Professor Pasquino, come lo vede il Pd in questo momento, verso il congresso?
«È un partito che si è accomodato al 20%, poi di tanto in tanto si tortura, dicendo di aver sbagliato per aver perso la rappresentanza di questi o di non riuscire più a parlare con quelli. Ma sono lacrime di coccodrillo; non fanno nulla per rimediare a una situazione che per me è insoddisfacente».
Che fare allora?
«Il partito è stato costruito male. Noi (Mauro Zani ed io), nel 2007, dicemmo che non bisognava farlo così, che si poteva giungere a un accordo tra ex-democristiani, ex-comunisti e altri. Ma che andava fatto lentamente, collaborando nelle zone locali, creando soprattutto un pensiero nuovo. Mancò la cultura politica. Possiamo raccontarci tutto quello che vogliamo sui leader, ma nessuno sarà mai adeguato se non è in grado di produrre e diffondere una nuova cultura politica».
Cosa significa?
«Che del Movimento 5 Stelle non ci interessa nulla, di Calenda e di Renzi non ci interessa nulla, che bisogna guardare a come si costruisce un partito progressista, socialdemocratico. C’è spazio in Europa per un partito socialdemocratico e laburista, bisogna pensare a come costruirlo in Italia. Questa operazione, invece, non è nemmeno ancora cominciata».
Dalle sue parole emerge un certo pessimismo.
«Sì. Vedo persone che si candidano, però io voglio sapere cosa vorrebbero fare, che cosa pensano di un partito socialdemocratico, socialista, progressista, laburista. E che idea abbiano della giustizia sociale, il rapporto tra merito ed eguaglianza, cosa debba essere la democrazia nei prossimi 10 anni in Italia, se toccare o meno la Costituzione».
Che risposte dovrebbero arrivare?
«Siamo un partito che è fermamente democratico, ma che sa che la democrazia di tanto in tanto deve essere riformata. Pensiamo che una società giusta sia quella in cui tutti i cittadini hanno opportunità e quindi vogliamo intervenire a ogni livello della vita: dai bambini, con scuole efficienti, consentendo a chi è bravo di andare avanti, evitare che i cervelli se ne vadano all’estero. Il Pd del prossimo futuro è un partito di opportunità, che si possono sfruttare al meglio attraverso lo Stato, con l’utilizzo di una burocrazia efficiente. Ci sono situazioni che richiedono interventi di riduzione delle disuguaglianze, ma non vogliamo una società di eguali, bensì di persone che vengano valutate anche sulla base del loro merito, che deve essere ricompensato. Quindi bisogna chiamare in causa i sindacati».
Perché?
«Un partito di questo genere deve sfidare i sindacati, che fra l’altro non si prendono nemmeno la responsabilità del fatto che un sacco di loro iscritti votino per la Lega e probabilmente per Fratelli d’Italia. Vorrei sentire parole di autocritica, perché sono loro che hanno perso i voti, non tanto il partito, ma loro».
Alcuni sostengono che il partito debba tornare a sinistra… lei?
«Non c’è mai stato. Non vuole dire niente tornare a sinistra. Ci si valuta sulle politiche che si fanno, non sulla collocazione geografica».
E sul tema dell’unità?
«Il partito non deve essere di correnti. Deve essere plurale, può accogliere tante posizioni, purché si sappia che una volta presa una decisione a quella si collabora o quanto meno non la si ostacola».
Un lavoro difficile.
«Certamente. Dopo di che rimarrà al 20%, inchiodato lì. E alcuni saranno anche soddisfatti; entrano in Parlamento, ci stanno una o due legislature, magari tornano sul territorio e si fanno un’attività di consulenza. Il Pd, soprattutto quello di Bologna e quello dell’Emilia-Romagna, è un datore di lavoro straordinariamente generoso».
Le primarie per il segretario? Sì o no?
«Intanto, l’elezione del segretario di un partito non è una primaria. Quando Letta dice: “solo 2 candidati” sbaglia, debbono essercene molti di più. Alcuni di noi pensano che il segretario di un partito debba essere eletto solo dagli iscritti».
Chi vedrebbe alla leadership? Bonaccini?
«Ripeto. Nessuno mi ha detto che partito vuole costruire, magari guardando come sono costruiti i partiti di sinistra in Europa. Non so che idea abbia, ma se è l’idea di partito che aveva Renzi credo che sia inadeguata».
Nostalgia del partito che fu?
«Certo, perché nel Pci, a cui io non fui mai iscritto ma i cui elettori mi votarono in Parlamento, c’era un dibattito serio, argomentato; c’era gente che leggeva libri e articoli, si faceva una sua opinione. Qua al massimo leggono qualche tweet e si presentano in qualche talk show televisivo».
Pubblicato il 7 ottobre 2022 su Il Corriere di Bologna