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Le nomine non sono un reato, ma basta premiare i peggiori @DomaniGiornale

Nella democrazia maggioritaria, il principio dominante è the winner takes it all. Chi vince prende tutto, ma sono chiaramente definiti i limiti e i contenuti del tutto. In quel tipo di democrazia, chi vince non deve toccare le regole del gioco, i meccanismi, le procedure in modo tale da rendere la competizione permanentemente squilibrata. Da tempo, gli organismi attraverso i quali passa la comunicazione politica sono considerati fra quelli che non debbono essere piegati a favore di chi ha conquistato il potere politico. Par condicio era la situazione da conseguire e mantenere secondo criteri delineati dal Presidente Ciampi nel suo messaggio alle Camere del luglio 2002 sul pluralismo e l’imparzialità dell’informazione.

Il rinnovo del Consiglio d’amministrazione della Rai deve/dovrebbe rispettare entrambi i criteri, tanto esigenti quanto indispensabili in una democrazia. Che la maggioranza scelga in questo e in altri casi persone di cui si fida, che condividono le sue idee politiche e i suoi obiettivi non può destare scandalo. Tuttavia, a seconda dell’ente e dell’attività dovrebbero essere gli esponenti stessi di quella maggioranza a volere contemperare affidabilità politica con competenza professionale. Il prevalere della prima per lo più significa che alla maggioranza mancano uomini e donne competenti, che, come si dice spesso per Fratelli d’Italia, la sua classe politica è numericamente molto/troppo ristretta e qualitativamente inadeguata. Alla prova dei fatti, l’attività scadente degli inadeguati/e dovrebbe essere punita dagli elettori, almeno questo è uno dei postulati, sempre traducibili in pratica, della democrazia.

Chi e come nella maggioranza sceglierà le persone da reclutare e da promuovere nelle cariche disponibili è un problema che riguarda quasi esclusivamente la maggioranza stessa. Delegare a una persona di famiglia, a una sorella, a un amico, a un collaboratore fidato è, prima di tutto, assolutamente comprensibile. In secondo luogo, non prefigura e non costituisce reato a meno che, in estrema sintesi, i reclutamenti non si caratterizzino come fattispecie di voto di scambio. Se sono soltanto errori sarà nell’interesse di chi ha nominato procedere a rettificarli il prima possibile con opportune sostituzioni.

In democrazia, non solo quella maggioritaria, l’opposizione deve porsi prioritariamente l’obiettivo di costruire le condizioni per sostituire il governo in carica. Saranno le sue critiche fondate e puntuali alle scelte di politiche e di persone fatte, non fatte, fatte male dalla maggioranza a spostare opinioni, a cambiare voi. Gridare frequentemente ossessivamente “al fuoco al fuoco!” rischia di essere controproducente, comunque è politicamente diseducativo, peggio quando le opposizioni si rincorrono per scavalcarsi in denunce esagerate e implausibili, ma anche in concessioni furbette.

Nella politica spettacolo, che, peraltro, oramai molti cittadini se la costruiscono in proprio incuneandosi e adagiandosi in una pluralità di “bolle”, tutto o quasi si svolge in pesanti scambi comunicativi. Molto meglio sarebbe se le opposizioni (ri)conducessero i dibattiti, le interrogazioni, le critiche, le controproposte in Parlamento dando solennità e soprattutto dimostrando che in una democrazia parlamentare la centralità del Parlamento consiste proprio nel confronto, al tempo stesso, il più duro e il più trasparente possibile, fra oppositori e governanti. Proprio quel confronto che un eventuale premierato renderebbe sostanzialmente inutile.

Fuori dalla brutta estate del nostro scontento c’è molto da fare per migliorare il funzionamento della democrazia parlamentare, per l’appunto riportando con ostinazione e virtù la politica in Parlamento che, se formato da una legge elettorale decente, dimostrerebbe tutte le sue qualità e potenzialità istituzionali e di rappresentanza dei cittadini.

Pubblicato il 21 agosto 2024 su Domani

Basta lagnarsi: lo spoils system è il sale della democrazia @DomaniGiornale

Discutere delle qualità di coloro che vengono nominati ai vertici delle aziende a partecipazione statale è sempre cosa buona e giusta. Sbagliata e fuori luogo è, invece, la critica pregiudiziale incapace di proporre alternative allo spoils system. Circa due secoli fa furono i politici USA a stabilire che ai vincitori delle elezioni a tutti livelli spettassero le spoglie, vale a dire un certo numero di cariche non solo, ovviamente, politiche, ma anche amministrative. La logica sottostante era, e rimane, piuttosto semplice. Chi ha ottenuto dagli elettori il potere di decidere le politiche pubbliche deve essere messo in grado di nominare amministratori di fiducia per attuare le politiche da loro desiderate e definite. Chiunque, dunque, può essere nominato liberamente dai detentori del potere politico. Abbiano o no precedenti esperienze in qualche settore; abbiano o no le competenze necessarie, a quelle persone vengono affidati compiti importanti poiché chi li nomina pensa che eseguiranno quanto è loro richiesto.

Qualche volta, non necessariamente soltanto ai livelli più bassi, più dell’esperienze e della competenza, finirà per contare soprattutto la dedizione dei nominandi ai loro referenti politici e di converso la fiducia che quest’ultimi hanno in coloro che già li hanno serviti politicamente. Non c’è nulla di cui scandalizzarsi soprattutto quando l’alternativa sarebbe rappresentata da persone insostituibili nel loro ruolo che, per le loro preferenze politiche, si metterebbero di traverso se chiamati ad attuare un programma che non gradiscono o pensano contrario alle necessità della patria/nazione.

Il sistema delle spoglie comporta un rischio ed è temperato da un meccanismo democratico. Nei sistemi politici nei quali i governi cambiano spesso il rischio è che i nuovi governanti non riescano a sfruttare l’opportunità di nominare esecutori di fiducia. Negli USA, il Presidente ha sempre la possibilità di nominare circa quattro mila burocrati, anche se raramente vuole/riesce a sostituire tante persone. Il meccanismo democratico è lo svolgimento delle elezioni. Infatti, una buona opposizione avrà modo di dimostrare quanto male ha fatto il governo in carica con riferimento alle prestazioni e al rendimento delle aziende pubbliche e dei loro dirigenti, proprio quelli nominati dal capo del governo e dai suoi ministri. Il rendiconto (accountability) del fatto, del non fatto, del mal fatto è almeno in linea teorica il meccanismo che dovrebbe spingere i governanti a nominare i “migliori”. Quindi, le nomine fatte dal governo Meloni sono certamente già valutabili con riferimento all’esperienza e alla competenza dei nominati, ma in una democrazia decente il verdetto decisivo sarà quello delle prossime urne emesso da elettori informati sui fatti grazie ad una opposizione che abbia svolto il suo lavoro adeguatamente.   

Pubblicato il 13 aprile 2023 su Domani

Volti nuovi, metodi vecchi. Tutto già visto

Da sempre quando sono in gioco le nomine al vertice di alcune aziende, in primis la Rai, e di alcune Commissioni parlamentari si alza il livello del conflitto. Le critiche vengono da un po’ tutte le parti: da autorevoli editorialisti secondo le loro preferenze politiche, dai capi dei partiti che hanno perso le elezioni e i relativi poteri di nomina, dagli intellettuali che manifestano grande preoccupazione e firmano pensosi e turbati manifesti. Qualcuno, pochi e raramente, arriva persino a chiedersi come si procede in altri paesi. Quasi nessuno raccoglie e pubblica la documentazione necessaria spesso disponibile. Maggioritaria o proporzionale che sia la democrazia, dappertutto vige un principio: chi vince le elezioni ottiene anche il potere di nominare persone a un certo numero di cariche: è lo spoils system (sistema delle spoglie). La prima differenza fra le democrazie sta proprio qui: quante e quali cariche. Negli USA le cariche a disposizione del Presidente sono così numerose che nessun Presidente riesce a effettuare tutte le nuove nomine. Altrove, molto dipende se lo Stato è molto intrusivo e esteso, come in Francia e, in una certa misura, in Spagna, oppure se è snello e sobrio, come nelle democrazie anglosassoni e nordiche. La seconda differenza riguarda quali criteri esistono, se sono condivisi e rispettati. Nelle democrazie è riconosciuto ai vincitori delle elezioni il diritto di nominare il personale, sia politico sia burocratico, che ha il potere di attuare le politiche scelte dal governo e di collaborare alla loro buona riuscita. Non c’è nulla di riprovevole se i governanti sostituiscono persone nominate dal precedente governo con persone nuove, più fidate, anche politicamente, magari più preparate e competenti. Certo, sia l’opposizione politico-parlamentare sia i mass media sia l’opinione pubblica vorrebbero giustamente saperne di più, conoscere quali titoli vantano i prescelti, quali esperienze passate hanno. L’imposizione di un nome qualsiasi non può essere giustificata unicamente in base alla vittoria elettorale. Qualche criterio meritocratico appare indispensabile.
Il discorso sulle nomine è leggermente diverso quando si tratta di cariche parlamentari. Qualcuno sostiene che il Parlamento è sovrano, ma sappiamo che, non soltanto nel caso attuale del governo giallo-verde, le nomine sono decise dai capi dei partiti al governo e dai loro collaboratori- consulenti. Allora, soprattutto nel caso di alcune commissioni, come il Copasir (Comitato per la sicurezza) e la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi (ho scritto il titolo per esteso poiché la Commissione non deve occuparsi solo della RAI, ma dell’intero sistema radiotelevisivo), valgono due criteri: la competenza e l’indipendenza (che preciserò come assenza di conflitto d’interessi) dei nominati. Né nell’uno né nell’altro caso sono stati rispettati. Il Governo del cambiamento ha seguito strade fin troppo battute dai suoi predecessori.

Pubblicato AGL il 20 luglio 2018