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Sarebbe un errore fatale rendere essenziale l’alleanza con i 5Stelle… #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Riccardo Tripepi
Con l’avvicinarsi delle prossime elezioni regionali, si intensifica il clima da campagna elettorale e per quel che attiene il centrosinistra, si discute sulle reali possibilità del campo largo in sperimentazione di strappare qualche regione al centrodestra e, soprattutto, sulla tenuta dell’alleanza tra Pd, Movimento 5 Stelle e le forze centriste. L’ennesimo scontro tra il leader di Italia Viva Matteo Renzi e l’omologo di Azione Carlo Calenda, da questo punto di vista, non fa ben sperare. Per analizzare lo scenario in continua evoluzione abbiamo discusso con Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica e autore del saggio In nome del popolo sovrano – Potere e ambiguità delle riforme in democrazia.
Professore, come si presenta il centrosinistra in vista delle prossime elezioni regionali?
Il centrosinistra, per una volta, si presenta meglio del solito. Non ci sono state rotture irreparabili, e le marce di avvicinamento fra le diverse componenti sembrano più convincenti che in passato. Non tutto è risolto, ma si aprono degli spiragli per riuscire a fare qualcosa in più rispetto al recente passato. Penso che il centrosinistra possa giocarsi la vittoria in quattro o cinque regioni. Se riuscisse a conquistare anche la Calabria, sarebbe un risultato di grande rilievo. La partita in Veneto, invece, sarà molto più difficile. Nel complesso, però, arriva a questa tornata elettorale in condizioni migliori rispetto alle precedenti.
Matteo Renzi, dalla sua newsletter, ha indicato come «indispensabile» un’alleanza con i Cinque Stelle per costruire un vero campo largo. È d’accordo?
L’alleanza con i Cinque Stelle è importante, ma non dev’essere vista come una condizione imprescindibile. Il centrosinistra non può permettersi di dipendere interamente da questa intesa. La retorica che rende il Movimento Cinque Stelle “essenziale” per qualsiasi campagna o strategia elettorale è sbagliata. Sono alleati importanti ma non sono da considerare fondamentali per ogni campagna elettorale e per ogni elezione. Gli accordi vanno poi verificati caso per caso.
Il leader di Azione Carlo Calenda ha reagito con durezza alle parole di Renzi, dicendo che Azione non sosterrà mai candidati comuni con i Cinque Stelle…
Calenda reagisce male per abitudine, direi quasi per riflesso. Ma non è mai in grado di proporre un’alternativa credibile. È sbagliato porre veti perfino all’inizio della discussione. E sbaglia anche nel valutare il proprio peso politico: si illude di essere decisivo, ma finora è stato determinante solo nelle sconfitte. Un atteggiamento costruttivo sarebbe quello di contribuire alla definizione di candidature e programmi credibili, non certo quello di alzare barricate.
Lo stato di salute dei rapporti tra Pd e Movimento 5 Stelle, invece, come lo valuta?
Deve ancora migliorare. Le alleanze regionali e comunali dovrebbero essere decise in base alle dinamiche locali, non imposte dall’alto. È un errore che Conte e Schlein non devono commettere. Ogni territorio ha le sue peculiarità, e gli accordi vanno costruiti sul campo, coinvolgendo i gruppi dirigenti locali. I diktat nazionali producono solo risentimenti e fallimenti.
Per qualche interprete Pd e Movimento Cinque Stelle si stanno dividendo il Paese: il Pd punta al Centro- Nord, il Movimento al Sud, puntando anche al reddito di dignità regionale, parente stretto del reddito di cittadinanza. È così?
Può succedere che si formino queste dinamiche. Ma non bisogna esagerare con le semplificazioni. Prendiamo l’esempio di Roberto Fico in Campania: non mi pare stia interpretando una linea che punti esclusivamente verso politiche di tipo assistenzialista. È chiaro che al Sud servano anche politiche di sostegno, ma non ci si può fermare lì. Serve una strategia di sviluppo, una visione strutturata. Diversamente, si perpetua l’idea che il Sud sia solo una terra da aiutare e non da valorizzare. Ma non mi sembra strano che si offra sostegno alle aree più deboli del Paese.
E il centrodestra? Come arriva a questa tornata elettorale?
Il centrodestra parte da una posizione di forza: è al governo e ha una leader indiscussa, Giorgia Meloni, che riesce a tenere insieme la coalizione e a controllare tutto. I suoi vice Antonio Tajani e Matteo Salvini non sono in grado di insidiarle la leadership. E poi i leader del centrodestra sanno perfettamente che devono stare insieme, non uniti, per vincere. Questo garantisce stabilità all’alleanza che può anche concedere qualche sciagurato giro di valzer a qualche attore e soprattutto a Matteo Salvini che ha bisogno di visibilità. Alla fine, però, si ricompattano sempre.
Secondo lei il risultato delle elezioni regionali può influire sulla tenuta del governo Meloni?
Credo di no. Il governo deve andare avanti sia sul piano nazionale che su quello internazionale. Le elezioni regionali hanno una loro dinamica distinta e non determinano automaticamente ripercussioni sulla tenuta dell’esecutivo. Vale per qualsiasi maggioranza, di destra o di sinistra: governare significa assumersi la responsabilità di guidare il Paese, indipendentemente dall’esito delle consultazioni locali.
Pubblicato il 27 agosto 2025 su Il Dubbio
Il nuovo M5S serve se mobilita chi non vota più @DomaniGiornale

La trasformazione del Movimento 5 Stelle da, per l’appunto, movimento a partito, giunge forse in ritardo e suscita più interrogativi. Nato con un misto all’italiana di qualunquismo e antiparlamentarismo, non, dunque, né soltanto né specialmente, populismo, il Movimento suscitò la mobilitazione di molti attivisti e, soprattutto, elettori che, altrimenti, si sarebbero confinati per scelta e volontà nell’astensione. Sull’onda dell’antisistema, già contravvenendo al suo principio “no alleanze”, andò al governo. Privo di competenze, secondo principio “nessuno che avesse avuto cariche politiche”, il suo antiparlamentarismo, “aprire il parlamento come una scatoletta di tonno”, si tradusse nella tremenda semplificazione del taglio del numero dei parlamentari. Meglio sarebbe stato tentare qualche innovazione tecnologica alle modalità di svolgimento dei lavori parlamentari. A questi lavori sicuramente non giovò la rigida applicazione del limite di due mandati, misura che impedisce la formazione di una classe politica al prezzo di privarsi di esperienze e competenze e quindi anche di influenza.
L’onda di qualsiasi movimento può rimanere alta soltanto per un certo, mai molto lungo, periodo di tempo. L’effervescenza collettiva deve sfociare in qualcosa di più solido, altrimenti svanisce in un misto di delusione e risentimento. L’azione di governo (svolta) al governo servì a mantenere effervescenza e entusiasmo per un non troppo breve periodo. In assenza di qualche forma di istituzionalizzazione, alla quale le modalità di lavoro on-line non erano e non sono in grado di contribuire, il declino diventò, ed è stato, inevitabile.
La decisione di abolire il limite dei due mandati apre una delle strade che conducono alla trasformazione del movimento in partito: associazione di uomini e donne che presentano candidature, ottengono voti, vincono cariche. Le comunicazioni e le votazioni on-line sono di ostacolo alla formazione di un comunità che agisce sul territorio, che recluta, seleziona, promuove, rappresenta e governa, apprendendo la politica, acquisendo meriti, sperimentando alleanze. La collocazione progressista “indipendente” (ma chi si definirebbe “dipendente”, eterodiretto?) deve forse essere intesa come la delimitazione dell’area nella quale si cercheranno alleanze, ma il campo progressista in Italia è già piuttosto affollato e, almeno, in parte, piuttosto propenso al litigio come strumento di differenziazione.
Se progressista implica spingere avanti la società, la cultura, l’economia, la politica internazionale c’è tutta una elaborazione da fare, anche in competizione con gli altri progressisti, nessuno dei quali mi pare particolarmente attrezzato e avanzato, una volta segnati i punti di riferimento essenziali. Almeno al di là delle Alpi ce ne sono. Di nuovo, ripeto in attesa di smentite convincenti, gli scambi on line non agevolano ricerche e confronti assolutamente necessari.
L’aggiunta nel sistema politico italiano di un protagonista disponibile a interazioni anche tese e conflittuali nel largo ambito progressista può risultare molto positiva a due condizioni. La prima è che il Partito delle Cinque Stelle affini i suoi strumenti telematici per ampliare non soltanto le opportunità decisionali, ma soprattutto la conversazione democratica intesa a comprendere le preferenze e gli interessi dei cittadini. La seconda condizione è che la competizione inevitabile fra i progressisti non rimanga confinata nel ristretto ambito degli elettori già votanti. Recuperare, motivandoli, i milioni di elettori che dal 2013 al 2018 ritennero che il Movimento 5 Stelle offriva cambiamenti reali e profondi come nessun altro e dopo se ne allontanarono, costituisce un obiettivo sistemico in grado di dare slancio e forza al partito nascente. Con beneficio della politica italiana.
Pubblicato il 27 novembre 2024 su Domani
La sinistra perdente tra quisquilie e pinzillacchere @DomaniGiornale

Esistono destini cinici e bari, ma anche, spesso, sconfitte davvero meritate. Però, non tutti gli sconfitti hanno gli stessi demeriti. Esplorarli e capirli servirebbe a politici razionali, non accecati da rancori e non obnubilati da mal poste e ingiustificabili ambizioni personali, a non commettere gli stessi errori o simili nelle prossime consultazioni elettorali. La struttura della situazione in Liguria è la stessa che esisteva in Sardegna e che si presenterà fra poche settimane in Emilia-Romagna e in Umbria (e fra qualche anno, nel 2027, sic, a livello nazionale). La coalizione di centro-destra, nonostante alcune inevitabili, anche profonde, differenze programmatiche, al momento del voto sa ricompattarsi elettoralmente e politicamente. Non è necessariamente e ineluttabilmente maggioritaria nel paese, ma segue con determinazione l’odore del potere. Nel centro-sinistra, all’inizio non esiste nessuna coalizione, solo molta competizione per “spoglie” tutte da conquistare e fin troppa ambizione per cariche ritenute appetibili. Se la coalizione, che è sbagliato definire campo, poiché non è prefissabile, ma è in movimento e mobilitabile da coloro intenzionati a farne parte, non si forma a causa di veti, gelosie e altre “bazzecole, quisquilie, pinzillacchere”, la sconfitta è quasi certa. Scaricare poi le responsabilità non servirà né a recuperare i voti perduti né a costruire una coalizione migliore, più competitiva, con qualche possibilità di vittoria.
In Liguria Giuseppe Conte è riuscito nell’impresa di perdere tre volte. Ha perso voti e seggi in maniera abbondante portando il Movimento alle soglie di quell’estinzione che Beppe Grillo rivendica come sua prerogativa. Ha perso dentro e con la coalizione di cui faceva parte dopo avere imposto l’ostracismo a Matteo Renzi anche se, diciamolo, un po’ se lo meritava. Infine, ha perso alla grande e in maniera definitiva la competizione con Elly Schlein per la guida del centro-sinistra. No, a Palazzo Chigi lui non tornerà, ma certamente sfruttando i voti che gli rimangono potrebbe riuscire, con dichiarazioni e comportamenti imbarazzanti su guerra e Europa, a rendere impossibile la vittoria del centro-sinistra. Tuttavia, sarebbe un errore molto grave per il centro-sinistra, i suoi dirigenti e i suoi guru pensare che con una qualche imprevedibile resipiscenza Conte diventerebbe l’asso della manica nei prossimi appuntamenti elettorali. In negativo, Conte può essere decisivo. In positivo, è probabilmente necessario, ma certamente non sufficiente.
Sono sorpreso dallo scarso rilievo dato al fatto che l’astensionismo in Liguria ha riguardato più della metà degli aventi diritto al voto. Certo, parte degli (ex)elettori di Toti possono avere tradotto la loro grande delusione in grande astensione. Un tempo il Movimento 5 Stelle avrebbe offerto lo sbocco elettorale ai delusi dal sistema. Questa è un’altra sconfitta di Conte. Se la sinistra non vuole che sia anche una sconfitta, non della democrazia in quanto tale, ma della sua qualità soprattutto in termini di rappresentanza ha il dovere politico e, in qualche modo, anche etico, di andarli a cercare quegli astensionisti. Per tornare a vincere potrebbe essere sufficiente raggiungerli, rimotivarli, portarli alle urne. Non conta quanto largo sarà il campo. Conta, moltissimo, in maniera decisiva, che il campo sia molto affollato da elettori ai quali è stata fatta una credibile offerta di una coalizione progressista, non litigiosa, capace di buongoverno. Altrove dissero “yes, we can” e vinsero.
Pubblicato il 30 ottobre 2024 su Domani
Le accuse dell’epoca? Il Pd non seppe reagire ma il M5S ora si scusi #Bibbiano #Intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica a Bologna, descrive il “caso Bibbiano”
«Una delle vicende peggiori di mala informazione dell’Italia nella seconda parte della seconda Repubblica». Così Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica a Bologna, descrive il “caso Bibbiano”, sul quale deve essere «il M5S a riconoscere gli errori e a chiedere scusa».
Professor Pasquino, dopo che il caso Bibbiano è stato smontato, crede che il Pd dovrebbe avere uno scatto d’orgoglio e ricordare le terribili accuse del M5S dell’epoca?
Credo che il cosiddetto “caso Bibbiano” sia stata una delle vicende peggiori di mala informazione dell’Italia nella seconda parte della seconda Repubblica. Le scuole in Emilia Romagna sono buone, spesso ottime, c’è impegno, partecipazione, istruzione. Il Pd all’epoca si è fatto cogliere di sorpresa e non ha saputo reagire in maniera efficace a quelle accuse. Sono contento che si sia arrivati a una rettifica della situazione ma capisco anche la ritrosia del Pd nel tornare su quelle vicende. Dovrebbe invece essere il M5S a riconoscere gli errori e a chiedere scusa.
Pensa che la ritrosia del Pd sia dovuta anche al cambiamento dei rapporti intercorso nel frattempo con il M5S?
Diciamo che allora sembrava che fosse il M5S a dettare le carte, visto che era in ascesa. Oggi non è più così, anche se sta cercando di aggrapparsi a quel 15- 17% di voti che ha. Ma ormai sono tutti arrivati alla conclusione che se vogliono tornare a governare il Paese è inevitabile accordarsi con il Pd. Conte pensa che questo accordo si troverà nel momento in cui i rapporti di forza saranno riequilibrati e il Pd riconoscerà che è lui il candidato alla presidenza del Consiglio. Riconoscimento che non arriverà mai, visto che il Pd ha più voti e soprattutto più classe dirigente, mentre sulla capacità di governo del M5S è d’obbligo avere molte riserve.
Eppure Conte sta mettendo all’angolo Schlein, chiedendole in sostanza di abbandonare i cosiddetti cacicchi e capibastone. Ci riuscirà?
Chiariamo subito un fatto. Nel Pd non ci sono né capibastone né cacicchi. Ci sono casomai capicorrente che forse sono lì da troppo tempo e forse sono troppo immobilisti. Qualche volta poi ci sono dei signori delle tessere ma ereditati da una precedente situazione, visto che a Torino quel tale Gallo sembra essere un erede della tradizione socialista, non certo comunista. Nel Pci non c’erano signori delle tessere semplicemente perché non ce n’era bisogno. Contava insomma il partito.
Cosa sta succedendo al Pd di Bari e Torino?
È successo che sia a Torino che a Bari, quindi in realtà molto distanti sia geograficamente che politicamente, il partito non ha avuto la capacità di controllare adeguatamente chi entrava e si accasava, o ancora con quali gruppi esterni stabilire relazioni durature e concrete. E quando questo accade è un grosso problema, perché il partito si sfalda. E non si tratta di rimuovere o declassare quattro o cinque persone, ma di ricostruire il partito. Ho l’impressione che Schlein non abbia ancora colto il punto rilevante, cioè che è bene rifare il partito, non andare avanti a colpi di movimentismo. Se un movimento non si struttura, evapora.
Il M5S ha perso milioni di voti proprio perché inesistente o quasi sui territori?
Il M5S non ha mai capito l’importanza della presenza sul territorio perché voleva fare politica online e basta. E questo è un errore grave perché non consente stabilità e produce situazioni altalenanti e di grande debolezza. Non penso che oggi Conte stia pensando di strutturarsi ma deve imparare alcune lezioni. Alessandra Todde, ad esempio, ha vinto in Sardegna perché esiste, ha una sua accountability, ha radicamento sul territorio. Altrove il M5S perde perché i candidati non sono presenti sul territorio.
Eppure quello zoccolo duro attorno al 15% resiste. Crede che sfruttando i guai giudiziari del Pd Conte possa incrementare i consensi?
Per alimentare consenso servono buone politiche, in questo caso una buona opposizione, che si fa con buoni parlamentari. Il M5S ne ha alcuni, ma la regola dei due mandati finisce per indebolire il partito e impedire la crescita di tali elementi. E così rimane solo Conte, che ha dei pregi ma non tali da poter aspirare a prendersi l’elettorato Pd, che è distante da quello grillino. L’unica cosa che Conte può fare è tentare di riguadagnare l’elettorato del 2018, che oggi si astiene. A quell’elettorato dovrebbe fare un’offerta vicina a quella del M5S della prima fase.
A leggere i dati anche l’elettorato M5S è molto distante da quello dem, anzi, fosse per la base grillina forse neanche si costituirebbe il cosiddetto “campo largo”…
È vero che l’elettorato M5S è più disponibile a cercare alternative diverse a quella del Pd e questo lo rende pertanto abbastanza inaffidabile. Ma la verità è che basta ragionare per rendersi conto che il M5S può tornare al governo soltanto attraverso il Pd. E solo Conte può prendere l’iniziativa di sposare in toto l’alleanza con i dem, con tanto di strutture adeguate e un’idea comune di Paese.
Al momento l’unica cosa che sembra fare Conte è mettere in difficoltà Schlein, basta pensare al caso Bari.
Sul caso Bari, mettere in difficoltà il Pd significa consegnare la città alla destra. Poi certo, io non sono giustizialista ma sono molto severo e penso che quando si verificano situazioni di questo genere occorra epurare. Non si può aspettare l’esito di un processo che dura sette o otto anni. Bisogna prendere atto che qualcosa non ha funzionato e cambiare. Il che significa parlare con l’alleato e trovare soluzioni gradite a entrambi..
Talvolta aspettare l’esito di un processo significa abbattere la carriera politica e la vita di una persona, che magari poi viene assolta: i partiti non dovrebbero avere più coraggio nel difendere la presunzione d’innocenza dei loro esponenti?
Le dimissioni di un politico dipendono molto spesso dalla propria sensibilità. Un tale assessore può essere assolutamente convinto della propria innocenza ma in quel preciso momento magari le dimissioni giovano di più al partito. In questo caso l’interesse del partito deve essere superiore agli interessi personali di breve periodo. Poi è chiaro che i partiti dovrebbero sapere molto di più delle attività lecite o non lecite svolte da qualcuno che ha cariche locali.
Pubblicata il 12 aprile 2024 su Il Dubbio

L’alternativa non è più una chimera. Costruire coalizioni è l’arte della politica @DomaniGiornale

C’è qualcosa di nuovo, anzi di antico sotto lo splendido sole della Sardegna. Per conquistare una carica monocratica, la Presidenza della Regione, assegnata in un solo turno elettorale, è decisivo costruire preventivamente una coalizione a sostegno della candidatura prescelta. Ferme restando le loro personali preferenze politiche, gli elettori rispondono valutando l’offerta dei partiti, della coalizione, della candidatura, in parte dei programmi e della capacità di governare. La vittoria di Alessandra Todde in Sardegna è il prodotto virtuoso di questo pacchetto di elementi. La grande soddisfazione di dirigenti e attivisti dello schieramento del centro-sinistra che ha vinto è comprensibile (e da me, per quel che conta, condivisibile). Procedere a generalizzazioni assolutistiche, “la sinistra unita non sarà mai sconfitta” (“il governo Meloni è indebolito”) e proiettare automaticamente la possibilità/probabilità di un esito sardo anche sulle altre elezioni regionali e sulla elezione dell’Europarlamento (che è tutta un’altra storia) è esagerato, sbagliato, rischia di risultare controproducente.
Ciascuna regione, a cominciare dall’Abruzzo, la prima a votare prossimamente, ha le sue peculiarità di storia politico-partitica, di governo, di problematiche socio-economiche. Se la lezione generale è che le coalizioni si costruiscono di volta in volta, saranno i dirigenti politici di quella regione a decidere se, come, con chi, attorno a quale candidatura costruire un’alleanza. La buona notizia, non so quanto importante per l’Abruzzo, è che Calenda ha twittato che l’esito sardo “è una lezione di cui terremo conto”. Traduzione “correre” come polo autonomo è perdente. Aggiungo che rischia sempre di fare perdere il polo più affine (ma qualcuno proprio quelle sconfitte vuole produrre).
Stare insieme in coalizioni elettorali che possono diventare di governo porta ad una più approfondita condivisione di obiettivi, di preferenze, di soluzioni programmatiche. Il discorso sui valori è, naturalmente, molto più complesso. Parte dalla Costituzione e porta all’Europa, tema che riguarda anche i governi regionali. Rimarranno sempre differenze programmatiche e politiche nella schieramento di centro-sinistra. Meglio non esaltarle e neppure seppellirle additando le profonde divisioni esistenti nel centro-destra. Infatti, quei partiti e i loro dirigenti sembrano avere maggiore consapevolezza del fatto che, separati e divisi, perdono e che il potere è un collante gradevolissimo, generosissimo. Inoltre, i loro elettorati sembrano socialmente più omogenei. Alla eterogeneità e diversità, sociale e, forse, più ancora culturale, dei rispettivi elettorati di riferimento, non basta che i dirigenti del centro-sinistra esaltino le differenze come risorse. Debbono ricomporle attorno a obiettivi e a candidature comuni il più rappresentative possibili.
Le elezioni per il Parlamento europeo, poiché si vota con una legge proporzionale con clausola di esclusione del 4 per cento, suggeriscono due comportamenti. Primo, evitare la frammentazione nel e del centro-sinistra. Secondo, poiché i partiti, a cominciare dal Partito Democratico e dal Movimento 5 Stelle, giustamente vogliono misurare il loro consenso correndo separatamente, dovrebbero evitare di scegliersi come bersagli reciproci. La sfida è delineare una visione per l’Unione Europea dei prossimi cinque anni, non criticare la visione dei propri alleati nazionali. La critica va indirizzata agli opportunismi, alle contraddizioni, ai patetici resti di sovranismo provinciale, dello stivale, dei tre partiti del centro-destra. L’obiettivo di fondo non è la mission al momento impossible di fare cadere il governo e sostituirlo, ma di dimostrare che esiste un’alternativa di centro-sinistra all’altezza della sfida. Adelante con juicio.
Pubblicato il 28 febbraio 2024 su Domani
L’ammuina di Meloni e le proposte da fare in UE @DomaniGiornale

“Non chiedetevi che cosa l’Unione Europea può fare per voi, ma che cosa voi potete fare per l’Unione Europea”. Questa parafrasi di una delle più efficaci affermazioni contenute nel discorso inaugurale della Presidenza di John Kennedy non può evidentemente diventare patrimonio dei sovranisti, neppure dei più lungimiranti fra loro (no, non rispondo alla richiesta di precisazioni e approfondimenti). Può, tuttavia, oppure, proprio per questo, essere utilizzata per valutare e migliorare le posizioni prese dagli Stati-membri dell’Unione per quel che riguarda il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) e il Patto di Stabilità e Crescita.
Del primo, la possibilità per ciascuno Stato-membro di avere accesso a fondi europei in caso di necessità, non sono in discussione le clausole specifiche, che non è possibile cambiare, ma l’adesione dell’Italia, indispensabile a consentirne all’occorrenza a richiesta l’utilizzo a ciascuno e tutti gli altri Stati, dunque, anche Ungheria e Polonia, quando era sovranista. Benvenuto al governo guidato dall’europeista Donald Tusk che segnala l’esistenza di molti ottimi anticorpi nella democrazia polacca. Il Patto di Stabilità e Crescita ha molta più rilevanza per le politiche economiche e sociali degli Stati-membri nei prossimi cinque anni. Riguarda il tetto del debito pubblico da considerarsi accettabile e le modalità previste/formulate per un rientro più o meno graduale, e il deficit tollerabile, comunque da ridursi in particolare, ma non solo, per l’Italia.
Non è chiaro se la Presidente del Consiglio italiano Meloni e il Ministro dell’Economia Giorgetti stiano concordemente utilizzando la ratifica del MES come strumento di pressione per ottenere migliori condizioni per il Patto di Stabilità. Già altri Stati-membri, in particolare i paesi del gruppo Visegrad, hanno proceduto di tanto in tanto ad applicare la strategia dello scambio, talvolta, con successo. Fa certamente parte del gioco agire, non troppo spesso, seguendo i dettami del “do ut des”. Forse, però, gli Stati-membri dell’Unione, non soltanto quelli economicamente più forti, nonostante le sue difficoltà attuali la Germania rimane nel club, ma anche quelli che definiamo più frugali, non gradiscono e non apprezzano queste “ammuine” se non vengono accompagnate da proposte alternative, migliorative, in special modo, credibili. La credibilità di queste proposte dipende in maniera significativa dalla loro provenienza, vale a dire se chi le fa ha un passato di impegni presi e rispettati, adempiuti, e dalla loro per qualità. Le proposte debbono anche, per tornare alla frase di apertura, avere di mira il miglioramento di tutta l’Unione Europea, contribuendo alla sua stabilità, alla sua crescita, ad una sua unificazione più stretta. Quest’ultimo, più ambizioso obiettivo certo non può essere il progetto dei sovranisti tranne di quelli che si stanno pentendo, pensando se e come fare outing nel momento più difficile e delicato ovvero nel corso della già iniziata campagna per l’elezione del Parlamento europeo.
Le opposizioni italiane avrebbero l’opportunità di sfruttare la contingenza favorevole impegnandosi a chiarificare per gli elettori da raggiungere e conquistare quanto alcune proposte, condivisione e azione, contribuendo al buon funzionamento dell’Unione Europeo produrrebbero ricadute positive e rapide sui singoli. Sappiamo, però, che, a causa di molte sue insuperate ambiguità, il Movimento Cinque Stelle non è in grado di dare un contributo efficace a questa strategia. Giusto allora mettere in evidenza l’inconcludenza e la farraginosità della strategia governativa (e delle affermazioni, prese di distanza minimali di Forza Italia), ma impossibile non vedere la trave nell’occhio di una parte delle opposizioni. Una buona politica accetta la sfida e nella campagna elettorale darà il massimo per spiegare agli italiani che quel che vuole fare per l’Unione Europea, anche in termini di proposte operative, e come e quanto servirà a migliorare le condizioni di vita di tutti. Nel passato, spesso è stato proprio così.
Pubblicato il 12 dicembre 2023 su Domani
La condizione di una alleanza Pd-5 Stelle secondo Pasquino @formichenews

Se il Movimento 5 Stelle non è d’accordo con le posizioni che derivano dall’articolo 11 della Costituzione, che mi paiono e mi auguro essere centrali nella visione del Partito democratico e con le prospettive anche operative che ne derivano, è improbabile che nasca un’alleanza di governo dotata di senso sulla scena europea e internazionale. Sull’ambiguità non si costruisce nulla di buono, nulla di solido, nulla di accettabile. Il commento di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica e accademico dei Lincei
Come elettore sarei molto esigente. Credo che non riuscirei a convincermi a votare per una coalizione che includesse in posizioni dominanti due partiti che sulla politica internazionale si collocano su fronti opposti, incompatibili. Probabilmente, un sistema elettorale proporzionale, grazie al quale i partiti possono consentirsi il lusso di andare in ordine sparso, mi permetterebbe di sfuggire ad una scelta comunque dolorosa. Però, quel che un elettore può evitare i partiti coalizzati in un’alleanza di governo dovrebbero affrontare di petto. Visibilmente. Responsabilmente.
Di fronte ad alcune alternative: dare armi all’Ucraina o no; sostenere Israele o dirsi equidistanti dai terroristi di Hamas, e altre simili che potrebbero (ri)presentarsi, le furbizie al/di governo sarebbero paralizzanti o distruttive. Per di più, poiché l’Italia fa parte di non poche organizzazioni sovranazionali, quelle furbate metterebbero inevitabilmente in discussione il suo ruolo, politico e economico, la sua affidabilità, la sua lealtà. Tutto questo appare sufficientemente chiaro e preoccupantemente delicato quando si confrontano le posizioni del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle sull’Ucraina e, in buona misura, anche sul conflitto Hamas/Israele.
Non so se la mia posizione personale: “sto sempre dalla parte delle democrazie” meriti di essere definita non negoziabile. Sicuramente, costituisce la mia preziosa scorciatoia cognitiva e etica alla quale non intendo rinunciare. Prodotto delle mie conoscenze storiche e delle mie preferenze politiche, la mia posizione si appoggia sulla lettura della Costituzione italiana e ne trae alimento e guida.
Articolo 11
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Grazie alla loro conoscenza storica e alle loro esperienze personali, per non pochi drammatiche, nella stesura di questo articolo i Costituenti si sono rivelati anche preveggenti. Ripudiare qualsiasi guerra di offesa significa anche riconoscere il diritto alla difesa di Stati e cittadini che vengono aggrediti. Significa agire insieme con altri Stati democratici per difendere i diritti degli aggrediti e ristabilire, con fondi e, quando, spesso, necessario, con armamenti, l’indipendenza, la sovranità, la vita.
Se il Movimento 5 Stelle non è d’accordo con queste posizioni, che mi paiono e mi auguro essere centrali nella visione del Partito Democratico e con le prospettive anche operative che ne derivano, è improbabile che nasca un’alleanza di governo dotata di senso sulla scena europea e internazionale. Sull’ambiguità non si costruisce nulla di buono, nulla di solido, nulla di accettabile.
Professore Emerito di Scienza politica, socio dell’Accademia dei Lincei, kantiano.

Pubblicato il 16 ottobre 2023 si Formiche.net
Pasquino: “Schlein e Conte discutono su tutto. E Meloni governa…” #intervista @ildubbionews


Il professore critica l’atteggiamento della segretaria del Pd e del leader del M5S: “Sono entrati in uno stallo dal quale è difficile uscire, perché servirebbe una fantasia che non hanno”. Intervista raccolta da Giacomo Puletti
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’università di Bologna, commenta i recenti screzi tra Pd e M5S e spiega che «nessuno si sta impegnando affinché gli elettorati dei due partiti capiscano che o si mettono insieme o resteranno all’opposizione per i prossimi dieci anni».
Professor Pasquino, Calenda lamenta la fine del dialogo con Pd e M5S sulla sanità, dopo le convergenze sul salario minimo: l’opposizione riuscirà a trovare altre punti d’incontro?
Da quello che vedo mi pare che né Schlein né Conte né gli altri, tra cui Calenda, abbiano una strategia. Operano giorno per giorno reagendo in maniera non particolarmente brillante a quello che fa il governo. La battaglia sul salario minimo è stata una cosa buona, visto che sono giunti a una specie di accordo di fondo ponendo il tema sull’agenda governativa, ma poi non si è visto altro.
Pensa che sia una questione di posizionamento in vista delle Europee?
C’è sicuramente competizione tra i partiti, ma è anche vero che i loro elettorati sono diversi e nessuno si sta impegnando affinché quegli elettorati capiscano che o ci si mette insieme o si è destinati, come dice la presidente Meloni, a restare all’opposizione per i prossimi dieci anni.
Come finirà la partita sul salario minimo?
Il Cnel farà una proposta che assomiglia a quella che ha ricevuto, con alcune variazioni. Giorgia Meloni la accetterà cambiando alcune cose ma rimanendo nel solco del salario minimo e dicendo che la sua è una proposta migliorativa rispetto a quella delle opposizioni. Non si chiamerà salario minimo, ma la presidente del Consiglio se lo intesterà.
Non pensa che, soprattutto tra Pd e M5S, ci siano terreni sui quali giocare le stesse partite?
Il punto è che non vedo le modalità con le quali possano convergere. Sono entrati in uno stallo dal quale è difficile uscire, perché servirebbe una fantasia che non hanno. Una volta contatisi alle Europee vedremo cosa succederà, ma anche lì non mi aspetto sorprese. L’unica potrebbe essere lo sfondamento del Pd attorno al 25 per cento, che mi auguro, o un declino del M5S. Ma quest’ultimo evento non sarebbe positivo perché la diminuzione dei voti farebbe aumentare la radicalità di quel partito, allontanando ancora di più le possibilità di un’alleanza con i dem.
A proposito di dem, crede che Schlein abbia impresso quella svolta al partito che tanto predicava o gli apparati del Nazareno impediscono qualsiasi tentativo di rivoluzione?
Gli apparati non sono sufficientemente forti da impedire nulla, ma ho l’impressione che l’input di leadership che arriva da Schlein non sia adeguato. Non si è ancora impadronita della macchina del partito e questo segnala un elemento di debolezza che ha poco a che vedere con le politiche che propone. Sono le modalità con le quali le propone a essere sbagliate. Insomma vedo molto movimento e non abbastanza consolidamento.
Uno che si muove molto è Dario Franceschini, che sta dando vita a una nuova corrente di sostegno alla segretaria: servirà?
Non mi intendo abbastanza di queste cose perché ho sempre detestato le correnti. Detto ciò, il punto fondamentale è che sostenere la segretaria è utile al partito, contrastarla fa male a tutti. Fare un correntone contro la segretaria è sbagliato, ma lo è anche fare una correntina a favore della leader. Se le correnti agissero sul territorio per accogliere nuovi elettori sarebbe positivo, ma devo dire che vedo poco movimento sul territorio.
Beh, le feste dell’Unità non sono certo quelle di una volta…
Per forza, continuano con la pratica di invitare sempre gli stessi senza cercare qualcosa di nuovo e creare così un dibattito vero che catturi l’attenzione della stampa.
Un tema di cui si dibatte molto è l’immigrazione: pensa che su questo Pd e M5S possano trovare una strategia comune di contrasto alle politiche del governo, che proprio su di esse fonda parte del suo consenso?
Il tema è intrattabile. Non so se il governo raccoglie consensi con le strategie sull’immigrazione ma di certo non sta risolvendo il problema. È intrattabile perché nessuno ha una strategia e tutti, maggioranza e opposizione, pensano che sia un’emergenza congiunturale quando invece è strutturale. Per i prossimi venti o trent’anni uomini, donne e bambini arriveranno in Europa dall’Africa e dall’Asia perché non hanno possibilità di mangiare o perché scappano da regimi autoritari. L’unica cosa da fare è agire in Europa senza contrastare le visioni altrui e andando in una direzione di visioni condivise e obiettivi comuni. E su questo il governo mi pare carente.
In Slovacchia ha vinto le elezioni Robert Fico, iscritto al Pse ma pronto ad allearsi con l’ultradestra e smettere di inviare armi a Kyiv. È un problema per la sinistra europea?
Sono rimasto stupito dall’incapacità dei Socialisti europei di trattare con i sedicenti socialdemocratici di Fico. La sua espulsione doveva avvenire già tempo fa. Mi pare che siano 4 gli europarlamentari del suo partito e dovevano essere cacciati. Perché non si può stare nel Pse se non si condividono i valori del partito, e Fico non li condivide. Valeva la stessa cosa per il Ppe con Orbán, e questo potrebbe far perdere voti agli uni e agli altri.
In caso di crollo di Popolari e Socialisti ci sarà spazio per maggioranze diverse a Bruxelles?
Meloni dice che è in grado di portare sufficienti seggi a Strasburgo per far sì che ci sia un’alleanza tra Popolari, Conservatori e Liberali e quindi fare a meno dei Socialisti. Io non credo che questi numeri ci saranno, a meno che non siano i voti degli stessi Popolari a spostarsi verso i Conservatori. È più facile pensare che ci sarà continuità nelle alleanze, dopodiché vedremo chi siederà al vertice dell’Ue. Ma è ancora presto per parlarne.
Eppure Salvini scalpita e tira per la giacchetta Tajani tutti i giorni sognando il “centrodestra europeo”. Ci sono possibilità?
Le destre son quelle che sono e non credo che l’Europa possa permettersi di accettare Salvini e Le Pen all’interno della maggioranza che governerà nei prossimi cinque anni.
Pubblicato il 3 ottobre 2023 su Il Dubbio
Troppa competizione tra Pd e M5s danneggia il centrosinistra @DomaniGiornale


Dove condurrà la competizione in atto fra Elly Schlein e Giuseppe Conte? Può essere positiva per lo schieramento anti-governo Meloni oppure è un ostacolo alla convergenza su programmi, proposte, prospettive? Altrove, per intenderci, dalle democrazie scandinave al Portogallo, alla Spagna e, fino all’avvento di Macron, alla Francia (ma il sistema istituzionale e elettorale fa molta differenza), nell’ambito della sinistra e del centro-sinistra, spesso esiste un partito chiaramente più grande in termini di voti e di consenso. A quel partito spetta indicare la leadership dello schieramento che, se vittorioso, verrà premiata con la conquista della carica di capo del governo. Al momento, secondo i sondaggi e in base ai voti del settembre 2022, la distanza in termini percentuali fra il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle non consente al primo di rivendicare in maniera inoppugnabile la guida dello schieramento più ampio. Inoltre, impegnato nell’estendere il più possibile il suo appello politico elettorale, Conte si dimostra maggiormente orientato a competere con il PD piuttosto che a convergere. Quello che è successo con il sostegno comune al salario minimo appare un’eccezione sicuramente raccomandabile e istruttiva, da valorizzare (anche se, temo, che verrà il momento delle bandierine di rivendicazione). Quello che, invece, è finora mancato ad entrambi (di “+Europa” e “Azione” non parlo poiché mi paiono molto carenti quanto a capacità di mobilitazione) è un disegno di recupero di quel 40 percento di elettorato che per varie ragioni non è andato alle urne.
La competizione Schlein/Conte non appare l’argomento di maggiore attrattività per quegli astenuti. Anzi, da altri luoghi e da altre elezioni, sappiamo che gli scontri nella sinistra smobilitano specialmente la parte di elettori che vogliono sì un’alternativa di governo al centro-destra, ma, al tempo stesso, vogliono che quel governo sia sufficientemente coeso, con il minimo di tensioni interne e credibilmente capace di attuare le sue promesse. Altrimenti, starsene, pur tristemente, a casa per loro rimane un’opzione preferibile.
Naturalmente, la competizione Partito Democratico/Movimento Cinque Stelle è nelle cose, nei fatti, nello stato del paese. Personalmente, non sono un cantore della necessità assoluta e prioritaria di ridurre le diseguaglianze soprattutto quelle economiche. So, però, che è ai ceti svantaggiati che la sinistra, non soltanto in Italia, sembra avere perso la capacità di parlare e, talvolta, persino, la volontà di andarli a cercare. La questione dovrebbe essere posta in termini di opportunità: aprire spazi di accesso alla buona istruzione, alla buona sanità, alle buone pensioni che possono seguire ad un mercato del lavoro accessibile anche in seguito a procedure di qualificazione e di reinserimento dei lavoratori/trici. Questa, sulle idee, sui progetti, sulle soluzioni, è la buona competizione nella sinistra. Il momento giusto è ora poiché il governo annaspa nel PNRR, colpisce malamente le banche, non ha ricette di ristrutturazione del welfare. Il non originale mantra dei centrodestri è che i problemi sono stati creati dai governi precedenti. La risposta dei due partiti che in quei governi erano le componenti più importanti, oltre a mettere in questione affermazioni infondate, deve consistere in singole proposte chiare, condivise, solidariamente sostenute, quello che si può chiamare “la pratica dell’obiettivo”. Valutando i contributi agli obiettivi conseguiti, PD, M5S e coloro disposti a collaborare saranno in grado di meglio scegliere la leadership più promettente per vincere le prossime elezioni.
Pubblicato il 17 agosto 2023 su Domani
Schlein riformi il Pd, poi penserà alle alleanze. Bene il sostegno a Kiev #intervista @ildubbionews

Intervista raccolta da Giacomo Puletti
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica a Bologna, spiega che «il compito di Schlein è di far entrare o rientrare un certo numero di iscritti che abbiano voglia di lavorare sul territorio» e che «se la segretaria abbandonerà la linea finora seguita dal Pd di sostegno all’Ucraina senza se e senza ma si caccerebbe nei guai».
Professor Pasquino, si aspettava la vittoria di Schlein?
Aspettarmelo non me lo aspettavo, ma pensavo che fosse possibile perché conosco un po’ di politica e so che gli elettori potenziali e attuali e i simpatizzanti del Pd volevano qualcosa di diverso rispetto alla continuità nel partito che sarebbe stata espressa da Bonaccini. Inoltre penso che la Schlein sia l’unica in questa fase che può dare una scossa al partito e immagino che circa 600mila del milione di elettori lo abbiano pensato.
Pensa che ora dovrà trovare accordi con le altre opposizioni?
Un accordo ora non è necessario quasi su nulla. Certo se in Parlamento si presentano mozioni comuni è utile per fare una buona opposizione di cui c’è bisogno. Ma il compito di Schlein è di far entrare o rientrare un certo numero di iscritti che abbiano voglia di lavorare sul territorio e che presentino il partito a quegli elettori disaffezionati e che debbono tornare a votare. L’obiettivo è il 2024 ma la segretaria è stata eletta per riformare il partito, non per fare il capo del governo.
Eppure con i Cinque Stelle prima o poi dovrà parlare, no?
L’alleanza con i Cinque Stelle è assolutamente essenziale, lo dicono i numeri. Sappiamo che una parte dell’elettorato del Pd è franata sul M5S nel 2018 e viceversa nel 2022. Ma andare insieme è l’unico modo per vincere. Lasciamo perdere la Lombardia, dove ha contribuito alla vittoria della destra l’operato spregiudicato e sbagliato di Renzi, Calenda e Moratti.
Schlein ha detto di voler parlare anche a un’ipotetica gamba centrista del centrosinistra. Troveranno un accordo?
Per il momento è una gambetta, non una gamba, e anche se si mettono insieme per fare un partito unico non riusciranno a produrre tanto più di quell’8 per cento che hanno ora. Se si presentano come alternativi all’alleanza con i Cinque Stelle, poi, è inutile stare a discutere. Ma è prematuro parlare di alleanze, prima vengono i temi, nel frattempo alle elezioni europee si va separati e quindi c’è la grande opportunità di contarsi. Questo sarà molto importante per la Schlein, che è stata anche parlamentare europea e quindi si gioca la sua credibilità.
Al momento però il terzo polo vale quanto Lega e Forza Italia, che per il governo Meloni sono fondamentali: pensa che il centrosinistra riuscirebbe a vincere senza Renzi e Calenda?
Le dico soltanto che la prima cosa da fare è cambiare la legge elettorale, che è pessima e lo sanno tutti. Dopodiché le energie si giocano in campagna elettorale. Se Renzi e Calenda pensano di egemonizzare il Pd prima e poi fare un’alleanza con i Cinque Stelle, sono fuori strada. Al momento vogliono far perdere la sinistra e questo non mi sorprende ma mi irrita.
Schlein ha detto che sarà un problema per Meloni: lo pensa anche lei?
Non si tratta di creare problemi al governo, che ne ha tantissimi di suo e che comunque dovrà affrontarne perché di tanto in tanto alcuni ministri gliene creano, da Piantedosi a Valditara. Il Pd deve creare alternative alle politiche che il governo vuole fare, possibilmente su temi di convergenza sia con i Cinque Stelle che con Renzi e Calenda. Ma non c’è nessuna fretta, il prossimo appuntamento è a maggio 2024, non i tratta di fare il colpo a effetto ma di preparare un programma che nel corso del tempo si affini e costruisca un’alternativa al governo di destra.
Sull’Ucraina Schlein ha corretto un po’ il tiro: pensa che continuerà sulla linea Letta di sostegno a Kiev?
Credo che se abbandonerà la linea finora seguita dal Pd di sostegno all’Ucraina senza se e senza ma si caccerebbe nei guai. Tanto per cominciare perde il voto di Pasquino, in secondo luogo indebolisce il Pd sulla scena internazionale. Si può perseguire un’azione diplomatica ma continuando a sostenere che l’invio di armi a Kiev deve essere mantenuto. E sapendo che dal punto di vista diplomatico certamente non saremo noi i mediatori.
Sull’immigrazione crede che il Pd possa farsi valere rispetto ai Cinque Stelle, visto il passato del Conte I o il governo si difenderà senza problemi?
Il governo si difenderà ma sapendo che Piantedosi è diventato praticamente impresentabile. Non solo per le politiche che fa ma per le parole che usa. Sta diventando imbarazzante, sarebbe il caso che ammettesse gli errori e si dimettesse per non mettere in difficoltà Meloni. L’immigrazione in diverse aree è un tema elettorale ed è giusto che Schlein metta in imbarazzo Conte per quello che ha fatto e non ha fatto. Facendogli capire che lei se vuole su questo punto può metterlo in difficoltà.
Dunque l’opposizione non marcerà compatta su questo tema?
L’opposizione deve dire cosa vuole fare e l’unica risposta è essere ancora più incisivi con l’Ue. La risposta italiana è l’accoglienza, salvarli nel momento in cui vengono buttati a mare dagli scafisti, dopodiché dall’Ue vogliamo che ci siano le risorse per dare a costoro un minimo di accoglienza decente e che non ci sia un’immigrazione di massa priva di controllo e decenza.
Pensa che la vittoria di Schlein rientri in una nuova ondata di centrosinistra che si è affermata già in Spagna e Germania e che probabilmente presto si affermerà anche nel Regno Unito?
Ai casi che lei ha citato aggiungerei il Portogallo, dove c’è un buon governo di sinistra che dura da molto. Ma credo poco a un’ondata socialdemocratica. La vittoria di Schlein riguarda un partito. Per parlare di ondata aspetterei un’eventuale vittoria socialdemocratica nei paesi scandinavi e soprattutto in Ungheria e Polonia, che presto andrà al voto.
Pubblicato il 8 marzo 2023 su Il Dubbio