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Gianfranco Pasquino: “Brutto testo quello sul premierato” @LaPortadiVetro Domani sera #27novembre ad Alessandria dibattito con Mario Deaglio

Intervista di Alberto Ballerino

Gianfranco Pasquino e Mario Deaglio si confronteranno domani, 27 novembre, sui problemi del nostro paese, tra economia e politica, nella sede dell’associazione Cultura e Sviluppo in piazza De André ad Alessandria. Un’occasione importante per riflettere su una fase storica complessa con due tra i più originali intellettuali italiani.

Una transizione infinita? Politica ed economia dalla fine del Novecento a un futuro da riprogettare è il titolo dell’appuntamento, in occasione del quale si parlerà anche dell’ultimo libro di Pasquino, In nome del popolo sovrano. Potere e ambiguità delle riforme in democrazia  (Egea). Un volume in cui vengono dati giudizi molto severi, a partire dalle riforme fino ad oggi fatte o proposte.  “Mediocri – ci dice l’autore -, alcune sbagliate e respinte dai referendum”.  Tra le più importanti finora attuate c’è sicuramente quella dell’articolo V sulle autonomie e il decentramento amministrativo. “Gli italiani non hanno mai capito bene cosa significa avere il decentramento. In realtà tutto va ripensato, tenendo presente che siamo in Europa: il decentramento deve creare delle entità autonome in grado di rapportarsi direttamente ad essa. Non vedo nessuno in grado di farlo. Probabilmente l’unico con idee valide in materia era Gianfranco Miglio, che però esagerava perché era interessato soprattutto alle regioni del nord. Oggi non c’è un vero federalista e abbiamo una cattiva distribuzione del potere tra le varie regioni”.

Sulle riforme al centro del dibattuto politico attuale è molto duro. Per quanto riguarda quella sulla giustizia, ritiene che sia sbagliata e diretta a consentire al potere politico di controllare quello giudiziario: “Nordio ha avuto una battuta infelice ma rivelatrice, dicendo che bisogna riequilibrare i poteri con la politica, dando più poteri a quest’ultima. Non è così che si fanno le riforme della giustizia: credo che sia giusto andare al referendum, il quale peraltro deve essere chiesto dagli oppositori e non dal governo perché altrimenti è un plebiscito. E ai plebisciti si risponde con un No”.

Altrettanto negativo il giudizio sul premierato: “Il testo è pessimo perché spacca uno dei principi cardine del costituzionalismo democratico come  la separazione dei poteri e cambia la forma di governo, da parlamentare a non parlamentare, direi extra parlamentare e forse anti parlamentare. Una riforma brutta che mira a togliere i poteri al presidente della Repubblica di nominare il capo del governo (scelto dagli elettori) e di sciogliere il Parlamento (sciolto dal capo del governo o dalla sua maggioranza). Il governo avrebbe più poteri del presidente della Repubblica, mentre, invece, il dualismo è indispensabile nel funzionamento del parlamentarismo italiano”.

Tra l’altro, per quanto riguarda le attività degli organi costituzionali, è proprio sulla presidenza della Repubblica che vanno i giudizi migliori: “Recentemente è quello che ha funzionato meglio. Il governo ha avuto alti e bassi mentre il Parlamento non è riuscito ad acquisire una sua autonomia. Funziona positivamente quando ci sono parlamentari capaci altrimenti non va particolarmente bene, va riformato. Per avere un Parlamento potenziato bisogna utilizzare una legge elettorale decente mentre l’attuale non lo è”.

Oggi, Pasquino sarebbe favorevole a una sola riforma: “Quella del voto di sfiducia costruttivo. Il capo del governo viene eletto direttamente dal Parlamento, in seduta congiunta eventualmente, e può essere sostituito soltanto da una maggioranza assoluta che abbia la capacità di eleggerne un altro. Questo responsabilizzerebbe il capo del governo, le maggioranze parlamentari e farebbe fare un salto di qualità all’intero sistema. Tutto il resto va bene così com’è. Nessuno di noi, né oggi né ieri, è in grado di fare meglio dei costituenti. Quella italiana è un’ottima Costituzione”.

 

 

Se non è ricattabile Meloni faccia i nomi dei suoi ricattatori @DomaniGiornale

Sono oramai diverse, di recente nel brutto caso del capo della polizia giudiziaria libica Almasri, le occasioni nelle quali Giorgia Meloni ha affermato con forza “non sono ricattabile”. Mi pare giusto volerne sapere di più, meglio se, invece che con un messaggio social, la Presidente del Consiglio rispondesse a opportune e appropriate richieste in Parlamento. La sottolineatura della sua non ricattabilità, evito il terreno strettamente personale, significa che in politica, nel passato e oggi vi sono (state) persone ricattabili. Costoro non hanno potuto agire liberamente poiché erano sotto tiro, minacciati sul piano del loro privato (ma a quanta privacy ha diritto chi ha conquistato cariche pubbliche che incidono sulla vita dei loro concittadini?) e, sono costretto ad azzardare, delle modalità della loro carriera politica e del loro esercizio del potere di rappresentanza e di governo. Non faccio ipotesi di nomi, ma non sarebbe fuori luogo chiedere che la Presidente del Consiglio rivelasse chi è/sono oggetto della sua comparazione implicita.

Il messaggio della non ricattabilità può avere come destinatari, non tanto gli oppositori i quali, conoscessero qualcosa di rilevante e di imbarazzante, ne avrebbero già fatto uso, quanto, da un lato, coloro che stanno nel suo entourage come alleati e sostenitori, dall’altro, i cosiddetti, mai meglio specificati, poteri forti intenzionati a opporsi e combattere qualsiasi scelta e decisione vada a loro scapito. Naturalmente, questi poteri forti si mobiliterebbero, lo hanno già fatto nel passato, contro qualsiasi governante che intenda ridurne le rendite di posizione, ridimensionarne i privilegi, rendere inefficaci gli eventuali tentativi di ricatto. Fuori i nomi, sarebbe più facile debellarli.

Informare i cittadini della situazione e denunciare apertamente e con precisione chi sono i ricattatori del governo e dei governanti è sicuramente un imperativo democratico. Dichiararsi non ricattabili senza fare massima chiarezza quantomeno sulle eventuali fattispecie e sfide non è una strategia politica adeguata. Sembra piuttosto una forma di esorcismo.

Non dovendo rispondere a nessuna opinione pubblica e potendo decidere rapidamente (è questa la qualità che i critici delle democrazie invidiano e vorrebbero imitare?) gli autoritarismi possono permettersi pratiche ricattatorie a piacimento, tutte le volte che le ritengano necessarie e utili. Poiché, sperabilmente tengono in grande considerazione la vita dei loro concittadini, tutti i governanti democratici, che si sentono responsabili dei loro comportamenti, sono costantemente esposti agli spregevoli e spregiudicati ricatti dei dirigenti autoritari.

Non intendo discutere se sia giusto oppure sbagliato, accettabile oppure riprovevole, da parte dei governanti democratici cedere ai ricatti ai quali ricorrono i governi autoritari. Talvolta è, semplicemente, assolutamente inevitabile. Meglio procedervi trasparentemente dopo avere resa edotta l’opinione pubblica. Non ragion di Stato, ma consapevolezza condivisa per evitare il peggio. Lo scambio fra il terrorista iraniano Abedini e la giornalista italiana Cecilia Sala è l’esito del ricatto esercitato dagli ayatollah di quella teocrazia oppressiva repressiva. Non è del tutto infondato ipotizzare, in attesa che la Presidente del Consiglio, il Ministro della Giustizia Nordio, il ministro degli Interni Piantedosi, il sottosegretario Mantovano forniscano le informazioni relative al rimpatrio del capo della polizia giudiziaria libica, responsabile di torture, Almasri, che esponenti libici di rilievo abbiano in effetti ricattato il governo italiano. Sapere in che modo per ottenere che cosa consentirebbe forse di evitare di trovarsi esposti a ricatti simili in altre circostanze. Proprio perché personalmente Giorgia Meloni non si ritiene ricattabile dovrebbe procedere a spiegare perché e come il governo italiano e indirettamente le regole e le istituzioni della nostra democrazia sono state ricattate. Sarebbe utile per impedire che situazioni simili si ripresentino nel futuro.

Pubblicato il 2 febbraio 2025 su Domani

Un Presidente della Repubblica molto persuasivo

In questi giorni i cosiddetti quirinalisti si affannano a difendere preventivamente il Presidente della Repubblica da eventuali, possibili critiche provenienti dalle opposizioni. Secondo molti di loro che conoscono, o almeno così dicono, i retroscena meglio della Costituzione, il Presidente sarebbe sostanzialmente obbligato dall’art. 87 a autorizzare la presentazione alle Camere del disegno di legge sulla riforma della giustizia. Però, non solo ancora non conosciamo il testo preparato dal Ministro Nordio, già ampiamente criticato su punti molto importanti, abuso d’ufficio e concorso esterno in associazione mafiosa, da esponenti di Fratelli d’Italia e della Lega, ma già sappiamo che Mattarella ha avuto un lungo colloquio con la Presidente del Consiglio Meloni proprio su alcuni punti rilevanti. Più che ipotizzabile, è certo che il Presidente della Repubblica abbia sollevato numerose obiezioni di merito.

    I quirinalisti, ma non solo, sottolineano che in questi colloqui e in altri, a seconda dei casi, il Presidente esercita la cosiddetta moral suasion. Quanto si tratti di persuasione morale è tutto da vedere e valutare. Molto più probabile è che il Presidente abbia messo in chiaro le sue perplessità suggerendo alla Presidente del Consiglio i cambiamenti necessari che non potranno essere solo cosmetici. Su almeno due aspetti, il Presidente deve essere stato molto fermo. Primo, nessuna parte della riforma può contraddire i principi dell’ordinamento giuridico dell’Unione Europea, ad esempio nel contrasto alla mafia. Secondo, nessuna riforma può essere congegnata come punitiva nei confronti dei magistrati. Agitare il cosiddetto garantismo che, un giorno bisognerà pure declinare nelle sue componenti, non implica affermare che i magistrati e coloro che li sostengono siano tutti “giustizialisti” e operino schiacciando e travolgendo i diritti dei cittadini.

   Il Presidente della Repubblica conta sull’accettazione da parte del governo di alcuni suoi rilievi. Sa anche che il governo potrebbe procedere senza tenerne conto, caso nel quale la sua autorizzazione non mancherà, ma verrà accompagnata da sue osservazioni puntuali derivanti dalla Costituzione e da quello che vige in Europa. Dopodiché, nel dibattito parlamentare, sperabilmente non troncato da apposizioni di voti di fiducia, maggioranza e opposizioni decideranno se e quali modifiche accettare e introdurre. A norma di Costituzione il testo che sarà approvato dal Parlamento tornerà sulla scrivania del Presidente (anche questo Mattarella ha sicuramente ricordato con cortesia istituzionale a Giorgia Meloni) che ha la facoltà di promulgarlo oppure di restituirlo al Parlamento con le sue critiche ai punti discutibili e anche con le indicazioni su come cambiarli e migliorarli. Questa procedura sì merita di essere configurata come in buona misura “moral suasion”. Certo, qualora la maggioranza di governo procedesse imperterrita senza cedere su nessun punto, si aprirebbe una situazione a dir poco delicatissima.

Pubblicato AGL il 16 luglio 2023