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L’ammuina di Meloni e le proposte da fare in UE @DomaniGiornale

“Non chiedetevi che cosa l’Unione Europea può fare per voi, ma che cosa voi potete fare per l’Unione Europea”. Questa parafrasi di una delle più efficaci affermazioni contenute nel discorso inaugurale della Presidenza di John Kennedy non può evidentemente diventare patrimonio dei sovranisti, neppure dei più lungimiranti fra loro (no, non rispondo alla richiesta di precisazioni e approfondimenti). Può, tuttavia, oppure, proprio per questo, essere utilizzata per valutare e migliorare le posizioni prese dagli Stati-membri dell’Unione per quel che riguarda il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) e il Patto di Stabilità e Crescita.
Del primo, la possibilità per ciascuno Stato-membro di avere accesso a fondi europei in caso di necessità, non sono in discussione le clausole specifiche, che non è possibile cambiare, ma l’adesione dell’Italia, indispensabile a consentirne all’occorrenza a richiesta l’utilizzo a ciascuno e tutti gli altri Stati, dunque, anche Ungheria e Polonia, quando era sovranista. Benvenuto al governo guidato dall’europeista Donald Tusk che segnala l’esistenza di molti ottimi anticorpi nella democrazia polacca. Il Patto di Stabilità e Crescita ha molta più rilevanza per le politiche economiche e sociali degli Stati-membri nei prossimi cinque anni. Riguarda il tetto del debito pubblico da considerarsi accettabile e le modalità previste/formulate per un rientro più o meno graduale, e il deficit tollerabile, comunque da ridursi in particolare, ma non solo, per l’Italia.
Non è chiaro se la Presidente del Consiglio italiano Meloni e il Ministro dell’Economia Giorgetti stiano concordemente utilizzando la ratifica del MES come strumento di pressione per ottenere migliori condizioni per il Patto di Stabilità. Già altri Stati-membri, in particolare i paesi del gruppo Visegrad, hanno proceduto di tanto in tanto ad applicare la strategia dello scambio, talvolta, con successo. Fa certamente parte del gioco agire, non troppo spesso, seguendo i dettami del “do ut des”. Forse, però, gli Stati-membri dell’Unione, non soltanto quelli economicamente più forti, nonostante le sue difficoltà attuali la Germania rimane nel club, ma anche quelli che definiamo più frugali, non gradiscono e non apprezzano queste “ammuine” se non vengono accompagnate da proposte alternative, migliorative, in special modo, credibili. La credibilità di queste proposte dipende in maniera significativa dalla loro provenienza, vale a dire se chi le fa ha un passato di impegni presi e rispettati, adempiuti, e dalla loro per qualità. Le proposte debbono anche, per tornare alla frase di apertura, avere di mira il miglioramento di tutta l’Unione Europea, contribuendo alla sua stabilità, alla sua crescita, ad una sua unificazione più stretta. Quest’ultimo, più ambizioso obiettivo certo non può essere il progetto dei sovranisti tranne di quelli che si stanno pentendo, pensando se e come fare outing nel momento più difficile e delicato ovvero nel corso della già iniziata campagna per l’elezione del Parlamento europeo.
Le opposizioni italiane avrebbero l’opportunità di sfruttare la contingenza favorevole impegnandosi a chiarificare per gli elettori da raggiungere e conquistare quanto alcune proposte, condivisione e azione, contribuendo al buon funzionamento dell’Unione Europeo produrrebbero ricadute positive e rapide sui singoli. Sappiamo, però, che, a causa di molte sue insuperate ambiguità, il Movimento Cinque Stelle non è in grado di dare un contributo efficace a questa strategia. Giusto allora mettere in evidenza l’inconcludenza e la farraginosità della strategia governativa (e delle affermazioni, prese di distanza minimali di Forza Italia), ma impossibile non vedere la trave nell’occhio di una parte delle opposizioni. Una buona politica accetta la sfida e nella campagna elettorale darà il massimo per spiegare agli italiani che quel che vuole fare per l’Unione Europea, anche in termini di proposte operative, e come e quanto servirà a migliorare le condizioni di vita di tutti. Nel passato, spesso è stato proprio così.
Pubblicato il 12 dicembre 2023 su Domani
Uno scambio che ha il sapore del ricatto #MES
Il Meccanismo Europeo di Stabilità non entra in vigore perché, approvato da venti stati dell’Unione, non è ancora stato ratificato dall’Italia. La ratifica non costituisce nessun obbligo di utilizzo. Oramai è evidente che Giorgia Meloni sta ricattando, è il verbo più preciso, gli altri stati e l’Unione nel suo insieme con un comportamento di stampo orbaniano. Vuole più tempo e più discrezionalità per l’uso dei fondi del PNRR. Non è patriottismo. Deve essere considerato riprovevole antieuropeismo che molti capi di governo ricorderanno a scapito dei nostri interessi nazionali.
“Crisi provocata dall’ego di Renzi, megalomane tendente al ricatto. Mercato delle vacche? Quello è più trasparente, qui invece solo fregature” #intervista @LaVeritaWeb
Intervista raccolta da Federico Novella
“Vedo derive non autoritarie ma confusionarie. Si può votare anche in una pandemia.”
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica e accademico dei Lincei: almeno lei ha compreso le ragioni autentiche di questa crisi di governo?
«La ragione fondamentale è una: Matteo Renzi, un megalomane che avendo un ego molto gonfio e una grande invidia nei confronti del premier, ha deciso di acquisire visibilità a qualsiasi prezzo. Evidentemente, rilasciare interviste a quattordici televisioni contemporaneamente lo rende felice».
Quindi è una crisi scaturita dall’ego del senatore fiorentino?
«Sì, poi possiamo condirla con il Mes sulle spese sanitarie, le correzioni al piano europeo, la gestione dei servizi segreti, ma la sostanza è questa: c’è un leader politico che, dopo essersi scisso dal Pd, indebolendolo, ha deciso di far esplodere la crisi».
Un parlamento ricattato da Renzi?
«Ecco, la parola giusta è esattamente questa: ricatto. Con i partiti si può intavolare una trattativa, ma non puoi dire: o si fa come dico io, o faccio cadere tutto » .
In realtà pare di capire che Renzi sarebbe pronto a rientrare in maggioranza. Una retromarcia?
«Si comporta così perché, pur avendo ottenuto alcune cose, ha capito di aver mancato l’obiettivo principale: scompaginare Pd e 5 stelle. E quindi adesso ha paura delle elezioni anticipate, perché se non trova accoglienza in altri partiti, scomparirà dalla scena».
Dunque?
«Dunque Renzi tentenna: teoricamente ha ancora in mano la soluzione della crisi. Ma al momento a Pd e 5 stelle vanno bene i suoi parlamentari: ma non va bene lui».
E quindi prosegue la triste ricerca di voti in parlamento, in cambio di seggiole governative.
«Ma io non criminalizzo le trattative politiche. Se dico a un parlamentare: ti do un ministero se mi porti i voti in aula, non c’è nulla di male. Però sarebbe preferibile trattare con persone capaci e competenti …».
Se in democrazia la forma è sostanza, oggi la forma è quella del mercato delle vacche.
«Ma guardi che il mercato delle vacche è un mercato fantastico e trasparente».
Trasparente?
«Sì, perché le vacche si vedono. Il mercato delle vacche è competitivo. Sono le vacche migliori quelle che si vorrebbero comprare. Se compro una vacca dal contadino Bepi, è perché so che mi vende delle vacche buone. Non la compro dal contadino Matteo, che mi rifila sempre la fregatura».
Parliamo sempre del solito Matteo?
«Il punto è che abbiamo parlamentari eletti con un sistema elettorale pessimo, che devono il loro scranno ai dirigenti di partito. I bolzanini sono contenti di aver eletto Maria Elena Boschi, che abita ad Arezzo? I modenesi e i ferraresi hanno eletto Piero Fassino, ma non lo vedono mai: perché non protestano?» .
Lei riprenderebbe Renzi a bordo della maggioranza, oppure, come dice Zingaretti, il capo di Italia Viva è inaffidabile?
(Profondo sospiro) «Renzi è un mentitore: fossi nel gruppo dirigente di Pd e 5 stelle direi di no».
Però?
«Se trangugiare Renzi fosse il prezzo da pagare per avere stabilità fino alla scadenza della legislatura, sarei disposto a discuterne. Ma dovrebbero fare un patto tra gentiluomini: e il soggetto in questione non garantisce che ci sia un gentiluomo contraente».
Comunque: se Conte si facesse da parte, non sarebbe tutto più semplice?
«Nel Partito democratico ci sarebbero pure delle persone all’altezza del ruolo di capo del governo. Ma Conte adesso è il punto di equilibrio di una coalizione delicata. Togliere Conte significa far esplodere una vera crisi, che finora formalmente non è ancora stata aperta».
Perché Conte non lascia?
«Perché è la sua occasione della vita. Lui stesso non si sarebbe mai aspettato di arrivare a Palazzo Chigi ed entrare in qualche modo nella storia repubblicana. È normale che combatta per rimanere lì. E poi ha un vantaggio politico: per l’Unione europea è lui quello credibile: è da lui che si aspettano un programma di rilancio».
Conte esaltava il sovranismo, adesso lo attacca. Era amico di Trump, e oggi di Biden.
«Per anni tutti hanno ripetuto che le ideologie erano dannose? E questo è risultato. Conte non ha cultura politica, ha imparato in fretta a maneggiare il potere e rappresenta bene la situazione odierna».
Quale situazione?
«Quella nella quale si vive di personalismi, di interviste, sui giornali e in tv. In linea, se vogliamo, con un carattere nazionale che viaggia verso un individualismo estremo. In politica oggi sono gli umori e i malumori personali che fanno la differenza, ma solo perché non abbiamo più culture politiche. Tranne forse una».
Quale?
«Il federalismo, coniugato con l’europeismo. Purtroppo non ci sono personalità politiche adeguate per rappresentarlo.
Oggi Altiero Spinelli non saprebbe da che parte voltarsi. E buona parte della colpa ce l’ha un Pd privo di sostanza politica».
Ci crede al partito personale di Conte? Può avere un futuro?
«Al partito di Conte sono contrario: finirebbe soltanto per frammentare ancora di più il quadro politico. Allo stesso modo, non vedrei bene l’ipotesi di un pezzo di Forza Italia che si stacca per andare per conto suo » .
L’idea è quella di ritrovarsi tutti, in qualche modo, al centro…
«Me ne infischio del centro. Il centro è il luogo degli scambi più sordidi, quelli che inquinano la vita politica. Renzi dice di voler rifondare il centro, ma il suo gruppo parlamentare si chiama “Italia Viva-Socialisti”. Lui e Conte si odiano perché ambiscono allo stesso territorio politico. In più mettiamoci anche Calenda, aggressivo e pronto a tutto. Se non correrà per il Campidoglio, cercherà sicuramente di arrivare a Palazzo Chigi».
E, quindi, il centro le fa così paura?
«Io sogno un quadro bipolare, con sistema maggioritario a doppio turno. E ricorderei al capo dello Stato che quel “Mattarellum” che porta il suo nome non era affatto male …».
Conte invece rilancia il vecchio proporzionale …
«Sì, che produce frammentazione senza una soglia di sbarramento adeguata, ma che pure in molti paesi funziona benissimo. In linea di massima dobbiamo sempre ricordare che non è il sistema elettorale che produce instabilità, ma la sua classe politica » .
Problemi che lasciano il tempo che trovano, visto che quasi nessuno accetta di andare al voto. Non si può andare alle elezioni per paura del Covid, o per paura che vinca il centrodestra?
«Mi fanno sorridere i politici che dicono “non abbiamo paura delle elezioni”, quando alcuni di loro dovrebbero averne eccome. Detto questo, si può tranquillamente votare anche durante una pandemia».
Ma?
«Ma rischieremmo di buttare via il tempo per ritrovarci comunque, dopo il voto, senza una maggioranza solida».
Come mai il capo dello Stato sta concedendo a Conte ciò che negò al centrodestra nel 2018?
«È un po’ diverso. Il centrodestra nel 2018 avrebbe dovuto andarsi a cercare in parlamento qualcosa come cinquanta voti. E comunque Mattarella non ha ancora dato il via libera a nulla: oggi sta alla finestra e aspetta preoccupato. Se Conte non riesce a crearsi un gruppo parlamentare che lo sostenga, sicuramente il Colle punterà su altre soluzioni».
Appunto, se escludiamo davvero le elezioni, quali sono le altri soluzioni sul campo? Tra due giorni si vota sulla giustizia, e il destino di Conte è ancora una volta appeso a un filo.
«Non sono ancora il presidente della Repubblica, e dunque parlo ancora a titolo personale. Mi aspetto però un colpo di intelligenza politica da parte di Sergio Mattarella».
Cioè ?
«Un governo del Presidente, che vada in parlamento e dica: brutti balordi, siamo in un momento cruciale, dovete sostenere un governo che ottenga il massimo dall’Europa, con un programma di lungo respiro, e un premier e ministri capaci. Lo può fare, la Costituzione lo consente».
È un po’ diverso dal governo di unità nazionale…
«Sì, perché con il governo di unità nazionale sono i partiti che decidono di mettersi insieme, e a me non piacciono i contenitori in cui trovi dentro di tutto. No, io immagino che l’impulso arrivi dal Capo dello Stato: sarebbe lui a dettare la linea di fondo e a decidere le poltrone chiave. E sarebbe ovviamente una parentesi straordinaria».
Insomma, a giudicare dallo spettacolo cui stiamo assistendo, possiamo dire che la repubblica parlamentare si sta trasformando in oligarchia?
«Più che derive autoritarie, vedo soltanto derive confusionarie: non sappiamo cosa fare, lo facciamo male, e scarichiamo la responsabilità sugli altri».
Pubblicato il 25 gennaio 2021 su La Verità
Svolta europeista per salvare il governo Conte
La ricerca di una maggioranza più solida a sostegno del governo Conte, quello esistente, ma, eventualmente, anche quello futuro, si presenta tutt’altro che facile. Deve evitare di dare vita a una situazione “raffazzonata” e “raccogliticcia”, vale a dire, senza principi condivisi e con parlamentari di varia provenienza tenuti insieme soltanto dal desiderio, pur legittimo, di non andare a elezioni anticipate e non perdere il seggio. Inoltre, quel gruppo/gruppetto ha bisogno, a norma di regolamento, del nome di un partito presentatosi alle elezioni del marzo 2018. La scoperta che l’on Cesa, capo dell’UDC, potrebbe essere coinvolto in attività della ‘ndrangheta in Calabria rende improbabile l’utilizzazione di quel nome e simbolo anche se, forse, potrebbe facilitare la migrazione di senatori che vi si siano identificati.
Uno dei punti di forza del discorso e del governo Conte è il richiamo all’Unione Europea. Grazie all’impegno e alla credibilità del Presidente del Consiglio l’Italia potrà disporre di 209 miliardi di Euro, 129 sotto forma di prestiti a bassissimi tassi di interesse e 80 come sussidi da non restituire. Questa massa di soldi arriveranno all’Italia una volta valutati i programmi di investimenti in alcune aree privilegiate, dall’economia verde alle infrastrutture, dalla digitalizzazione alla coesione sociale, i loro tempi, la loro fattibilità. Vi si possono aggiungere 36-37 miliardi di Euro del MES esclusivamente per spese sanitarie dirette e indirette. Finora il Movimento 5 Stelle ha opposto un rigido rifiuto e, non casualmente, Renzi ha posto l’accento sull’utilità di un ricorso immediato al MES che è anche la posizione del Partito Democratico e di Forza Italia. Dunque, dire sì al MES può significare inserire un’utile contraddizione nello schieramento di centro-destra e mandare un messaggio positivo ai senatori/senatrici di Forza Italia in condizione di disagio.
Il nucleo portante della rinnovata azione di governo, quella che giustificherebbe anche una maggioranza più coesa e indispensabilmente allargata è proprio costituito da una decisa svolta europeista. Conte potrebbe sfidare ItaliaViva ad essere coerente su questo terreno e incoraggiare la formazione di un gruppo di parlamentari di diverse provenienza, ma tutti orientati a mettere in evidenza la loro comune posizione europeista. Lì potrebbe trovarsi il sen. Nencini, socialista; lì potrebbe giungere la sen. Bonino della lista Più-Europa; lì finirebbero anche gli ex-democristiani che sempre furono europeisti nonché gli europeisti di Forza Italia. Un gruppo di questo genere darebbe un contributo positivo essenziale al rafforzamento numerico, ma anche politico del governo.
Nel 1941 l’ex-comunista Altiero Spinelli, il radicale Ernesto Rossi, il socialista Eugenio Colorni scrissero che sarebbe venuto il tempo di sostituire alla declinante differenziazione “destra/sinistra” quella fra i contrari all’unificazione politica dell’Europa e i favorevoli. Ottanta anni dopo a Conte si presenta l’opportunità di contribuire alla realizzazione di questa profezia.
Pubblicato AGL il 22 gennaio 2021
La soluzione alla possibile crisi di governo è ancora lontana #intervista @radiopopmilano
Giuseppe Conte cerca di uscire dall’angolo accettando alcune modifiche al Recovery Plan, ma la soluzione della crisi sembra essere ancora lontana. Matteo Renzi rilancia sul Mes. Chiede al Presidente del Consiglio di prendere i miliardi europei sulla sanità. Una condizione che Conte non può accettare perché il M5Stelle non vuole.
Nicola Zingaretti dice di non volere “una crisi dalle soluzioni imprevedibili”. Ma il rischio che le forti tensioni sfocino in una crisi dell’esecutivo è sempre più probabile.
Il politologo Gianfranco Pasquino non fa sconti a nessuno dei protagonisti in questa intervista a Radio Popolare
Lo stile di governo di Giuseppe Conte
Troppo impegnati a criticarlo, a darlo per spacciato e a suggerire (impraticabili) alternative la maggioranza dei commentatori italiani non riesce a capire perché il modo di governare di Conte funziona in modo soddisfacente ed è premiato dai sondaggi. Oramai da quasi un anno più del 50 per cento degli italiani (il 57 secondo il sondaggio Ipsos pubblicato una settimana fa dal “Corriere della Sera”) esprime il suo gradimento per l’operato di Conte e il 49 per cento per quello del governo. Tutti gli altri dirigenti dei partiti sono nettamente staccati, distanti più di 20 punti. Ciò rilevato, è possibile pensare che il governo guidato da Conte abbia commesso errori nell’affrontare la pandemia, che alcuni provvedimenti arrivino in ritardo, che, forse, l’Italia non si sta preparando adeguatamente per ottenere gli ingenti stanziamenti dall’Unione Europea, ma quasi nulla di tutto questo sembra scalfire il gradimento di Conte. Imperterriti gli editorialisti scrivono delle difficoltà di Conte e lo danno al capolinea, ma al dunque, ovvero quando qualcuno, come Renzi, tira troppo la corda, Conte riesce a rimettere ordine nella sua composita coalizione di governo e a continuare. La crisi preannunciata viene rimandata nel tempo, sempre un po’ più in là.
Sono questi rinvii ad essere considerati esiziali dai critici e dagli oppositori di un Premier che dovrebbe essere forte, “decisionista” per usare una parola degli anni ottanta. Quando Conte decide, ad esempio, emanando i famosi/famigerati DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) viene curiosamente e davvero fuori luogo accusato di autoritarismo. La verità è che l’avvocato Giuseppe Conte ha dimostrato una inaspettata e imprevedibile capacità di apprendimento rivestendo la sua carica. Probabilmente, la pazienza fa parte del suo carattere, ma ha saputo metterla a buon frutto, mai rispondendo frettolosamente né alle critiche né agli avvenimenti. Nei rapporti sia con le associazioni sia con gli altri dirigenti politici ha posto in essere una strategia di stampo democristiano: la mediazione. Quando tutti, in maniera più o meno (ad esempio, il Presidente della Confindustria Bonomi e il leader della Lega Salvini) garbata, hanno formulato le loro posizioni e avanzato i loro, finora non brillanti, suggerimenti, Conte ha cercato e trovato il punto di equilibrio che non necessariamente sta in mezzo, ma tiene conto del diverso peso delle richieste. Se no, rinvia, come sta facendo con l’attuazione del MES per spese sanitarie dirette e indirette al quale si oppone “teologicamente” il Movimento 5 Stelle, ma che finirà per esigere un’accelerazione. Difficile dire se il modo di governare di Conte è il migliore possibile. Forse sì, nelle condizioni date. Soprattutto, come prova il vano e poco originale appello rivolto dai commentatori a Mario Draghi, nessuno sa dire chi altri e come garantirebbe oggi prevedibilmente esiti preferibili a quelli ottenuti da Conte in Italia e nell’Unione Europea. Conte va.
Pubblicato AGL il 24 dicembre 2020
Mes o non Mes, non esiste vincolo di mandato per i parlamentari
Noi che pensiamo e sappiamo che i parlamentari debbono agire “senza vincolo di mandato”, proprio come sta scritto nell’art. 67 della Costituzione, dobbiamo difendere questo diritto sempre. Dunque, siamo convinti “non da oggi” che: deputati e senatori dei Gruppi Misti, di Cambiamo, dei più o meno Responsabili e dissenzienti di varia provenienza hanno tutti, senza esclusione alcuna, il diritto di votare secondo coscienza e scienza (quello che sanno). Poi, se vogliono, ma qualcuno lo ha già fatto, spiegheranno perché. Sarebbe molto bello se potessero farlo nei loro collegi uninominali!
Se guardiamo al problema riforma del MES e accettazione del MES per spese sanitarie dirette e indirette, potremmo anche chiedere a coloro che vorrebbero imporre il vincolo del mandato se hanno la possibilità di valutare in qualche modo che gli elettori dei parlamentari delle 5 Stelle hanno voluto, in effetti, impegnare con il loro voto i candidati che stavano eleggendo. Non mi pare che il 4 marzo 2018 il MES sanitario facesse parte del dibattito pubblico e neppure del non-programma del Movimento 5 Stelle. Dunque, nessuno, ma proprio nessuno dei parlamentari pentastellati (così come, in realtà, nessuno degli altri parlamentari) può sentirsi in qualche modo vincolato ad un mandato che non può avere ricevuto.
Naturalmente, il discorso deve essere allargato poiché, anche se non vogliamo e non potremmo ottenere parlamentari vincolati a impossibili mandati, siamo in molti a pensare che qualche forma di disciplina di voto e di coerenza politica tutti i parlamentari dovrebbero sicuramente averla. Chi accetta (se non, addirittura, sollecita e impone) la candidatura in un partito, salvo eccezioni clamorose, sta dichiarando di condividere la visione politica di quel partito e anche, più o meno completamente, il programma che quel partito sottopone agli elettori e sul quale i candidati fanno campagna elettorale. Una volta nei banchi di Camera e Senato gli eletti hanno l’obbligo politico e la responsabilità di cercare di trasformare il programma in leggi, in decisioni il più coerenti possibile con le indicazioni programmatiche. Non sarà affatto facile in un eventuale governo di coalizione nel quale bisogna sempre tenere conto delle preferenze programmatiche di ciascuno e di tutti i partiti facenti parte della coaIizione e dei loro parlamentari.
Voti contro il programma di governo concordato sono accettabili soltanto, a mio parere, se lo scostamento rispetto al programma del proprio partito è molto grande giungendo a sovvertirlo o quasi. Qui sta, opportunamente motivato, un voto di coscienza in dissenso dal proprio partito e dal governo (che può condurre fino all’abbandono). Criticare questi parlamentari con le classiche, ma logorissime accuse di essere attaccati alle poltrone (mentre sono i critici quelli attaccati ai loro pregiudizi), non soltanto è almeno in parte, in qualche caso molto grande, sbagliato. In buona sostanza è l’ennesima manifestazione di un brutto antiparlamentarismo che non muore mai, condito con una spruzzatina di maleodorante populismo.
Pubblicato il 8 dicembre 2020 su huffingtonpost.it
Tensione M5S-Pd, Pasquino: “Ecco perché il governo non cadrà sul Mes” #intervista #SputnikItalia
Intervista raccolta da Alessandra Benignetti
Per Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’Università di Bologna, intervistato da Sputnik Italia, il premier Giuseppe Conte sul Mes avrà la maggioranza anche grazie ad una parte di Forza Italia e ai “responsabili” del gruppo misto. E sull’ipotesi del rimpasto attacca: “Chi gestisce Lavoro e Trasporti va sostituito”.
“Non cadrò sul Mes”, ha assicurato il premier Giuseppe Conte al direttore di Repubblica, Maurizio Molinari. Ma con la maggioranza spaccata sul Fondo salva-Stati e una pletora di grillini dissidenti che promettono di votare contro la riforma del Meccanismo europeo di stabilità, chi salverà il governo? Sputnik Italia lo ha chiesto a Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’Università di Bologna.
— Siamo sull’orlo di una nuova crisi di governo?
— Io credo che il M5S non si possa permettere la sfiducia nei confronti di Conte perché per loro sarebbe una sconfitta. Un governo Conte–Pd è un governo che hanno voluto i Cinque stelle quindi se votano contro Conte, votano contro sé stessi. Se vogliono fare i conti all’interno del movimento è un’altra storia. Però credo che alcuni di loro siano, nonostante quello che leggo, sufficientemente razionali da sapere che non è quello il luogo dove si fanno i conti e che devono contarsi da un’altra parte.
— Quindi cosa succederà?
— Troveranno una soluzione, qualcuno voterà in dissenso, qualcun altro non ci sarà, perché al Senato se uno esce non conta dal punto di vista numerico. Ci sono tutta una serie di escamotage che possono sfruttare.
— E poi, chi arriverà in soccorso di Conte?
— Una parte di Forza Italia probabilmente vuole evitare di far cadere il governo, e lo farà nel segreto dell’urna se questo è necessario. Altrimenti anche assumendosi le sue responsabilità, perché il partito non è più riconducibile al dominio di Berlusconi. In secondo luogo c’è un numero consistente di parlamentari che hanno lasciato i loro gruppi e sono finiti nel gruppo misto, questi sono a maggior rischio di non rielezione e quindi certamente non vogliono creare una situazione che porti alle urne. Possiamo chiamarli responsabili, e in questo caso visto che si tratta di un voto molto rilevante si tratta di responsabili nel senso positivo della termine. Questo è sufficiente a garantire al governo una maggioranza, seppur risicata.
— Ha ragione, quindi, Conte a dire che non cadrà sul Mes?
— Le do una notizia: per una volta Pasquino è d’accordo con Conte.
— Cosa significherà per il M5S?
— Il partito in quanto tale non esiste, esiste un raggruppamento di uomini e donne che hanno avuto un sacco di voti nelle elezioni del 4 marzo del 2018 e si barcamenano. Sono disposti a transigere su una serie di materie, di tanto in tanto alzano il tiro, prendono le distanze e così via, però sanno che oramai non hanno nessun luogo dove andare. Devono rimanere al governo perché l’alternativa è tornare a casa. Per qualcuno è un problema di coscienza, perché ci crede davvero, per altri è un problema di convenienza, perché non ci credono ma sanno di non avere scelta.
— Per ora un rimpasto sembra escluso, non ci sono le condizioni?
— Le condizioni per un rimpasto ci sono ma non bisogna porre la questione in maniera vaga. Bisogna dire: ‘ci sono due o tre ministri i quali non hanno fatto abbastanza bene’. Bisogna dare una valutazione. I vari schieramenti devono dire apertamente se ci sono persone migliori da poter mettere in campo per quest’ultima fase della legislatura. Detto ciò, se dire ‘ci vuole un rimpasto’ non significa nulla, rispondere ‘non ci vuole un rimpasto’ significa ancora meno. Significa che il premier pensa di non essere in grado di trovare persone migliori, questo secondo me è preoccupante. Ci sono sicuramente due o tre ministri che possono essere sostituiti da persone un po’ più capaci.
— Ci dica i nomi…
— Le dico prima chi non sostituirei. Non è sicuramente il ministro dell’Istruzione (Lucia Azzolina, ndr) che da mesi è sottoposta ad attacchi brutali non giustificati. Ciò premesso mi limito a chiederle: funzionano bene i trasporti in questo Paese? Hanno fatto tutto quello che era necessario per portare i ragazzi a scuola e da scuola a casa? E ancora: funziona bene il mercato del lavoro, viene fatto tutto il necessario per creare posti di lavoro o per difenderli in maniera adeguata?
— Pensa che questo governo arriverà alla scadenza naturale della legislatura?
— Sicuramente il governo farà tutto il possibile per arrivare all’appuntamento del 2022 per l’elezione del presidente della Repubblica. Il che di per sé non significa che riuscirà ad eleggerlo, perché a quel punto il voto dei singoli avrà una enorme importanza. Dovranno scegliere una candidatura adeguata e questo non sarà facile.
— Insomma, una crisi è esclusa nonostante le profezie di Renzi, che a La Stampa ha detto che dubita che l’attuale squadra riuscirà ad arrivare al 2023?
— Renzi può anche fare una crisi di governo ma poi ne pagherà il prezzo, visto che il suo partito non raggiunge neppure il tre per cento. La prospettiva è quella di rimanere fuori dal Parlamento, a meno che non faccia un patto con il Pd, operazione non facilissima ma non impossibile.
— Cosa farà Conte?
— Penso che Conte non vorrà fare il presidente della Repubblica e neppure un partito suo. Mi auguro che nei prossimi due anni il governo non si limiti a stare a galla ma a navigare. E a navigare anche velocemente, perché deve fare davvero dei buoni progetti per far tornare il Paese a crescere, altrimenti staremo tutti male per chissà quanti anni.
— Anche perché l’Europa ci guarda…
— L’Europa ci guarda e ha le sopracciglia alzate quando pensa all’Italia.
Pubblicato il 5 dicembre 2020 su SputnikNews




