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Il sistema partitico italiano è destrutturato, per ristrutturarlo è necessaria una buona legge elettorale

Molto di quello che succede nella politica italiana dipende dalla mancata strutturazione del sistema dei partiti. Se un’ex-segretario del Partito Democratico può fare una scissione per conquistarsi e esercitare potere di ricatto (è terminologia tecnica di un fenomeno reale) sul governo e sul suo ex-partito, è perché partiti e sistema dei partiti non sono strutturati. Nessuna legge elettorale proporzionale potrà porre rimedio a questa desolante dinamica.

Nei partiti abbiamo già visto correnti di opinione e correnti di potere. Adesso vediamo persone che si muovono seguendo un leader che promette cariche e rielezione…

È frequente e anche positivo che in un partito esista una pluralità di opinioni, si formulino più proposte, si prospettino più soluzioni. È anche possibile che i portatori di opinioni, proposte, soluzioni simili si organizzino, agiscano insieme. Le correnti diventano, però, deleterie, quando si organizzano non per contribuire all’elaborazione e attuazione di una linea politica, ma per dare cariche a persone che, proprio perché sono senza idee, si spostano seguendo un leader “promettente”: propensione italiana tuttora Piuttosto Diffusa (PD).

The never ending game. A proposito dell’ennesimo dibattito, o presunto tale, su una “nuova” legge elettorale

Tornare alla proporzionale? Vantare improbabili meriti maggioritari? Di che cosa si sta parlando? Facciamo il punto nella solita confusione derivata sostanzialmente dall’assenza di conoscenze minime in materia elettorale. Qualche volta mi piacerebbe sentire dalla persino troppo viva voce di molti dei protagonisti quale libro oppure anche soltanto quale articolo hanno letto sui sistemi elettorali. La vigente legge Rosato è per due terzi proporzionale e per un terzo maggioritaria. Dunque, non è che il “ritorno” alla proporzionale cambierebbe in maniera significativa la distribuzione dei seggi, se non per quei burloni di studiosi che hanno incautamente scritto di “effetti maggioritari” di quella legge. A scanso di equivoci, è utile ricordare che l’Italicum era una legge elettorale sostanzialmente proporzionale con un premio in seggi proprio, la ratio era la stessa, come la legge Calderoli (meglio nota come Porcellum), con liste bloccate, vale a dire senza possibilità di scegliere il candidato/a preferita/o. In Italia non abbiamo mai avuto una legge elettorale effettivamente maggioritaria, ma la legge Mattarella (il cd. Mattarellum) – esito, lo ricordo e lo sottolineo, di un quesito referendario voluto e votato dai cittadini – ci è andata piuttosto vicino: tre quarti dei seggi (non delle poltrone) attribuiti con sistema maggioritario in collegi uninominali, un quarto recuperati con sistema proporzionale completato da una soglia di sbarramento del 4%.

Davvero proporzionale fu la legge elettorale italiana con la quale si votò dal 1946 al 1992 compreso. Non provocò sconquassi, niente a che vedere con la, oggi temutissima, soprattutto da chi non ne conosce la storia, Repubblica di Weimar. “La” proporzionale italiana non produsse neppure la proliferazione dei partiti, il cui numero nel corso del tempo rimase abitualmente più vicino a sette che a noveAd ogni modo, “tornare alla proporzionale” è una frase praticamente senza senso poiché di varianti dei sistemi elettorali proporzionali ne esistono molte, delle quali quella caratterizzata dall’aggiunta di un premio di maggioranza è quasi sicuramente la peggiore, mentre la proporzionale migliore è e rimane quella tedesca.

La logica di una legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza comunque sia attribuito è molto diversa da quelli dei sistemi maggioritari. Tuttavia, anche in questo caso, affermare, più o meno solennemente, la preferenza per un sistema maggioritario significa poco o niente poiché i due sistemi maggioritari attualmente esistenti, quello inglese e quello francese, sono molto significativamente diversi da una pluralità di prospettive. L’unico elemento, importante, meglio decisivo e dirimente, che condividono, è il collegio uninominale dove vince un solo candidato e tutti i suoi concorrenti perdono e non possono essere ripescati. Quando nei vari commenti leggo, inevitabilmente increspando le sopracciglia, che Prodi e Veltroni si dichiarano a favore del maggioritario, mi chiedo: quale maggioritario, inglese o francese? Rimango in attesa della risposta, magari argomentata con riferimento agli obiettivi che i sedicenti maggioritari desiderano perseguire, per esempio, più potere per gli elettori, migliore rappresentanza politica collegio per collegio, maggiore trasparenza nella formazione di coalizioni che si candidano a governare, persino, qualsiasi cosa voglia significare (accetto suggerimenti) governabilità. Al catalogo aggiungerei ambiziosamente: “ristrutturare partiti e sistema dei partiti”.

Però, non mi chiedo mai se le leggi elettorali maggioritarie servono ad eleggere direttamente i governi. Da nessuna parte è così, ed è meglio che sia così. Chiederei a tutti coloro che entrano nel dibattito, ma soprattutto ai parlamentari e ai dirigenti dei partiti, di essere molto precisi nell’indicazione e nelle motivazioni del sistema elettorale che vorrebbero formulare e utilizzare per eleggere i prossimi 400 deputati e 200 senatori.

Pubblicato il 13 settembre 2019 su rivistailmulino.it

Le promesse sulla legge elettorale #OscuriDesiderideiPolitici

Care (e)lettrici e (e)lettori che sulle spiagge fra un bagno e l’altro e fra una bibita e un gelato vi chiedete con quale legge si andrà a votare, prestate un po’ di attenzione anche saltuaria a quel che dicono i politici. Vogliono farvi credere che preparano una legge buona per voi e per il sistema politico che diventerà finalmente governabile. È l’oggetto di loro oscuri desideri. Per metà non sanno di cosa parlano poiché i meccanismi elettorali hanno sempre qualche elemento di complessità che sfugge loro, per l’altra metà, manipolano.

Primo punto, non credete a chi vi dice che purtroppo stiamo tornando alla proporzionale. Il ritorno è avvenuto già nel 2005 con la legge del centro-destra nota come Porcellum e sarebbe continuato con l’Italicum (non casualmente gradito anche a Berlusconi), entrambe leggi proporzionali “distorte” da un premio di maggioranza. I critici del ritorno, in realtà, desiderano non una legge elettorale maggioritaria come l’inglese o la francese, entrambe applicate in rischiosissimi collegi uninominali, ma un premio di maggioranza per trasformare un consenso elettorale del 30/40 per cento di voti in un gruppo parlamentare con 54 per cento di seggi. Meglio di no, meglio non stravolgere artificialmente la rappresentanza proporzionale, visto anche che né con Berlusconi né con Renzi al governo abbiamo avuto stabilità e efficacia decisionale.

Secondo, è’ tornato in auge, ma non sono sicuro lo sia davvero mai stato, il sistema elettorale tedesco che, con buona pace del Direttore de “Il Foglio” e di troppi altri, non è un proporzionale “puro” non foss’altro perché ha una bella clausola del 5 per cento per accedere al Parlamento. Allo stato dei consensi rilevati da tutti i sondaggisti, quella clausola escluderebbe dal Parlamento Angelino Alfano, Giorgia Meloni, il Movimento Democratico Progressista. Otterrebbero seggi il PD, il Movimento Cinque Stelle, Forza Italia e la Lega Nord (no, non sono sicuro che questa sarà la graduatoria). Sono sicuro che qualsiasi premio di maggioranza fantasiosamente inserito nel sistema tedesco lo snaturerebbe e imporrebbe di chiamarlo in un altro modo.

Terzo, sotto traccia tutti sanno, più di chiunque lo sanno i parlamentari, che quello che interessa davvero sia a Berlusconi sia a Renzi è avere il potere di nominare i propri parlamentari. Il sistema davvero tedesco elegge metà dei parlamentari in collegi uninominali, anche per questo i due leader ne vorrebbe una correzione/stravolgimento. Quanto alla reintroduzione delle preferenze per dare agli elettori un po’ di potere nell’elezione dei parlamentari, è alquanto offensivo per gli italiani sostenere che il voto di preferenza è veicolo di corruzione come se i parlamentari in carica dal 2013, nessuno eletto con voti di preferenza, non fossero incappati in molti casi di corruzione e di altri reati connessi.

Soprattutto, alza la voce Matteo Renzi, quarto punto, niente coalizioni. Lui sostiene che la coalizione la fa(rà) con i cittadini. Peraltro, il governo che Renzi ha guidato da febbraio 2014 al dicembre 2016 era un classicissimo governo di coalizione: Partito Democratico, Scelta Civica, Nuovo Centro Destra. Quel che più conta, però, è che la politica è proprio l’arte di fare coalizioni anche di governo. Non sarà mica un caso se tutte le democrazie parlamentari dell’Europa occidentale, ma anche la democrazia semipresidenziale francese, hanno governi di coalizione? Aggiungo che tutte queste democrazie, ad eccezione di Gran Bretagna e Francia, usano da molto tempo, alcune da sempre, leggi elettorali proporzionali.

Allora, concludo, il compito per le vacanze dei politici che non ne sanno abbastanza e per quelli che fanno furbesche manipolazioni è: non inventatevi nulla. Avete già dato molto e male. Studiate le leggi elettorali europee per importarne il meglio. Al momento opportuno gli elettori vi valuteranno anche con riferimento alla legge con la quale saranno costretti a votare (o no).

Pubblicato AGL 8 agosto 2017

Leggi elettorali: precisazioni, critiche, proposte alla Costituente delle idee #cosedifuturo

possibileRoma 24 febbraio 2017

I feticci della riforma elettorale

La terza Repubblica

Senza riforme presidenziali, le strade si riducono. Ma si semplificano

Chiunque voglia scrivere una buona legge elettorale in Italia oggi deve sconfiggere tre feticci espressi sotto forma di necessità assoluta di: 1. conoscere il vincitore la sera stessa delle elezioni; 2. produrre Il governo direttamente con il voto del popolo; 3. evitare la formazione di governi di coalizione.

Il fatto che questi feticci siano adorati in maniera diffusa e persino crescente non li rende accettabili. Quanto al primo feticcio, non è neppure chiaro che cosa significhi esattamente “conoscere il vincitore delle elezioni”. Forse chi ha avuto più voti? Chi ha vinto più seggi? Chi ha ottenuto il maggior incremento percentuale/numerico rispetto alle elezioni immediatamente precedenti? Ma, poi, è davvero questa la preoccupazione principale dell’elettorato? Probabilmente, no. Comunque, non esiste nessuna ricerca in materia, nessuna evidenza.

Il secondo feticcio è molto pericoloso per due ragioni. Da un lato, in nessuna democrazia parlamentare il popolo, gli elettori, i cittadini votano per il governo. In tutte le democrazie parlamentari, che sono democrazie rappresentative, i voti dei cittadini servono ad eleggere i loro rappresentanti al Parlamento. Contati i voti e i seggi, quei rappresentanti, che probabilmente conoscono le preferenze dei loro elettori e hanno molte informazioni sugli eletti degli altri partiti, cercheranno accordi programmatici per dare vita a un governo stabile, duraturo, efficace. Dall’altro lato, il feticcio “il popolo elegge il governo” legittima e incoraggia la critica populista, antiparlamentare, e nega ai rappresentanti qualsiasi spazio di manovra.

Il terzo feticcio “evitare i governi di coalizione” è, per quel che riguarda le democrazie parlamentari, fattualmente sbagliato e non esiste post-verità che lo renda nemmeno plausibile. Agitando quel feticcio si oscurano due elementi importantissimi per tutti coloro che hanno a cuore la governabilità, non come arma propagandistica, ma come esito. I governi di coalizione sono maggiormente rappresentativi dell’elettorato, delle sue preferenze e dei suoi interessi. Sono anche più “moderati”, vale a dire che nessuno dei partiti potrà tradurre in politiche pubbliche le sue promesse più estreme, spesso fatte soltanto per conquistare un pugno di voti in più, ma tutti i partiti dovranno moderare le loro proposte programmatiche per renderle compatibili con le preferenze degli altri partners, ciascuno costretto a rinunciare a qualcosa.

Coloro che vogliono ottenere la traduzione pratica di tutt’e tre i feticci non possono accontentarsi di nessuna legge elettorale né maggioritaria né proporzionale. Debbono proporre il mutamento della forma di governo: da parlamentare a presidenziale. Sì, la sera delle elezioni sapranno chi le ha vinte (a meno che non siano stati denunciati brogli elettorali); sì, il Presidente eletto darà rapidamente vita ad un governo; sì, è molto probabile, ma non sempre possibile, che quel governo sia espressione di un solo partito, quello del Presidente. Naturalmente, come sanno gli studiosi dei presidenzialismi e come hanno imparato gli elettori, nelle Repubbliche presidenziali quello che conta è l’esistenza di freni e contrappesi al potere del Presidente, ma questo è un problema/inconveniente che nessuna legge elettorale può affrontare, meno che mai risolvere.

Una volta chiarito che in Italia praticamente nessuno propone esplicitamente un modello presidenziale e buttati a mare i feticci creati ad arte, la discussione sulla legge elettorale può ripartire con il piede giusto. Può andare in Francia a pescare il doppio turno (non ballottaggio) in collegi uninominali con clausola di passaggio al secondo turno, oppure visitare la legge elettorale proporzionale personalizzata con clausola di accesso al Parlamento funzionante in Germania. Scegliendo un sistema elettorale già sperimentato si riducono i rischi e si potrebbe persino ovviare a qualche loro inconveniente. Tutto il resto è melina, inconcludente, fastidiosa, persino pericolosa.

Pubblicato il 1°marzo 2017

Qualcosa da sapere sui sistemi politici

testata

Diradare la confusione e sventare la manipolazione è possibile

Chi facesse attenzione al dibattito sui partiti, sulle istituzioni, sulle democrazie (con quella italiana che, “governata” da Renzi, starebbe subendo una “deriva autoritaria”) finirebbe per pensare che, in fondo, in Italia, si può dire davvero di tutto. Se nessuno sa che cosa sono i partiti, se molti ritengono che in materia di riforme elettorali e istituzionali tutto è opinione e niente è strafalcione, se ciascuno definisce la democrazia come gli pare (magari dimenticandosi che un po’ di “potere del popolo” è l’elemento costitutivo e irrinunciabile di qualsiasi definizione decente), se anything goes, allora everything diventa confusissimo. Diradare la confusione e sventare la manipolazione è possibile per coloro che abbiano studiato e posseggano gli strumenti per analizzare e spiegare la politica, per l’appunto: partiti, istituzioni e democrazie.
No, non bisogna confondere le preferenze personali, che comunque, dovrebbero essere argomentate e giustificate, con le conoscenze disponibili che hanno solide basi nella storia e nella comparazione fra sistemi e attori politici. No, non sono accettabili le affermazioni che fanno di tutta l’erba un fascio, ma che non sanno neppure di che erba parlano. Che sia non soltanto possibile, ma addirittura corretto affermare che sono proprio le limitatissime conoscenze sulla politica e sulle istituzioni a dare, in Italia, solido e continuo alimento, allo stesso tempo, tanto all’antipolitica quanto alla cattiva politica? E’ certamente vero che non si può chiedere agli italiani di diventare tutti “scienziati della politica”. Tuttavia si potrebbe e dovrebbe chiedere ai commentatori politici, ai giornalisti, non soltanto quelli “di punta”, quelli che stanno, questa è l’espressione di moda, “sul pezzo”, magari addirittura ai dirigenti politici, di studiare un po’ di scienza politica.
Il florilegio di errori gravi e di manipolazioni è talmente vasto che condurrebbe alla stesura di un non del tutto inutile libro. Parto dall’attualità. Si può consentire al Presidente del Consiglio di dichiarare che l’Italicum (una legge elettorale proporzionale con scrutinio di lista e premio di maggioranza) è un Mattarellum (una legge elettorale maggioritaria per l’elezione di tre quarti dei parlamentari in collegi uninominali) con le preferenze? Aberrante. Si può accettare, senza contraddirla, che il Ministro Boschi sostenga che non si tratta di “capilista bloccati”, ma di “rappresentanti di collegio” che in quel collegio potranno essere, anzi, sicuramente molti saranno, paracadutati, che in quel collegio non avranno nessun obbligo, né politico, di fare campagna elettorale, né giuridico, di residenza, che in quel collegio non avranno nessuno sfidante, che, addirittura, grazie alla possibilità di candidature multiple (dieci) potrebbero trovarsi a “rappresentare” più collegi? Allucinante. E’ possibile accettare la critica al capo del governo italiano di non essere stato “eletto” quando, tecnicamente, non esiste in nessuna democrazia parlamentare l’elezione popolare diretta del capo del governo? Quando tutti dovrebbero sapere che i capi di governo nelle democrazie parlamentare devono godere di un rapporto di fiducia con il loro Parlamento? Quando abbiamo visto che persino i capi di governo nel sistema politico inglese sono sostituibili dal loro partito (come Thatcher e Blair)? Che se, a ogni sostituzione di capo di governo ad opera del suo partito o della sua maggioranza, fosse necessario tornare alle urne verrebbe bruciata una delle qualità dei modelli parlamentari di governo: la loro adattabilità.
Di converso, è giusto sostenere che l’avere ottenuto un’alta percentuale di voti nelle elezioni europee offre al capo del partito che ha effettivamente vinto quelle elezioni la legittimazione elettorale “nazionale” che gli manca? Esistono nelle democrazie, parlamentari, presidenziali, semi-presidenziali, partiti che aspirano a definirsi “della Nazione”, senza cogliere il rischio, questo sì, effettivo, di una concezione autoritaria della dinamica politico-partitica che delegittimerebbe i concorrenti ? Infatti, i concorrenti di un eventuale Partito della Nazione potrebbero essere facilmente incasellati come rematori “contro-Nazione”. Davvero esistono sistemi elettorali che impediscono di sapere chi ha vinto le elezioni la sera stessa del voto? Certamente, sì: ad esempio, proprio l’Italicum nel quale il ballottaggio fra i due partiti più votati prorogherà la conoscenza del vincitore di una, se non addirittura due settimane.
Le democrazie che funzionano meglio sono quelle nelle quali l’alternanza è possibile ad ogni elezione, che non significa che avviene ad ogni elezione. Altrimenti, che splendida democrazia sarebbe stata quella italiana dal 1994 al 2013 con tutti i governi rimpiazzati dall’opposizione in ogni elezione di quel periodo! Altrove, in assenza di una vera e propria alternanza completa si hanno ricambi parziali nelle coalizioni di governo. Con il premio alla lista o al partito, l’Italicum cancella un’altra peculiarità delle democrazie parlamentari europee, che, incidentalmente, funzionano praticamente tutte meglio di quella italiana: la necessità di formare coalizioni di governo. Bi- (anche quando sono Grandi Coalizioni: Germania e Austria) o multipartitici, i governi di coalizione sono regolarmente più rappresentativi di elettorati compositi e spesso sono in grado di fare riforme importanti. Il Patto del Nazareno, per le mentalità non complottistiche, può essere letto come una coalizione per fare le riforme, sulla cui qualità, ovviamente, è lecito e opportuno avere dei dubbi. Non si possono avere dubbi sulla pessima qualità del dibattito politico italiano, sulla quasi scomparsa di cultura e culture politiche in questo paese. Riflettendo sui miei saggi che, in qualche caso, hanno trent’anni di vita, ma, come si dice, sono attualissimi, è possibile imparare molte cose sui partiti, sulle istituzioni, sulle democrazie, diventando commentatori e cittadini migliori.

Articolo scritto per il Laboratorio della contemporaneità della Casa della Cultura