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La voglia di voto e i mezzi silenzi del Colle
In via di principio non esiste nessuna relazione pericolosa fra l’approvazione di una nuova e indispensabile legge elettorale e l’indizione di elezioni anticipate. Basterebbe riflettere, cosa che nessuno dei protagonisti sta facendo, sull’unico motivo politicamente e costituzionalmente valido per sciogliere il Parlamento prima della sua scadenza naturale (fine febbraio 2018): quando non esista più un governo sostenuto da una maggioranza parlamentare in grado di funzionare. Non sembra questa la situazione del governo Gentiloni rispetto al quale, anzi, ripetutamente, il segretario del Partito Democratico continua ad affermare, però, in maniera un po’ contorta, il suo sostegno. Certo, in nome della governabilità che gli è sì cara, Matteo Renzi non dovrebbe rendersi responsabile di fare cadere tre governi guidati da esponenti del PD (Letta, il suo, Gentiloni) nella stessa legislatura. Ma, si sa, non c’è il due senza il tre. È possibile contrastare questo detto rilevando, lo stanno facendo in molti, che esistono importanti leggi da approvare, quantomeno quelle contro la tortura e per il testamento biologico, ma soprattutto la Legge di Stabilità. Non sembra, però, sufficiente a fare desistere coloro che vogliono elezioni anticipate a prescindere da qualsiasi considerazione: è la posizione apertamente dichiarata di Matteo Salvini, di Silvio Berlusconi e di Beppe Grillo. Forse Renzi aspetta un incidente di percorso del governo Gentiloni che gli tolga le castagne dal fuoco offrendo lo spunto migliore al Presidente Mattarella per, come si dice con un’espressione davvero sgradevole, “togliere la spina al Parlamento” e aprire la campagna elettorale. Si voterebbe, sconfiggendo con una agguerrita campagna elettorale il Generale Ferragosto, alla fine di settembre. Qualcuno addirittura, anche se la nuova legge elettorale italiana non ha quasi più nulla a che vedere con quella vigente in Germania, evoca il 24 settembre, data già fissata per le elezioni del Bundestag tedesco, regolarmente in carica per l’intero suo mandato quadriennale.
Tutte queste voci hanno fatto perdere la pazienza a Napolitano il quale, pure, è responsabile di avere dato a Renzi l’incarico di capo del governo nel febbraio 2014 e di averne sostenuto con ripetuti interventi le riforme costituzionali e il relativo referendum. Non è solo la delusione profonda nel segretario del PD che motiva Napolitano, ma la sua consapevolezza che qualsiasi campagna elettorale anticipata avrebbe un costo elevatissimo per l’Italia in termini economici — è già cresciuto lo spread con i titoli tedeschi–, e in termini di credibilità. Quali impegni possono “credibilmente”, ad esempio, agli occhi della Commissione Europea, dei singoli Commissari e degli operatori economici internazionali, prendere Gentiloni e Padoan se è molto probabile che fra qualche settimana diventino “anatre zoppe” (come i Presidenti USA a fine mandato) e fra pochi mesi non saranno neppure più al governo? Per di più, la grande maggioranza dei commentatori ripete da tempo due considerazioni sull’esito elettorale: non sarà affatto facile formare un nuovo governo; sarà un governo di coalizione fra il PD di Renzi e Berlusconi (per molte ragioni un esito nient’affatto rassicurante per gli investitori stranieri e per le autorità europee).
Temo che il chiacchiericcio sulle elezioni anticipate abbia, comunque, già fatto molti e irreversibili danni. I cosiddetti “quirinalisti” offrono diverse interpretazioni del silenzio del Presidente Mattarella: è pronto a dare il via libera allo scioglimento oppure tace sperando che la finestra temporale dello scioglimento anticipato si chiuda da sola. Credo, invece, che il Presidente che, secondo l’art. 87, “rappresenta l’unità nazionale”, dovrebbe fare sapere con solennità, ovviamente nelle forme e nei modi che preferisce, che l’interesse nazionale sta molto al disopra del miope tornaconto dei singoli partiti e dei loro dirigenti. Quella che sta arrivando è un’occasione da manuale per l’esercizio della moral suasion, anzi, della dissuasione morale, argomentata, anche in un messaggio alle Camere, affinché serva da lezione costituzionale.
Pubblicato AGL 8 giugno 2017
Nel 2017 ci sarà molto da lavorare per l’Unione Europea #TrattatodiRoma
Celebrare degnamente il 60esimo anniversario del Trattato di Roma (25 marzo 1957), vero trampolino di lancio dell’Europa che abbiamo, è doveroso. Però, c’è poco da festeggiare. Sono proprio gli italiani a non potersi permettere i festeggiamenti. Con un ministro degli Esteri privo di esperienza e di competenza, con un ministro dell’Economia che preconizza che nel 2017 l’Italia crescerà più di ogni altro Stato-membro, con un Capo del governo che da Ministro degli Esteri non ha lasciato traccia, con un Alto Rappresentante per la Politica Estera, numero due della Commissione, Federica Mogherini, abbandonata a Bruxelles dal precedente governo, c’è molto da lavorare per organizzare qualcosa di serio che serva all’Unione e, quindi, anche all’Italia.