervista raccolta da Giovanni Bucchi per Formiche.net
Salvini e Meloni pimpanti. Berlusconi spompato. Al centrodestra manca la terza gamba centrista, ossia un esponente di Forza Italia, più o meno quarantenne, che abbia la stessa capacità di trascinamento e sia un buon oratore. L’analisi del politologo che era presente in piazza Maggiore a Bologna per la kermesse voluta dalla Lega
Avanza un nuovo centrodestra. Avanza una nuova generazione di leader incarnata dal leghista Matteo Salvini della Lega e da Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia. Peccato però che in questo nuovo centrodestra ci sia un “terzo assente”, dato che ancora non si trova un leader giovane ed emergente di Forza Italia in grado di guidare la coalizione e gettare l’amo nell’area centrista. Questo “40enne forzaitaliota” continua a latitare perché Silvio Berlusconi non vuole cedere il passo. Nonostante l’inevitabile declino della sua forza propulsiva e aggregatrice, come si è visto oggi a Bologna.
E’ questa in sintesi l’analisi fatta da Gianfranco Pasquino dopo una mattinata trascorsa in piazza Maggiore a seguire la manifestazione “Liberiamoci e Ripartiamo” organizzata dal Carroccio. Il politologo dell’Università di Bologna, ex senatore indipendente di sinistra, in questa intervista con Formiche.net offre una lettura di quanto accaduto sotto le Due Torri, tratteggiando gli scenari futuri del centrodestra italiano.
Professor Pasquino, lei oggi era in piazza Maggiore nella sua Bologna alla manifestazione della Lega Nord. Qual è stata la sua impressione?
Piazza Maggiore era certamente piena; al di là dei numeri che daranno gli organizzatori, credo che 40mila persone ci fossero per davvero, e per Bologna non è poco. Ho visto molte bandiere della Lega, molte anche di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale, assenti invece quelle di Forza Italia. Ho girato abbastanza tra la gente, riscontrando un pubblico molto variegato, fatto di persone anziane, donne di mezza età, giovani e molti uomini. Ho avuto l’impressione di trovarmi in una piazza di popolo, antagonista rispetto al governo ma senza intemperanze.
E’ stato un successo per gli organizzatori?
E’ stato un grande successo organizzativo di Salvini, che ha fatto gli onori di casa. Era una piazza leghista con due invitati di rilievo: una giovane donna romana, la Meloni, buona oratrice di piazza anche un po’ teatrale, e un uomo anziano, un po’ ripetitivo, chiaramente spompato, che dava i numeri ma che non ha più nessuna forza propulsiva e non riesce a prenderne atto. Ha parlato quasi nel disinteresse della gente.
Immagino stia parlando di Berlusconi. Il quale però ha detto che con Salvini e la Meloni può superare il 40%, si è preso pure qualche fischio ed è arrivato a paragonare Grillo a Hitler e Renzi al Duce. Che idea s’è fatto?
La narrazione berlusconiana è finita, non riesce più a dare nulla di convincente a questo Paese. La sua parabola si è conclusa, continua a ripetere le stesse cose dette negli ultimi tre o quattro anni ma prive di accenti di novità. Berlusconi non è più convincente per nessuno, oggi lo si percepiva a pelle. I suoi eccessi al microfono hanno destato qualche ilarità tra la folla, c’era intorno a me chi diceva che stava esagerando, poi ha iniziato a dare i numeri come quella storia del 40%… è stata accolta da alcune risate. Sa cosa ho fatto io?
No, me lo dica.
Ho avvertito mio figlio: se divento così ripetitivo, devi intervenire per farmi smettere!
Dopo la manifestazione di Bologna, nel centrodestra cambierà qualcosa?
Bisogna prendere atto che c’è una nuova generazione incarnata da Salvini e dalla Meloni. Però manca la terzo gamba, io parlo di un “terzo assente”, ossia un esponente di Forza Italia, più o meno quarantenne, che abbia la stessa capacità di trascinamento e sia un buon oratore di piazza. Ci manca questo forzaitaliota giovane, anche perché è evidente che né Salvini né la Meloni possono guidare il centrodestra nel suo insieme; sono di parte, anche di parti distanti tra loro, non riescono a fare una sintesi adeguata. La Meloni ha fatto un discorso nazionalista, senza eccessi e senza nessun cenno di populismo, anche quando ha parlato di islamofobia ha chiaramente fornito una visione italiana, di destra nazionale, ma non è una Le Pen perché non eccede a quel livello. Salvini invece ha aspirazioni populiste, ha mandato sul palco alcune persone a raccontare delle loro difficoltà di vita per farle attaccare il governo, ma erano poco considerate dalla piazza.
La piazza di Bologna ha incoronato Salvini come nuovo leader del centrodestra?
Se il centrodestra facesse le primarie, le vincerebbe subito Salvini, a meno che decida di non partecipare. Ma non credo proprio che le faranno. Salvini è consapevole di essere tecnicamente il capo dello schieramento, ma la coalizione con lui in testa non vince, non conquista abbastanza voti; e lui lo sa. Per questo sono convinto che cercheranno di trovare personalità differenti, come i governatori leghisti Zaia e Maroni. Anche se io continuo a pensare che il miglior candidato premier del centrodestra debba essere un esponente di Forza Italia, preferibilmente legato al mondo cattolico, che in regioni chiave come il lombardo-veneto è molto forte. Sul palco di oggi mancava proprio una figura di questo tipo. Gli serve un politico di statura medio-alta, non devono andare a cercare un giornalista o chissà cos’altro.
Si apre quindi il tema del rapporto con il centro. C’è Area Popolare, un soggetto politico magmatico e con contorni non ancora ben definiti.
La definizione di ambiente magmatico è corretta. Si tratta di un’area confusa, alla quale non si può dare un’organizzazione, ma dove si può tentare di reclutare quelli che sono leader naturali dentro al mondo cattolico. Anche il centrodestra salviniano ha bisogno di una componente di centro. Quando c’era Berlusconi, era lui che riusciva ad agganciarla e a prenderne i voti. Adesso non c’è un esponente forte di Forza Italia su cui fare leva; non a caso la Meloni oggi ha insistito molto sulla difesa della famiglia tradizionale perché sa di dover trovare voti nel mondo cattolico.
Con Salvini leader del centrodestra e Berlusconi e Meloni al traino, Renzi può dormire sonni tranquilli?
Spero proprio che Renzi non dorma sonni tranquilli e si preoccupi del fatto che se non cambia la legge elettorale, al ballottaggio si trova con uno sfidante scelto da Grillo, il che potrebbe diventare per lui parecchio problematico. Non ho alcun dubbio sul fatto che al ballottaggio con Renzi ci andrà un esponente dei 5 Stelle, così come non ho dubbi sul fatto che una parte della piazza di oggi preferirà in quel caso votare un grillino rispetto a Renzi.
Pubblicato 8 novembre 2015
I migranti lo sanno l’Europa c’è
Troppo bistrattata, l’Unione Europea non può in alcun modo essere considerata responsabile della migrazione di centinaia di migliaia di persone. Al contrario, per quei migranti, tecnicamente quasi tutti clandestini, ad eccezione di coloro che hanno diritto allo status di rifugiato politico, l’Unione Europea è, in buonissima misura, la soluzione almeno temporanea. Molti, se e quando potranno, rientrerebbero nelle loro patrie, cessassero mai le guerre civili, a cominciare da quella in corso in Siria e quella, non finita, in Sudan. Finora, contrariamente ai troppi e male informati critici, pure in assenza, questa sì criticabile, di una politica comune dell’Unione Europea, non pochi Stati-membri, soprattutto a cominciare dall’Italia a continuare con la spesso accusata Germania e con la silenziosa Svezia, hanno accolto moltissimi emigranti, magari non sapendo delineare criteri da condividere con Stati più riluttanti.
L’Unione Europea non ha creato il problema della migrazione. Non è responsabile né del disastro libico, anche se poteva interrogarsi prima su come gestire le conseguenze dall’intervento contro un dittatore sanguinario come Gheddafi. L’Unione Europea non porta nessuna responsabilità neppure delle guerre civili in Siria e nel meno noto caso dello Yemen. Piuttosto bisognerebbe ricordare agli americani, non principalmente a Obama, ma anche agli inglesi, i Conservatori votarono a favore, che furono loro ad appiccare l’incendio con la guerra in Iraq. Non “causa” delle immigrazioni, l’Unione Europea deve, tuttavia, trovare una o più soluzioni. Lo deve fare non per paura, infondata, dei migranti terroristi, ma per rimanere fedele ai suoi valori e ideali di protezione e di promozione dei diritti umani.
La paura che, in troppi luoghi dell’Europa, viene manipolata da alcuni leader, l’ungherese Orbàn, l’inglese Cameron, la francese Le Pen e, nel suo piccolo, dal leghista Salvini, è infondata. Con i migranti non arrivano i terroristi, i quali, dovremmo averlo imparato da tre brutti avvenimenti: gli attentati alla stazione di Madrid, alla metropolitana di Londra e al settimanale francese Charlie Ebdo, erano già qua, nati, vissuti male e decisi in nome di un qualche più o meno distorto precetto religioso a colpire gli europei. I migranti sono tutti alla ricerca di luoghi dove sopravvivere con le loro famiglie. Il loro arrivo in Europa costituisce, senza esagerare, un omaggio al cosiddetto vecchio continente. Un giorno, probabilmente, qualcuno scoprirà che i migranti hanno rivitalizzato, non soltanto demograficamente, l’Europa.
Che il problema non abbia, però, una soluzione soltanto europea, non significa affatto che non debba essere cercata anche nell’ambito dell’Unione. Il conservatore Cameron e la sua Ministra May, annunciando politiche di blocco degli ingressi e delle permanenze sul territorio inglese, denunciano la loro mancanza di volontà e la loro incapacità a trovare soluzioni. Bloccare gli immigrati prima che siano messi sui barconi da scafisti che perseguono il loro personale arricchimento, spesso tollerati qualche volta incoraggiati da governanti, come quelli libici e di alcuni paesi dell’Africa sub sahariana, che non controllano il loro territorio, è operazione difficilissima. Aiutare, anche con denaro, risorse, intelligence, qualche governante del Maghreb e del Medio-Oriente, a riportare un ordine decente e non repressivo nei loro paesi sembra politica più saggia e più produttiva, soprattutto nel medio periodo. Molto potrebbe farsi, come da tempo già succede soprattutto in Germania e in Svezia, con politiche nazionali di integrazione linguistica e lavorativa. Forse l’Unione Europea dovrebbe partire proprio da queste esperienze e tentarne la generalizzazione fra tutti gli Stati-membri. Il resto sono chiacchiere, più o meno politicizzate, particolaristiche, a vanvera.
Pubblicato AGL il 1°settembre 2015