Home » Posts tagged 'Mussolini'

Tag Archives: Mussolini

VIDEO Presentazione del libro a cura di Gianfranco Pasquino “Fascismo. Quel che è stato, quel che rimane” @Treccani @RadioRadicale

“Presentazione del libro curato da Gianfranco Pasquino

Fascismo. Quel che è stato, quel che rimane
Treccani

Con
Gianfranco Pasquino (emerito di Scienza Politica all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna)
Carlo Crosato (ricercatore di Filosofia all’Università degli Studi di Bergamo).

Intervista registrata giovedì 13 aprile 2023

VIDEO

https://www.radioradicale.it/scheda/695523/iframe

Giorgia Meloni: muy conservadora sí, fascista no #Opinión @clarincom

En las elecciones del 25 de septiembre de 2022, Giorgia Meloni (Roma, 1975), fundadora y líder de Fratelli d’Italia, llevó a su partido a convertirse, por lejos, en el primer partido italiano, obteniendo el 26% de los votos. Con los partidos aliados, la Lega de Matteo Salvini y Forza Italia de Berlusconi, el centroderecha tiene una clara mayoría de escaños tanto en la Cámara de Diputados como en el Senado.

Por primera vez en su larga historia, la República Italiana tendrá a una mujer, expresión de un partido sustancialmente masculino, al frente del gobierno. El voto de los italianos ha premiado algunos elementos importantes de la política de Meloni.

En primer lugar, haber sido la única oposición a los tres gobiernos formados en el periodo 2018-2022. En segundo lugar, haber hecho una oposición seria sin gestos llamativos y folclóricos, sin insultos a los adversarios políticos, sin promesas tan milagrosas como irrealizables. Por último, su capacidad para representar a los muchísimos (quizá incluso demasiados) italianos que ciertamente son conservadores en lo político y en lo cultural y piensan que en la Unión Europea Italia ha perdido su soberanía.

Mientras que Salvini se muestra confundido y ambiguo con respecto a Europa y Berlusconi se jacta de ser pro europeo y liberal, Meloni es sin duda soberanista. Su objetivo es recuperar la soberanía perdida.

Yo considero que es un error llamarla populista. Más bien es fuertemente nacionalista como sus, en mi opinión vergonzosos, aliados europeos: los españoles de Vox, los húngaros de Orbán, los polacos del Partido de la Ley y la Justicia.

Tanto en Italia como en Europa y Estados Unidos se han expresado muchas preocupaciones y temores sobre el retorno del fascismo. Son preocupaciones esencialmente infundadas. Meloni es ciertamente post-fascista y lo ha declarado con claridad.

Por otro lado, no existe hoy en Italia ninguna de las condiciones que llevaron a la victoria de Mussolini hace casi cien años, el 28 de octubre de 1922. Las preocupaciones tienen mayor fundamento en la ideología de Meloni y los Fratelli d’Italia y las políticas que pueden seguir.

Cualquier posible enfrentamiento con la Unión Europea, que le ha asignado a Italia 230.000 millones de euros para que los gaste en programas de modernización tecnológica, protección del medio ambiente y reactivación económica, tendría consecuencias gravísimas.

Sin embargo, es sobre la visión social, cultural e institucional de Italia por parte de Meloni y su partido por la que es correcto tener reservas y críticas. Aunque el lema del partido “Dios, Patria, Familia” fue formulado por primera vez en Italia por el republicano Giuseppe Mazzini durante el Risorgimento, posteriormente fue usado de forma instrumental por Mussolini y el fascismo.

La utilización política de la religión, la exaltación de la patria (Meloni se autodenomina a menudo “patriota” frente a la izquierda, internacionalista y sin patria), el apoyo absoluto al tipo de familia tradicional: un hombre, una mujer, el matrimonio, los hijos de su propia “producción”, caracterizan a no pocos gobiernos y regímenes autoritarios.

Se traducen en comportamientos homófobos y actitudes muy críticas y represivas hacia los estilos de vida alternativos.

Aunque Meloni dijo que no quiere cuestionar la regulación del aborto, ha insinuado que la aplicación de la ley será más estricta, más rígida, probablemente restrictiva. Naturalmente, no será nada fácil extender la ciudadanía italiana a los inmigrantes y sus hijos.

Por último, Meloni y con ella Salvini y Berlusconi creen que la forma de gobierno designada por la constitución italiana, es decir, una democracia parlamentaria, es responsable de la lentitud en la toma de decisiones y de la dificultad para atribuir claramente la responsabilidad política a los gobernantes e incluso a los opositores.

Meloni ha propuesto el paso al presidencialismo a la francesa, pero no ha dicho nada sobre la ley electoral. Es un desafío a la izquierda, que teme, en parte exagerando, en parte erróneamente, un deslizamiento autoritario. Personalmente, me preocupa el amateurismo de los autodenominados reformistas constitucionales y el propósito encubierto de controlar el poder judicial y reducir su autonomía.

En conclusión, no cabe duda de que el gobierno que Giorgia Meloni se dispone a dirigir será el más derechista de la larga historia de la Italia republicana. No se convertirá nunca en un gobierno fascista, pero es posible que intente limitar parte de la libertad de expresión y de acción de los italianos.

Estoy convencido de que las instituciones italianas son sólidas y de que la Unión Europea actuará como freno y contrapeso de eventuales violaciones. Dicho esto, para la política italiana los tiempos que vienen no serán fáciles. Podrán resultar tormentosos, pero no fascistas.

Traducción: Román García Azcárate.

Gianfranco Pasquino es Profesor emérito de Ciencia política y autor de “Bobbio y Sartori. Comprender y cambiar la politica” (Eudeba 2021)

28/09/2022 Clarín.com

Come mai adesso l'”ammucchiata” si chiama governo di unità nazionale? @HuffPostItalia

Caro Huffington,

sinceramente preoccupato dalla sorte del paese in cui nacqui, vorrei avere qualche informazione più precisa per farmi un’idea su quale governo potrebbe formarsi. Enuncerò alcune interrogativi semplici e largamente diffusi dai mass media, te Huffington compreso, e da non pochi politici. Primo, il governo Draghi sarà eletto dal popolo? Avrà una legittimazione dal voto? Almeno il capo del governo otterrà un mandato politico-elettorale? Oppure, tutta questa discussione va lasciata alle illusioni/delusioni di Luciano Fontana, Direttore del Corriere della Sera, che intitolava melanconicamente la sua rubrica Lettere al Direttore: “Votare premier e coalizione è solo un sogno proibito?” La mia nota posizione è tutta costituzionale (art. 94): “il Governo deve avere la fiducia delle due Camere” (incidentalmente, non sta scritto “della maggioranza assoluta”)

Secondo, è vero che molto spesso nel passato qualsiasi tentativo di accordi fra governo e opposizione e fra partiti di opposti schieramenti veniva, anzi, è stato prontamente e da quasi tutte le parti bollato come “inciucio” e “ammucchiata”? Oggi, un eventuale governo che includa Cinque Stelle, Partito Democratico, Lega e i numerosi cespugli centristi (chiedo scusa, ma non troppo, e dirò: i volonterosi, responsabili et al.) diventa governo di unità nazionale, o qualcosa di simile, ma soprattutto ottiene generose valutazioni positive. Terzo, con Draghi siamo, dunque, all’uomo della Provvidenza come fu definito da Papa Ratti, Pio XI il Mussolini che l’11 febbraio 1929 sottoscrisse i Patti lateranensi? Certo, non mi riferisco all’ideologia di Mario Draghi, sicuramente un sincero democratico, ma alle malposte iperboli dei commentatori, uomini e donne, dello stivale. Quarto, i politici e i loro giornalisti di riferimento si sono regolarmente riempiti la bocca con le parole: “prima i programmi poi i nomi”. Non mi pare che questo sia stato il punto di partenza delle varie dichiarazioni di sostegno al Presidente del Consiglio incaricato. Giusto ricordarne i molti meriti e decisivi nel salvare l’Euro e l’Unione Europea, ma non sarebbe stato opportuno che i capi partiti e partitini dicessero: “Draghi ottima scelta, adesso vediamo i programmi” (o nel loro lessico “andiamo a vedere le carte”)? Ma almeno una carta dovrebbe essere chiara: “dentro l’Italia nell’Europa dentro l’Europa nell’Italia”. Ė lecito interrogarsi se Draghi ha posto questa condizione preliminare? Tu Huffington chiamala pure discriminante.

   Da ultimo, almeno allo stato delle cose, “ricostruire la politica” (con la molto discutibile affermazione che “il sistema è fallito” quale “sistema” “che cosa è il fallimento, come lo si misura”?) è un compito che può essere credibilmente affidato a chi di esperienza politica (che non significa trattare con altri banchieri e con le cancellerie) non ne ha? Però, se davvero Draghi volesse/dovesse ricostruire la politica, non sarebbe lecito fin da subito chiedergli quali sarebbero le linee essenziali di questa ricostruzione? Caro Huffington, mi fermo qui, ma spero, anzi, sono certo che presto, molto presto tu mi chiederai di commentare il governo dei migliori, giusto?

Pubblicato il 6 febbraio 2021 su huffingtonpost.it

L’ antiparlamentarismo di Casaleggio, cosa c’è a monte? cosa ci sarebbe a valle?

Sono molti coloro che hanno preparato il terreno all’affermazione di Casaleggio che fra qualche lustro il Parlamento non sarà più necessario. L’antiparlamentarismo degli intellettuali e dei commentatori italiani ha una storia che nasce con Prezzolini e giunge fino a chi con grande successo ha definito Casta tutti i parlamentari. C’ è anche un antiparlamentarismo dei governanti che non vogliono il controllo ad opera di un parlamento funzionante. Però, è difficile credere che una piattaforma telematica senza controlli trasparenti garantirà più democraticità e più efficacia di un Parlamento formato con una legge elettorale decente.

Caro Casaleggio, il Parlamento serve eccome!

 

Parla Pasquino

Il Parlamento rappresenta il Paese, consente confronti fra governo e opposizione, è luogo di dibattiti che producono informazioni. Il commento di Pasquino, professore emerito di Scienza politica nell’Università di Bologna e autore di Cittadini senza scettro. Le riforme sbagliate, Egea editore

“Forse in futuro il Parlamento sarà inutile”. Sembra che queste siano le parole pronunciate da Davide Casaleggio. Non arriva per primo a questa conclusione. È persino troppo buono poiché altri sostengono addirittura che il Parlamento è dannoso. Impedisce ai governanti di decidere rapidamente e di fare attuare senza fronzoli le loro decisioni. No, non li rincorrerò gli anti-parlamentaristi. Sono troppi, esistevano prima di Mussolini, continueranno a esistere anche dopo le Cinque Stelle.

Fanno parte dell’autobiografia dell’Italia, di quell’Italia, che è tanta, che non solo non conosce la Costituzione (ma potrebbe essere obbligata a studiarla), ma meno che mai si interessa delle istituzioni. Deprimenti sono sempre le risultanze delle ricerche sulle conoscenze istituzionali degli elettori italiani, ma anche dei troppi commentatori politici che lamentano il tramonto o l’eclissi del Parlamento qualora tramontasse la sua perdita di centralità poiché non fa più le leggi.

È molto probabile che Casaleggio attribuisca l’inutilità prossima ventura del Parlamento proprio alla non necessità che il Parlamento faccia le leggi. Saranno prodotte in tempi molto più brevi senza troppe discussioni dalla piattaforma Rousseau. Qui, si affaccia l’incultura costituzionale di Casaleggio e di  troppi commentatori e cittadini.

Lo dirò brutalmente: il compito principale dei parlamenti nelle democrazie contemporanee non è quello di fare le leggi. Ancora più brutalmente scriverò che in pratica le leggi le fanno i governi, con un’unica eccezione: il presidenzialismo Usa nel quale le leggi le fa il Congresso, e che è persino giusto che sia così. I dati rilevano che dappertutto ogni cento leggi approvate come minimo ottanta sono di origine governativa. Un buon Parlamento analizza, emenda, migliora, ma non diventa per questo il facitore delle leggi. Legiferando è il governo che attua il programma sottoposto all’elettorato sul quale ha ottenuto consenso maggioritario.

Uscendo dal Parlamento che mai fu legislatore, troviamo, però, compiti importantissimi che nessuna piattaforma e nessuna altra istituzione può svolgere. Dove la legge elettorale è buona, il Parlamento rappresenta il Paese (è rappresentanza politica, non sociologica, non rispecchiamento), consente confronti fra governo e opposizione, è luogo di dibattiti spesso importanti che producono informazioni. Un Parlamento può funzionare male, ma, sicuramente, non è obsoleto, non è inutile, non è neppure irrilevante. Non sarà mai sostituito da frotte di click che abbracciano una piattaforma controllata da poche persone.

Pubblicato il 23 luglio 2018 su formiche.net

Se sarà bocciato, il premier da Mattarella e un nuovo voto di fiducia in Parlamento

Il Mattino

Intervista raccolta da Marilicia Salvia per IL MATTINO

 

La data fatidica? “Si voterà non prima della seconda metà d’ottobre”, preconizza (con un certo ottimismo, dati i tempi tecnici) Gianfranco Pasquino, docente emerito di Scienze Politiche all’Università di Bologna, convinto che il governo vorrà attendere la pronuncia della Corte Costituzionale sull’Italicum, annunciata per il 4 ottobre, prima di lanciarsi nella fase conclusiva della campagna referendaria.

Professore, incassato il via libera della Cassazione le opposizioni scalpitano perché si vada alle urne subito, il prima possibile. Renzi riuscirà a tenere a bada tanta agitazione?

“La fretta delle opposizioni si può capire, è evidente che più la si porta per le lunghe più la maggioranza si avvantaggerà della sua posizione oggettivamente dominante sui mezzi dell’informazione, soprattutto televisiva. Ma a guardar bene, che la campagna referendaria duri a lungo non è utile per nessuno, neanche al governo, meno che mai al Paese”.

Teme un autunno di veleni?

“Sì, una coda d’estate e poi un autunno carichi di conflitti, di lacerazioni. Non ne abbiamo bisogno. E non ne ha bisogno il governo, che deve invece recuperare incisività di azione su molti temi importanti per il Paese”.

Più importanti della riforma costituzionale? Il governo la considera una questione dirimente, tanto da aver legato la propria stessa sopravvivenza all’esito del voto.

“Sì, ed è stato un grave errore”.

Perché?

“Intanto è quanto meno eccessivo presentare questa riforma, anzi il fatto di aver realizzato una riforma costituzionale, come un’impresa epocale: il centrosinistra nel 2001 ha condotto in porto la riforma del titolo quinto, e anche Berlusconi aveva cambiato una serie di articoli”.

La riforma Berlusconi però fu bocciata dai cittadini.

“Non importa, voglio dire che ci sono stati governi innovatori anche prima di questo. Non ha senso quindi drammatizzare l’esito del referendum, in un senso o nell’altro”.

Quindi sbaglierebbe Renzi a lasciare Palazzo Chigi se dovesse prevalere il no?

“L’errore Renzi lo ha fatto quando ha addirittura personalizzato il referendum usando il termine “io”e non”il governo” a proposito delle dimissioni in caso di sconfitta. I critici hanno avuto buon gioco a dire che Renzi voleva il plebiscito. E si capisce adesso perché le opposizioni premono per andare alle urne il prima possibile e non dare nessun vantaggio all’avversario”.

Scenario numero uno: al referendum vince il no, la riforma è bocciata. Renzi che fa, si dimette davvero?

“Ragionando dal punto di vista dell’onore, Renzi dovrebbe andare da Matterella a rassegnare le dimissioni. Dopo di che la saggezza politica vorrebbe che Mattarella gli chiedesse di andare in Parlamento a chiedere la fiducia”.

Scenario numero due: vincono i sì. Renzi si rafforza automaticamente dal punto di vista politico?

“Se vincono i sì è presumibile che il premier sarà portato a personalizzare questa vittoria. Ma purtroppo per lui e per il Paese i problemi non si dissolveranno. Ecco perché dico che non bisogna tirarla per le lunghe con questa campagna: l’economia continua ad andare male, il debito pubblico continua a crescere, e l’Italia ha ancora problemi di credibilità sulla scena europea”.

Quali problemi risolverà, invece, la riforma Boschi se dovesse superare il giudizio degli elettori?

“Il Cnel sparirà, e nessuno ne sentirà la mancanza. Per il resto temo che crescerà la confusione. Lo scoglio maggiore è nell’attuazione della nuova normativa che regolerà i rapporti fra Stato e Regioni”.

Il sistema guadagnerà in efficienza dall’abolizione del bicameralismo perfetto?

“Perla verità tutte le statistiche dimostrano che il nostro bicameralismo ha prodotto più leggi e in tempi più rapidi di altri sistemi in Europa.Penso che sarebbe stato preferibile ispirarsi al sistema tedesco, che prevede una seconda Camera di appena 69 seggi assegnati alle maggioranze di governo nei singoli land. Ma capisco che 100 seggi piacciono di più, e che il centrodestra attualmente in minoranza nelle Regioni italiane non avrebbe digerito l’idea”.

Uno degli argomenti più usati dalle opposizioni è quello di una possibile deriva autoritaria che risulterebbe dal combinato disposto della riforma con la legge elettorale. È d’accordo?

“Il pericolo non èla deriva autoritaria, per fortuna Renzi non è Mussolini né Erdogan e noi non siamo l’Italietta degli anni Venti né la Turchia. Io temo piuttosto una deriva confusionaria”.

Sull’Italicum comunque Renzi ha invitato il Parlamento a intervenire, anche al di là dei possibili rilievi che arriveranno dalla Consulta.

“Immagino non che il Parlamento, ma la Consulta interverrà e che Renzi vorrà aspettare appunto questa pronuncia prima di portare gli italiani al voto”.

Qual è la preoccupazione?

“Il premio di maggioranza che consegnerebbe il Parlamento al partito vincente anche al ballottaggio. Credo che sarebbe necessario prevedere una soglia minima per accedervi, e soprattutto la possibilità di creare coalizioni al primo turno e apparentamenti al secondo, come per le amministrative: in questo modo si arriverebbe a rappresentare meglio e in modo più ampio gli elettori”.

Rieccoci al rischio di autoritarismo, allora.

“No, la storia è un’altra. Immaginiamo il ballottaggio tra Pd e 5 Stelle, e la vittoria finale di questi ultimi. Il premio di maggioranza impedirebbe qualsiasi mediazione. Nulla quaestio per gli italiani, ma cosa ne penserebbe l’Europa, che dall’Italia si aspetta posizioni diverse da quelle professate dai grillini? Il rischio è la conflittualità permanente e l’inconcludenza”

Pubblicato il 9 agosto 2016

Scorciatoia cognitiva

Corriere di Bologna

Sappiamo che la fantasia e anche l’irriverenza degli elettori possono spingersi verso limiti estremi. Se I Presidenti di seggio e gli scrutatori volessero potrebbero raccontarne di tutti I colori relativamente alle schede che sono costretti ad annullare. Non è, naturalmente, possibile, ma neanche auspicabile, porre alla fantasia di candidati talvolta sconosciuti che cercano di emergere per conquistare almeno un pugno di voti. Non so se questo è l’anno in cui Mussolini possa tornare in auge come strumento di attrazione per elettori nostalgici oppure arrabbiatissimi con i “politicanti” e con le condizioni, non proprio eccellenti, del sistema politico italiano. È anche merito della Costituzione italiana, da un lato, avere statuito il divieto di “ricostituzione del disciolto partito fascista”, dall’altro, di avere obbligato i neo fascisti a cambiare. Qualche saluto romano continua a fare la sua comparsa, qualche slogan può fare breccia temporanea, qualche tatuaggio attrae l’attenzione, qualche canzonetta può avere un refrain accattivante, ma la sostanza rimane. La storia non si ripete, anzi, come scrisse memorabilmente Karl Marx, la prima volta è una tragedia, la seconda è una farsa. Non andrò oltre nel ricorrere a espressioni blasonate perché rischiano, se non di legittimare, di dare un po’ troppa importanza a fenomeni marginali.
Ho sempre detto e scritto che il ricorso al termine “regime” per indicare l’indubbiamente molto importante ruolo politico svolto da Berlusconi tra il 1994 e il 2013 era un’esagerazione polemica, sbagliata, fuorviante, diseducativa. Rimane, tuttavia, da capire che cosa sta dietro il folklore di richiamarsi a Mussolini Benito. Per farla difficile potrei dire che quel richiamo da parte di tre candidati potrebbe essere, a loro insaputa, una “scorciatoia cognitiva”. Mirano a comunicare, senza scendere nei particolari di un programma che non saprebbero stilare, la loro collocazione. Sì, stanno a destra, vogliono “legge e ordine” imposta dall’alto, preferibilmente con durezza; sì, sostengono di avere una orgogliosa identità nazionale (che, naturalmente, stona con il leghismo di qualsiasi sfumatura): sì, sono nettamente ostili agli immigrati specialmente se di colore; si, vorrebbero una democrazia autoritaria con un leader in grado non soltanto di prendere le decisioni, ma di tradurle o farle tradurre in maniera granitica in azioni. La tentazione di sostenere che gli inchini fascisti interpretano qualcosa che è nell’aria ce l’ho. Poiché il vento delle destre populiste e nazionaliste soffia in molti paesi europei, non basta alzare le spalle e dire che sono cose del passato. Sarebbe più produttivo cercare di risolvere problemi, insegnare come rapportarsi agli altri, adottare uno stile rispettoso di tutti, all’insegna dei valori costituzionali.
Pubblicato il 14 maggio 2016

Un anno fra realtà e fanfare

Né Mussolini né Tony Blair, ma neppure De Gasperi, nessuna delle analogie usate per definire Matteo Renzi nel giorno in cui il suo governo ha compiuto un anno appare appropriata e illuminante. Sono fuori luogo anche le accuse rivoltegli in maniera polemica, spesso dettate da frustrazioni politiche, di essere “un uomo solo al comando”. Non forte come Mussolini, non brillante come Blair, non efficace come De Gasperi, Renzi non è affatto solo. Si è circondato di amici e collaboratori di vecchia data (il giglio più o meno magico) e può contare su un rapporto molto intenso sia con l’indispensabile sottosegretario Graziano Del Rio sia con il Ministro per le Riforme Istituzionali Maria Elena Boschi. Lui aggiungerebbe che lo sostengono milioni di elettori. Tuttavia, le sue regolarmente bellicose dichiarazioni servono a rafforzare la sua non granitica sicurezza poiché Renzi è consapevole di essere molto meno “al comando” di quello che desidererebbe. Per esempio, dall’Unione Europea gli hanno sempre fatto capire che, forse, qualche aggiustamento “europeo” sarà fattibile, ma che è opportuno che il capo del governo italiano i compiti a casa li faccia e li faccia con volenterosa applicazione.

In Europa, non soltanto Renzi non comanda, ma è meglio per (quasi) tutti gli italiani, che sono diventati un po’ troppo euroscettici, che obbedisca. In qualche misura, sapendo che il sistema italiano non è abbastanza efficiente e flessibile, Renzi cerca di ottemperare, ma, attenzione, tutti i dati macro-economici svelano che l’Italia non cresce abbastanza, anzi, quasi niente, e non cresce in fretta. Allora, l’uomo non solo e non al comando deve spostare l’attenzione da risultati finora non entusiasmanti a promesse ancora eclatanti, ma soprattutto va alla ricerca e alla demonizzazione dei colpevoli. Quanto più i presunti colpevoli gli sono vicini tanto meglio. Quindi, è la minoranza del Partito Democratico, la vecchia guardia non ancora rottamata, a offrirgli il destro, pardon, il bersaglio migliore e più facile. In altri tempi, l’accusa era (nell’espressione usata da Berlusconi) di “remare contro”. Adesso l’accusa oscilla dal gufare al rosicare, mentre Renzi, non diversamente da Berlusconi, ostenta ottimismo e lancia speranze.

Rimanendo nell’ambito di coloro che si muovono nell’ampia area di sinistra, gli altri responsabili, se le annunciate riforme non vanno abbastanza bene e non abbastanza in fretta, sono la CGIL e la FIOM. Colpito da improvvisa popolarità, conseguenza delle sue numerosissime prestazioni televisive, il segretario della FIOM Maurizio Landini è assurto al ruolo di bersaglio privilegiato di Renzi. La CGIL di Camusso è già stata liquidata, ovvero “disintermediata” che, nella neo-lingua renziana, significa non più da consultare. Non c’è bisogno di interloquire con il più grande sindacato italiano. Invece, è opportuno mettere nell’angolo Landini in previsione di un suo ingresso in politica (fin troppi sindacalisti sono già nelle file dei parlamentari del PD), magari alla guida di una lista Syriza all’italiana.

Nessuna di queste battaglie mediatiche è davvero necessaria a governare meglio (e di più) il paese e il suo sistema socio-economico, ma con la complicità di non pochi operatori dei massa media ogni battaglia serve a sviare l’attenzione. In occasione dell’anniversario è meglio non guardare alle riforme iniziate con grande fanfara, ma ancora non completate, ed è consigliabile non valutare approfonditamente contenuti e qualità delle riforme delle provincie, della legge elettorale e del Senato. In maniera beffarda, non da solo, ma sostenuto “senza se e senza ma” dai suoi due vicesegretari e dai suoi più stretti ministri, il capo del governo attacca un po’ tutti da posizioni di forza. Renzi dà l’impressione di essere effettivamente al comando, ma gli effetti positivi del suo comando sul sistema socio-economico tardano a vedersi. Quel che soprattutto manca è la costruzione di un consenso ampio e convinto, segno distintivo dell’azione politica degli statisti. L’Italia di Renzi non corre nessun rischio di derive autoritarie. Galleggia e le poche riforme finora completate sono servite in pratica a far sì che non vada a fondo.

 

Pubblicato AGL  25 febbraio 2015