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Rappresentanti paracadutati: nuove acrobazie #ElezioniPolitiche2018
È doveroso riferire giorno per giorno nei dettagli tutte le giravolte e le acrobazie spericolate dei capi partito e capi corrente per ottenere la candidatura per sé e per i loro seguaci più fedeli in seggi reputati sicuri. È imperativo, però, da parte di tutti i commentatori, soprattutto quelli che si scandalizzano, premettere sempre che queste operazioni “seggi sicuri per candidati nominati” sono la conseguenza logica e fermamente voluta da coloro che hanno stilato e fatto approvare con voti di fiducia la legge elettorale Rosato. Contare su parlamentari da loro scelti era l’obiettivo predominante, perseguito da Renzi e da Berlusconi. Pertanto, quel che succede in termini di candidature era non soltanto del tutto prevedibile, ma previsto (non soltanto da me). Adesso, molto tardivamente, “diciamo”, vengono allo scoperto critici inaspettati, come Ernesto Galli della Loggia (Corriere della Sera, 23 gennaio) che giunge faticosamente a sostenere l’introduzione dei collegi uninominali come strumento per migliorare la selezione della classe dirigente. “Troppo poco troppo tardi”. Anzitutto, se non esistesse il requisito della residenza da almeno due-tre anni in quel collegio il fenomeno dei candidati/e paracadutati/e continuerebbe alla grande. In secondo luogo, bisogna chiarire che c’è il collegio uninominale di tipo anglosassone nel quale vince il seggio chi ottiene almeno un voto in più dei concorrenti e il collegio uninominale di tipo francese che richiede la maggioranza assoluta al primo turno in assenza della quale ai candidati che sono ammessi, e passano, al secondo turno (che non è un ballottaggio) sarà sufficiente la maggioranza relativa. Il doppio turno francese offre agli elettori maggiori e migliori possibilità di informazione politica e di scelta. In terzo luogo, queste formule elettorali chiamano tutte in causa quello che è effettivamente in gioco nell’elezione di un Parlamento, di qualsiasi assemblea: la rappresentanza politica.
Fra le altre cose, l’Italicum, come il Porcellum prima di lui, non si curava della rappresentanza. Attribuendo un cospicuo premio in seggi mirava all’elezione del governo che avrebbe goduto di una maggioranza artificiale in Parlamento, costretta a sostenerlo. Coloro che deprecano quello che chiamano “il ritorno della proporzionale” sbagliano due volte. Primo, perché la legge Rosato è molto meno proporzionale del Porcellum e dell’Italicum. Secondo, perché non hanno mai voluto un sistema elettorale maggioritario, ma sono nostalgici di un premio di maggioranza che avrebbe distorto la proporzionalità proprio a scapito della rappresentanza, senza garantire nessuna, qualunque ne sia il significato, governabilità. L’equazione “meno rappresentanza più governabilità” (o viceversa) è sostanzialmente fallace.
Memorabilmente (ma anche no), l’allora Ministro delle Riforme istituzionali Maria Elena Boschi difese i capilista bloccati previsti dall’Italicum affermando che sarebbero stati i “rappresentanti di collegio”. In seguito, sostenne lei,e affermarono molti parlamentari del PD, che si era (pre-)occupata di Banca Etruria poiché così si fa se si vuole rappresentare il “proprio” territorio. Adesso sembra che l’aretina Boschi, caso emblematico, sarà candidata in Trentino. Da questo momento in poi suggerirei a chi segue il turbinio delle candidature di offrire due informazioni: prima, i collegi (uninominale e proporzionale) nei quali si presentano candidati e candidate e il comune della loro residenza. Sicuramente, invece di dilettarsi con la previsione di future maggioranze di governo, che, ovviamente, dovranno ricevere il voto di fiducia dal Parlamento, sarebbe più opportuno chiedersi come potrà un Parlamento di nominati e paracadutati “scegliere bene un governo” e offrire rappresentanza a un elettorato comprensibilmente insoddisfatto e inquieto (sono due eufemismi).
Pubblicato il 25 gennaio 2018
Italicum merce di scambio
Grazie all’Italicum, annuncia e ribadisce Renzi, non ci saranno più inciuci, non si faranno più larghe intese, finirà per sempre il deprecato consociativismo. A metà fra il serioso e il giulivo, ripetono il mantra anche il Ministro delle Riforme Istituzionali Maria Elena Boschi e il vice-segretario del partito, la loquacissima, Debora Serracchiani. Bocciato un cruciale emendamento della minoranza del PD che avrebbe ridotto grandemente il numero dei nominati e approvato un emendamento del PD che ingoia migliaia di altri emendamenti, entrambi i voti debitori del soccorso blu dei Senatori di Forza Italia, il cammino verso l’approvazione di una legge elettorale controversa sembra in discesa. Vedremo in occasione della sua prima applicazione, possibile non prima del 2016, quanto l’Italicum manterrà le sue promesse, in particolare, quelle di sostenere il bipolarismo, di garantire senza mercanteggiamenti un vincitore incoronato la sera stessa delle elezioni e di produrre la governabilità renziana.
Al momento, ma è anche effetto della sotterranea battaglia per il Colle più ambito, il Quirinale, il Partito Democratico si sta dolorosamente lacerando. Soltanto il molto deprecato inciucio con Forza Italia, che dovrebbe essere sconfitto a futura memoria, salva Renzi e la sua brutta riforma elettorale. Berlusconi si aggrappa all’inciucio come se fosse una vera e propria ciambella di salvataggio sia nel duro confronto interno al suo stesso partito sia per rimanere a galla come contraente del Patto del Nazareno e soprattutto per concordare il futuro presidente. Non è ancora andata a fondo la minoranza del Partito Democratico, guidata da Bersani, in grandissima fibrillazione poiché Renzi non fa sconti, non fa concessioni, non fa neppure il piacere di giocare a carte scoperte. Adesso, il test della profondità e della solidità del rapporto prioritario e privilegiato con Berlusconi, non ancora, però, una nuova maggioranza, si sposta verso l’elezione del prossimo Presidente.
Berlusconi ha ripetutamente affermato che non vuole un ex-comunista. In questo modo, taglierebbe fuori dall’eventuale rosa che Renzi potrebbe sottoporgli: Bersani, D’Alema (che ha ancora non pochi sostenitori in parlamento) e Veltroni. Adesso, è l’ex-segretario Bersani che deve porsi il problema di come fare valere quel che resta della ditta. Certamente, l’elezione del prossimo presidente della Repubblica offre alla minoranza del PD, ma anche a Fitto e ai dissidenti di Forza Italia, una grande occasione. Non è soltanto questione di nomi. Peraltro, a Renzi non costa proprio nulla escludere gli ex-comunisti. Non è quella la sua tradizione né, tantomeno, la sua cultura (parola grossa) di riferimento. Anzi, tanto di guadagnato, se l’esclusione degli ex-comunisti, pur non garantendo l’elezione del prescelto nelle prime tre votazioni, facilitasse, faciliterà l’accordo con Berlusconi. E’ sul profilo del non ex-comunista che Renzi e Berlusconi potrebbero avere non marginali differenze di opinione.
E’ lampante che lo scambio, che si sta manifestando sulla legge elettorale, al quale Berlusconi è interessato, riguarda la sua agibilità politica. Il tempo passa, le energie declinano, i malumori in Forza Italia crescono. Se non viene riabilitato in fretta, Berlusconi finirà per non contare nulla. Dunque, ha bisogno di un Presidente della Repubblica molto comprensivo. Anche Renzi desidera un presidente “comprensivo”, magari di basso profilo, meglio se ex-democristiano, poco interventista. Qualcuno lo ha già delineato questo potenziale “presidenziabile”. Proprio come la brutta legge elettorale che consente a Renzi di contare su una vittoria che depurerà il PD dalle minoranze dissenzienti e a Berlusconi di continuare quantomeno a nominare tutti i suoi parlamentari, anche il prossimo Presidente della Repubblica può essere la conseguenza di un inciucio giustificato con l’obiettivo altisonante di porre fine agli inciuci. Per concludere in politichese: “sono queste le riforme, sono questi gli esiti che la gente si attende?”
Pubblicato AGL 22 gennaio 2015
Consulta e CSM ora un passo indietro
Sia la Corte Costituzionale sia il Consiglio Superiore della Magistratura sono organismi importanti nell’architettura del sistema politico italiano. Entrambi hanno compiti di rilievo già in tempi normali. Quando poi il governo intende, da un lato, riformare in più punti la Costituzione, dall’altro, attuare una ristrutturazione del sistema giudiziario, tanto la composizione della Corte quanto quella del CSM sono destinate a contare moltissimo sulla qualità e sui tempi delle riforme. In particolare, la Corte potrebbe essere nuovamente chiamata a valutare se la riforma elettorale proposta da Renzi risponde a tutte le pesantissime obiezioni con le quali i giudici costituzionali hanno sostanzialmente distrutto la legge vigente, detta Porcellum, a suo tempo formulata dall’allora Ministro delle Riforme Istituzionali Sen. Calderoli che incomprensibilmente riappare oggi fra i riformatori della sua riforma. In qualche modo, faticosamente e lentamente, il Parlamento sta arrivando al traguardo con l’elezione dei componenti non togati, ma forse non abbastanza “laici”, visto che alcuni sono parlamentari in carica, del prossimo Consiglio Superiore della Magistratura. Lo stallo per l’elezione dei due giudici costituzionali appare, dopo otto votazioni, piuttosto grave.
Preso atto dell’opposizione all’interno del partito stesso, Forza Italia, che lo aveva designato, uno dei candidati si è, molto a malincuore, dovuto ritirare. E’ stato rimpiazzato da un parlamentare potente, Donato Bruno, mentre il candidato del Partito Democratico, a sua volta parlamentare di lunghissimo corso (dal 1979 al 2008) e Presidente della Camera dal 1996 al 2001, Luciano Violante resiste. Adesso, in maniera del tutto irrituale, è sceso in campo anche il Presidente della Repubblica. Le parole di Giorgio Napolitano: “no a immotivate preclusioni” suonano come un sostegno neppure tanto implicito ai due candidati attualmente in lizza. Meritano, pertanto, attenzione e, credo, anche qualche osservazione critica. Non è possibile dire se la mancanza di due giudici in una Corte composta da quindici giudici ne pregiudichi il funzionamento. Nel passato, alcuni giudici hanno fatto sapere che, salvo in rari momenti di urgenza, la Corte può svolgere il lavoro di routine anche senza plenum. Legittimamente, il Presidente Napolitano desidera che tutti gli organismi costituzionali siano costituiti come si deve. Il suo intervento, però, suona sostanzialmente come una critica ai parlamentari, più di un centinaio, i quali, da una parte e dall’altra, si rifiutano di votare candidati “loro” o dell’altro partito. Napolitano sostiene che quelle preclusioni sono “immotivate”. Lui stesso apre con questo aggettivo un discorso complesso e importante.
E’ molto probabile che coloro fra i parlamentari che non votano Violante e non votano Bruno manifestino preclusioni, ma è altrettanto probabile che saprebbero motivarle. Oltre ai profili esageratamente partitici dei due candidati, che la stampa ha ripetutamente documentato, molti parlamentari potrebbero farsi forti di due argomentazioni. La prima è che i due candidati sono stati loro imposti e che il metodo di selezione, utilizzato a Largo del Nazareno e ad Arcore, non è risultato chiaro a nessuno. Insomma, per cariche tanto importanti sarebbe opportuno fare ricorso alla seppur fragile democrazia che dovrebbe esistere nei partiti. La seconda argomentazione è che parecchi di loro sarebbero perfettamente in grado di motivare la loro opposizione che, spesso, non è affatto “preclusione”, ma che, purtroppo, in questi casi (ma anche in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica), il Parlamento diventa un grande seggio elettorale e non un luogo di dibattito aperto e trasparente sulle qualità richieste ai candidati per ottenere quelle carche.
Insomma, il Presidente Napolitano sembra chiedere ai parlamentari di obbedire ai dirigenti dei loro partiti applicando gli accordi raggiunti in alto loco. I parlamentari dicono, con l’unico strumento che hanno a disposizione: il voto/non voto, che qualcosa non va e che quegli accordi non hanno prodotto il meglio. Forse toccherebbe ai candidati rinunciare a una estenuante elezione, che sarà comunque risicatissima, e a risolvere l’impasse con una nobile dichiarazione di ritiro, s’intende, ben motivato.
Pubblicato AGL(Agenzia giornali locali, Gruppo editoriale l’Espresso) 18 settembre 2014