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Una visione dell’Italia desiderata #PartitoDemocratico
“Un paese, un partito, le persone”. Questo è l’ordine di priorità che Bersani auspica per il Partito Democratico. Le date contano, eccome. L’elenco di Bersani le contiene in maniera sufficientemente chiara. Primo, il governo Gentiloni, guidato da un esponente del Partito Democratico designato dal segretario Renzi, deve durare fino alla scadenza naturale della legislatura, vale a dire fine febbraio 2018. Dunque, secondo, il Congresso del Partito Democratico non deve essere convocato frettolosamente per andare, poi, subito alla crisi di governo e a elezioni anticipate. Terzo, il Congresso non deve diventare il luogo del regolamento di conti con le minoranze come, dal 5 dicembre mattina, Renzi e alcuni suoi collaboratori, in particolare, una livida Maria Elena Boschi, sembrano fortemente volere. Qui sta il discorso sulle persone ovvero sulle poltrone come, deliberatamente, Renzi impostò la campagna referendaria all’insegna dell’antipolitica e dell’antiparlamentarismo. Certamente, le minoranze nutrono il giustificato timore che il renziano regolamento di conti implichi che, quando Renzi sceglierà le candidature, molti di loro, probabilmente la maggioranza, saranno esclusi. Nessuno di loro sarà capolista bloccato. Tutti i sopravvissuti dovranno conquistarsi le preferenze. È una preoccupazione più che legittima, ma non è la più importante delle motivazioni a fondamento di una possibile scissione.
Emiliano, Rossi e Speranza, i tre dirigenti del PD che hanno annunciato la loro candidatura se il Congresso si svolgerà con regole garantiste, e Bersani e D’Alema hanno motivazioni molto più significative che vanno da una linea politica e da riforme, spesso contraddittorie, che non hanno condiviso, alle modalità con le quali il segretario del loro partito e il suo cosiddetto “giglio magico” li hanno regolarmente e duramente trattati in occasione di tutte le riunioni formali della direzione e dell’Assemblea finora tenute: con disprezzo delle loro posizioni e della loro dignità politica. Certo, la maggioranza ha il diritto di fare valere i suoi numeri, meglio se accompagnati dalle idee, ma, in un partito democratico, le minoranze, tutte, devono essere ascoltate e rispettate. Non è chiaro, mentre alcuni “pontieri”, forse tardivamente, probabilmente pochissimo presi in considerazione, svolgono una difficilissima opera di mediazione, se Renzi è disponibile a quello che per lui sarebbe non soltanto ascolto, ma un passo indietro su una tabella di marcia disegnata per acquisire il controllo totale del partito e dei gruppi parlamentari prossimi venturi.
Qualcuno, fra i commentatori politici, spesso gli stessi che sono stati a favore del “sì”, già si affanna a gettare tutta la responsabilità di un’eventuale scissione sulle spalle degli oppositori di Renzi accusandoli, da un lato, di indebolire il partito e addirittura l’Italia e, dall’altro, affermando che desiderano una legge proporzionale soltanto per sopravvivere. Come se con il Mattarellum o con un sistema di collegi uninominali quelle minoranze non potessero risultare comunque utili al PD e spesso decisive alle vittorie collegio per collegio! La divisione imporrà comunque la ricerca di accordi su basi nuove e con prospettive mutate.
Nell’Assemblea, giocatore d’azzardo come pochi, Renzi potrebbe andare a vedere se davvero basterà qualche piccola concessione in materia di data del Congresso, uno scivolamento di mese o poco più, senza compromettersi sulla scadenza della legislatura (da lui, peraltro, indicata nel passato proprio nel febbraio 2018) e del governo Gentiloni. Lo scontro, però, riguarda la linea politica e le persone, con le loro, spesso legittime, ambizioni. Il PD non ha mai saputo fondere le culture riformiste che dovevano stare a suo fondamento e, sostanzialmente, le ha viste affievolirsi, se non scomparire. Il segretario ritiene quello della cultura politica è un argomento di poco interesse. Infatti, ha già respinto la richiesta di una conferenza programmatica. La probabile scissione, forse solo procrastinabile, potrebbe avere come effetto, non voluto, ma neppure sgradito, quello di obbligare sia le minoranze sia i renziani a elaborare una visione di che paese desiderano e con quali riforme intendono costruirlo. Il segretario, che ha ancora adesso il potere di scongiurare la scissione e ne porterebbe le maggiori responsabilità, dovrebbe lanciare lui la conferenza programmatica come sua iniziativa. Potrebbe farne una giornata particolare obbligando tutti a confrontarsi e rendendo un buon servizio al Partito Democratico.
Pubblicato AGL 19 febbraio 2017
I giudici e la miopia dei politici
In nessuna democrazia in nessun momento della loro storia, i parlamentari e i governanti si sono mai fatti scrivere la legge elettorale dai giudici, neppure da quelli costituzionali. In nessuna sono mai giunti a stabilire che, come hanno inserito nell’Italicum, la legge elettorale da loro formulata e approvata, addirittura con ricorso da parte del governo Renzi al voto di fiducia, dovesse essere sottoposta al vaglio della Corte costituzionale prima di essere utilizzata. In nessuna democrazia la legge elettorale è rimasta oggetto del contendere per vent’anni e più (con il “più” che rischia di continuare). Questa è la situazione italiana in attesa della sentenza sull’Italicum che i giudici costituzionali hanno, credo lo si debba sottolineare, rinviato un po’ troppo nel tempo così come avevano lasciato vivere una legge, il Porcellum, considerata incostituzionale quasi nella sua interezza, addirittura per tre elezioni nazionali.
Non contenti della loro inadeguatezza di riformatori elettorali (a quella dei riformatori costituzionali hanno già ovviato gli elettori del NO nel referendum), parlamentari e governanti hanno trascorso quasi cinquanta giorni in attesa della sentenza della Corte fornendo materiale ai cosiddetti retroscenisti affinché almeno i cittadini che leggono i giornali fossero informati delle loro preferenze particolaristiche. Ripetutamente è stato scritto che Renzi non vuole rinunciare al premio di maggioranza, ma neppure al ballottaggio. La posizione di gran parte del Partito Democratico sembra essere favorevole a un ritorno al Mattarellum che, fra l’altro, avrebbe il pregio di accertata costituzionalità. Salvini con la sua Lega e i Fratelli d’Italia accettano il Mattarellum che li renderebbe entrambi preziosi alleati di chi volesse costruire una coalizione di centro-destra. Da soli, non andrebbero da nessuna parte. Pur avendo vinto due elezioni su tre con il Mattarellum, ma erano altri tempi, Berlusconi, già considerato, con qualche esagerazione, l’artefice del bipolarismo italiano, dichiara alta e forte la sua preferenza per una legge elettorale proporzionale. Commentatori e retroscenisti si affrettano a scrivere che quella preferenza è motivata dal desiderio di risultare indispensabile alla formazione di un governo che escluda il Movimento Cinque Stelle. Anche Alfano è favorevole alla legge proporzionale purché non le s’introduca una troppo alta soglia percentuale per l’accesso al Parlamento. Il Movimento 5 Stelle, al quale i sondaggi attribuiscono la prevalenza in caso di ballottaggio su scala nazionale, sia per non cercare alleati sia, forse, per timore di andare al governo, s’inventa un legalicum, legge proporzionale, che gli darebbe notevole peso in Parlamento consentendogli di rimanere duro e puro, quasi di governare, come, sbagliando, dissero molto tempo fa i comunisti, dall’opposizione.
Nell’imbarazzato silenzio delle due maggiori responsabili dell’Italicum: la sottosegretaria Maria Elena Boschi, già Ministro delle Riforme Istituzionali, e chi l’ha sostituita in quella carica, vale a dire Anna Finocchiaro, già Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, sempre schierata a sostegno di tutte le scelte di Renzi in materia elettorale e costituzionale, nessuna voce si leva a difesa del potere degli elettori e della rappresentanza politica dei cittadini italiani. Periodicamente, quasi tutti i parlamentari diventano garantisti, rigorosamente a difesa dei loro colleghi, preferibilmente dello stesso partito, e deplorano la magistratura che supplisce e soppianta la politica. Adesso, sappiamo il perché della supplenza e della invadenza dei giudici. Su quello che è il meccanismo più importante di un regime democratico che serve a tradurre i voti in seggi, parlamentari e governanti non riescono a ragionare oltre i loro obiettivi miopi, particolaristici, legati alle contingenze e alle carriere. Qualcuno potrebbe anche paventare che, dovendo applicare la sentenza della Corte Costituzionale, i parlamentari non soltanto ci metteranno un sacco di tempo a scrivere una legge elettorale decente, ma soprattutto faranno molti pasticci. È un timore fondato.
Pubblicato AGL il 23 gennaio 2017
Tre sistemi elettorali a confronto: Mattarellum, Porcellum e Italicum
Restaurare non è mai una scelta apprezzabile soprattutto perché, quando sono coinvolti uomini e donne, e non statue e quadri, è impossibile riavvolgere il tempo. Cambiano gli uomini, cambiano le donne, entrambi imparano, il tempo passa e crea nuove situazioni. Dunque, non si “restaurerà” il Mattarellum che abbiamo conosciuto e che, utilizzato in tre elezioni, produsse esiti di volta in volta migliori. Riflettendo su vent’anni di elezioni e tre sistemi elettorali, è possibile fare meglio.
Qui cercherò in maniera sintetica di esaminare gli effetti del Mattarellum e del Porcellum paragonandoli a quelli proposti e promessi dall’Italicum che mai fu. Un sistema elettorale, tutti i sistemi elettorali debbono essere valutati, anzitutto, con riferimento al potere che danno agli elettori, in secondo luogo, con riferimento al Parlamento che eleggono, in terzo luogo, con riferimento alla formazione del governo. Il potere degli elettori varia a seconda che possano votare solo per un partito oppure anche per il candidato che li rappresenterà oppure anche per la coalizione preferita. Nelle democrazie parlamentari, gli elettori non votano mai per il governo. Il loro voto dà vita ad un parlamento nel quale si formerà il governo che da quel parlamento potrà essere “rimpastato” oppure sostituito nella sua interezza.
Tenendo a mente questi cinque elementi (scelta dei candidati, voto ai singoli partiti, elezione dei parlamentari, indicazione delle coalizioni, formazione del governo), è possibile costruire un indice che misuri il potere elettorale complessivo dei cittadini. A ciascun elemento sarà assegnato un punteggio che va da 0 (nullo) a 3 (massimo), con punteggi intermedi che indicano un potere ridotto (1) o medio (2). L’indice di “potere degli elettori” andrà, dunque, da 0 (nessun potere agli elettori) a 15 (massimo potere elettorale).
Partiamo dal Mattarellum. Questo sistema consentiva di votare per i candidati nei collegi uninominali e, alla Camera, anche per liste di partito. Dal momento che gli imperativi elettorali spingevano alla formazione di coalizioni pre-elettorali a sostegno dei candidati nei collegi uninominali, gli elettori avevano anche la possibilità di scegliere fra coalizioni che si candidavano al governo. La tabella che segue sintetizza questi elementi.
Nel caso dei candidati il punteggio non può essere il più elevato poiché grande fu il numero dei candidati paracadutati, quindi, 2. Per quel che riguarda le coalizioni sempre si trasformarono in governi. Quindi, 3. Le coalizioni “mascheravano”, almeno in parte, i partiti, quindi, punteggio 2 per il voto di partito. Nel caso del Parlamento, tenendo conto dell’alto numero dei trasformisti, il punteggio deve essere non più di 1. Soltanto inizialmente i governi furono espressione delle coalizioni. In nessuna delle tre elezioni 1994, 1996, 2001, il governo che aveva iniziato la legislatura riuscì a concluderla. La composizione dei governi cambiò, rispettivamente: molto nel 1996, abbastanza nel 2001, poco nel 2006 (punteggio 2).
Molto diversi sono stati gli effetti del Porcellum, un sistema elettorale proporzionale con premio di maggioranza alla coalizione che ottiene il più alto numero di voti e liste bloccate.
Con il Porcellum, gli elettori erano confinati a tracciare una crocetta sul simbolo della coalizione e nulla più in questo modo acconsentendo all’elezione dei candidati nell’ordine deciso dai capipartito (punteggio 0). I simboli dei partiti coalizzati erano visibili (punteggio 1), ma nell’opzione di voto la coalizione ha sicuramente avuto il sopravvento (punteggio 2). Anche i parlamenti eletti con il Porcellum (2006, 2008, 2013) sono stati caratterizzati dalla comparsa di un alto numero di trasformisti (punteggio 1). I governi ai tempi del Porcellum sono stati molti. Pochi derivanti dall’esito elettorale: Prodi 2006-2008 e Berlusconi 2008-2011. Altri nacquero in corso d’opera: Monti 2011-2012; Renzi 2014-2016; Gentiloni 2016-2017. Il governo Letta 2013-2014 è un mix, soltanto in parte conseguenza dell’esito elettorale (punteggio 1).
Per quel che riguarda l’Italicum, la legge che, secondo Matteo Renzi (e i suoi corifei), “tutta l’Europa ci avrebbe invidiato e metà Europa avrebbe imitato”, stiamo parlando, tecnicamente, di un aborto: una legge nata morta. Tuttavia, mentre attendiamo la probabilmente inutile e sicuramente tardiva sentenza della Corte Costituzionale, possiamo valutare quelli che sarebbero stati i suoi potenziali effetti.
All’incirca il 60 per cento dei parlamentari diventerebbe tale per designazione dei capipartito/capicorrente (punteggio 1). I rimanenti avrebbero dovuto conquistarsi i voti di preferenza (disprezzatisssimi da molti corifei). Gli elettori sono costretti a votare i partiti (punteggio 2). Il parlamento potrebbe comunque esibire un alto numero di trasformisti (punteggio 2). Nessuna coalizione avrebbe interesse a formarsi (punteggio 0). Al ballottaggio gli elettori attribuirebbero un premio in seggi che consentirebbe/obbligherebbe il partito vittorioso a governare (punteggio 3). In buona misura questo sistema avrebbe, da un lato, fortemente distorto la rappresentanza politica e enormemente ridimensionato il ruolo del Parlamento, dall’altro, avrebbe prodotto la fuoruscita dal modello di governo parlamentare delineato nella Costituzione italiana.
Il punteggio complessivo comparato, per i tre sistemi elettorali, è indicato nella figura 1.
Alla luce di questa graduatoria comparata, c’è molto da lavorare per soprattutto per quei riformatori elettorali che mirino, ancora una volta, presuntuosamente, a inventare qualcosa che tutta l’Europa ci invidierebbe, invece di imitare il meglio che in Europa funziona da almeno cinquanta e più anni.
Pubblicato i 19 gennaio 2017 su ParadoXaforum
Renzi, drop your guns
La popolarità del governo Gentiloni sembra leggermente in crescita, ma il suo futuro continua a essere oscuro. Tutti i retroscenisti, ma anche troppi commentatori orfani/e di Renzi sondano le intenzioni dell’ex-capo del governo, che aveva annunciato il suo ritiro dalla politica se avesse perso il referendum. Invece, adesso preannuncia il suo ritorno lasciando che in maniera quasi rassegnata i suoi collaboratori sostengano che elezioni anticipate il prima possibile sono l’unica soluzione ai mali prodotti da coloro che hanno votato NO. In un paese decente, giornalisti/e, autorità, parlamentari dovrebbero attenersi ai fatti e alle regole del gioco. Prima fondamentale regola: il governo, qualsiasi governo rimane in carica non ad libitum di qualcuno, neppure a piacimento del segretario di un partito (roba, direbbero molti, spregiativamente, “da Prima Repubblica”), ma fintantoché quel governo è operativo. Comunque, nessun segretario di partito, non nella Prima Repubblica, tantomeno nella “Seconda”, gode della prerogativa autonoma di imporre lo scioglimento anticipato al Presidente della Repubblica, il quale è l’unico ad avere il potere costituzionale di deciderlo. In caso di crisi di governo, il Presidente della Repubblica ha sempre il dovere costituzionale di “sentire” i Presidenti di entrambe le camere per sapere se esiste la possibilità di dare vita a un altro governo, purché non sia un governo qualsiasi, ma prometta di funzionare, di fare “cose”, e molte sono le cose domestiche ed europee che il governo italiano deve fare. Altrimenti, sarà il Presidente a tenere le consultazioni con i capi dei partiti. Non bisognerà mai più assistere a raccapriccianti consultazioni parallele come quelle ostentatamente fatte da Ronzi nel dicembre 2016 (e che, purtroppo, nessuno gli ha dura(tura)mente rimproverato). Un altro governo potrebbe anche diventare, alla prova dei fatti, quello che conduce il paese alle elezioni, meglio se alla scadenza naturale del Parlamento: febbraio-marzo 2018 (data più volte indicata da Renzi stesso).
L’ostacolo ora e, presumibilmente, anche dopo la attesissima sentenza della Corte Costituzionale, è l’inesistenza di una legge elettorale immediatamente utilizzabile, ma, anche se esistesse la legge per la Camera, consultellum o miniItalicum, bisognerebbe pure scrivere quella per il Senato, prematuramente e colpevolmente già dato per defunto dagli improvvidi riformatori costituzionali. Quindi, qualsiasi discussione sul ritorno alle urne appare contare su tempi che non sono né scontati né prevedibili. Allora perché se ne discute fin dal giorno stesso in cui venne creato il governo Gentiloni? L’unica interpretazione possibile, certamente quella con più solide basi, è che l’ex-Presidente del Consiglio Matteo Renzi non stia sereno. Senta che più il tempo passa meno è probabile che l’elettorato lo premi per non si sa quali meriti pregressi e che il suo partito tragga vantaggi da un qualche sussulto post-referendario. Il segretario del Partito Democratico è palesemente meno interessato alla capacità del governo, nel quale lui stesso ha imposto la re-immissione di tutti i suoi ministri e ha addirittura premiato chi aveva contribuito alle riforme bocciate (Maria Elena Boschi e Anna Finocchiaro, la Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato), di risolvere i molti problemi lasciati aperti dal suo malposto attivismo.
Il segretario del Partito Democratico non desidera nessun miglioramento nell’economia, nella società, nel sistema politico il cui merito finisca per essere attribuito al suo successore Paolo Gentiloni. Renzi guarda esclusivamente al suo interesse personale di rappresaglia/vendetta politica e di riconquista del governo. Tempo fa, Michele Salvati consigliò a Renzi di non prestare nessuna attenzione ai critici delle sue audaci attività invitandolo a insistere (in altri tempi si sarebbe detto a “tirare diritto”): “stick to your guns”. Oggi il suggerimento, che tenga anche conto della [referendaria]”responsabilità repubblicana”, tanto cara a Massimo Cacciari, dovrebbe essere, al contrario, quello di non ostacolare il governo Gentiloni, di sostenerne l’opera, di non minacciarlo con gravi conseguenze per l’Italia. Insomma, per il bene del sistema politico, della patria repubblicana: “Renzi, drop your guns”.
Pubblicato il 16 gennaio 2017 su La rivista il Mulino
Dialogo immaginario al Quirinale
Abbiamo fortunosamente potuto ascoltare quanto si sono detti il Presidente Mattarella e il Presidente Emerito nonché Senatore a vita, già Ministro degli Interni e Presidente della Camera dei deputati (1992-1994) Giorgio Napolitano.
Mattarella. Ti ho invitato alle consultazioni perché, caro Giorgio, te lo dico subito: tu sei parte del problema. Non ti pare di avere esagerato con l’appoggio a Renzi e alle sue riforme costituzionali che erano piuttosto brutte e malfatte?
Napolitano. Il Presidente del Consiglio si è fatto prendere la mano dalla sua irruenza. Ho dovuto richiamarlo usando il mio linguaggio, che tu sai essere soffice e felpato, rimproverandolo per “forse, un eccesso di personalizzazione politica”. Però, aveva ragione Pasquino (ma non farglielo sapere perché si monterebbe la testa), quando lo accusava di plebiscitarismo. Renzi ha poi addirittura sostenuto che queste erano le “mie” riforme. Davvero troppo. Non mi aspettavo una sconfitta così bruciante che, ahimé, ha intaccato anche il mio prestigio
Mattarella: Già, Pasquino. Lo conosco. Sostiene che sarebbe utile fare rivivere il mio sistema elettorale Mattarellum. Potrebbe persino avere ragione. Comunque, caro Giorgio, adesso ti tocca suggerirmi il modo di uscire da questa crisi di governo. Come te, neppure io vorrei procedere allo scioglimento del Parlamento. Elezioni immediate, come ne parlano troppi commentatori incompetenti e qualche politico la cui ambizione è molto al di sopra della sua conoscenza della Costituzione, non sono praticabili. Per di più, non posso ricorrere alla soluzione del governo tecnico che tu t’inventasti con quel colpo di genio di nominare Mario Monti senatore a vita per poi metterlo alla Presidenza del Consiglio. Una soluzione di questo tipo me l’hai bruciata.
Napolitano: Non la rifarei neppure io dopo che Monti contro le mie aspettative e i miei suggerimenti decise di “salire in politica” facendo saltare con il cattivo esito della sua lista Scelta Civica qualsiasi possibilità di succedermi alla Presidenza della Repubblica e, di fatto, complicando quelle elezioni e gli avvenimenti successivi.
Mattarella: Sono incline a cercare una soluzione non pasticciata che consenta di concludere la legislatura a febbraio-marzo 2018 come d’altronde, glielo ricorderò, eccome, ha più volte dichiarato lo stesso Renzi. Credi che sia possibile?
Napolitano: Possibile forse, doveroso senz’altro, ma, attenzione, il fiorentino è pieno di energie e ha un surplus di ambizione tale che non posso escludere che si metta di traverso a qualsiasi soluzione che non contempli un suo ruolo rilevante. Consultati in maniera ovattata anche con qualche sub leader del PD, Franceschini, Bersani (o chi per lui, non Cuperlo…), Delrio per sapere se sarebbero in grado di tenere a bada Renzi e, ma io non te l’ho detto, di sfilargli il partito. Fai sì che sia Renzi in un sussulto da “statista” a indicare/designare il suo successore a Palazzo Chigi garantendogli il sostegno convinto del Partito Democratico.
Mattarella: Condivido, ma non sottovaluto i colpi di coda di un perdente che voglia mantenere, premuto da tutti i suoi collaboratori che, mediocri assai, non vogliono tornare nell’ombra, un ruolo visibile per risorgere nel 2018: una specie di “rieccolo” alla Fanfani, altra tempra altra statura (oops, non voglio scherzare) politica, e che quindi prepari non poche imboscate parlamentari. Rimane poi il problema di quale maggioranza sosterrà il nuovo Presidente del Consiglio.
Napolitano: Credo che Alfano e sicuramente Verdini sarebbero disponibili. Qualche aiutino verrebbe sicuramente dai parlamentari, non quelli che non sono ancora giunti al vitalizio (che brutta quest’accusa che puzza di antipolitica), ma quelli che sanno che non riusciranno a farsi ricandidare. Se cambiano tutti i ministri, condizione che devi porre a chiunque tu dia l’incarico, forse salvando, per ragioni di opportunità europee, il solo Padoan, una sferzata di energia e d’impegno a provare le loro competenze potrebbe spingere il nuovo governo almeno fino all’autunno 2017. Superare Natale dovrebbe essere del tutto possibile.
Mattarella: Quindi, mi suggerisci un politico? Vent’anni fa avrei dato l’incarico proprio a te. Adesso vorrei evitare candidature istituzionali. D’altronde, né Grasso né Boldrini hanno caratura politica e tecnica tale da essere ineccepibili. Al momento non intravvedo nessun uomo e nessuna donna, che sarebbe una grande novità, provenienti dalla società all’altezza della sfida. Neppure guardando all’Europa troveremmo politici di alto livello da reclutare: un obiettivo impossibile. I vincitori del referendum con il loro schieramento variegato e diffuso (nota che evito il termine “accozzaglia” che non sta nel mio lessico e nel mio stile) sono privi di personalità “presidenziabili”. Insomma, non mi resta che procedere a cercare con il lanternino nel litigioso convento del Partito Democratico un leader dalle buone maniere, non antagonizzante, consapevole dei suoi limiti, disposto a entrare nella storia politica di questo paese avendo guidato il governo anche solo per un anno o poco più.
Napolitano: Concordo, ma ribadisco: fattelo suggerire il nome, non dal “Corriere della Sera” e non da “Repubblica” (meno che mai da Eugenio Scalfari), ma da Renzi, chiedendogli di continuare a giocare alla playstation con i figli per consentire che i parlamentari del PD si comportino in maniera responsabile di fronte al paese.
Pubblicato AGL il 9 dicembre 2016







