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Il modello tedesco e la buona proporzionale #LeggeElettorale
Per tre volte, 2006, 2008, 2013, gli italiani hanno votato con una legge elettorale proporzionale (Porcellum) con premio di maggioranza. Il (tre quarti) maggioritario fu il Mattarellum con il quale pure gli italiani votarono tre volte: 1994, 1996, 2001. L’Italicum era un Porcellum con qualche variazione: non tutti i parlamentari sarebbero stati nominati dai capipartito/capicorrente; possibilità di “solo” dieci candidature multiple; premio di maggioranza al partito che avesse ottenuto il 40% più uno dei voti oppure che avesse vinto il ballottaggio. Sostenere con allarmismo che l’Italia è tornata/tornerà alla proporzionale non solo è sbagliato, ma contiene anche una critica preventiva alle leggi elettorali proporzionali che è assolutamente fuori luogo. Lasciando da parte coloro che, dopo averne a lungo elogiato e proposto il sistema elettorale spagnolo, chiaramente proporzionale, oggi paventano l’esito spagnolo, tutte le democrazie dell’Europa occidentale, meno la Gran Bretagna e la Francia, usano da più di un secolo leggi elettorali proporzionali (la Germania, un esempio di ottima proporzionale, da quasi settant’anni). Allora, invece di piangere sul perduto premio di maggioranza, sarebbe molto meglio cominciare a dire alto e forte che non debbono essere ammesse le pluricandidature, che non debbono esistere parlamentari orwellianamente più eguali degli altri, vale a dire nominati, che è giusto avere una soglia di accesso alla rappresentanza parlamentare che scoraggi e impedisca la frammentazione dei partiti.
Dopodiché, ma mi rendo conto che è chiedere molto a dirigenti di partito che ragionano quasi esclusivamente con riferimento agli interessi di breve periodo del loro partito e, spesso, del loro potere personale, si può procedere in tempi rapidissimi a due operazioni alternative. Fare rivivere il Mattarellum ricordando a tutti (potrebbe farlo, accompagnandolo con una modica dose di moral suasion, lo stesso Presidente della Repubblica, persona informata dei fatti) che il Mattarellum non dava in partenza vantaggi a nessuno, premiava la formazione preelettorale di coalizioni che si candidavano a governare, consentì l’alternanza decisa dagli elettori. Con qualche ritocco, il Mattarellum è tuttora una buona legge elettorale, comprensibile da tutti, facilmente attuabile. L’alternativa, per chi non vuole l’ottimo sistema maggioritario a doppio turno francese (peccato che non ci sia mai stato un vero e approfondito confronto sul sistema francese che avrebbe anche il merito di scompaginare le carte e di accrescere la competitività) non può che essere il sistema tedesco, che si chiama “proporzionale personalizzata” nella sua integrità, senza furbesche manipolazioni.
Sfido chiunque a trovare nel sistema tedesco tutti gli inconvenienti di frammentazione, instabilità, difficoltà di formazione dei governi (le Grandi Coalizioni sono il prodotto di scelte politiche, non dei meccanismi elettorali) che paventano gli allarmatissimi anti-proporzionalisti (in verità, essenzialmente “premiatisti” che solamente, ma fortemente vogliono un premio di maggioranza, distorsivo della proporzionalità). Qualcuno che si chieda se all’affermarsi come sistema politico stabile e efficiente, rappresentativo e governato/governabile il sistema elettorale non abbia dato un contributo corposo, quasi decisivo? Spero che non si voglia lasciare ai posteri la nient’affatto ardua sentenza.
Pubblicato il 24 agosto 2017
Nuovo Senato: rumore e sostanza
Sarebbe sbagliato liquidare la riforma del Senato affermando con William Shakespeare “molto rumor per nulla”. Il rumore c’è stato, forte, non soltanto per colpa dell’ostruzionismo degli oppositori, ma anche della cattiva conduzione del Presidente del Senato fin troppo pressato dal governo e dal Partito Democratico. Senza essere epocale, la riforma del Senato ha sostanza. Evitando un lessico sbagliato – il bicameralismo italiano non è affatto perfetto, ma paritario-, il Ministro Boschi ha ottenuto la necessaria differenziazione fra le due Camere. Lo ha fatto in maniera farraginosa con un esito in parte criticabile, ma migliorabile nelle prossime letture, andando nella direzione di una Camera che rappresenti le autonomie territoriali. Nessuna seconda Camera nelle democrazie parlamentari europee dà (né toglie) la fiducia al governo. Nessuna seconda Camera è elettiva. La più forte e meglio funzionante delle seconde camere è certamente il Bundesrat che meritava di essere imitato: 69 rappresentanti nominati tutti dalle maggioranze che hanno vinto in ciascun Land. La composizione del Senato italiano delle autonomie sarà, invece, alquanto eterogenea e confusa: 74 rappresentanti dei Consigli regionali, alquanto squalificati dai troppi scandali, 21 sindaci, scelti da quegli stessi consigli, 5 senatori nominati per sette anni dal Presidente della Repubblica, più, almeno transitoriamente (auguri di lunga vita), gli attuali senatori a vita e gli ex-Presidenti della Repubblica.
Persa la fiducia, il Senato delle autonomie avrà competenze nelle materie regionali (da definirsi con più precisione una volta riformato il Titolo V della Costituzione), sui diritti, sulle modifiche costituzionali, sulla legge di bilancio che potrà rinviare alla Camera dei deputati per il voto definitivo. I nuovi Senatori parteciperanno all’elezione del Presidente della Repubblica. Tuttavia, non è ancora stato stabilito da chi sarà composta l’assemblea di quegli elettori. Il grande rischio è che, fra i nominati dai Consigli regionali e, se l’Italicum non introdurrà il voto di preferenza, i deputati nominati dai partiti, per di più con il partito o la coalizione vittoriosa, “premiata” con un centinaio di seggi aggiuntivi, emerga una maggioranza pigliatutto. La proposta di includere anche gli Europarlamentari nell’assemblea che eleggerà il Presidente della Repubblica non è stata accettata, ma sarà riconsiderata alla Camera. A mio parere, cambierebbe poco. Meglio sarebbe stato accettare la proposta di elezione popolare diretta del Presidente (un modo per dare potere a un elettorato al quale se ne sta togliendo parecchio) sia come norma sia dopo tre votazioni parlamentari inconcludenti consentendo il ballottaggio di fronte all’elettorato fra i due candidati più votati. La riforma approvata sancisce finalmente l’abolizione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, da anni ente tanto inutile quanto costoso, e delle provincie.
Approvata da 183 Senatori sui 321 che hanno diritto di voto (315 più 5 senatori a vita più un ex-Presidente della Repubblica), a questo stadio la riforma, non avendo ottenuto i due terzi dei voti favorevoli, potrebbe essere sottoposta ad un referendum costituzionale facoltativo. Male fanno sia il Ministro Boschi sia il Presidente del Consiglio Renzi ad affermare che, comunque, il governo chiederà (sicuro di vincerlo) il referendum. Chiesti dal governo, i referendum diventano sgradevoli plebisciti. Dovranno, se lo desiderano, chiederlo un quinto dei parlamentari di una Camera (quindi anche gli attuali Senatori) oppure 5 Consigli regionali oppure 500 mila elettori. Il governo ha rinunciato, almeno temporaneamente, ad aumentare il numero di firme per chiedere i referendum e ha consentito l’introduzione del referendum propositivo con il quale i cittadini “scrivono” una legge da sottoporre a tutti gli elettori. Seppur parecchio pasticciata, la modifica della composizione e dei compiti del Senato è una riforma accettabile. Tuttavia, la sua combinazione con una legge elettorale alquanto brutta dovrà essere effettuata tenendo in grande considerazione i freni e i contrappesi da porre a chi vince e aumentando il potere degli elettori.
Pubblicato AGL 9 agosto 2014