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Il budino letale e puzzolente dei soliti cuochi #leggeElettorale #RosatellumBis
Inquinato, da tempo, con riferimenti a una governabilità che consisterebbe nel premiare con molti seggi un partito e a una rappresentanza politica che sarebbe delega totale ai capipartito e ai capi corrente, il dibattito sulla legge elettorale è culminato con l’affermazione di Sabino Cassese che “la prova del budino sta nel mangiarlo” e con la sua valutazione positiva del budino perché ha “armonizzato” le leggi elettorali per Camera e Senato. Lascio da parte che a qualcuno, me compreso, i budini non piacciono, ci sono comunque molte buone ragioni per evitare persino di assaggiarlo: quando conosciamo i cuochi e, sulla base di budini precedenti, non ci fidiamo; perché quel budino è fatto di ingredienti di bassissima qualità già usati nel passato; perché è maleodorante e rischia di avvelenare in maniera letale oppure lasciando durature conseguenze inabilitanti.
Il budino Rosatellum bis sintetizza tutte le ragioni che lo rendono pericoloso anche per la democrazia rappresentativa. No, persino a detta dei proponenti non garantirà la governabilità, ma le leggi elettorali, dappertutto e soprattutto nelle democrazie parlamentari debbono eleggere “bene” un Parlamento, mai un governo e mai “fabbricare” una maggioranza assoluta. La governabilità la può garantire esclusivamente una classe politica preparata, competente, selezionata anche dagli elettori. Se i parlamentari sono tutti nominati, dai capi dei rispettivi partiti nonché dai capicorrente (a mo’ d’esempio chiedo: rinuncerà Franceschini a nominare i suoi sostenitori? Farà a meno Orlando di imporre i suoi collaboratori e, per cambiare registro, ottenuta la sua personale clausola di salvaguardia-seggio, il mio ex-studente Denis Verdini abbandonerà alla deriva i “verdiniani”?) che tipo di rappresentanza di preferenze, di interessi, di ideali (sì, lo, nello slancio mi sono allargato) gli eletti saranno in grado di offrire? Il problema non si pone soltanto proprio per quegli eletti che, inevitabilmente, dovranno mostrare la loro gratitudine agli sponsor (incidentalmente, per quelli che paventano le conseguenze nefaste del voto di preferenza, davvero si può credere che le organizzazioni di interessi, le lobby non si preoccupino di fare inserire in quelle liste qualcuno sul quale faranno affidamento?), si pone anche per gli elettori. Da un lato, non sapranno chi è il/la loro rappresentante che, comunque, da loro non si farà vedere più di tanto il loro rientro in Parlamento non dipendendo in nessun modo da quegli elettori, ma dai capi: lo zen Renzi, l’avvocato Ghedini, Alfano e Lupi …, quegli eletti impiegheranno il loro tempo e le loro energie in altre attività, per esempio, nel vagabondare fra gruppi parlamentari seguendo l’acclamata prassi italiana del trasformismo. D’altronde, non essendo stato introdotto nella legge neppure un requisito minimo di residenza nel collegio nel quale si viene candidati (oops, paracadutati) e anche protetti, grazie alla possibilità delle multicandidature (fino a cinque), bisognerebbe costruirli ab ovo quei rapporti con l’elettorato: troppa fatica per nulla. Gli eletti potenti sapranno farsi ricandidare altrove. In questo modo, comprensibilmente, la legge non offre possibilità di rappresentanza politica, ma neppure di responsabilizzazione che, ad esempio, consentirebbe agli elettori che hanno trangugiato un budino andato male di chiederne conto ai parlamentari che hanno contribuito a metterlo sul mercato elettorale. Invece, chi non può sapere da chi è stato eletto non dovrà minimamente preoccuparsi di rendere conto dei suoi comportamenti, nel mio mantra: di quello che ha fatto, non ha fatto, fatto male. Peccato poiché raccontano alcuni studiosi della democrazia, persino italiani, come Giovanni Sartori, che l’interlocuzione e l’interazione fra candidati e elettori e poi fra i parlamentari e l’elettorato, non unicamente il “loro” (peraltro, sconosciuto): “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione” (art. 67), stanno al cuore di una democrazia rappresentativa, la fanno pulsare e le danno energia.
Infine, molti studiosi e, per fortuna, anche molti uomini e donne in politica continuano a ritenere che le leggi elettorali debbano essere valutate anche con riferimento alla quantità di potere che consentono di esercitare ai cittadini elettori. Una crocetta su un simbolo che serve a eleggere un candidato e dare consenso a un partito o a una coalizione è proprio il minimo. Per rimanere nella logica di Rosato e di chi per lui “non si poteva fare meglio”, certo che si poteva fare meglio: con la possibilità del voto disgiunto previsto e ampiamente utilizzato in Germania oppure con il doppio turno nei collegi uninominali come per l’elezione dell’Assemblea nazionale in Francia. Buttate, voi senatori, l’Italian pudding nella raccolta indifferenziata. Non c’è nulla da riciclare.
Pubblicato il 14 ottobre 2017
Ecco perché hanno salvato Azzollini
Una maggioranza schiacciante di senatori, addirittura 189, ha salvato dagli arresti domiciliari il collega del Nuovo Centro Destra Antonio Azzollini accusato dalla Procura della Repubblica di Trani di una varietà di reati: dal falso in bilancio alle assunzioni clientelari dallo spreco di denaro pubblico a consulenze d’oro. I numeri sono lampanti. Anche gran parte dei senatori del Partito Democratico, contraddicendo loro precedenti solenni dichiarazioni, ha respinto la richiesta dei magistrati capovolgendo la delibera della Giunta per le immunità che aveva sancito l’insussistenza di intenti persecutori nei confronti del potente senatore Azzollini. Forse i componenti della giunta tanto platealmente sconfessati dai loro colleghi dovrebbero trarne qualche conclusione, magari anche quella dell’inutilità e irrilevanza del loro lavoro e, forse, della stessa esistenza della Commissione.
Ovviamente, nonostante le sempre ipocrite dichiarazioni, pochi senatori, oltre, sperabilmente, ai componenti della giunta, si sono formati un’opinione dopo avere effettivamente letto le carte. Infatti, quasi nessuno di loro si è pubblicamente espresso contrastando specifiche motivazioni dei magistrati. La maggioranza di loro sostiene di avere votato “secondo coscienza”. Curiosamente, in maniera assolutamente inusuale, il capogruppo del Partito Democratico Luigi Zanda aveva addirittura inviato una lettera ai componenti del suo gruppo invitandoli a votare proprio “secondo coscienza”. Sarebbe interessante conoscere in quale altro modo si apprestavano a votare i Senatori e le Senatrici del PD: contro coscienza? Ma, poi, cosa sarà mai un voto di coscienza se non è accompagnato dalla conoscenza dei fatti, della natura delle imputazioni, delle motivazioni dei magistrati e delle conseguenze di vario tipo del voto stesso?
Insomma, i magistrati chiedevano gli arresti domiciliari dell’Azzollini, non tanto per il timore di fuga dell’accusato, ma poiché ritengono che, rimasto a piede libero, l’accusato abbia la possibilità, usando della sua influenza, della sua rete di relazioni e di ingenti somme di denaro, di manipolare le prove e, magari, di intimidire gli accusatori e gli eventuali testimoni. La “coscienza” della maggioranza dei senatori ha risposto “no”. Da un lato, non si corre il rischio che il collega Azzollini inquini, cancelli, camuffi, intimorisca; dall’altro, i magistrati starebbero perseguitando l’Azzollini per ragioni che non ci vengono spiegate. Certo, il salvataggio del senatore del NCD da parte dei colleghi non è il primo e non sarà l’ultimo. Le votazioni sulle relazioni delle Giunte parlamentari per le Immunità assomigliano spesso a roulette nelle quali i numeri che escono non sono, però, mai del tutto casuali.
Rimanendo in metafora ci sono dei croupiers molto attenti, non alle coscienze, ma agli umori dei giocatori e alla stabilità del tavolo da gioco. Nel caso Azzollini, poteva, come qualcuno deve avere fatto sapere al capogruppo PD Zanda, anche saltare il banco. Infatti, l’Ncd ha già subito l’onta delle dimissioni da ministro di Lupi. Un arresto, anche se ai domiciliari, sarebbe stato molto mal digerito gettando altre brutte ombre su tutto il partito. In Senato, poi, già i movimenti si sono fatti vorticosi. Le minoranze del PD non cedono. Arrivano i soccorsi dei verdiniani. Si annunciano tempi, non necessariamente difficilissimi, ma che richiedono convergenze solide fra gli alleati di governo. Insomma, le convenienze politiche hanno sicuramente avuto un ruolo non marginale nel salvataggio di Azzollini. Non è, però, proprio il caso di sostenere che “ce ne faremo una ragione”. Questa “politica ad orologeria” che salva qualcuno/chiunque, non in base ad inoppugnabili evidenze giuridiche, ma quando vengono fatte balenare conseguenze sgradevoli sugli assetti e sulle politiche governative, è destinata ad alimentare l’antipolitica, il disgusto per la politica, il distacco dalla politica. Tanto i governanti quanto il Partito Democratico scaricheranno le responsabilità sull’autonomia del Senato e sulla coscienza dei singoli senatori. Se la prendano tutta.
Pubblicato AGL 30 luglio 2015