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Pasquino: «Al Partito democratico servono idee, non nomi» #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti

“Sto con Letta. Ha fatto bene a presidiare la piazza di Roma”

Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica a Bologna spiega che «il governo va contrastato con le idee, non con il cambio di segretario» e che quindi il problema del Partito democratico «non è accelerare i tempi del Congresso ma produrre delle idee». Secondo Pasquino «finora il dibattito è stato deludente» perché «i candidati parlano di politiche ma si tratta di ricostruire il partito dalle fondamenta» .

Professor Pasquino, Letta ieri ha scritto che l’opposizione sta contrastando le politiche del governo sull’immigrazione, ma a Catania c’è Aboubakar Soumahoro e non qualche dirigente del Pd. Trova che i dem stiano sbagliando strategia?

Il problema dell’immigrazione non riguarda i partiti o i dirigenti ma l’intero paese, e quindi chiunque sia al governo dovrebbe riuscire a coinvolgere l’opposizione. Il problema è che non abbiamo la soluzione in casa e che è un problema europeo. È l’unico caso in cui mi sento di dire che l’Ue porta una responsabilità pesante. Non riesco a immaginarmi un segretario di partito, peraltro dimissionario, che va li per risolvere la situazione. Anzi, farebbe solo peggio.

Dunque i politici che sono lì in questo momento sbagliano?

Sbagliano e penso che lo facciano solo per un po’ di popolarità e visibilità. Che Sinistra italiana abbia una posizione diversa dal Pd lo sappiamo, ma “accogliere tutti” non è la soluzione. Apprezzo la bontà di Soumahoro, ma la sua non è una soluzione politica.

Torniamo a Letta, che domenica è stato contestato alla manifestazione di Roma. Pensa abbia sbagliato ad andare?

Letta ha fatto benissimo ad andare per portare a quella manifestazione la posizione del Pd, che io condivido totalmente e che peraltro non tutti nel Pd condividono. Si è preso una responsabilità importante perché ci crede. Quella non è solo la sua posizione personale ma spero della maggioranza del partito. Non doveva lasciare la piazza agli equidistanti, che non fanno parte del Pd.

Eppure nelle stesse ore a Milano c’era un’altra manifestazione molto più vicina alle posizioni di Letta, non poteva andare lì come hanno fatto altri esponenti dem?

Bisogna andare dove c’è una posizione opposta o comunque diversa dalla tua, per testimoniarne l’esistenza. A Milano Calenda e Renzi avrebbero comunque controllato la manifestazione e messo Letta in una posizione difficile. Quella era una manifestazione molto vicina alla linea del Pd, è vero, ma proprio per questo Letta non avrebbe portato nulla di utile.

Il segretario dem ha auspicato ieri un’accelerazione sui tempi del Congresso, condivisa da Bonaccini. Crede che anche da questo passi un’opposizione più dura al governo Meloni?

Non penso, perché il governo va contrastato con le idee, non con il cambio di segretario. Il problema non è accelerare ma produrre delle idee. Finora il dibattito è stato deludente. I candidati parlano di politiche ma si tratta di ricostruire il partito dalle fondamenta. E bisogna sapere che tipo di partito si vuole costruire. Si vuole o no un partito socialdemocratico che riscopra il rapporto con i sindacati così da riportare indietro milioni di voti? In queste settimane non ho visto idee, solo persone che si candidano. L’unica che ha proposto qualcosa è Paola de Micheli, ma in generale il dibattito è cominciato male e non finirà bene.

La ricostruzione passa anche dal voto in Lazio e Lombardia: quale futuro vede per il Pd dopo il “caso Moratti”?

Non sono un astrologo ma è chiaro che in Lombardia la mossa di Renzi e Calenda fa perdere il Pd. Se il Pd aveva una minima possibilità di vincere, con Moratti che portava via voti al centrodestra, questa mossa invece lo farà perdere. Nel Lazio bisogna che Pd e M5S giungano a un accordo. Se Calenda e Renzi vanno su Alessio D’Amato, indeboliscono l’eventuale alleanza tra dem e grillini ma al tempo stesso la facilitano perché chiariscono le idee agli elettori. Ma Pd e M5S o si mettono insieme o rinunciano a vincere le regionali.

Le inadeguatezze politiche e identitarie delle opposizioni @DomaniGiornale

Come reagire di fronte alle politiche del governo di destra-centro? (In)comprensibilmente, le opposizioni stanno già dando immediata prova della loro inadeguatezza. Il governo Meloni prosegue in alcune scelte preannunciate dal governo Draghi, ad esempio, il reintegro del personale sanitario NoVax (pochi medici molti infermieri e collaboratori vari), le opposizioni si esercitano sulla critica invece di portare elementi e dati a sostegno di una politica di maggiore cautela. Il governo mette in cima alle sue priorità l’ordine pubblico (gestione e conclusione senza violenza del rave party di Modena), le opposizioni spostano, anche giustamente, l’attenzione sulla marcia di Predappio da loro poco o nulla contrastata nel passato. Il governo Meloni emana decreti, le opposizioni con la coda di paglia non denunciano la decretazione d’urgenza su tematiche sulle quali è lecito chiedere il passaggio parlamentare e sfidare la compattezza della maggioranza. Non so se possono spingermi fino a ricordare a mio rischio e pericolo al Presidente Mattarella che i decreti debbono essere omogenei come materia e che l’omogeneità non può essere data dall’urgenza, peraltro dubbia e talvolta procurata ad arte. Le opposizioni che denunciano le politiche “identitarie” pensano, forse, che l’elettorato di Fratelli d’Italia e della Lega (l’identità di Forza Italia mi è sfuggita da tempo) non apprezzi esattamente gli elementi che fanno di quei due partiti qualcosa di molto lontano e molto diverso dal PD, soprattutto, ma anche, nell’ordine, dal Movimento di Conte e dalle Azioni (proto: al plurale!) di Calenda e di Renzi? E che siano proprio le pallide/issime identità delle opposizioni, a cominciare da quella del Partito Democratico, uno dei loro problemi, quasi il principale? In effetti, il problema principale delle opposizioni è che continuano nella loro campagna elettorale permanente stando nel loro recinto ovvero cercando strapparsi reciprocamente qualche spazio e qualche voto a futura memoria, criticandosi, invece di individuare i punti di contatto e di collaborazione possibile e facendo leva su di loro.   

Nelle sue diverse uscite pubbliche, la Presidente Meloni ha richiamato la sua maggioranza alla “compattezza e alla lealtà”. I numeri delle varie votazioni finora avvenute la hanno sicuramente confortata. Forse ha anche sorriso (cosa che agli arcigni oppositori, alcuni dei quali assolutamente privi di sense of humour non riesce proprio) di fronte all’attivismo in parte folkloristico in parte patetico di Salvini che corre sempre a dichiarare per primo. Il body language di Giorgia Meloni rivela una quasi assoluta sicurezza di essere in controllo della sua maggioranza. Vero: non è “ricattabile”. Vale la pena di perdere tempo e fiato per tentare di spingerla all’indietro in un passato che non fa fatica a dichiara che non le appartiene? Si guadagnano voti e si incrina la maggioranza con il richiamo di una storia che probabilmente la maggioranza degli italiani non conosce a sufficienza e certo reputa meno inquietante del prezzo del gas e del costo del carrello della spesa? No, il governo Meloni non cadrà e non cambierà linea leggendo i tweet di Letta, Conte e Calenda e neanche quelli del manovriero Renzi. In una democrazia parlamentare una opposizione intelligente sposta la battaglia nelle Commissioni e nelle aule del Parlamento. Si attrezza per il controllo di quello che il governo fa, non fa (sic), fa male e per la controproposta che farà ossessivamente circolare sui mass media grazie ai suoi intellettuali da talk show e nelle circoscrizioni elettorali grazie ai suoi molti parlamentari paracadutati/e.

Pubblicato il 2 novembre 2022 su Domani

Letta deve aprire il campo largo a tutti quelli affidabili @DomaniGiornale

La strada è tracciata o, quantomeno, indicata: “campo largo”. Il centro-destra non è compatto né nel momento elettorale, come dimostrato dagli esiti delle elezioni ammnistrative, né qualora arrivasse al governo (ma su questa eventualità non mi avventuro) diviso com’è su scelte importanti a cominciare dall’Unione Europea. Tuttavia, continua ad avere più voti del centro-sinistra. Il segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, tiene la barra e incassa qualche non marginale risultato. Certo, continuare a credere nel Movimento Cinque Stelle richiede una straordinaria pazienza e anche molta generosità. Tuttavia, dovrebbe stare diventando sempre più chiaro ai pentastellati, di ieri e di oggi, per quelli di domani servirà una buona campagna elettorale, che, da solo, il Movimento 5 Stelle non va da nessuna parte. Meglio, si avvia verso la quasi totale irrilevanza, Insomma, il PD è alleato essenziale per le Cinque Stelle. Merito di Letta è di non farlo pesare in attesa che il Conte titubante ne prenda pienamente atto e non faccia nessun avventuroso giro di tarantella.

   I Cinque Stelle sono necessari, ma non sufficienti a fare un campo largo capace di ottenere tutti i voti richiesti per arrivare alla maggioranza assoluta di seggi in Parlamento. Dunque per allargare l’attuale campo, con il PD che, non dimentichiamolo, oltre il 21-22 per cento su scala nazionale sembra non essere in grado di andare, è imperativo trovare altri alleati. Alcuni, ad esempio, Più Europa, sanno che, anche programmaticamente, i Democratici sono non solo il referente da privilegiare, ma la loro àncora di sicurezza. Altri, penso ad Italia Viva, sono piuttosto (è un eufemismo) inaffidabili ed è difficile che si emendino. Altri ancora, come Azione di Calenda, pongono una preclusione dirimente: niente Cinque Stelle nel campo largo. In questo modo, però, la sconfitta appare garantita.

   La formulazione della strategia che porti alla crescita e le sue modalità stanno tutte nelle mani di Letta. Mi sembra che nel PD non siano molti (anche questo è un eufemismo) coloro che, invece di badare alla conservazione del loro personale seggio, si dedichino all’elaborazione di idee e magari anche a un sano e impegnativo lavoro sul territorio, questo sì diventato largo assai dopo la riduzione di un terzo del numero dei parlamentari. Sono giunto alla conclusione, parzialmente rivedibile dopo le dure lezioni della storia, che Letta deve tenere aperti gli ingressi nel suo campo largo a tutti coloro che garantiscano europeismo e impegno convinto e effettivo all’attuazione integrale del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Deve promettere che il governo del quale il Partito Democratico sarà comunque il perno s’impegnerà nella crescita culturale e economica dell’Italia. Chi non volesse assumere congiuntamente questo impegno non è un alleato affidabile, e allora sarebbero/saranno guai per tutti.

Pubblicato il 15 giugno 2022 su Domani  

Salvini e Conte due spine, prima se ne vanno meglio è. A lezione da Pasquino #intervista @L_Argomento

Il politologo: “Referendum flop? E’ questa la vittoria della riforma Cartabia contro i critici, uno dei quali si trova incidentalmente anche al governo”

Intervista raccolta da Francesco De Palo

“Salvini e Conte sonno due spine, principalmente per i propri partiti, prima se ne vanno meglio è. Il referendum flop? E’ stata la vittoria della riforma Cartabia contro i critici, uno dei quali si trova incidentalmente anche al governo”. Lo dice a L’Argomento il prof. Gianfranco Pasquino, politologo di fama internazionale e Professore emerito di Scienze Politiche all’Università di Bologna. Da due mesi è uscito il suo ultimo libro, “Tra scienza e politica. Una autobiografia” (editore Utet).

La bassa affluenza cosa ci trasmette sul presente e sul futuro dell’istituto referendario?

Che bisogna fare delle domande alle quali gli elettori possono rispondere convintamente; che bisogna individuare delle tematiche che si prestano davvero a dire sì o no e non essere forse un po’ così, un po’ cosà. Ma soprattutto bisogna essere convinti delle richieste che si fanno e quindi fare una campagna elettorale decente. Se uno riesce a riformare la giustizia non può passare le sue giornate a chiedere la pace da parte dell’Ucraina nei confronti della Russia. Cioè bisogna fare la campagna elettorale, non fare i furbi.

Crede che la concomitanza con la riforma Cartabia abbia tolto peso specifico alla consultazione?

In una certa misura sì, ma in realtà il referendum era chiesto contro la riforma Cartabia. I promotori hanno voluto dire che tutto l’impianto della riforma non piaceva e offrivano ai cittadini cinque quesiti per distruggerla. E quindi in un certo senso è questa la vittoria della riforma Cartabia contro i critici, uno dei quali si trova incidentalmente anche al governo.

Come giudica l’ipotesi circolata in questi giorni di abolire il quorum per il referendum?

Non è un’ipotesi circolata in questi giorni ma che esiste sul tavolo da almeno dieci anni: ovvero non abolire il quorum ma cambiarlo. Abolirlo del tutto non si può. Una legge approvata da una maggioranza parlamentare non può essere abolita da una minoranza degli elettori.

Le amministrative hanno di fatto aperto la campagna elettorale per le politiche? E con quali prerogative per i due schieramenti?

Non hanno aperto niente. Riguardavano quel tipo di città e solo quei sindaci. Poi ognuno trarrà delle conseguenze per sé, definite e decisive. Ci si potrebbe chiedere: ma allora la campagna elettorale a che cosa servirà? E di qui a dieci mesi non succederà nulla? No, io credo che qualcuno guarderà bene i dati e si renderà conto che ci sono alcune cose che funzionano nei suoi candidati e nelle sue proposte e qualcun altro riuscirà in qualche modo a ridefinire tutto questo. Però io continuo a pensare che gli elettori fanno attenzione a quello che li riguarda. Però una buona campagna elettorale fa cambiare idea a un certo numero di elettori che possono essere il numero decisivo.

Secondo lei Salvini e Conte sono due spine per Meloni e Letta?

Aspetti, voglio dare una risposta cattiva. Salvini e Conte sono due spine. Salvini per la Lega e Conte per quel che rimane del Movimento cinque Stelle che Conte non controlla e ha perso anche quelli che dovrebbe recuperare. Salvini sta perdendo elettori a mani basse, sta perdendo anche prestigio all’interno della Lega e quindi è una spina lui per la Lega. Prima se ne vanno, meglio è.

Manfred Weber, il numero uno del Ppe, prima della riunione dell’altro giorno, due mesi fa, venendo a Roma in Vaticano, e incontrando poi tutti gli esponenti centristi, ha detto che il problema non è la Lega in sé, ma Salvini, che mai entrerà nel Ppe. Questo assunto potrà influire sulle alleanze, al netto della legge proporzionale che, si dice, si potrà fare?

Dunque, a prescindere dal fatto che io preferisco Max Weber a Manfred Weber, è chiaro che Salvini è un problema per l’Europa, non c’è nessun dubbio. Ed è un problema, naturalmente, anche per il Partito popolare europeo che è uno degli assi portanti della politica europea. Quindi Salvini ha un problema sicuro con loro.

Quale l’elemento più tragico, secondo la sua opinione, del conflitto in Ucraina? Il fatto che si usi il grano come un’arma, il fatto che si calpesti il diritto internazionale o concetti basilari come la sovranità?

L’elemento drammatico è dato dal fatto che c’è un despota autoritario che aggredisce uno Stato libero e democratico e dice che trattasi di operazione militare speciale, di non guerra. Quindi fa anche delle operazioni che Orwell avrebbe sanzionato. E la neolingua è una manipolazione della lingua. C’è qualcuno che crede che si possa chiedere seriamente agli ucraini di rinunciare a parte del loro territorio, di rinunciare a difendersi? Questo è drammatico. Vuol dire che mettiamo sullo stesso piano un regime autoritario con un regime democratico e diciamo che il regime democratico deve cedere alle mire di un regime autoritario. La mia opinione, invece, è che noi dovremmo porre il problema del regime change. Se vogliamo che la Russia smetta di fare guerre, bisogna sostituire il guerrafondaio Putin.

Pubblicato il 14 giugno 2022 su L’Argomento

Quo vadis Italia di Mattarella e Draghi?

Appena si saranno placati i troppi sospiri di sollievo, alcuni davvero esagerati, altri ipocriti, che hanno accompagnato la rielezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica, sarà imperativo porsi qualche interrogativo. Non conta tanto sapere chi ha perso e chi ha vinto. Salvini, Berlusconi e Casellati hanno sicuramente perso. Il centro-destra ha sicuramente perso, ma perché aveva una falsa coscienza di sé: mai blocco compatto, ma solcato da tensioni “governo/opposizione”, “pro-Unione Europea/Cambiare l’Europa”. Quella falsa coscienza gli renderà difficile fare la campagna elettorale e, eventualmente, se premiato dal voto renderà complicato formare il governo e farlo funzionare. Non hanno vinto né Conte né Letta (né Renzi). Giorgia Meloni potrà vantare la sua granitica coerenza, ma forse starà prendendo atto che da sola non va da nessuna parte e che i suoi necessari accompagnatori sono assolutamente poco affidabili. Se, come viene variamente riportato, alla fine è stato Mario Draghi a convincere Mattarella a tornare con i suoi scatoloni ad abitare al Quirinale, allora potremo intestargli una vittoria. Però è una vittoria, da un lato, sicuramente molto al di sotto delle sue aspettative di “nonno” che aveva fatto intendere che il suo prossimo “servizio alle istituzioni” intendeva renderlo dal Quirinale. Dall’altro, è una vittoria dai contorni incerti, dai contenuti al momento inverificabili, dal futuro periglioso.

   Temporaneamente, Draghi ha salvato il suo governo e, sperabilmente, quel che più dovrebbe contare, l’attuazione più puntuale e più efficace possibile del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Venti di rimpasto stanno già investendo il governo. Saranno subito bloccati con fermezza dal Presidente Mattarella? Un Presidente rieletto gode ancora di una luna di miele oppure quel Parlamento alle cui pressioni e preferenze ha ceduto è già pronto a rivendicare meriti di dubbia entità? Fra i sicuri perdenti tutti collocano senza originalità e senza spiegazioni la politica. Eppure in qualche modo Draghi ha fatto politica, ovvero ha usato della sua carica e del suo potere per conseguire un obiettivo. Dal canto suo, Mattarella è un politico di lungo corso e ha accettato la rielezione proprio sulla base di motivazioni eminentemente politiche. Perdenti sono numerosi uomini e donne (mai capaci di trovare e sostenere una di loro) in politica, ma non hanno affatto perso quei molti parlamentari che volevano, non soltanto per avere il vitalizio, la continuazione della legislatura. Da adesso a Mattarella e a Draghi dovremmo un po’ tutti chiedere che in tandem si ricordino che oramai spetta soprattutto a loro costruire le condizioni per la ristrutturazione della politica italiana anche attraverso una nuova legge elettorale che sia quanto meno decente. Né potranno ritrarsi se qualcuno ponesse, nei tempi e nei modi giusti, fuori del protagonismo e dell’improvvisazione, il tema di una riforma semi-presidenziale. Hic Quirinale hic salta.    

Pubblicato AGL il 1° febbraio 2022

La disfida continua #Elezione #Quirinale2022

L’ostacolo più alto all’elezione del Presidente della Repubblica sembra essere costituito da Salvini che fa di tutto per intestarsi il merito di avere trovato il nome più autorevole e attribuibile al centro-destra. Nella terza votazione, quietamente, ma duramente, Giorgia Meloni lo ha quasi frontalmente sfidato candidando l’ex-deputato Guido Crosetto che ha ottenuto, anche, evidentemente grazie a una diffusa stima personale, più del doppio dei voti dei parlamentari di Fratelli d’Italia. Tra schede inutilmente bianche e la novità del non ritiro della scheda, due operazioni che segnalano le tristissime difficoltà di negoziati cominciati male e tardi, da un lato, crescono i voti per Mattarella, dall’altro, circolano veti, sembra, in particolare, sul nome di Casini. Interpretabili come un meritato attestato di stima nei suoi confronti, i voti per il Presidente che ha saggiamente annunciato di non volere un secondo mandato, sono anche un messaggio a alcuni dirigenti di partito, non solo del Movimento 5 Stelle, di indisponibilità a seguire indicazioni non adeguatamente motivate e convincenti.

   Adesso, dovrebbero tutti smettere di proporre nomi per farseli bocciare e poi chiedere in cambio un qualche diritto di prelazione. Invece, dovrebbero tutti tornare a riflettere sui criteri di una buona scelta: autorevolezza politica e prestigio personale, conoscenza della Costituzione e volontà di difendere le prerogative della Presidenza, presenza e apprezzamento sulla scena europea. “Patriota” è colui/colei che rappresenta credibilmente l’Italia nell’Unione Europea e collabora per il bene del paese e della stessa Unione, il cui futuro è ineluttabilmente il nostro.

   Da tempo si sapeva che la più che apprezzabile candidatura alla Presidenza della Repubblica di Mario Draghi, autodefinitosi “un nonno al servizio delle istituzioni”, , conteneva/contiene notevoli contro-indicazioni. Chi ha le qualità per tenere insieme l’attuale maggioranza? Chi può succedergli, non perché da lui nominato (il governo Draghi è un esempio flagrante di governo del Presidente, voluto e costruito da Mattarella), ma perché espressione dei partiti che giustamente in una democrazia parlamentare rivendicano le cariche di governo?

   Di fronte a questi importanti interrogativi è proprio il ruolo di Draghi che si presenta problematico. Chi vuole Draghi al Colle più alto ha l’obbligo politico di indicarne un successore a Palazzo Chigi che non implichi una crisi di governo. Chi vuole che Draghi continui la sua opera impegnativa di governante ha l’obbligo di individuare un Presidente che voglia e sappia sostenere Draghi e sia a lui gradito. La difficoltà di individuare la candidatura presidenziale più appropriata si incrocia e si scontra con le preferenze politiche di chi desidera la continuazione della legislatura fino al suo compimento naturale e chi preferisce elezioni anticipate. La critica rivolta ai capipartito, a partire da Salvini, Conte, Letta e Renzi,.è legittima, ma non deve sottovalutare le difficilissime condizioni attualmente esistenti

Pubblicato AGL il 28 gennaio 2022

L’astensionismo e il voto delle amministrative 2021. Intervista a Gianfranco Pasquino @RadioRadicale @LanfrancoPalazz

Intervista raccolta da Lanfranco Palazzolo il 4 ottobre 2021 alle ore 19

Astensionismo vuol dire tante cose: la popolazione invecchia, ha ancora timori del contagio, viviamo isolati, non riceviamo abbastanza stimoli politici e i partiti non sono in grado di fare un’offerta.

Nel corso dell’intervista sono stati discussi i seguenti temi: Amministrative, Amministrazione, Astensionismo, Calenda, Centro, Comuni, Conte, Destra, Elezioni, Forza Italia, Fratelli D’italia, Lega Per Salvini Premier, Letta, Manfredi, Meloni, Milano, Movimento 5 Stelle, Napoli, Parlamento, Partiti, Partito Democratico, Politica, Raggi, Roma, Sala, Salvini, Voto.

La registrazione ha una durata di 3 minuti

Ascolta qui

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Arlecchino e le riforme elettorali

Di leggi elettorali ne abbiamo viste di tutti i colori e di proposte di riforma ne abbiamo sentite di troppi tipi. Quelle che abbiamo visto all’opera, proporzionale con preferenze della prima fase della Repubblica, Mattarellum dal 1994 al 2001, proporzionale con liste bloccate e premio di maggioranza, ovvero, anche secondo la Corte Costituzionale, un vero Porcellum, utilizzato tre volte: 2006, 2008, 2013, non sono state soddisfacenti. Tutte avevano dei problemi, grossi; più di tutte il Porcellum. Dunque, fare di meglio non dovrebbe essere impossibile e neppure troppo difficile. Invece, un po’ tutti i partiti, tutti i dirigenti e i loro esperti di riferimento, nonché la maggioranza dei parlamentari ragionano in base a due presupposti paralizzanti. Primo, quale è la legge elettorale che farà vincere il mio partito (e, di conseguenza, mi salverà il seggio)? Secondo, quale è la legge elettorale che funziona meglio per me/noi in questo contesto (che molti definiscono tripolare)?

La ricerca di vantaggi particolaristici, per di più nel breve periodo,è il modo più sicuro per fare una brutta legge elettorale destinata ad essere variamente criticata, mai pienamente accettata e, quel che più conta, a funzionare male. L’unico criterio che i sedicenti riformatori elettorale dovrebbero usare è quello del potere dei cittadini-elettori. Qual è, pertanto, la legge elettorale che dà più potere agli elettori? Senza disperdersi nel sogno di una legge elettorale perfetta, che non esiste, ma ci sono leggi elettorali ottime come quella tedesca, proporzionale personalizzata con clausola di accesso al Parlamento), e come quella francese (maggioritaria a doppio turno in collegi uninominali), entrambe imitabili e facilmente importabili, sembra opportuno prendere le mosse da quel che conosciamo meglio. D’altronde, i riformatori elettorali italiani non hanno affatto saputo inventare qualcosa di particolarmente apprezzabile.

Sembra che nessuno desideri ritornare alla proporzionale di un tempo che fu, anche se non sono pochi quelli che desidererebbero il voto di preferenza (facilmente surrogabile dai collegi uninominali). Impossibile ripresentare qualsivoglia variante del Porcellum dichiarato incostituzionale (e brutto) dalla Corte Costituzionale. Non resta, fra i sistemi noti, che il Mattarellum. Non è né ottimo né pessimo. E’ perfezionabile. Tre quarti dei parlamentari (sperabilmente dei soli deputati se il Senato verrà profondamente riformato) sono eletti con sistema maggioritario in collegi uninominali dove candidati e elettori dovranno”metterci la faccia”. Un quarto dei deputati è eletto con il recupero proporzionale. Consente ai partiti e alle coalizioni che lo vogliano di designare il loro candidato a capo del governo.

Il Mattarellum non svantaggia a priori nessuno e non avvantaggia nessuno. Non ha bisogno di voti di preferenze neppure di premi di maggioranza. Con qualche ritocco, per evitare liste civetta, ovvero false, e per meglio distribuire il recupero proporzionale, funzionerà adeguatamente. Soprattutto, nelle condizioni date, può essere il più facile e conveniente punto di convergenza e di approdo delle principali forze politiche: dal Partito Democratico al nuovo veicolo di Berlusconi, “Forza Silvio”, alla Lega, persino al Movimento Cinque Stelle. Alfano lo teme perché dovrebbe cercarsi alleati da posizioni di debolezza, ma in un anno e mezzo, l’orizzonte che Renzi e Letta danno al governo, il Nuovo Centro Destra potrebbe riuscire a rafforzarsi sul territorio.  Poiché la nuova discussione su quale legge elettorale approvare comincerà alla Camera dove il Partito Democratico ha una ampia maggioranza partorita dal premio del Porcellum, al PD spetterà la prima mossa. Saggezza istituzionale suggerisce che il Mattarellum ritoccato ha buone probabilità di viaggiare veloce verso la approvazione. Tutto il resto appare alquanto, forse troppo, problematico. Chi la tira per le lunghe rischia, nel tempo dell’anti-politica e del populismo telematico, di tirare le cuoia.