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Salvini, Di Maio e il gioco del fifone. Il commento di Pasquino
Se le Cinque Stelle non riescono ad impadronirsi in maniera credibile della “questione Europa”, sulla quale i due ministri Tria e Conte non riescono a elaborare nessuna linea, che cosa rimane loro? Il commento del professore emerito di Scienza Politica Gianfranco Pasquino
No, nonostante un’accurata rilettura del Contratto di Governo non si è trovata traccia della condivisione del braccio teso a pugno chiuso del Ministro Toninelli. Nel Contratto non sembra esistere neppure la minima presenza del condono di Ischia e meno che mai la ricostruzione del Ponte Morandi, ma, per dare un colpo anche alla botte di Salvini (dopo quello al cerchio di Di Maio), non ci stanno neppure gli inceneritori per ogni prefettura. Comunque, non saranno queste assenze e le relative differenze di opinione a mandare in crisi il governo giallo-verde. Cominciamo con il mettere i puntini sulle molte “i” del contratto e dintorni.
Salvini si è accaparrato due tematiche –in inglese si direbbe “issue ownership”, ma confesso di non sapere come tradurre “ceppa”– che gli italiani continuano a considerare le più importanti: l’immigrazione e la sicurezza, che, per di più, hanno una probabile lunga durata. Si è anche buttato allegramente, forse dovrei dire “coraggiosamente”,contro la Commissione Europea. Continua a sfuggirgli che i Commissari non sono né burocrati né, principalmente, tecnocrati (e neanche banchieri), errore che condivide con le Cinque Stelle. Potremmo scusarlo, il Salvini, da Europarlamentare molto latitante, non ha mai imparato che i Commissari sono tutti uomini e donne con esperienze di governo ai vertici dei rispettivi paesi, spesso dotati di competenze specialistiche. Non possiamo, invece, scusare le Cinque Stelle che, insomma, qualcosina potrebbero studiare e imparare.
“Italians first” è oramai il grido (l’ululato?) di Salvini fino alle elezioni dell’Europarlamento di fine maggio 2019. Le Cinque Stelle non sanno che pesce prendere, chiedo scusa, che posizione assumere nei confronti dell’Europa dove sono molti che ricordano il Di Maio vagante per rassicurare istituti di ricerche, autorevoli quotidiani e quant’altri delle buone intenzioni europeiste delle Cinque Stelle. Nel Contratto di Governo non stanno né l’uscita dall’Euro né quella dall’Unione. Per di più, la Brexit sta offrendo una serie di lezioni, politiche ed economiche, su quanto alto possa essere il costo dell’uscita, anche sulla società e la sua coesione. Ma se le Cinque Stelle non riescono ad impadronirsi in maniera credibile della “questione Europa”, sulla quale i due ministri, non posso trattenermi, “non eletti” da nessuno: Tria e Conte, ma vicinissimi alle Cinque Stelle, non riescono a elaborare nessuna linea, che cosa rimane loro? Il reddito di cittadinanza e quota cento (pericolosamente vicina per quei pochi italiani che ricordano la storia, quindi non elettori penta stellati, all’infausta quota novanta di Mussolini, Benito) per le pensioni (che pagheranno i loro figli, se ne hanno).
Né l’uno né l’altra piacciono agli europei. Sembra che non piacciano, lo dirò con parole antiche, neppure ai ceti produttivi del Nord (dall’Honduras Di Battista agita un’abbronzata risposta rivoluzionaria: “se ne faranno una ragione”). Soprattutto, però, non hanno nessuna possibilità di produrre dividendi né economici né politici in tempi brevi. Nel frattempo, il Salvini ruspante (quello delle ruspe) sta avvicinandosi al raddoppio dei suoi consensi, almeno stando ai sondaggi che, personalmente, ritengo credibili poiché ho fiducia nella professionalità sia di Nando Pagnoncelli sia di Ilvo Diamanti. Pertanto, non ha nessuna intenzione di fare cadere il governo, il luogo migliore per continuare le sue esibizioni muscolari e la sua crescita di apprezzamenti. Se li risolvano le Cinque Stelle i problemi dei dissenzienti e quelli dei rimpasti. Incidentalmente, tutto normale non solo nella Prima Repubblica, ma in tutte le democrazie parlamentari, come non cessa di insegnare Westminster, la madre di tutti i parlamenti. Loro non si faranno fermare. Tireranno diritto. Anche l’Unione Europea tirerà diritto. Si chiama “chicken game”, gioco del fifone, reso famoso da James Dean in “Gioventù bruciata”. Il prezzo lo pagheranno, first, the Italians.
Pubblicato il 17 novembre 2018 su formiche.net
Orecchio a terra? In piedi, con la schiena diritta! #GiuseppeConte
Molti s’interrogano su quello che il Presidente del Consiglio Conte sente del popolo quando appoggia, come ha dichiarato martedì sera nella trasmissione televisiva di Floris, appoggiando l’orecchio per terra. I grandi capi pellerossa sentivano arrivare i pericoli, cioè, i soldati USA che, gradualmente, li annientarono. Invece, il Presidente del Consiglio non riesce a sentire le documentate critiche della Commissione Europea e dei Ministri dell’Economia degli Stati-membri dell’Unione alla manovra economica di Di Maio e Salvini (ai quali si potrebbe aggiungere Tria, ma non lui che in materia non ha detto nulla). Non riesce a sentire che da più parti, anche dal popolo, per esempio, quello, spesso evocato, delle partite IVA, provengono critiche alla costosissima combinazione “reddito di cittadinanza più flat tax” che poco spazio lascerà a un’equilibrata riduzione delle tasse. Il popolo che Conte sostiene di ascoltare si è diviso di recente sulla prescrizione dei processi con quello grillino chiaramente contrario a lasciare fare il bello e il cattivo tempo agli avvocati di clienti danarosi che la tirano per le lunghe e quello leghista che, tacitato da Salvini, a sua volta incline a non rompere con Berlusconi su un tema di grande interesse per il leader di Forza Italia (ottanta per cento dei suoi processi sono andati prescritti a legislazione vigente), è per toccare l’argomento solo in maniera cosmetica. I corposi interessi del popolo imprenditoriale e industriale, ma anche operaio che sta nell’elettorato della Lega, vorrebbero che le Grandi Opere: dalla TAV alla ricostruzione del Ponte Morandi si facessero davvero e presto. Quel popolo lì Conte lo sente poco. La sua posizione sulla TAV non è nota e di pressioni sul Ministro pentastellato alle Infrastrutture e ai Trasporti Danilo Toninelli nessuno ne ha viste. Eppure, una parte di popolo piemontese e genovese segnala urgenze e vantaggi. Le parole e le proteste di quel popolo Conte non sembra sentirle. L’avvocato del popolo procede come fanno i populisti: quelli che stanno con il leader, ma in questo caso con la coppia Salvini-Di Maio, sono il popolo buono di cui lui sarà l’avvocato. Tutti gli altri, in particolare, giornalisti e intellettuali, banchieri e burocrati, europei, ma anche italiani, quelli annidati negli Uffici bilancio di Camera e Senato e nel palazzo del Ministero dell’Economia, sono il popolo cattivo. Sarebbe utile, anche se difficile, sapere dal Presidente del Consiglio elogiatore di Trump, se il popolo al quale appartiene la sovranità non sia piuttosto un’entità fatta di cittadini ai quali il capo del governo dovrebbe offrire non banalità e pensieri rosa, ma una guida. Per i quali dovrebbe rappresentare non un garante che modera i conflitti, forse, comunque, inevitabili fra Movimento 5 Stelle e Lega, ma colui che offre soluzioni perché ha le conoscenze e il potere per scegliere e decidere, senza appoggiare l’orecchio a terra, ma, in piedi, con la schiena diritta.
Pubblicato AGL 8 novembre 2018
Il premio Nobel ai due vicepremier
Cari Di Maio e Salvini.
sono davvero dispiaciuto che non vi sia stato assegnato il Nobel per l’Economia. Credo che la spiegazione prima stia nel provincialismo e nel settarismo dei norvegesi e degli svedesi. Dentro e fuori l’Unione Europea, entrambi s’ostinano a pensare che bisogna rispettare gli impegni presi. Sono pieni di pregiudizi, convinti che gli italiani, oramai più mediterranei degli spagnoli e dei portoghesi, siano propensi all’ozio improduttivo e felice che impedirà qualsiasi riduzione del debito pubblico (attualmente al 130% del PIL) e quindi richiederà molti soldi per pagare gli interessi sui prestiti. Effettuano una comparazione un po’ azzardata con i loro debiti pubblici: 29% in Norvegia; 42,2 in Svezia. Che sia questa la ragione per la quale ai “mercati” non passa mai per la testa di speculare contro quei due paesi? Neppure George Soros, evocato da Salvini, per fortuna senza aggiungere il “finanziere ebreo”, specula contro la Danimarca che, piccola com’è, sarebbe un bocconcino facile facile da mangiare e deglutire. Il fatto è che i “fondamentali” danesi sono in ordine, mentre gli italiani sono un po’ balzani. Sostiene il ministro Tria che si raddrizzeranno in futuro quando la manovra farà impennare il tasso di crescita dell’economia italiana. Qui, però, tornano i mercati che, debbo proprio dirvelo, sono fatti da operatori economici dei più vari tipi. Quegli operatori, fra i quali ci sono parecchi italiani, hanno come compito istituzionale, non quello, come sembra crediate voi, di rovesciare i governi, ma di fare investimenti redditizi per i loro committenti e anche per le loro spesso laute commissioni. Non appena subodorano che qualche governo di qualche paese, nonostante i consigli, gli avvisi, le indicazioni della Commissione Europea che proprio non vuole sovrintendere a guai economici, fa il furbo e scommette su implausibili prospettive positive, ne traggono le conseguenze. Così sale lo spread poiché il divario di rendimento fra i buoni del Tesoro italiani e, soprattutto, ma non solo, quelli tedeschi, significa che comprare i buoni italiani diventa rischioso. Investitori/speculatori e agenzie di rating sono i poteri forti di cui voi denunciate le manovre? Difficile dirlo, ma dovrebbe essere facile anche per voi, al fine del conseguimento del Premio Nobel 2019 quando le vostre manovre rilanceranno l’economia italiana verso vette inusitate, capire che investitori e valutatori sono interessati a guadagnare, non a gufare e meno che mai a puntare su disastri economici. Però, se i disastri ci sono o diventano probabili, allora, sì, puntano il loro denaro per vincere. Adesso che ne sapete di più, potreste rifare due conti. Grazie e auguri.
Pubblicato AGL il 10 ottobre 2018